Significativamente Oltre

Rai, la sinistra, un progetto per non farci maledire

di Michele Mezza

Tanto tuonò che piovve. Finalmente. L’approvazione ,rassegnata, di un esangue consiglio di amministrazione, del  tremulo piano Gubitosi, insieme ai tramestii attorno alle torri di RAI Way, finalmente pongono il sistema radiotelevisivo, e il suo comparto pubblico, al centro della scena economica, e fuori dal rottamato teatrino delle proprietà politiche.

Il sistema audiovisivo di un paese è parte essenziale dei suoi asset di sovranità e di scambio internazionale. Rispetto a questo orizzonte il capo redattore esteri di uno dei Tg che rischia di sciogliersi al sole della semplificazione non esiste. Come non esiste quella consunta e inquinata bandiera del pluralismo che non ha mai assicurato la libertà in RAI.

Ora, come per tutte le grandi infrastrutture, il primo  nodo da sciogliere è capire cosa vuole fare il governo. Qual è la strategia di Renzi per gli apparati pubblici di sovranità?

Questo è il vero buco nero su cui mi concentrerei invece della pallida questione dell’informazione di rete, che a malapena può interessare qualche caporedattore trombato che andrà a fare il vice aiuto capo struttura.

Allora cosa pensa Renzi del sistema radiotelevisivo pubblico? Forse lo stesso  di quello che pensa per le banche Popolari o per le grandi aziende nazionali come ENEL,ENI, E Finmeccanica: carne da cannone, ossia risorse per far lavorare il mercato, meglio se estero, ottimale se angloamericano.

Da quanto è stato fatto fino ad ora, capisco che i principali interlocutori finanziari del governo, come il circuito delle banche d’affari londinesi, premono per una radicale semplificazione del mercato infrastrutturale italiano, leggi una massiccia alienazioni di asset.

La Rai è parte di questa semplificazione. Come sempre quando qualcuno parla di cultura e qualità, si nasconde lo spettro del ridimensionamento e della marginalizzazione. Ed infatti per la Rai si parla a quattro palmenti di cultura e qualità.

Il secondo punto riguarda la mission che dovrebbe svolgere l’apparato pubblico dell’informazione, come si configurerebbe dal piano Gubitosi. Incredibilmente in questi mesi nessuno si è peritato di chiedere al DG come concepisca la nuova mission della nuova RAI NEWS: quale presidio del mercato, quale primato da conquistare, quale strategia globale, quale politica tecnologica? Insomma perché tutto questo casino, solo per risparmiare 100 milioni? Senza una chiara mission non è possibile capire la natura e l’esito del piano. E spero che il piano che verrà presentato dall’USIGRAI su questo punto sia chiarissimo. Tanto più che  nel nuovo contesto digitale mission significa anche contenuto: quali soluzioni tecnologiche? Quali alleati? Quali algoritmi? Quali sistemi utente? Quali linguaggi? Quali community? Insomma come ci tuffiamo nella rete? Questo punto non ha mai appassionato il ragionier Gubitosi ne i suoi capo cantieri ( a proposito che fine hanno fatto quelle rutilanti promesse di think tank annunciate alla Dear due anni fa con tanto di effetti speciali? Quanto costò quel giochetto?) ed infatti è buio pesto. Anche su questo spero che il piano alternativo RAI Più sia  esaustivo.

Terzo punto: dopo strategia del governo e mission aziendale, il nodo centrale è il progetto professionale. Dico subito che rispetto al pantano attuale meglio qualsiasi cosa, persino il Piano Gubitosi, che è esattamente lo spirito per cui l’esangue Consiglio di Amministrazione ha dato il via libera. Meglio qualsiasi movimento rispetto all’arroccamento. Ma perché non osare l’impossibile e cercare di dare anche un senso al movimento. Certo ci sono sempre i 100 milioni da risparmiare (vorrei vederli comunque quei conti sulle mediazioni finali per tacitare ogni califfato che sarà insidiato dalla semplificazione), ma magari riuscire ad agganciare l’attualità non sarebbe male. Infatti il Piano Gubitosi è pressappoco  la velina del Piano Celli 1999.Non a caso le mani che si sono prodigate sono quasi le stesse, in alcuni casi esattamente le stesse. Stiamo parlando di un tentativo, poi abortito, come è noto, di riorganizzazione dell’intera impalcatura aziendale di oltre 15 anni fa. Paleontologia industriale. La filosofia, allora come oggi, era tutta, e allora era giustificata dai tempi, analogica, e condizionata dalla distribuzione, ossia i canali. Il Piano Gubitosi mantiene una logica analoga, tutta legata all’out put, e l’input, ossia le modalità di acquisizione e trattamento delle informazioni, il vero valore aggiunto di un motore di news, è affidato all’immaginario che scatena l’espressione 2 new room. Ritorno alla mission: la riorganizzazione, nel 2015, di una filiera produttiva dell’informazione deve scontare due scelte di cui non vedo nemmeno l’ombra della più flebile consapevolezza. Il primo  elemento riguarda la potenza di ricerca, il secondo la filosofia di relazione. Per Potenza di ricerca  schematicamente intendo  il modello di SEO (Search Engine organization) ossia quale sistema digitale, quale tipologia di algoritmo, adottare per dare autonomia e potenza alla redazione della news room? Andiamo al mercato e, come è stato fatto fino ad ora, deleghiamo a Google o AVID, la definizione dei valori semantici della nostra ricerca nell’abbondanza di informazioni? Questa è la premessa della liquidazione sul mercato di un servizio pubblico.se non è presidio all’autonomia e sovranità delle selezioni semantiche e delle tipologie degli algoritmi di ricerca di una comunità un servizio pubblico è solo un costo, come credo pensi il governo. Allora su questo mi concentrerei, articolando la distinzione fra ricerca nazionale, e soprattutto territoriale, dove non possiamo non avere un primato, e ricerca globale dove praticare forme associative e alleanze. Autonome e non subalterne. Il secondo buco nero del piano è la filosofia relazionale. Come costruiamo le news room del servizio pubblico di una paese che vanta, inconsapevolmente, un primato nelle pratiche social della rete? Tutto con una geometria verticale, riproducendo una logica da broadcasting o invece elaboriamo una strategia originale di allestimento di community in rete dove cementare pratiche professionale e relazioni sociali con i territori , i saperi e gli utenti? Lavoriamo su Facebook o su spazi diversi per incontrare i flussi di informazioni sociali? Costruiamo architetture cloud nel territorio, legati a data base tematici (università, distretti produttivi, associazionismo, finanza,sport) e le integriamo con i server redazionali e attorno a queste pratiche costruiamo software automatici di storage ed editing o invece continuiamo a giocare all’artigianato giornalistico?

Da queste scelte ne discende il peso che il servizio pubblico potrà avere nella negoziazione globale del sistema Italia sul mercato tecnologico, e di conseguenza la rilevanza e l’autonomia che la RAI potrà conquistarsi. In caso contrario i 100 milioni al mese verranno spesi in incentivi per esodi che riducano ruolo e immagine della Rai. E Gubitosi dovrà riflettere sul fatidico detto di un grande intellettuale della comunicazione italiana Franco Fortini che spiegava agli innovatori  che bisogna osare senza mai dare ragioni ai nostri figli per maledirci.

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