Spaziando. L’innovazione sociale può salvare il nostro sistema socio-sanitario
di Giuseppina Bonaviri su L’Inchiesta di Frosinone
La rimessa in discussione delle prestazioni sociali per i limiti imposti dai governi alla spesa pubblica richiede l’ottimizzazione delle risorse disponibili sia professionali che finanziarie e l’apertura all’innovazione dei modelli organizzativi che fin qui si sono utilizzati. Ipotizzare spazi di innovazione nel sociale significa poter intervenire su contesti diversificati: dalle condizioni di lavoro e formazione degli addetti, al ruolo del pubblico nel rapporto con le comunità locali chiamate a partecipare alla costruzione di una rete di servizi di base meglio conosciute come prossimità.
La trasformazione sta già avvenendo nel settore socio-sanitario e dell’assistenza domiciliare: sarà doveroso, per tutti i cittadini, prenderne consapevolezza anche per la quantità di risorse finanziarie che si immettono in questi servizi e per le prestazioni che garantiscono.
Nel Lazio sono numerose le esperienze innovative attive e che si sono ben innestate nel sistema sociale. Considerarle anche nel nostro contesto territoriale, non solo per ridurre i margini d’insuccesso che qualunque processo può comportare, vuol significare migliorare la conoscenza del percorso di modernizzazione della società.
Si possono suddividere le suddette esperienze in due “ecosistemi” .
Il primo costituito dalle organizzazioni non lucrative di carattere imprenditoriale che per missione operano in alcuni settori chiave del welfare: servizi socio-assistenziali e sanitari, educativi, inclusione sociale e lavorativa. Sono oltre 6.200 le organizzazioni che operano nella Regione Lazio attraverso le tre forme giuridiche di tipo non profit che con diversi livelli d’intensità hanno sostenuto lo sviluppo dell’imprenditoria sociale in ambito non profit. Si tratta di cooperative sociali (Cs), organizzazioni di volontariato (OdV) e associazioni di promozione sociale (APS). Il Lazio si caratterizza ad oggi soprattutto per lo sviluppo di cooperative sociali “miste” che operano sia producendo servizi che organizzando attività d’inserimento lavorativo.
Il secondo ecosistema considera, invece, una più ampia platea di fornitori di servizi rispetto alla quale i soggetti non profit rappresentano una parte con la compresenza di soggetti fornitori individuali o grandi multinazionali e che si articolano per la tipologia dei beni prodotti e i modelli di servizio: il “terziario sociale”. Secondo alcune rilevazioni che riguardano il III trimestre 2012 sono 115.000 le imprese che nel Lazio, operano nei principali settori di attività: il 52% produce beni e servizi di tipo culturale, artistico e ricreativo mentre il 27% si occupa di sanità ed assistenza ovvero attività più prossime al welfare sociale; la parte restante opera in campo formativo-educazionale. Le dimensioni di questo fenomeno lasciano intravedere come l’impresa sociale agisce in qualità di reale agente d’innovazione e di sviluppo economico nel campo del welfare sociale. La sfida del sociale procede col suo tempo più impegnativo e urgente, adesso. La capacità di produrre senso e sintesi sapendo coinvolgere le forze politiche‚ dai Comuni alla Regione per una salvaguardia qualitativa dell’azione‚ della dignità del lavoro, della equità dei diritti, delle famiglie saprà così meglio tutelare le aree di abbandonato umano anche mentre la crisi le impoverisce e ricatta.
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