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«Questa Ue non va, ha paura del futuro»

Intervista di Romano Provi ad Avvenire

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Parte da un’immagine Romano Prodi.  Davanti a lui c’è un gruppo di studenti cinesi, uno alza la mano e lo interroga: cos’è l’Europa?  È un laboratorio oppure è un museo? Prodi pesca nella memoria  e risponde oggi come rispose allora: «È il più grande laboratorio politico della storia, ma troppo spesso è incapace di guardare al futuro. È un laboratorio smarrito, timido, timoroso, e il rischio è girare  il volto all’indietro come fosse  un museo». Quando il treno Roma-  Bologna comincia a correre, l’ex presidente della Commissione Ue ci racconta vizi e virtù del Grande Progetto.  Con realismo e con durezza. «È stato  un percorso straordinario. Siamo partiti  con sei Paesi, siamo arrivati a ventotto.  Paesi che hanno unito un pezzo importante  del loro futuro…». Una pausa leggera  precede una nuova riflessione: «… Ora  è come se avessero paura del futuro stesso. Ma la scommessa è andare avanti,
non arretrare».
Ci crede?
Negli ultimi anni non è stato così e non sono  ottimista. L’economia non ha girato e non gira: siamo stati il malato del mondo, siamo cresciuti poco, non abbiamo offerto  lavoro ai giovani, le disparità tra i Paesi  e all’interno dei Paesi sono aumentate. Sì, spesso penso ai giovani, a quei giovani che sono sempre anche nei pensieri del Papa. Vorrei raccontare l’Europa cominciando  con la pace, ma loro vogliono risposte  sul futuro e capiscono di più temi come crescita e solidarietà. In quelle due parole c’è la loro vita.
C’erano quelle parole nel Dna della Ue…
C’era la volontà di far camminare parallelamente  sviluppo e solidarietà nella testa  dei padri fondatori. Ma oggi dov’è la solidarietà se i leader europei dicono che spendere così tanto per il welfare è la condanna  dell’Europa? La difesa del più debole  era tra i principi fondamentali dell’Unione  e oggi? Si sta tradendo un disegno, è un voltafaccia terribile e pericoloso.
È quasi un atto d’accusa?
Serve verità per voltare pagina. Tutti ci vedono  come una società vecchia,  chiusa in se stessa, raggomitolata  sul passato. Ora o  respingiamo questa analisi ma  a me pare terribilmente difficile  – o cominciamo davvero  a riflettere e cerchiamo i rimedi  per trasformare l’Europa in  laboratorio. Se poi lei mi da elementi  per dire che l’Europa  in questo momento è dinamica,  solidale, con un disegno comune,  io cambio giudizio. Ma  lei non può darmi questi elementi  e allora insisto: bisogna riflettere sulle mancanze di oggi per preparare il salto in avanti che ci permetta di fare bene  domani. Se non ci rendiamo conto della  realtà non possiamo nemmeno avere l’urgenza necessaria per vincere egoismi e differenze di interesse.
Crede che la nuova commissione possa imprimere il cambio di passo?
Vedo elementi di conservazione. Tanti, troppi. Quando penso che le politiche più coraggiose vengono prese da un organismo  tecnico come la Bce vuol dire che la politica ha paura di fare fino in fondo il suo mestiere. Molto non va. I falchi del rigore hanno ancora molto potere e non si rendono  conto che proprio il rigore sarebbe una grande virtù se accompagnato da una  condivisione di obiettivi per avanzare verso il futuro. Non è così. E soprattutto non è più il momento di fare i maestrini, di dimostrare che si è meglio dagli altri; è il momento del Progetto e della Solidarietà.
Però il laboratorio è smarrito. E intanto l’Europa dà anche l’impressione di arretrare  sui valori, di non difendere la vita.
Sono 28 Paesi con valori diversi, con sensibilità  diverse: nel complicato Parlamento  trovare linee comuni, convergenti,  sembra una sfida impossibile. Una riflessione  culturale collettiva su questi temi  è ancora più complicata, ma il Papa anche su questo può offrire spunti di riflessione  forti. Richiamare ai valori fondamentali  è decisivo. Non si può pensare  a una condivisione immediata, ma l’Europa ha un disperato bisogno di riflettere,  di interrogarsi, di riscoprire la solidarietà.  C’è bisogno di parole profetiche,  ma anche cariche di concretezza. Per strappare la scena a contrapposizioni  astratte e spostare il dibattito sui destini dell’uomo.

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