Quale Buon Vento per la Cina
di Alberto Forchielli, Osservatorio Asia
Chi vive a Pechino sa bene che il clima non è l’attrazione della città. L’inquinamento è divenuto ora primo nella classifica al contrario delle piacevolezze offerte. La rigidità secca dell’inverno è conosciuta, testimoniata dalla neve sui giardini da novembre a marzo. A -20 – la temperature più fredda – solo il clima secco e il riscaldamento possono aiutare. D’estate l’umidità ha la sua rivincita, assestata sugli insopportabili 40 gradi. Eppure questi estremi sono tollerabili, perché appartengono al ciclo delle stagioni, sgradevole ma naturale. In primavera invece la città diventa spesso di color arancione, letteralmente. Il vento porta la sabbia del deserto e gli alberi ormai tagliati non possono difenderla come hanno fatto per secoli. Pechino è sulla linea di confine con il deserto del Gobi, l’immensa distesa arida che giace nel territorio mongolo. Nelle giornate più esposte non si riesce a vedere a pochi metri di distanza, come se una patina fosse spalmata sulle strade e i palazzi. Il vento che porta la sabbia reca tuttavia un grande beneficio: spazza l’inquinamento della città. La nuvola di grigio che generalmente sovrasta Pechino è invece ormai permanente. È una miscela velenosa, il risultato di tante componenti. Decine di milioni di persone vivono e consumano come mai nella loro esistenza; il riscaldamento si basa ancora sul carbone; 5 milioni di veicoli riversano nell’aria i loro gas di scarico, le ciminiere fumanti appartengono ancora al panorama della capitale. La situazione è ormai intollerabile. Gli allarmi si moltiplicano, le rilevazioni sono drammatiche, molti stranieri hanno abbandonato la città. Uno studio del Luglio 2013 dell’America’s National Academy of Sciences ha rilevato che l’aspettativa di vita nella Cina del nord è ridotta di 5 anni e mezzo a causa dell’inquinamento.
Le autorità stanno ovviamente correndo ai ripari. L’industria pesante è ormai fuori dal recinto metropolitano, il traffico viene talvolta bloccato, l’uso di energie alternative al carbone è incoraggiato. Se il problema ambientale è serio, altrettanto lo è il tentativo di risolverlo. Le misure prese hanno dei risultati attesi, scanditi dalle esperienze scientifiche. Il corso del vento sembra invece tradire le aspettative, perché non sempre riesce a spazzare il cielo dalle particelle di anidride carbonica. Per ironia si è scoperto che il flusso d’aria che soffia su Pechino si è ridotto anche per il tentativo di diffondere l’energia eolica. Una recentissima analisi della prestigiosa China Weather Net – un think tank statale che riunisce scienziati cinesi e statunitensi – ha con sorpresa stabilito che le torri che generano energia dal vento ne riducono la velocità. Catturano cioè la sua forza e impediscono i benefici effetti di pulizia sul cielo di Pechino. Sterminate wind farm (piantagioni di moderni mulini a vento) ne costellano il territorio a nord. La loro superficie nella Mongolia Interna è aumentata 31 volte dal 2007 al 2014. Le ripercussioni su Pechino – anche agli occhi di chi non è specialista – sono dirette e immediate. Sembra dunque che la Cina aggravi la sua situazione, tentando di alleggerirla. In realtà il paese è il più grande produttore di energia eolica, i suoi investimenti sono colossali, ma i risultati non in linea con le attese. Esistono ritardi, inefficienze, resistenze e scoperte impreviste come quella del China Weather Net. È una delle tante incongruenze del paese più grande inquinatore e allo stesso tempo più munifico nel dedicare risorse alla protezione ambientale. Significa che la posta in gioco è altissima, perché la Cina è stata disattenta nel passato – intenta a far crescere il Pil – e ora è probabilmente troppo tardi per correggere in fretta i propri errori.
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