La Nuova Questione Meridionale: Da Dove Ripartire
di Massimo Veltri
Forse è il caso di non assegnare solo a specialisti – storici, letterati, saggisti, giornalisti… – il ruolo di discettare sul sud, sulla irrisolta, e sempre presente, questione meridionale, sulle dicotomie che costantemente affliggono le popolazioni delle nostre regioni, strette …fra un’autodifesa a volte arrogante di sé e della propria storia e del loro presente e un accollare sempre ad altri le condizioni di disagio in cui si sta a sud di Roma. C’è una parte della opinione pubblica che resta silente e oscillante fra questa e quella lettura delle cose, anche quella più avvertita, culturalmente e politicamente più o meno orientata, presa forse da altri temi e comunque in difficoltà nel chiarirsi le idee e formarsi una propria convinzione. E’ probabile che allargare la discussione possa risultare di qualche utilità oltre a fungere da esercizio di democrazia più o meno partecipata.
Il fenomeno leghista di qualche decennio fa e la chiusura formale e definitiva dell’intervento straordinario del mezzogiorno possono, se pure schematicamente, essere individuati come momenti spartiacque, dopo dei quali, in pratica, il sud s’è mostrato povero, muto, sulla difensiva. Le parole e i comportamenti di Miglio prima, Bossi e c. poi, caratterizzati da rozzi anatemi xenofobi, lombrosiani, divaricanti e al limite dell’eversività istituzionale con le minacce di separazione del paese erano basati sul nulla, sul voler mettere l’accento sulla questione settentrionale, su spostare l’asse delle azioni pubbliche verso la ‘parte produttiva’ del paese facendo leva su facili parole d’ordine che mobilitassero i siurbrambilla e le casalinghedivoghera, in base a una padanità fatta di operosità contro i vagabondi mediterranei? Certo, la questione settentrionale si poneva urgentemente entro uno schema di simmetricità con quella delle regioni del sud, entrambe le parti del paese chiamate a dover fare i conti con risorse finanziarie sempre più esigue, la fine dei partiti e dello stato della prima repubblica, lo scandalo di tangentopoli, la mondializzazione dopo la caduta del muro, un’economia chiamata a fronteggiare il postfordismo, l’istituto regionale scalpitante fra attribuzioni autonome e ruoli da svolgere. Una chiamata oggettiva di autodeterminazione e di responsabilità molto forte, quindi, in cui il protagonismo veniva invocato, così come pure la crescita dal basso, in quanto strumenti in grado di fornire scrollate a un sistema sempre più alle prese con un debito pubblico montante e il dover fare i conti con l’Europa. Si ricorderà, fra i tanti, lo slogan: Spostare l’asse europeo dalla valle del Reno fino al Mediterraneo. Sì, ma come?, se nel frattempo non ci si era resi conto che una stagione era finita, che la Cassa per l’Intervento Straordinario nel Mezzogiorno aveva chiuso i battenti, che aggiuntiva o sostitutiva o normale che fosse non c’era all’orizzonte alcuna politica mirata di accompagnamento o di sostegno per fuoriuscire dalle aree dell’obbiettivo 2 o 5bis, come la burocrazia di Bruxelles definì le regioni meridionali – le così dette aree in ritardo di sviluppo. Strumenti di programmazione negoziata come i Patti Territoriali parevano a qualcuno l’uovo di Colombo per mettere insieme stato, nelle sue diverse articolazioni, imprenditori, tecnici, ma pure quella stagione si esaurì non lasciando grande traccia di sé.
Sono stati licenziate alle stampe di recente alcuni libri che di provenienza e con taglio diverso forniscono un’utile traccia di ragionamento oltre che l’occasione per suscitare un dibattito allargato. Vito Teti, Carlo Borgomeo, Gianantonio Stella, Pino Aprile, tutti parlano del sud, parlano di noi. E noi, parte chiamata in causa, qualcosa la possiamo – la dobbiamo – dire. Non so se è il caso di pensare a un convegno ad hoc : qui mi limiterò ad alcune brevi considerazioni, che per il momento non parlano di Mezzogiorni, come pure, appropriatamente, Cersosimo e Donzelli qualche anno fa fecero.
