Finalmente flessibilità. Ora il patto di stabilità è un po’ più intelligente
di Gianni Pittella su Huffington Post
Si potrebbe dare fiato alle trombe. Ma non lo facciamo. Vogliamo solo salutare, con un pizzico di legittima soddisfazione, quel che è avvenuto in sede europea dopo tanto parlare, in questi ultimi mesi, della battaglia tra austerità e crescita. La Commissione Juncker ha mantenuto la promessa e ha consegnato il suo regolamento sul famoso fondo europeo per gli investimenti strategici.
É significativo che ciò sia avvenuto nel giorno di chiusura del semestre di presidenza italiana a poche ore dal resoconto svolto nell’aula di Strasburgo dal presidente Renzi. Ed è importante che la politica di flessibilità possa tagliare oggi un importante traguardo. A dimostrazione che le battaglie politiche condotte con convinzione e fermezza si possono vincere.
Questo rapporto – un vero e proprio testo legislativo – è adesso una realtà. Si tratta di quel provvedimento così tanto atteso che punta in tre anni a mobilitare più di 300 miliardi di investimenti pubblici e privati per favorire la crescita e l’occupazione. Vogliamo e dobbiamo essere chiari e leali quando si evocano cifre che possono alimentare, a torto o a ragione, delle facili aspettative.
Il piano varato dall’esecutivo comunitario, a pochi mesi dal suo insediamento, non promette la Luna. Ma costituisce – questo è indubbio – una inversione di tendenza, e dunque di azione politica economica, negli atti e nei comportamenti delle Istituzioni dell’Ue. Grazie a questo, possiamo registrare un primo successo. Con la mobilitazione di risorse pubbliche e private. Più ci sarà fiducia e ottimismo, più il piano agirà a cascata in un moto – ci si augura – che trascini e gonfi il vento della crescita.
Non è retorica, ma una possibilità reale. Proprio perché stavolta l’Europa si impegna con risorse importanti agevolando gli Stati membri i quali potranno scorporare quelle spese per gli investimenti. Dopo sei anni di crisi si comincia a prendere coscienza della necessità di un’inversione di tendenza. Forse non è esagerato affermare che da questo momento può iniziare anche un nuovo modo di servirsi della costruzione europea, mettendo l’accento su lavoro e sul sociale provando a bandire l’immagine, costruita spesso ad arte, di un’Unione nemica dei popoli e amica della Finanza.
Nell’azione dell’Unione non ci sono mai state inversioni di rotta repentine. Ma accelerazioni certamente. Questo evento politico, che mette in testa nell’agenda europea un intervento di considerevole portata nella sfida alla crisi economica che scuote il continente da parecchi anni, è uno di questi momenti. Un passo avanti, un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare le questioni più sensibili e urgenti. Stiamo parlando di uno strumento di azione economica, che dovrà essere approvato dai due legislatori (Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue) entro il prossimo mese di giugno, un “colpo di frusta” per l’economia europea come ha detto Juncker.
La Comunicazione sulla flessibilità nel patto di Stabilità e crescita, approvata ieri e alla cui definizione il nostro gruppo ha contribuito in maniera decisiva, fa diventare il Patto di stabilità e di crescita meno stupido (come disse Romano Prodi) e anzi, lo rende più intelligente. Perché – ecco il punto politico più interessante – introduce una quota di flessibilità e un margine di manovra per i bilanci dei Paesi che hanno una sofferenza dal punto di vista del debito e che intendono investire massicciamente per il rilancio delle proprie economie. È quel che si voleva? Certamente, anche se si tratta di un primo passo. Ma già da solo rappresenta una spinta formidabile se saremo capaci di sfruttarla in pieno. Utilizzando in maniera efficace e produttiva le risorse, specie quelle contenute nei Fondi Strutturali.
Di sicuro, il piano di Bruxelles non imporrà, come taluno aveva fatto credere, alcuna imposizione di riforme “dall’alto”. L’Europa punitiva, questa volta, non ha trovato acqua in cui nuotare. Anzi, gli Stati nazionali che contribuiranno al Fondo di Investimento della Bei, si vedranno riconosciuti e non conteggiati questi sforzi del loro bilancio e gli Stati impegnati in riforme strutturali interne vedranno riconosciuto questo loro operato. Inoltre, la cosiddetta “regola d’oro” funzionerà anche se il limite del 3% resta, per il momento, non rimuovibile. Non cesseremo, ovviamente, di batterci.
Ci sono, dunque, una serie di condizioni che hanno il segno del cambiamento. Si tratta di cogliere al volo questa opportunità. L’Europa, come si vede, può cambiare. Anche se ciò costa sempre un lavoro paziente, a volte testardo, e di lunga lena. Una strada si è aperta. Tocca a noi, agli Stati, alle forze politiche, di asfaltarla e renderla transitabile. Per allontanarci definitivamente dalla cieca austerità.
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