E’ sempre stata una prerogativa di chi un tempo faceva politica, contestualizzare i fatti, inserirli in un prima e in un possibile dopo, alla luce della situazione complessiva e degli attori in campo. Chi, appunto, un tempo faceva politica negli grandi partiti di massa, in un’Italia che vedeva il binomio… Dc-Pci fronteggiarsi, accordarsi, poi di nuovo guerreggiare, in una situazione politica ch’era quella dei blocchi contrapposti poi via via sbiadita dopo il crollo del muro, le scuole di partito, il Vaticano, la Terza via, la Russia, i Comitati Centrali, il Centralismo democratico… Ma non è questo il punto, qui. Il punto che voglio mettere in evidenza qui è che mai o quasi (malgrado ipocrisie, mezze verità e infingimenti) si faceva ricorso a categorie come antipatia personale, mai si tacciava esplicitamente l’interlocutore di ignoranza o di superficialità. Invece, evidentemente i tempi son cambiati anche in tal senso, e per tutti, sempre più si fa ricorso a tali categorie, a queste attribuzioni negative, per commentare, o meglio: condannare, l’operato di Matteo Renzi nella veste di premier e/o di segretario del Partito Democratico. Partito democratico, appunto: né Dc né Pci: si può ragionare, ancora, con gli stessi schemi con cui ci si atteggiava venticinque anni fa, fra nostalgie malriposte e incapacità di situarsi nelle dinamiche di oggi? Quando dopo averle dette tutte, ma proprio tutte, contro o a difesa di certe posizioni – che siano la bontà del sistema bicamerale contro l’abolizione del Senato; i tentativi di riscrivere una legge elettorale un pò meno indecente del vigente Porcellum e corollario annesso di preferenze sì e preferenze no; il solipsismo del leader; la modifica del mercato del lavoro, l’accordo con Verdini e c., il liberismo esasperato eccetera – quando tutto s’è detto e si è ripetuto, dicevo, ecco che scattano parallelamente le contumelie. E la cosa deve far riflettere, per evitare un ulteriore grado di imbarbarimento di cui proprio non ci sarebbe bisogno, in una situazione di per sé molto complicata.
Esiste, almeno sulla carta, un Pd, e un sistema di forze politiche, dal M5Stelle a FI, Ncd, Lega e tanti altri ancora, in cui la responsabilità di governo è assegnata, oggettivamente, al leader del Partito Democratico. L’ascesa di Renzi è stata descritta in tutti i modi: non val la pena soffermarcisi qui. Varrebbe la pena farlo piuttosto sulla nascita e sulle convulsioni del Pd, ma pure questo è stato fatto se pure in termini non conclusivi. Si dice, e ci sono elementi di verità, che questo Pd conserva al suo interno tante sensibilità, volendo intendere contraddizioni; diverse culture in termini di intendere i pesi e i contrappesi nel sistema istituzionale; contrastanti modi di riferirsi a blocchi sociali; differenti approcci verso la modernità; welfare e garanzie fra loro confliggenti; intendere il mondo del lavoro. Se si guarda bene ci sono ancora altre divaricazioni, dentro il Pd, questo Pd, e non si tratta di semplici ‘elementi di verità’, ma appaiono piuttosto oggettive e quotidiane constatazioni. Constatazioni che giorno dopo giorno fanno fibrillare sempre più il quadro politico-istituzionale. Su un punto, però, è possibile cercare di trovare un’intesa, ed è quello che riguarda la inesorabile perdita di sovranità degli stati europei a fronte delle politiche (economico-finanziarie) della UE, di questa UE. E’ da tempo che si riscontra questo duplice dato: UE come unione economico-finanziaria e null’altro (diretta rigidamente dalla Germania); eterodirezione della politica da parte degli obiettivi di convergenza decisi in sede esterna ai paesi che dovrebbero invece esercitare la loro propria sovranità. C’è un problema, quindi, anzi ce ne sono tre: come indurre Bruxelles (e Berlino) ad intendere le cose in chiave più politica e in termini di sviluppo – che non può conseguirsi con azioni di mero contenimento della spesa, di tagli e investimenti sempre più esigui -; parallelamente, come mostrare in sede UE un volto realistico, accreditandolo nei fatti, di responsabilità, autorevolezza, serietà; come ridefinire il compito, le attribuzioni, le articolazioni, dello stato, dello stato di oggi e di domani alle prese con un mondo del lavoro spostato sempre più verso la precarietà, un sud del continente che non può essere lasciato in balìa di se stesso, un universo di tecnologia e di nuovi saperi che saprebbero dare risposte a tanti problemi che ci affliggono se fossero, come si dice, messi a sistema. Questo è il fronte che da più parti caratterizza la nostra esistenza, oggi, se non si vogliono aggiungere anche i temi della sicurezza e della sostenibilità ambientale.
Esistono proposte, letture, di tali fenomeni, oggi, che siano in grado di confrontarsi con tali complessità tanto sul terreno nazionale che su quello europeo? A me non pare, tanto che sembra d’essere tornati alle così dette politiche dei due tempi: prima aggiustiamo un pò le cose, poi ripartiamo. Con un aggravante, però, che l’aggiustamento non procede spedito, tutt’altro, incontrando ostacoli, divergenze di posizioni, attriti fortissimi, in specie, o forse addirittura soltanto, nel partito di maggioranza relativa. Mentre, invece, occorrerebbe rilanciare sì nel campo dell’accreditamento agli occhi UE – dopo decenni d’inerzie, scialacquamenti e scorribande vari – ma contemporaneamente sferrare un’offensiva a tutto campo contro la crisi di questo modello occidentale che chiami a raccolta per un nuovo ‘ordine europeo’. Che veda gli stati membri al centro, la guerra contro la povertà, politiche per il lavoro realistiche, investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, un welfare equilibrato e non meramente assistenzialista, la rete fra l’imprenditoria privata, lo stato, la comunità scientifica, il mondo delle professioni liberali.
Renzi ha mille e un difetto, mettiamoci pure, e non è di poco conto, questo suo stucchevole insistere: ‘Il sud deve farcela da solo’ (non ce la può fare, da solo. Nessun ambito politico-territoriale in ritardo alza la testa autonomamente se non è accompagnato da misure premiali e dissausive, se non è messo nelle condizioni di operare virtuosamente, liberandosi dei tanti orpelli e dei tanti motivi di ritardo che lo affliggono, gran parte, è vero, frutto di responsabilità proprie), ma una serie di elementi di oggettività li interpreta, all’interno d’un blocco anchilosato su un’Italia ferma a venti-trent’anni fa che non c’è più, malgrado qualcuno e più d’uno faccia finta di non essersene accorto. Certo, se alza il tiro, Renzi, se accompagna al suo dire un disegno ambizioso di ridefinizione del quadro generale con piglio e credibilità autentici, forse gli si perdonerebbero, o quasi, anche le tante guasconate, le improvvisazioni, le dimenticanze, le grossolanità. Fatto è che solo a dir no non si va da nessuna parte, a guardare l’oggi con gli occhi di ieri non ci si cava niente.
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