Mentre c’è da parte di qualcuno la constatazione che i pur ingenti fondi europei non sono stati utilizzati per mancanza di progettualità e reclama cabine di regìa e linee guida da parte dello stato centrale, per altro verso si continua a reclamare la più totale autonoma regionale. E se da una parte ci si lamenta perché le risorse finanziarie sono del tutto inadeguate a dare risposte alle popolazioni, e si bussa a cassa, dall’altra restano impietosamente non spese grande parte degli euro di provenienza europea.
C’è un punto iniziale, a mio parere, da dirimere: il sud come reagì all’euro, alla lega, alla fine della Cassa del Mezzogiorno? O, piuttosto, il sud non doveva essere pronto a ‘prevenire’ e ‘prevedere’ quello che sarebbe successo? Mi riferisco alla sua classe dirigente – mi correggo: alle sue classi dirigenti, non solo quella politica, intendo: una stagione aveva chiaramente lasciato intravvedere ch’era ormai giunta al capolinea e bisognava perciò cambiare. Cambiare cosa? Atteggiamento culturale, attrezzatura politica, strumenti di intervento, e così via. Una vera e propria cesura, s’è verificata lungo le trame d’un tessuto istituzionale e produttivo del paese, quello, fra gli altri, che voleva un sud consumatore versus un nord produttore.
Stare a rincorrere quello che poteva essere e non è stato è esercizio bolso oltre che inutile. Così come improponibili appaiono certi posizionamenti nostalgici che vagheggiano a ritorni preunitari e borbonici. Atteggiamenti razzisti ed escludenti sono parimenti da rigettare mentre interessanti appaiono un paio di posizioni. Quella che mira alla crescita non tanto o non solo del Pil quanto all’aumento della coesione sociale (Borgomeo), e in specie quella di Teti, che introduce il termine di ‘nostalgia attiva’, per sottolineare la ricerca, la riscoperta delle radici identitarie, non già per chiudersi in sterili autocompiaciute e autoconsolatorie visioni d’un’arcadia che non c’è più (ammesso ci sia mai stata), ma piuttosto per incamminarsi con dignità entro scenari non localistici ma nazionali e globali con il carico, positivo, di specificità da mettere in gioco. Certo, in Teti si avverte il travaglio, il disagio, di chi è consapevole di non poter difendere l’indifendibile, costituito da cialtronerie, demagogismi, ruberie, inadeguatezze… e Teti è pure certo, contemporaneamente e con pari se non maggiore carico di indignazione, che non si può dire sempre la-colpa-è-degli-altri. Difendersi dagli attacchi esterni è necessario, è dovuto. In particolare quando questi attacchi sono sommari, falsi, storicamente decontestualizzati, ma farlo può risultare esercizio difficile, da solo, da soli. Occorre perciò una riflessione per fare un punto e per avanzare una proposta. Abbiamo città importanti, comunità d’alto profilo, patrimoni inutilizzati. Bisogna fare rete.
L’articolo è interessante e stimolante al lettore impegnato con una visione di “forma di stato” diversa dall’attuale che il paese ha e che dimostra tutti, ma proprio tutti i suoi limiti e la “Questione Meridionale” rientra in qui limiti.
Detto questo espongo la mia visione che per altro ho già postato , sia in parte che tutta, sulla mia pagina Facebook.
La questione meridionale si puo affrontare solo nell’ambito di seria e ferrea riforma del territorio nazionale, quale base per uno Stato federale sul modello dei LANDER tedeschi, quindi: Accorpamento delle regioni (attigue tra loro) per ridurne il numero a 10;12 non di più. Istituzione di larga autonomia amministrativa e capacità impèositiva tributaria ( allo stato deve rimanere solo la gestione macro).
L’amministrazione territorriale deve soggiacere a leggi severissime che perseguano la gestione onesta e di anticorruzione, premiare le capacita e il merito, per far sentire al cittadino la vicinanza di un’istituzione credibile ed efficente.
Cosi credo si debbe porre la Questione Meridionale per essere affrontata e risolta, poichè forse non è solo meridionale!
Mi sembra una impostazione innovativa del problema fare network deve essere la parola d’ordine del nuovo sud, partendo dalla risorsa mare ed ambientale nonché dalle ancora tante attività produttive e di ricerca e cultura presenti. Dobbiamo chiedere solo allo stato a cui abbiamo delegato la violenza di avere la mano pesante con la delinquenza organizzata a cui vanno tolte le risorse economiche e finanziarie ed utilizzate a scopi sociali.
Grazie per i commenti. Sicuri che il Prof. Veltri vi risponderà da questa pagina.