Di donne non basta solo parlare
di Giuseppina Bonaviri – Le donne non sono riserve protette, non sono vessillo di conquista o di supposta emancipazione. Dare spazio alle donne, ancor più se a quelle donne che vivono la loro normale quotidianità, in qualità di persone comuni che agiscono virtuosamente, ha un forte significato progressista. Sollecitare l’adozione spontanea di nuovi codici di comunicazione non ha semplicemente valore di questione di quote ma di un vero salto di qualità, di un avanzamento della democrazia paritaria, di cultura di genere diffusa. Non si può continuare ad abusare di luoghi comuni che ci vedano prigioniere di partiti o di finte lotte progressiste spesso , purtroppo, agite proprio da quelle donne che rimangono ostaggio del potere maschile. Le strategie culturali e di dominazione di genere stanno involvendo ma la verità rimane che l’appartenenza al gruppo come il cognome si trasmettono per linea maschile: questo è il modello imposto ancora esistente. Allora non basta proporre sulla pelle delle donne -vedi sexy-worker- bisogna, prima, imparare l’arte dell’ ascolto e dell’accoglienza rispetto alle minoranze per sentirti classe civile e politica liberata. Necessita un grande apprendistato prima di avvicinarsi ad un gruppo stigmatizzato senza cadere nel precostituito rigido e questo, al momento se lo possono permettere poche-i eletti come le-gli studiose-i e scienziate-i. Diversamente, anche i messaggi più alternativi serviranno solo a rinforzare gli stereotipi tradizionali. Continuare a credere che ci sono donne cattive e donne buone giova solo alla stabilità di un sistema logoro, è un elemento di controllo sociale. Si continua a perseguitare, così, la sessualità autonoma delle donne mentre dovremmo essere, invece, consapevoli dell’esistenza di questi modelli standardizzati per demistificarli e modificarli. Potremo pensare di cambiare solo quando disporremo di soluzioni sociali corrispondenti al di là dall’approssimazione intellettuale.
Iniziamo dal modificare i linguaggi comuni per permettere che anche il nostro territorio si trovi al passo coi tempi . La lingua rispecchia la nostra cultura, dunque, le riflessioni sul modo di rappresentare le donne attraverso il linguaggio e la storia è la ragione per la quale essa svolge un ruolo prioritario nel processo di costruzione dell’immagine femminile collettiva. Le donne possono e devono essere sempre in prima linea -insieme agli uomini paritariamente- se si vuole scrivere un nuovo, fiorente capitolo d’epopea italiana. Noi donne, che lottiamo per la giustizia e per la pace, per i diritti civili siamo in prima linea e ben sappiamo che è solo un atto di giustizia che potrà rendere consapevoli le classi dirigenti che, se non si lascerà spazio alla democrazia di genere fuori dal becero utilizzo questa sarà negata. Allora non ci potrà essere cambiamento che tenga nell’immediato.
Non vogliamo essere complici di un pregiudizio che ci vuole vittime di soprusi. Fuori dalle strumentalizzazioni della mala gestione politica che continua ad enfatizzare le quote rosa- pensiamo a quello che succede nella formazione del governo e poi a seguire nella proposta della nuova legge elettorale- fare Rete tra donne comuni e virtuose della, siano esse intellettuali o di riconosciuto talento crea le vere condizioni di beneficio per tutta la società. Nell’ambito delle iniziative che la Rete La Fenice porta avanti è stato dato grande spazio alle criticità moderne dell’essere donna. Basti pensare alla iniziativa, ormai di respiro nazionale ” L’arte contro il femminicidio”. Il nostro appello, che partì il 21 settembre scorso nel corso della prima iniziativa provinciale a sostegno del donne vittime di abusi alla Villa Comunale di Frosinone, è stato ascoltato ed ha sensibilizzato amministrazioni comunali e provinciali, a partire da quelle locali, che hanno accolto la nostra richiesta uscendo dai sentieri di omertà e di silenzio. Ne da conferma l’iniziativa provinciale dell’8 marzo scorso a Frosinone per l’inaugurazione della Campagna di sensibilizzazione provinciale contro discriminazioni e violenze di genere e la Marcia di solidarietà alla quale hanno aderito più di 50 comuni locali, moltissime scolaresche provenienti da tutta la provincia, associazioni, sindacati unitari, gente comune in una terra, la nostra, corrosa da microcriminalità e dall’arroganza di un potere politico irrivente.
Consapevoli, dunque, che la partecipazione è solo l’inizio di un lungo momento di riflessione innovativa ed aperta al contributo di tante e tanti sono stati messi in cantiere per i prossimi mesi altri importanti momenti di incontro con la gente, con le Università e nelle scuole (dibattiti pubblici sull’evento saranno trasferiti a Napoli, Pescara, Rieti, Milano e proseguiranno sino a giugno su Roma).
Portare sul piano del confronto pubblico -tenendo alla base prerequisiti tecnico-specialistici che ne certificano la qualità- in provincia e fuori, tra i giovani e nelle piazze tematiche occultate significa scavalcare i limiti dell’attuale dibattito politico sterile ed usurante. Perché di donne non basta solo parlare.
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