Una ricetta per uscire dalla crisi
di Francesco Grillo su Il Mattino
La tempesta perfetta che avrebbe dovuto seppellire definitivamente l’Euro è per il momento scongiurata. Persino, spread e mercati finanziari si sono presi una vacanza rispetto a mesi di turbolenze. Tuttavia, proprio mentre le nuvole più minacciose si sono in questi giorni allontanate, altre si stanno formando proprio in Germania: praticamente tutta la politica tedesca – dall’opposizione socialdemocratica alla CDU che guida la coalizione al governo – viene unita dalla preoccupazione per il costo eccessivo che il salvataggio dei Paesi più indebitati avrebbe sulle finanze tedesche e dalla diffidenza nei confronti di Mario Draghi, accusato di aver messo nella pancia della Banca Centrale Europea troppi titoli di Stato tossici.
La coperta dell’EURO continua ad essere corta: se la tiri per coprire una periferia in difficoltà, rischi di creare problemi ulteriori al centro. La sensazione è che se non inventiamo qualcosa per cambiare completamente le regole del gioco, ricominceremo subito dopo le vacanze a ballare tutti insieme sull’orlo del precipizio.
L’Estate sarebbe potuta servire proprio a questo: approfittare della pausa per far riunire in qualche eremo tutti i maggiori protagonisti politici della crisi e chiunque abbia idee sufficientemente ragionevoli ed ambiziose, per costruire un piano – non solo sull’EURO ma sull’Unione – che abbia una prospettiva di lungo periodo, ma che sia capace di indicare anche azioni in grado di ottenere risultati immediati. Ci vorrebbe visione e pragmatismo ed invece da troppo tempo viviamo di decisioni prese in emergenza i cui tempi sono costantemente troppo lunghi per convincere i mercati e troppo brevi per coinvolgere le opinioni pubbliche.
Le componenti del piano dovrebbero essere due.
Nel brevissimo periodo, bisognerà definire – in maniera molto chiara e definitiva – un patto complessivo che riesca a combinare l’esigenza di comprare tempo agli Stati in difficoltà senza imporgli ricette predefinite o punizioni che rischiano di aggravarne la malattia con la necessità di minimizzare il costo che il salvataggio ha sugli altri Stati.
Ciò significa stabilire diversi dettagli fondamentali che – tra un vertice ed un altro – devono essere sfuggiti ai capi di governo europei troppo impegnati a stabilire di chi fosse la colpa della situazione nella quale ci troviamo: Chi governa – deve essere uno solo e deve già averne oggi le competenze – il meccanismo di stabilizzazione? A quali condizioni si può accedere al supporto e che tipo di richieste possono essere fatte allo Stato salvato? Che tipo di aiuti si possono concedere, con quali risorse e fino a che limite? Va previsto un meccanismo di uscita o “espulsione” dall’Euro – a mio avviso, assolutamente sì altrimenti la nostra religiosa attitudine nei confronti della inviolabilità della moneta unica continuerà ad arricchire gli speculatori – se gli accordi non sono rispettati?
Tra i “dettagli” c’è anche quello di realizzare quanto più velocemente è possibile una omogeneizzazione dei criteri con i quali gli Stati contabilizzano il proprio debito ed i propri deficit, nascondendo spesso ingenti passività: succede non solo in Grecia, ma anche in Italia con i debiti commerciali della PA . Se non lo facciamo subito continueremo a lavorare su carte truccate.
Da lanciare subito, però, c’è anche una seconda azione di più lungo periodo che non è finanziaria ma completamente politica.
Invocare, oggi, che dall’alto qualcuno deliberi la nascita degli Stati Uniti d’Europa, laddove abbiamo perso dieci anni a scrivere un trattato di Lisbona che – secondo Giuliano Amato che ne fu uno dei alcuni dei principali ispiratori – è così complicato proprio per renderne impossibile la lettura da parte dei cittadini europei, significa davvero mettersi nella stessa pericolosissima situazione di una coppia in crisi che decide di fare un figlio per provare a risolvere il problema.
E, tuttavia, da subito se è vero che prima o poi ad una maggiore integrazione dobbiamo arrivare per rendere davvero “irreversibile” l’Euro, dovremmo cominciare a lavorare su progetti che rendano più europee opinioni pubbliche che, al contrario, si stanno sempre più ritirando nei propri enclave locali.
Per rendere più forte l’Euro e l’Europa, vale forse di più una proposta come quella di usare i soldi della politica agricola comune per rendere obbligatorio un semestre di studio all’estero per tutti gli studenti europei di scuola superiore e dell’Università, che l’istituzione di un unico rappresentante di una impossibile politica estera europea.
Visione per cominciare a pensare dove vogliamo essere tra dieci anni. E pragmatismo per riuscire però a dare risposte concrete in tempi brevi. Sono i due fattori che fanno, del resto, la leadership. Quella merce rarissima che ha consentito all’Europa di nascere dopo una guerra disastrosa e di cui l’Europa ha adesso un bisogno assoluto per poter sopravvivere rinnovando profondamente i propri caratteri.
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