Messaggio alla Nazione
Quello che il Presidente della Repubblica non può dire agli Italiani
Inizia un nuovo anno e sappiamo già che il trend per l’Italia del prossimo futuro non cambia. Molte imprese non saranno in grado di pagare le tasse, i contributi e i costi del lavoro e scivoleranno nel nero con imprenditori e lavoratori stranieri. La criminalità organizzata si allargherà. Le imprese moderne esportatrici si asserraglieranno in distretti, dove saranno circondate da sofisticati sistemi di sicurezza. La sfida non sarà una crescita del PIL misurato con parametri canonici (che non funzionano), ma la ricerca di un equilibrio tra queste tre forze per evitare che l’illegalità si mangi tutto e ci riduca in una terra di nessuno. In Messico questa sfida è all’ordine del giorno come lo è in Italia, ma noi non vogliamo rendercene conto perché vorrebbe dire una cosa sola: ammettere che la colpa è di tutti noi italiani che abbiamo un basso tasso di civiltà sociale e di educazione.
Come siamo arrivati a ciò? Non abbiamo investito in educazione, abbiamo sprecato risorse pubbliche e abbiamo caricato gli sprechi sulla classe produttiva che si restringe. Inoltre la burocrazia non lavora e non funziona, non abbiamo formulato leggi adeguate per combattere la criminalità, anche quella spicciola, non abbiamo investito in carceri e nemmeno per tenere le strade pulite.
In tutto questo, il ruolo – negativo – della politica è stato ed è enorme. E oggi, la politica, una volta per tutte, invece di continuare a comprare consenso con fondi pubblici, dovrebbe avere il coraggio di dire la verità. Dovrebbe far capire agli italiani che se si rimboccano le mani adesso, i benefici li vedranno le generazioni future. Dovrebbe educare e dare il buon esempio (su, non ridete) e farla – la politica – dovrebbe essere un sacrificio, non un mestiere (dai, smettete di ridere, parlo sul serio). Al contrario, il livello dei politici nostrani è bassissimo. Addirittura c’è ancora qualcuno che tra ignoranza e populismo auspica un’uscita dell’Italia dall’Unione Europea. Mentre restarvi aggrappati è una necessità di salvezza, perché uscirne significherebbe venire risucchiati dall’islamizzazione. La politica, inoltre, dovrebbe partorire una seria strategia economica. Sarebbe servita tanto nei decenni passati, con il risultato che adesso corriamo a tappare buchi non tappabili – Ilva, Alitalia, Il Sole 24 Ore… – perché non esistono più le risorse per fare una politica economica pro-attiva.
A livello economico servirebbe un grande trauma affinché la gente capisca, finalmente, che si deve lavorare meglio, più a lungo e con maggiore qualità. Mi spiego. “Meglio” vuol dire con più attenzione e dedizione anche nelle cose piccole. “Più a lungo” significa meno pause caffè, meno file a timbrare il cartellino, meno permessi malattia inesistenti, meno Facebook sull’orario di lavoro o telefonate personali, in pensione più tardi, eccetera. “Qualità”, infine, indica l’uso del cervello, con dei plus non da poco, come proporre dei miglioramenti, assumersi delle responsabilità e andare oltre il mansionario.
Sempre a livello economico, qualcuno si arrampica sugli specchi invocando le nostre poche eccellenze. Bene, sappiate che le nostre multinazionali “tascabili” hanno già fatto tanto, forse tutto. Altre non ne nasceranno. Invece molte se ne andranno trasferendo la sede direzionale in altri Paesi. In questo senso, non c’è dubbio che dovevamo globalizzarci di più in passato ed essere più presenti per attrarre clienti e capitali ma ormai quello che potevamo fare l’abbiamo fatto e adesso siamo troppo piccoli per fare di più. Ora avremmo bisogno di avere il mondo che viene da noi ma con questo mix di criminalità, burocrazia e vincoli sindacali – che proteggono i pensionati a scapito dei giovani – è utopico anche solo pensarlo.
Per crescere, anche a livello internazionale, il ruolo dei servizi è gigantesco, ma noi non siamo presenti in segmenti chiave come finanza, software, media e telecomunicazioni. Ci rimane solo il turismo che perde colpi e quote di mercato. Si potrebbe riprendere il cammino con grandi investimenti nella scuola e nell’università ma mancano i soldi. Mentre dalla rivoluzione digitale tutti i settori possono trarre benefici, ma la tecnologia chiave non è mai la nostra. E nell’applicazione siamo sempre indietro. Per competere, nel mondo odierno, bisogna essere migliori degli altri e noi non lo siamo.
