Le elezioni regionali e il bisogno urgente di un PD che riavvicini cittadini e politica
di Massimo Preziuso
Siamo ormai a pochi giorni dalle elezioni regionali.
Un appuntamento elettorale importante (si vota in grandi regioni come la Campania, il Veneto e la Puglia, tra le altre) a cui però il Paese arriva senza emozioni particolari. E non perché i candidati (governatori e consiglieri) non siano figure interessanti. Ma perché se c’è una cosa evidente in questo 2015, questa è il basso livello di energia cinetica (non quella potenziale) che si riscontra nella società, attorno alla politica e alle istituzioni, sia a Roma che nei territori. E pure a Brussels, in verità.
E questo non per colpa di qualcuno in particolare, ma proprio della nuova fase storica che viviamo. In lenta uscita da quasi un decennio di crisi severa, la cittadinanza si ritrova infatti nuda a leccarsi le profonde ferite subite in silenzio e percepisce una cristallizzazione delle distanze raggiunte, tra centri e periferie, in una lenta probabile “jobless recovery” in divenire. Per comprenderlo bastano gli ultimi dati del Mezzogiorno, in cui da un lato alcuni osservatori commentano come positiva la “decelerazione della discesa del PIL” in realtà che hanno perso fino a un quinto di ricchezza totale, mentre Istat parla di effetti di “isteresi” e ci dice che il tasso di occupazione è sceso al 42%. O quelli nazionali che vedono una crescita del PIL 2015 intorno allo 0.5% accompagnata da una disoccupazione stabile se non leggermente in salita, in un Paese con ormai più di un milione di genitori disoccupati.
Non c’è più tempo per aspettare, perché la sensazione è che la popolazione abbia già scontato questo cambiamento di fase e per questo ridimensionato il ruolo della politica e delle istituzioni a forme di “governance” e non più di “government” del Paese. E se questo fosse vero, nei prossimi mesi e anni si apriranno problemi seri, ancora più di quelli sinora visti. Perché un Paese in cui le istituzioni sono già state declassate per ruolo e importanza, è un luogo diverso da quello in cui abbiamo vissuto nei decenni passati. Esso diviene uno spazio di relazioni mute tra cittadini e classe dirigente, pubblica e privata. In cui il singolo prova a giocarsi la partita da sé, sapendo di non poter trovare supporto vero altrove se non nella propria cerchia più o meno estesa di relazioni.
E questo in un momento storico in cui le nuove piazze costruite rapidamente e senza un disegno condiviso nel decennio scorso, i “social network”, stan venendo fuori con tutti i loro limiti intrinseci: luoghi di accesso e scambio di informazioni, difficilmente traducibili in progettualità e valore aggiunto condiviso da parti ampie di società e cittadinanza. Dando un po’ a tutti la certezza di essere entrati in una epoca nuova. Quella in cui, appunto, mentre sembra di essere tutti più connessi e quindi più ricchi, nei fatti si è più isolati e poveri, di risorse e di idee. E questo soprattutto nella relazione con le istituzioni, la cui prossimità elettronica è tanto grande quanto lo è la loro lontananza effettiva.
Ed è allora con una domanda che la politica, in Italia principalmente il Partito Democratico, deve fare i conti: come si torna a convincere un cittadino disilluso e povero che le istituzioni sono ancora un valore aggiunto effettivo per il governo del cambiamento, che finora sembra essersi imposto senza particolari mediazioni, se non quella scarsa e intangibile della rete?
Dopo queste elezioni che probabilmente e sperabilmente lo vedranno vincente un po’ in tutta Italia, all’interno di un suo percorso di auto – riforma, il grande partito di governo dovrà affrontare seriamente il tema portandolo al centro del dibattito nazionale ma anche europeo. O il rischio è che a medio termine il suo ruolo sarà rivisto a ribasso. Con ulteriori effetti a cascata sul ruolo della politica nella società liquida e accelerata. Perché ad oggi il Partito Democratico rimane la sola speranza di questo Paese.
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