Voto laziale / la rivincita del contado
di Pierluigi Sorti
Non nella mala sanità, non nella discarica di Malagrotta, non nella legalità, non nei livelli occupativi, non nell’ astensionismo ( qui assai più accentuato che altrove ) suggeriamo di cercare la differenza degli oltre settantamila voti in meno che separano Emma Bonino da Renata Polverini.
E’ nell’ immagine con cui le due candidate si sono proposte e sono state proposte, all’ elettorato laziale, che possiamo spiegare l’ effetto opposto riscontrato nella città capoluogo dal resto delle quattro province.
A Rieti, a Frosinone, a Viterbo e soprattutto a Latina è scattato un meccanismo in cui erano certo presenti i fattori regolativi di scelta preferenziale elencati più sopra: ma è lecito pensare che dopo la sciatta vicenda della presentazione delle liste, magari sotto traccia ( forse anche con meccanismo inconscio ) il mondo della provincia abbia voluto cogliere l’ occasione opportuna per differenziarsi, a rivalsa della sua inferiorità, da Roma capoluogo.
A ciò hanno contribuito appunto le effigi che le due candidate hanno scelto per sè stesse.
In apparenza indifferente alla percepibile e masochistica freddezza di non poche esponenti, non soltanto femminili, per la propria candidata, la Bonino sceglieva un profilo di quasi new entry ( “fidatevi di me “) sembrava chiedere, quasi in difensiva, di essere dimenticata come quasi quarantennale e positiva protagonista in molteplici luoghi politici e istituzionali, italiani ed europei.
Di contro la figura di Renata Polverini, con la scioltezza casual del suo abbigliamento, interpretava, forse non volutamente ma efficacemente, il ruolo di chi, nella cinematografia western di tempi non lontani, osa chiedere, quasi solitaria, giustizia riparatrice delle prevaricazioni dei potenti della città.
In un minisondaggio, effettuato in un campione non superiore alla trentina di persone, è in effetti risultato un corredo di elementi, a favore o sfavore dell’ una o dell’altra, ma comunque estraneo a differenziazioni politiche o programmatiche, e tutto concentrato invece su specificità caratteriali, oltre che ovviamente di generica appartenenza .
In effetti la radicale Bonino, quasi fiera della sua autonomia e indifferente alla tepidezza della sua coalizione, insisteva con monotonia sul tema della legalità, si mostrava impermeabile ai contributi che inizialmente le provenivano da più parti, sostenuta infine da un partito, il suo, che di questo isolamento, con discutibile saggezza, ha sempre plasmato il suo modo d’ essere.
La seconda, Renata Polverini, si batteva in ogni dove, percorrendo i più remoti angoli della Regione, e, disinteressata a ogni forma di orgoglio, oscurava le sue piccole trasgressioni fiscali e le dissimulazioni della sua consistenza sindacale, valorizzava la sua conterraneità laziale a fronte della rivale piemontese, partecipava con disinvoltura alla medievale e anacronistica cerimonia del giuramento a Piazza del Popolo e, sfruttando astutamente la sua posizione iniziale di orfana di partito, è riuscita a trasformare tale handicap in vittorioso investimento elettorale.
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