La necessità di aiutare i giovani a realizzare i propri desideri
di Massimo Preziuso
Vorrei fare alcune osservazioni sul dibattito che è scaturito dalla provocazione del Vice Ministro Martone, il quale ha detto ieri che ‘chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato’.
Si sono infatti subito manifestati due schieramenti, che provo a riassumente grossolanamente in: quello che vuole criminalizzare ‘i tanti giovani laureandi svogliati’ e quello che attacca un ‘sistema in cui tocca lavorare mentre si studia’.
Io faccio parte di un ulteriore partito: quello che vede la ‘necessità di adattarci ad una naturale traslazione del ciclo lavorativo stabile’, che si è già nei fatti spostato dall’intervallo 20-60 anni a quello del 30-70 anni per andare tra non molto ancora piu’ a destra verso il 40-80 anni.
Detto questo, visto che ormai si deve lavorare per legge fino a 70 anni, perchè non progettiamo (con contributo pubblico e privato), in maniera intelligente e efficace, un fondo di sostegno per i giovani, che li accompagni fino a quando essi non entrino stabilmente nel mercato del lavoro, permettendo loro di farsi una professionalità a cui ambiscono, senza trasmettergli le attuali angosce?
Se così si facesse, ci sarebbero numerosi effetti positivi sui giovani e sulla società tutta.
– Per primo, si vedrebbe in un attimo finire il precariato-sfruttamento su cui crescono malamente (rimettendoci alla fine nel loro percorso di sviluppo) oggi le aziende italiane, perchè reso possibile proprio dalle frustrazioni e dal senso di vuoto – smarrimento che oggi un giovane si trova a vivere (soprattutto ma ormai non solo in Italia) non appena esce dall’università (se non rientra nel famoso 110 e lode a 23 anni) e che gli fa accettare lavori che non centrano nulla con quello che potrebbe e vorrebbe fare, pur di placare un’ansia che tutta la società gli trasmette.
– Si vedrebbero così generazioni di giovani tornare a immaginare il proprio futuro piu’ vicino possibile ai propri desideri e aspirazioni, a cominciare da quelli professionali, che tanto sono importanti.
– Infine, cesserebbe una insana guerra intra e inter generazionale a chi entra o chi esce prima dal mercato del lavoro, che svilisce uomini e donne, e li rende schiavi e non parte attiva di un processo di crescita aziendale e sociale. Questa a mio avviso la logica nuova con cui un mondo (del lavoro) radicalmente cambiato va interpretato. E non quella della competizione sempre piu’ spinta, dell’efficienza a tutti i costi, che ammazza la creatività di un popolo pieno di cultura e di storia, che potrebbero tradursi in enorme crescita e innovazione se lo si lasciasse un po’ piu’ libero di pensare e agire in libertà.
Utopia? Non credo.
Se già il Governo Monti partisse dal ripensare la cassa integrazione, come sembra voler fare spostandone risorse verso un’idea di reddito di cittadinanza con baricentro inizialmente un po’spostato verso i giovani, si farebbe implicitamente un gran passo avanti nel cominciare a vedere gli italiani tutti, figli e genitori, (poter) tornare a rischiare per il proprio futuro e i propri desideri. E si vedrebbe l’Italia tornare a volare in pochi anni, al netto di qualsiasi altra doverosa ma non sufficiente riforma.
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