Non lo siamo per diversi motivi, non ultimo per colpa anche della gestione famigliare di troppe nostre imprese, a scapito di vere managerialità, con il papà che ha fatto l’azienda e che poi i figli viziati l’hanno distrutta (salvo casi rari). Perché è una rarità genetica che a un padre eccezionale segua un figlio altrettanto eccezionale. E per fare gli imprenditori in Italia servono persone super eccezionali (e ne nascono poche che intelligentemente capiscono presto che andare all’estero è la cosa migliore).
I manager – lo sono stato anch’io un tempo – potrebbero avere un ruolo chiave nel riscatto economico del Paese ma per l’appunto sono spesso soffocati dalle famiglie. Nelle poche grandi imprese italiane non danno il meglio di sé mentre in quelle straniere eccellono. E purtroppo la capacità di lavorare e gestire organizzazioni complesse non è nel DNA italico. Nella Seconda guerra mondiale avevamo una Marina più grande di quella inglese nel Mediterraneo, ma facemmo più danni agli inglesi con un manipolo di uomini dei mezzi d’assalto che con tutto il resto della flotta. E basta studiare la sconfitta di Adua, di Caporetto o le tragiche offensive sull’Isonzo della Prima guerra mondiale, con generali cretini e ufficiali di complemento e soldati coraggiosi che operarono nella più totale disorganizzazione. L’Italia è sempre stata questa: comandanti inadeguati ed eroi per caso.
Come altri grandi Paesi dell’Occidente anche noi potremmo sfruttare le “diversity”, puntando su giovani, donne, persone di altre nazionalità e culture. Ma in Italia viene il peggio, gente con bassa produttività, scarsa attitudine al lavoro e alto tasso criminalizzante. Del resto le nostre scuole non incoraggiano e la mancanza di galere fa dell’Italia il paradiso della criminalità e del lavoro in nero. Insomma, il Messico d’Europa.
Perciò ai giovani dico di imparare un mestiere “tradeable”, ossia esercitabile ovunque nel mondo e andare via. Invece, per chi ha il coraggio di rimanere, l’Italia resta un Paese fantastico, dove funziona la sanità (a parità di costo), la ristorazione (perché non richiede un sistema), alcuni altri settori (come vino, ceramiche e macchine automatiche), le bellezze paesaggistiche (che non possono essere rubate), la nostra storia (perché il passato non si cambia ed è pieno di geni ed eroi ed io spesso mi ci tuffo per dimenticare il presente). E se anche l’economia non cresce, serriamo le righe per vivere bene anche con meno disponibilità materiali. Diamo priorità a sicurezza, ritroviamo le vecchie solidarietà di paese, colleghiamoci con il mondo, rimettiamoci in marcia per un lungo cammino senza aspettare governi miracolosi o altre soluzioni funamboliche tipo uscire da euro o da Unione Europea. Rimettiamoci tutti a studiare nel tempo libero e spegniamo quella cazzo di tv che ci rincitrullisce.
Poi, per riprenderci, riduciamo la criminalità sotto soglie accettabili con una stretta feroce e se non abbiamo i soldi per fare carceri e dobbiamo fare amnistie per decongestionarle rimettendo i delinquenti per strada che fanno sberleffi ai poliziotti, allora non potremmo prendere in leasing dei terreni in Turkmenistan e ricreare delle colonie penali? Potremmo addirittura impiegare un po’ di forestali per assettarle e degli ultras dell’Atalanta come guardie carcerarie, così, giusto per stimolare la creatività. Poi liberalizziamo il mercato del lavoro ed equipariamo i dipendenti pubblici a quelli privati.
In questo modo l’Italia riprende a correre al 3% come la Spagna, niente di fantastico ma meglio di un calcio nei maroni. Se teniamo la barra ferma per 50 anni torniamo nel novero dei Paesi civili. Io questo ritorno non lo vedrò ma almeno mi rinasce la speranza per il nostro futuro.
Soprattutto, fanculo ai pensionati di Boca Raton, io morirò qui, in Italia, con la sciabola in mano. Ecco, magari, non proprio nel 2017 (adesso sì, potete ridere), spero quando avrò cent’anni, ancora vispo come un fringuello. Nel frattempo, viva l’Italia.
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