ll silenzio digitale di Grillo e Casaleggio
di Michele Mezza
mediasenzamediatori.org
Ma la rete di Grillo e Casaleggio è la stessa dei socialnetwork?
Domanda più che lecita se, non facendosi abbagliare dai roboanti e minacciosi proclami del duo a 5 stelle, si guardi più da vicino questo strano mondo del grillismo digitale.
Cosa c’è nella pancia digitale della conventicola che guida il movimento?
Ad ogni uscita dei 5Stelle nessuno si è preoccupato di capire che tipo di infrastruttura ospiti quel rinascimentale flusso di partecipazione che Casaleggio e Grillo sostengono di aver evocato.
Sia in occasione delle cosi dette parlamentarie, sia per la presentazione in streaming dei gruppi parlamentari, si è visto solo un rudimentale accrocco di video streaming a bassa ricettività, e di un banale gioco di caselle mail, che non lascia intravvedere alcuna relazione interattiva fra i singoli soci o aderenti.
Siamo sempre ad una logica verticale, dove il blog sostituisce, ma non trascende, il modello leaderistico del partito che dispensa la linea. La rete, spiegano i grandi guru digitali è una listen technology, non una speaking technology.
Il valore delle comunità digitale è quello di ascoltare e rielaborare in modalità collettive, non quello di pontificare dall’alto. Il top down è già stato inventato più di mezzo secolo fa e si chiama broadcasting.
L’alternativa del broadcasting non è, simmetricamente il multicasting, ma è il browsing, ossia la navigazione libera e la partecipazione volontaria e occasionale su singoli punti d’interesse.
L’attacco di Grillo ai giornali e alle TV appare singolare, se non paradossale, quando viene da chi fino ad ora non ha mai praticato un modello alternativo al broadcasting, o alla verticalità del messaggio giornalistico, ma ha solo contestato il ruolo di protagonista del messaggio, rivendicandolo per sé.
E’ chiaro che la forza materiale del grillismo stia innanzitutto in quel movimento anti elitario, quel comune sentire di massa,che Grillo ha potuto intercettare e veicolare grazie alla attiva collaborazione dei partiti tradizionali. Grillo è stato un grande megafono, questo non è in discussione. Quello che è ampiamente discutibile sono i valori e le pratiche del predicatore. E soprattutto gli obbiettivi del suo ispiratore digitale.
Rivendicare trasparenza e rimanere nella grotta multimediale di Casaleggio non appare un segno tranquillizzante. Contestare la violenza dei media di regime, e requisire le forme di comunicazione interne al movimento non è certo un segnale di coerenza. Attaccare i poteri economici nell’economia tradizionale e ignorare le nuove forme di monopolio e di rendita digitale è una visibile contraddizione.
Soprattutto quest’ultimo punto, quello dei nuovi poteri predominanti nell’economia digitale dovrebbe suscitare curiosità in chi si trova a contrapporsi all’ondata grillina per cercare di capire cosa ci sia al di là del muro dell’inventiva.
La rete, a differenza del mondo degli atomi, non consente scissioni fra forme e contenuti, fra fini e mezzi, fra strumenti e valori . Nel digitale ogni singola soluzione o applicazione implica un assetto concettuale, un modello di linguaggio, una tipologia di relazione che, a sua volta, predetermina il contenuto e i contenuti della comunicazione. Non esistono mezzi neutri. Se si adottano standard di un certo tipo è perchè si vuole un certo tipo di relazione o di contenuti.
Nel caso specifico, non si può usare una vecchia piattaforma di 12 anni fa, come continua a fare Casaleggio per il suo movimento, a differenza di quelle che invece adotta per i suoi clienti, e sostenere che si vuole promuovere trasparenza e partecipazione.
Se si rimane al modello del blog, nell’epoca del web 3.0, allora vuol dire che si vuole, per infinite considerazioni, privilegiare la selettività degli accessi e la gerarchia nell”abilitazione dei singoli soggetti a discutere. Infatti ancora non c’è traccia della mitica piattaforma che dovrebbe promuovere, e certificare, i pronunciamenti on line della community del movimento.
Tutto rimane convogliato sulle pagine del sito di Beppe Grillo, dove uno parla e gli altri prendono appunti. Di conseguenza, come hanno rilevato Pier Giorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini nel loro saggio Il Partito di Grillo, i candidati del M5S sono molto meno attivi sul web dei loro colleghi del PD o dello stesso PDL. Solo il 42% dei grillini presenti nelle liste al parlamento nell’ultima consultazione sono presenti su almeno tre dei principali socialnetwork, rispetto al 92% dei candidati del PD e il 75% del PDL. Un dato che ci fa intendere anche come siano stati selezionati questi candidati e da quale area sociale provengano.
Se consideriamo le loro identità professionali, le loro esperienze, le dinamiche che li hanno portati al movimento, notiamo come prevalga la figura di carattere esecutivo, di scarsa intraprendenza digitale. I dati ci dicono che la grande maggioranza sono impiegati o insegnanti, neofiti della rete, accanto ad informatici applicativi, identità versate a replicare le soluzioni più che a ricrearle. Potremmo dire che Grillo e Casaleggio abbiano selezionato un popolo da blog e non da socialnetwork, una moltitudine di replicanti digitali, più che di partner o interlocutori paritari.
