Grecia, Germania e le ragioni della Merkel
L’immagine è quella della “donna sola al comando”: il politico più potente appare circondato da tutti i lati e sul punto di cedere alle argomentazioni degli assedianti, alle pressioni di tutte le più importanti famiglie politiche europee e di quasi tutti gli opinionisti. E la sua immagine appare speculare a quella della Germania, forte e antipatica, in economia come nel calcio, anche se sono convinto che sono proprio i Greci e i Tedeschi a vedere la partita di stasera solo come una grande partita di calcio.
Tuttavia in questa Europa – mai come adesso caratterizzata dalla mancanza di leader – la Merkel è l’unica che mostra di avere dei precisi punti di riferimento nella tempesta perfetta che stiamo attraversando. E seè vero che su alcune questioni il governo tedesco sembra troppo rigido, su altre fa bene a mantenere la sua inflessibilità.
Angela ha fatto, in realtà, e continua a fare almeno tre gravi errori, anche se nel commetterli si ritrova in compagnia di quasi tutti i suoi detrattori. Il primo è quello di continuare ad invocare l’Unione Fiscale come l’unica possibile soluzione strutturale al problema. È vero che una moneta unica alla quale non corrisponde una unione politica non è sostenibile, ed era questo il calcolo che – sin dall’inizio – Jaques Delors con grande intelligenza e passione fece per creare il presupposto che prima o poi avrebbe fatto fare all’Unione il salto di qualità. Tuttavia a sua volta l’Unione politica richiede la creazione di opinioni pubbliche europee e su questo fronte vent’anni sono stati letteralmente buttati via. Come si fa ad immaginare che sulle nostre tasse e su quanto si possa spendere in servizi pubblici possa, da domani, decidere qualcuno di cui non conosciamo neppure il nome? Il secondo errore che fa la Merkel è quello di pensare che i comportamenti sbagliati degli Stati possano essere corretti attraverso sanzioni a carico di tutti i cittadini. Questa è la previsione esplicita del Fiscal Compact, già presente nei regolamenti del Patto di Stabilità. Ed è quello che è stato fatto con la Grecia. Alcune delle misure imposte – in cambio di soldi – sono apparse francamente punitive ed inutili, perché voler curare un raffreddore mettendo il malato fuori al balcone rischia solo di farlo morire. Per ultimo, l’errore di considerare l’Euro un dogma assoluto. I matrimoni – per essere sostenibili – devono prevedere meccanismi di divorzio che siano meno traumatici possibili. Ed invece l’Euro continua ad essere concepito come un vincolo rigido, uno di quelli che – lo insegna la fisica degli oggetti – sono destinati a rompersi rovinosamente, uno di quei sogni destinati a trasformarsi in incubi.
Ha ragione, però, la Merkel su altri tre aspetti e hanno torto i suoi ridicoli “assedianti”. Ha ragione quando rifiuta la soluzione finanziaria a problemi che sono strutturali: far prendere a tutti un antibiotico quando dovremmo riflettere e correggere comportamenti che continuano a debilitarci. In un contesto di inflazione relativamente bassa e di cambi relativamente favorevoli, basterebbe ordinare alla Banca Centrale Europea di battere moneta in quantità sufficiente per ricomprarsi tutto il debito pubblico sottraendolo al fastidioso giudizio dei mercati. Questo significherebbe perdere, però, la possibilità straordinaria che questa crisi offre per cambiare. Cambiare profondamente. Affrontare i privilegi immotivati, le corporazioni che già tempo prima della crisi avevano tolto al Paese Italia qualsiasi possibilità di crescere e innovare. Hanno torto, poi, tutti gli altri a invocare – fuori dal fortino di Berlino – la crescita come se fosse un pulsante che qualcuno può, ad un certo punto, decidere di premere per far ripartire un’economia. Hanno torto a immaginare grandi programmi di spesa pubblica keynesiana, come se – e sono sicuro che Keynes stesso ce lo farebbe notare se fosse in vita – fossimo ancora in un contesto di spesa pubblica sul PIL del 20% e di economie relativamente chiuse (come per la crisi di cento anni fa). E Ed è altrettanto sbagliato ridurre la maggiore capacità di crescere della Germania alla possibilità di doversi confrontare con concorrenti che, da quando l’Euro è stato introdotto, non hanno più l’arma della svalutazione per proteggere la propria competitività. In realtà le opportunità si devono saper cogliere: la Germania vi è riuscita straordinariamente bene visto che è la prima potenza economica mondiale per volume di esportazioni, davanti agli Stati Uniti e la Cina, ed esporta di più dell’Italia, della Francia e della Spagna messi insieme; altri paesi che, come il nostro, pure dall’Euro hanno avuto lo straordinario vantaggio di tassi d’interesse bassi che avrebbero potuto favorire gli investimenti necessari per poter modernizzare la propria economia, le hanno completamente sprecate. Ha ragione, infine, Angela a ritenere irricevibile la proposta di un’unificazione dei debiti pubblici, non solo perché non è giusto che il debito accumulato dall’Italia (anche per pagare i prepensionamenti ai pilotidell’Alitalia) debba essere pagato dai contribuenti tedeschi, ma soprattutto perché da una soluzione “tarallucci e vino” di questo tipo verrebbero penalizzati i giovani, le donne, gli immigrati italiani: chiunque ha continuato caparbiamente ad investire su se stesso e sulla propria squadra, in un paese che aveva e continua ad avere attenzione solo per gruppi di potere sempre più ripiegati su se stessi e fuori dalla storia.
Alcuni dei dogmi dei tedeschi sono certamente da mettere in discussione, usando un po’ di pragmatismo e la volontà di salvare quel grande sogno che è l’Europa. E tuttavia la “ragazza” nata nella Germania dell’Est ha ragione soprattutto a porre una questione morale. Una questione che è forse quella che le deriva dal suo far parte integrante di una cultura protestante, che sul significato specifico della parola perdono ha costruito la separazione rispetto alla cultura cattolica: non si può uccidere il malato; ma non si può permettere al furbo di comprarsi una facile assoluzione. La crisi è certamente una grande opportunità di cambiamento profondo di comportamenti, di modelli economici, di modalità di stare insieme, di spostamento di risorse tra ceti improduttivi e chi – giovani, immigrati, donne – ha gli strumenti per poter generare valore per tutti. Forse la Merkel non è un leader grande come il suo maestro Kohl, però di lei e della sua inflessibilità hanno bisogno tutti quelli che vogliono liberare l’Europa dalla giungla di privilegi e protezioni che stanno compromettendo quel patto tra cittadini e Stato che era stato costruito attraversando guerre mondiali e rivoluzioni.
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