Sibari e il Crati
Due teoremi agitano da tempo il dibattito culturale. Ragionare e lavorare in termini multiculturali e interdisciplinari; coniugare il patrimonio delle conoscenze vie via acquisite con le scelte politiche. Infatti è alta la consapevolezza della complessità dei problemi che una società qual è quella moderna – attraversata da mille contraddizioni e altrettante domande – pone all’attenzione dei decisori, in termini di vere e proprie sfide che, per essere affrontate con qualche probabilità di successo, richiedono oggettivamente, più sapere, più saperi mesi assieme. Questi teoremi assumono vero e proprio valore di paradigmaticità relativamente alla discussione che benemeritamente si sta portando avanti sull’area archeologica di Sibari, e per estensione sull’intero catalogo dei nostri beni culturali, sul paesaggio, sull’intero territorio calabrese. Salvatore Settis nel ricevere la laura honoris causa dall’Ateneo reggino ha pronunciato parole impegnative, quando ha ricordato di non esser mai stato interpellato da alcun amministratore e politico calabrese, circa aspetti legati alle sue specializzazioni che lo hanno reso famoso nel mondo. E quando ha confessato che ha trovato una Calabria meno povera ma sempre più alla ricerca di se stessa. Il consumo del suolo, l’incuria, l’abbandono, il costruire selvaggio, l’assenza di un’idea di paesaggio, hanno attraversato il messaggio di Settis, che resta affidato, così, a quanti vorranno farne una bandiera. Una bandiera che in verità non è di oggi ché solo qualche lustro fa l’attenzione per i comparti richiamati da Settis era forte, sentita, praticata. Poi si scelse (passivamente?) il fai-da-te e la spoliazione del territorio. Proprio dalla Calabria può ripartire invece una nuova tendenza, ch’è quella dettata dalla ragione, dal buon senso: quella di un modello di sviluppo intrinsecamente legato ai giacimenti culturali e naturali locali, in nome della sostenibilità e del rispetto della storia. Sibari, appunto: abbiamo appreso che c’è – ci sarebbe – una disponibilità finanziaria utile a intervenire sull’area degli scavi per quanto riguarda musei da costruire e interventi di tipo squisitamente archeologico. Qualche risorsa è ravvisata altresì per il drenaggio delle acque, ma non pare chi sa che. La domanda che, ingenuamente, affiora è la seguente: si può pensare di salvare una bottiglia su un tavolo se il tavolo è instabile? O si deve prima, o insieme, stabilizzare il tavolo? Fuor di metafora: ben vengano le attenzioni e le misure per i reperti archeologici (purché non tardino molto), ma contemporaneamente – se si vogliono fare le cose per bene e non introdurre rattoppi e e rammendi che durano lo spazio di qualche stagione – è necessario porre mano all’emergenza fisica del suolo e del sottosuolo che interessa la valle del Crati (tanto per fissare qui la nostra attenzione). Perciò si parlava all’inizio di multidisciplinarietà e interculturalità. Non si fanno passi in avanti se il responsabile di un assessorato ignora quel che fa il suo collega d’altro assessorato, se le azioni che promuovono su un ben determinato tema, sono fra loro disgiunte, con il rischio, per di più, di collidere fra loro. Una volta si parlava di politiche coordinate, e pure di accordi di programma, o di conferenze di servizi, per evidenziare, a vari livelli e su scale diverse, l’imprescindibilità di mettere insieme attribuzioni e afferenze tematicamente distinte, verso obiettivi comuni che richiedono convergenze. Per muoversi in tale direzione non solo c’è bisogno di volontà e di guida politica, ma serve pure altro. Serve che si mettano assieme archeologi, storici, ingegneri, architetti, geologi… ; serve che ciascuno di coloro che appartengono alle varie professioni si spoglino della loro certezza d’esser gli unici – o i più qualificati – portatori di soluzioni definitive e si abituino a lavorare inter pares con gli altri; serve imparare a parlare un linguaggio comune; serve la sintesi. Tutto ciò al di fuori da spontaneismi legati a visioni e a conoscenze obsolete, ché negli anni le ricerche e gli approcci metodologici, le stesse best practices, sono molto mutati e perciò servono specialisti seri, veri, ben guidati e accompagnati. La scommessa prima, e la più difficile, è proprio quella di sposare convintamente la scelta interdisciplinare: quindi forte impulso al Piano di Bacino del Crati, manutenzione e pulizia dell’alveo e delle sponde (nella ridda degli enti competenti sempre più intricata, sovrapposta, di fatto deresponsabilizzante con il continuo gioco a rimpiattino), interventi di somma urgenza certo, ma accanto o subito dopo una politica territoriale scaglionata nel tempo, programmata. Mentre si mette mano a tutto l’enorme lavoro che c’è da fare su quanto insiste a fianco e sotto il letto del fiume, con tutti i tesori abbandonati e mortificati che aspettano un segno di resipiscenza dell’uomo.
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