Una realtà che parla della rete ma riproduce la TV. Infatti mentre non affollano i socialnetwork, e si tengono distanti da Facebook e da Twitter, sembrano più propensi all’uso dei video, alla frequentazione di Youtube. Negoziare con la TV.
Ma anche in questo caso, le immagini vengono dall’alto, e devono essere solo rilanciate .Non si lavora per abbondanza, per contributi virali, ma per fonti certificate, come Salvochannel5puntozero, il canale di Salvo Mandarà, l’ingegnere siciliano che ha accompagnato Grillo, insieme all’autista del Costa Rica, per le sue peregrinazioni, con il mandato di produrre le immagini ufficiali del movimento.
Ma il vero buco nero, come abbiamo accennato riguarda i punti di attacco del movimento e i punti di distrazione. Mentre sui temi delle energie rinnovabili, del mercato finanziario, e, ovviamente dei costi della casta politica, Grillo e Casaleggio sono prodighi di critiche e contro proposte rispetto ai poteri prevalenti, risulta assordante il silenzio sui nuovi poteri digitali.
Non sono certo i soli. Pd e Pdl non hanno certo elaborazioni sul tema. Per il Pd, come confermano le posizioni degli opinion makers del partito, come il responsabile economico Fassina, il digitale è un mondo ambiguo e ostile, che non presenta sfaccettature e che al momento è percepito come largamente ostile alla sinistra. Per il Pdl, partito azienda del monopolio della TV generalista, la rete è una vera insidia da esorcizzare.
Ma Grillo e Casaleggio sono gli aedi del digitale, lo sbandierano ad ogni piè sospinto, lo usano come una clava per dimostrare l’inadeguatezza del mondo politico che vogliono rottamare. Come possono proprio loro tacere sui nuovi pericoli per gli individui, per i cittadini e per l’intera comunità nazionale, rappresentati dalla pervasività dei monitoraggi comportamentali delle grandi potenze virali, come Facebook, Google, o Twitter? Come è possibile che chi conosce il settore non introduca nei suoi programmi proposte o misure nei confronti degli squilibri che i sistemi proprietari digitali stanno introducendo nel mercato del sapere? Perfino il regno del liberismo, come sono gli Stati Uniti, stanno procedendo ad una regolamentazione pubblica del mercato dei servizi digitali. Nelle scorse settimane lo stesso Obama ha deciso di considerare prioritario l’elaborazione di un Bill of Right a tutela dei comportamenti individuali e collettivi in rete. Siamo, su questo fronte, già sull’orlo di una vera emergenza, che minaccia la sovranità nazionale degli stati e la trasparenza delle nostre stesse relazioni sociali. Ogni nostra navigazione su Twitter o su Facebook, ormai prassi obbligata per reggere il processo di connessione con i flussi professionali e cognitivi, viene monitorata e rivenduta a decine e decine di soggetti economici. Non si tratta solo delle forme di advertising comportamentale, in cui aziende usano la tracciabilità dei nostri gusti per indirizzarci messaggi mirati. Si tratta anche di una prevaricazione dei nostri diritti personali, e del controllo delle nostre relazioni, se ad esempio una banca ci discrimina, se viene informata delle nostre frequentazioni su siti di scommesse, o se una scuola ci rifiuta l’iscrizione in base alla partecipazione a forum o ad una determinata community. Inoltre ci sono le questioni della contendibilità dei diritti di uso e di proprietà dei beni comuni, come ad esempio immagini e simboli culturali nazionali, come il patrimonio storico e archeologico del nostro paese, o la reciprocità nell’uso di contenuti informativi o giornalistici, che Google usa per le sue rassegne, ma poi ne impedisce la condivisione a cittadini o a enti pubblici che vogliono usufruire di un flusso automatico di aggiornamenti.
Insomma il punto è la casta digitale. Il problema nasce dalla timidezza, direi un vero silenzio subalterno, che la terza forza politica nazionale mostra nei confronti dei poteri tecnologici. Un silenzio che attraversa tutto il movimento, anzi che lo organizza e lo performa. Un silenzio che sembra troppo organizzato. Soprattutto se proviene da addetti ai lavori, da chi con questi poteri lavora e tratta. Che intende fare Casaleggio per tutelare il consumatore italiano sul mercato digitale. Che interessi la sua azienda sta intessendo con questi fornitori di intelligenza?
Da qui bisogna partire per poter gridare il Re è nudo.
Vi ringrazio per l’importantissimo contributo di conoscenza che questo vostro articolo mi ha fornito.
E’ ormai chiaro che nuovi poteri si stanno istaurando, nel mondo aperto di oggi, tramite l’uso dei risultati del progresso tecnologico, nel campo dell’informazione e della comunicazione. Come è accaduto direi sempre nella storia, ad esempio con l’invenzione della stampa o della radio, le nuove possibilità acquisite con le nuove conoscenze raggiunte sono soggette al rischio di accaparramento ed uso interesssato da parte di chi ha le forze per provarci, e spesso queste forze derivano da accaparramenti già avvenuti nelle fasi precedenti dello sviluppo.
Dunque è evidente che il progresso non è certo assicurato dal solo fatto che si acquisiscano nuove capacità tecniche e tecnologiche, ma è, invece, indispensabile, dirimente, che il funzionamento democratico della società sia tale da esser capace di imporsi anche nei nuovi spazi dell’azione umana.