Liberiamo i piccoli professionisti. Proposta di iniziativa
Il fenomeno della “crisi” in Italia ha portato ad incrementare, oramai in dismisura, lo stato di disoccupazione del Paese e anche quello dell’eterno precariato.
All’inizio del mese di novembre 2011 abbiamo appreso che l’Italia è al secondo posto, dopo la Spagna, dove si registra il numero maggiore di “senza lavoro”. Secondo i dati diffusi dall’Istat, a settembre 2011, il tasso di disoccupazione è stato pari al 8,3%, + 0,3% rispetto ad agosto 2011 e + 0,3% su base annua. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) passa dal 28% al 29,3%, quale dato più alto registratosi da gennaio 2004 ad oggi; la disoccupazione maschile sale al 7,4% e quella femminile, aumenta al 9,7%.
Per quanto poca informazione sullo specifico si riesca, purtroppo, ad attingere dai dai mass media, a destare forte preoccupazione sono inoltre le persone che rientrano nella fascia di età intermedia, ovvero fra i 30 e i 44 anni, dove la percentuale di disoccupati è ugualmente aumentata in modo significativo con un sempre più crescente numero di persone scoraggiate a trovare lavoro.
Quella fra i 30 e i 44 anni è la fascia d’eta in cui si decide di mettere su famiglia o comprare casa, di staccare il cosiddetto cordone ombelicale e, di contro, il rischio è invece quello di non trovare un lavoro (se non delle collaborazioni saltuarie) o restare precari a vita.
La disoccupazione “adulta” è frutto di una vera e propria emarginazione sociale vittima, spesso, del silenzio anche da parte delle stesse Istituzioni Politiche tutte che dovrebbero interessarsi alla creazione di nuove misure indirizzate ad incentivare le opportunità dell’occupazione, e non soltanto quindi per i giovani.
Una di queste misure potrebbe essere la revisione di alcune delle normative che disciplinano le tipologie del lavoro adottate quando ancora l’effetto prodotto dal cambio monetario dalla “Lira” all’ “Euro”, la cui entrata ha significativamente dimezzato il valore monetario raddoppiando il costo della vita, non era ancora così marcato come nel tempo si è poi invece sviluppato con conseguenze negative per i lavoratori a basso reddito.
Basti pensare ai molti giovani che dopo il diploma o la laurea non riescono ad entrare nel mondo del lavoro, ai tanti lavoratori maturi, ai 50enni ancora lontani dalla pensione, espulsi dal mercato perché la loro azienda si è ristrutturata o ha chiuso, si sono ritrovati ad abbracciare la libera professione per necessità, per mancanza di alternative.
A tal proposito vogliamo citare le cosidette “prestazioni occasionali” per le quali l’art. 61 del D. Lgs. 276/2003 che le definisce, stabilisce “che il compenso complessivo annuo che il prestatore percepisce dallo stesso committente non deve superare i 5000 Euro lordi”.
Nel caso di superamento di tale importo, in qualità di lavoratore autonomo, vi è l’obbligo di iscriversi alla gestione separata dell’Inps e all’apertura di una partita iva.
Cosa comporta, però, aprire una partita iva come libero professionista e quando conviene? Per praticità del discorso, riportiamo un esempio: immaginiamo di poter contare su collaborazioni che nell’anno solare ci riportano ad un reddito pari a 15000 euro lordi.
Avremo: 15000 euro (guadagno lordo annuale) – 26,72% (contributi previdenziali INPS) = 10992 euro (imponibile).
Ai 10992 euro andrà tolto il 5% di tasse (*) (10992 – 5% = 10442 euro netti). Oltre a questi costi si potrebbero aggiungere le spese del commercialista.
Da ciò si deduce che l’apertura di una partita iva conviene a coloro che possono contare su un discreto reddito annuale, partendo da un minimo che oscilla tra i 20 e i 30 mila euro l’anno.
In riferimento a quanto sopra riportato, nell’attuale crisi che vede lontana una ripresa e quindi opportunità di lavoro ed evidenziato che persino le borse di studio percepite durante il corso della nostra formazione (borse di dottorato, borse di formazione specialistica, assegni di ricerca) sono state rivalutate con importi un po’ più equilibrati al costo della vita, non è un paradosso ritrovarsi poi “alla fame” con l’apertura della partita iva e l’iscrizione alla gestione separata dell’inps, quasi ci dovessimo sentire colpevoli di raggiungere un reddito di 15000 euro lordi con delle collaborazioni occasionali?
Oltre a questo, al raggiungimento della soglia del reddito minimo annuale di € 8.000 lordi l’anno per lavoro dipendente e prestazioni di lavoro ad esso assimilato, di € 4.800 lordi l’anno per lavoro autonomo (per i disabili, il limite di reddito è pari a € 11.645,79 lordi l’anno), viene perso lo stato di disoccupazione.
Chiaro che le attuali leggi disciplinanti il lavoro del piccolo professionista risultano essere soffocanti e non agevolano per nulla l’occupazione, né la possibilità di seguire le proprie inclinazioni professionali in maniera autonoma.
Con questa iniziativa chiediamo allora alle Istituzioni di rivalutare l’ importo limite previsto per le prestazioni occasionali portandolo almeno alla soglia di 15000 euro lordi l’anno, essendo già tanto la “ritenuta d’acconto” di 20% (ben 3000 euro) che ci viene sottratta. Inoltre, si chiede di rivedere gli importi limite previsti per il mantenimento dello stato di disoccupazione.
In attesa di un vostro riscontro,
Vi salutiamo cordialmente.
Elisabetta Caredda e Massimo Preziuso
Cagliari e Roma, 27 novembre 2011
infoinnovatorieuropei@gmail.com
(*)Tasse del 5% considerando un lavoratore autonomo che percepisce un reddito annuale inferiore ai 30 mila euro lordi annui e che potrà rientrare nel regime dei nuovi contribuenti minimi 2012, previsti dalla manovra economica approvata nel mese di luglio 2011 (decreto legge n.98 del 6 luglio 2011, articolo 27, convertito nella legge n. 111 del 15 luglio 2011). E’ da tener presente che quest’agevolazione, per chi ha 35 anni e apre nel 2012 una partita iva, ha una validità di 5 anni. Successivamente verrà applicata l’aliquota del 20%.
Lascia un commento