La ripresa può partire dall’energia solare
di Francesco Grillo su Il Corriere della Sera
Novantasei minuti. Il sole ci metterebbe poco più di un’ora e mezza per fornire al mondo tutta l’energia di cui ha bisogno in un anno, se solo avessimo inventato il modo per usarlo come fosse un’enorme batteria, accumulandone l’energia e utilizzandola quando serve.
Sfruttare, peraltro, anche solo una piccolissima frazione dell’energia della stella più vicina allontanerebbe, paradossalmente, i rischi del riscaldamento globale che l’accordo appena firmato a New York cerca di scongiurare.
Per quarant’anni, tuttavia, il sogno di accedere ad una fonte pulita, gratuita e presente dovunque, è rimasto un progetto del tutto marginale rispetto alla realtà di un apparato produttivo globale che continuava a divorare quantità crescenti di combustibile sottratto dalla pancia di una terra fragile.
Eppure, proprio mentre in Italia si litigava al referendum sulla durata di concessioni che potrebbero diventare presto inutili, sono stati pubblicati i più recenti rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia che certificano la svolta. L’energia solare ha superato un’adolescenza drogata dai sussidi ed è entrata in quella fase in cui una tecnologia compete alla pari con le proprie alternative sul mercato. Nel caso del fotovoltaico ciò può davvero trascinare il mondo in una nuova epoca rispetto a quella che fu dominata – sul piano economico e antropologico – dall’idea malthusiana di risorse finite e che, per due secoli, si sviluppò attorno al motore a scoppio. Ciò ha conseguenze assolutamente rivoluzionarie non solo sull’inquinamento e sulle politiche energetiche. Ma anche sugli equilibri di potere (tra Stati e tra classi) che commenteremo nei prossimi decenni; e può essere per l’Italia l’occasione sulla quale costruire un’idea di politica industriale che manca da vent’anni.
La ricerca del solare sta, in effetti, trovando i propri nuovi campioni nei Paesi di più recente sviluppo che sembrano aver capito che l’errore più grande che possono fare è quello di immaginare di industrializzarsi seguendo le stesse traiettorie che l’Occidente ha percorso dagli anni cinquanta. La Cina ne ha fatto priorità assoluta e, silenziosamente, ha conquistato il monopolio nella produzione dei pannelli; diversi paesi dell’Africa stanno saltando un intero pezzo
dello sviluppo tradizionale di fonti energetiche utilizzando quello che è un ovvio vantaggio naturale; mentre sono, paradossalmente nel Medio Oriente dei grandi produttori di petrolio, i Paesi (Israele ma anche la Giordania) che, per primi, potrebbero diventare liberi dai combustibili fossili.
A rendere possibile il miracolo sono tre fattori. La riduzione del costo dei pannelli determinato dall’accumularsi inesorabile di ricerche su nuovi materiali ed economie di scala che rendono la produzione fotovoltaica competitiva con quella delle centrali nucleari. Le griglie di distribuzione intelligente che assumono scale sempre più locali e consentono la trasmissione di energia in maniera bidirezionale e, in teoria, ad ogni famiglia di vendere l’energia in eccesso quando l’irradiazione supera il consumo. I progressi spettacolari delle batterie che possono superare il limite più grosso dell’energia solare che è quello di dover essere accumulata per distribuirne il consumo e che fanno dell’elettricità la prima fonte energetica davvero universale.
La Germania e l’Italia, divise su tanti fronti, hanno in comune il fatto che dopo aver investito prematuramente sulle rinnovabili, rischiano di perdere il treno proprio mentre sta partendo.
Paghiamo politiche che vanno riorientate dal sostegno dell’offerta attraverso incentivi, al cambiamento dei comportamenti individuali e alla riprogettazione di infrastrutture pensate per un mondo che sta scomparendo.
Le conseguenze della rivoluzione che il sole consente sono enormi: può invertire gli scenari che, secondo alcuni, ci porterebbero sott’acqua in pochi decenni; indebolire alcune delle dittature (dalla Russia all’Arabia Saudita) sulle quali si reggono equilibri precari; ma anche provocare l’obsolescenza di interi settori industriali con la perdita di milioni di posti di lavoro; e creare nuove dipendenze da materiali e risorse naturali assai rare.
Questa è una sfida anche di democrazia perché – come per Internet nella comunicazione – si va verso un modello nel quale ogni consumatore può diventare anche produttore di energia: ciò produce una riallocazione di potere che può produrre incidenti di percorso ed esiti non scontati.
È, però, solo reimparando ad anticipare il futuro che l’Europa può ricominciare ad avere senso e a crescere superando il deserto di idee nuove che nessuna iniezione di liquidità potrà mai rendere fertile.
Lascia un commento