It is democracy, stupid!
È una bella boccata d’ossigeno quella che ieri l’Europa è riuscita ad inspirare ieri ad Atene. All’ultimo secondo di una maratona disperata corsa tutta in apnea.
La novità – anche se pochi l’hanno notata – è che per la prima volta la crisi e la democrazia si toccano. Per la prima volta il popolo, il demos (fatto di persone e di sofferenze, di aspirazioni e di I-phone) e le ragioni del cambiamento convergono: non sembrano più irrimediabilmente andare ognuna per la sua strada, sempre più lontane e sempre più laceranti per quelle società che avevano fatto della democrazia il proprio aspetto distintivo e vincente; quelle società europee il cui declino è cominciato il momento stesso che le èlites (soprattutto quelle impegnate a Brusxelles nel seguire un sogno sempre più svuotato dei suoi ideali) avevano, da tempo, deciso che era una perdita di tempo cercare di parlare con le persone.
Per la prima volta, nella storia di una crisi dell’Europa che dura da vent’anni, di fronte ad una scelta radicale – stare nell’Euro e accettare ancora sacrifici o uscirne ed andare in caduta libera all’indietro nella storia – il popolo, quella “cosa maleodorante” di cui parlano tanti tromboni ignorando che ciascuno di noi ne fa parte integrale, ha dimostrato senso di responsabilità. Forse superiore a quello di tanti politici e banchieri ai quali nessuno può chiedere sacrifici personali.
E non è un caso che sia ad Atene, quell’Atene in difficoltà ma in un certo senso gioiosa delle biciclette che stanno sostituendo le automobili, che la democrazia riscuote questa rivincita. Le persone, se messe di fronte a scelte radicali, sanno esercitare la responsabilità. Anche se i piani di austerity sono effettivamente in gran parte sbagliati, non adatti alle specificità di quella società, apparentemente dettati da un frettoloso ricorso a luoghi comuni e, persino, a qualche tentazione di punire. E non c’è dubbio che allora il primo governo politicamente legittimato – sarebbe bello che alla coalizione aderisse anche Syriza, che non rappresenta l’estrema sinistra come vogliono farci credere alcuni commentatori pigri in cerca di stereotipi – che la Grecia può vantare da quando è scoppiata la crisi, possa finalmente anche pretendere di negoziare condizioni più ragionevoli.
Da Atene viene allora effettivamente anche un’indicazione forte per l’Europa. E parafrasando al contrario quello che tempo fa disse un presidente degli Stati Uniti, dico: It is democracy, stupid!
Alla fine l’Europa – nonostante lo scetticismo di Giuliano Amato o di Emma Bonino giusto per nominare due icone di un europeismo che appare sempre più stanco – non può più fare a meno di democrazia.
È assurdo – come sa forse l’unico leader politico che è rimasto, quella ragazza nata nella Germania dell’Est e che è diventato l’ “uomo” politico più potente d’Europa – pensare ad un’Unione politica (e persino a quella fiscale) senza uno straccio di demos europeo. Senza opinioni pubbliche europee. Senza dibattito politico europeo.
La grande intuizione che Jaques Delors ebbe vent’anni fa, fu che creare un’unica moneta (sottraendo agli Stati una delle prerogative che li definiva in quanto tali) avrebbe creato una pressione tale da andare verso un’unione politica piena, senza la quale l’Euro non si regge. Non si regge tecnicamente. E tuttavia per vent’anni piccolissimi leader – che hanno preso il posto dell’ultimo grande visionario – non hanno fatto assolutamente nulla per preparare quell’unione politica che adesso tutti invocano come unica salvezza.
Potevamo introdurre – come ha proposto Vision insieme ad altre think tank europee – un semestre di studio obbligatorio in un altro paese Europeo per gli studenti della scuola superiore e delle università per incoraggiare l’integrazione – non meno importante – delle generazioni. Potevamo fare finalmente eleggere il Presidente della Commissione direttamente dai cittadini, o perlomeno avere un Presidente del Consiglio Europeo come Tony Blair meno invisibile di Van Rompuy (per non parlare dell’ancora più sconosciuta baronessa Ashton, in teoria ministro degli esteri dell’UE). Avremmo potuto sottoporre ad un vero e proprio referendum europeo il trattato di Lisbona e rischiare la democrazia senza la quale le istituzioni appassiscono.
Ed invece abbiamo – vent’anni dopo Delors – una generazione di ventenni che secondo i sondaggi dell’Eurobarometro sono molto meno europeisti di chi era ventenne vent’anni fa; ad ogni elezione del parlamento europeo si riduce di ulteriori cinque punti la percentuale – già bassa – di chi partecipa alle elezioni; e non sono più del cinque per cento i cittadini europei che sanno il nome del capo della Commissione Europea.
Quelli della generazione di Amato insistono che è così perché altrimenti l’Europa sarebbe bocciata. Io dico che invece questo è un rischio che dobbiamo prenderci. Perché altrimenti l’Unione politica senza opinioni pubbliche a cui rispondere aprirebbe contraddizioni ancora più rischiose di quella di un’Unione monetaria senza Unione politica.
Le persone, il popolo, la democrazia non sono una fastidiosa perdita di tempo che rischia solo di disturbare un manovratore troppo intelligente per farsi capire dalle persone. La democrazia è il motivo per il quale l’Europa ha vinto le sue battaglie più difficili contro i totalitarismi. Ne è valore fondante. Abbiamo con tutta evidenza bisogno di una nuova generazione di leader per andare verso il futuro, recuperando alcuni dei valori più importanti del nostro passato.
Sarà Germania-Grecia il quarto di finale più bello di questi Europei: ho la sensazione che finalmente saranno molti sia a Berlino che ad Atene ad essere contenti di applaudire anche le giocate più belle degli avversari. In fin dei conti i sogni per poter sopravvivere a se stessi hanno bisogno solo di essere rinnovati.
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