Burocrazia: la madre di tutte le battaglie
di Francesco Grillo
La lotta alla burocrazia come “madre di tutte le battaglie” di chi voglia davvero fissare negli occhi la bestia che tiene incatenata da vent’anni una società e un’economia che nei decenni precedenti era stata – anche se tra tante contraddizioni – una delle più dinamiche del mondo.
Fa bene Matteo Renzi a dichiarare guerra sul fronte della trasformazione radicale della pubblica amministrazione: questa è la sfida che deve assolutamente vincere chi – come lui – voglia sfuggire alla maledizione che ha visto chiunque abbia provato a governare l’Italia, destinato alla sconfitta elettorale. E fa bene a indentificare con chiarezza l’elemento decisivo del confronto nel rapporto tra dirigenti dello Stato e la politica: il concorrere dell’instabilità della politica e della inamovibilità dei dirigenti pubblici ha prodotto, infatti, nel tempo un avveramento in Italia della profezia di Max Weber con un colossale e permanente trasferimento di potere tra chi è eletto e chi gestisce la macchina pubblica. Al punto che, come dice il Presidente del Consiglio, vi sono settori della burocrazia nei quali da tempo è prevalsa l’idea che “i Governi passano, i dirigenti restano” e che sono questi ultimi ad avere in mano le leve del potere e, dunque, a dover autorizzare un qualsiasi cambiamento.
Gli adempimenti che ci strozzano nascono, in effetti, quasi sempre per iniziativa del Legislatore e come riflesso difensivo da parte dello Stato rispetto a fenomeni rischiosi che non capisce fino in fondo.
Fatto sta che se l’Italia è tradizionalmente indietro nelle classifiche internazionali sulla competitività (ad esempio quella del World Economic Forum) e sulla capacità di fornire a chi fa impresa un ambiente non ostile (la misurazione più nota è quella della Banca Mondiale) è, proprio, sul peso delle “regole” che il nostro Paese precipita: su 148 Paesi che vengono considerati siamo al terz’ultimo posto. La complessità delle procedure, tuttavia, non sembra scalfire la corruzione – siamo collocati da Transparency International al settantesimo posto insieme alla Romania – e lo spreco di denaro pubblico che per gli investitori internazionali in Italia è maggiore che in Egitto che ci precede immediatamente. Parte consistente delle richieste che la pubblica amministrazione produce sembrano, del resto, il riflesso di un apparato che cerca una giustificazione alla sua stessa esistenza nella richiesta di ulteriori documentazioni. Pur essendoci notevoli eccezioni, da tempo l’amministrazione pubblica sembra aver perso la capacità e gli strumenti per interpretare i bisogni dei cittadini e quanto essi si stiano rapidamente evolvendo.
Rispetto a questa situazione il nuovo Presidente del Consiglio propone una ricetta drastica: la contestualità tra l’espressione popolare del Governo del Paese e la struttura dirigente della macchina pubblica. Ciò equivarrebbe all’introduzione di un spoiling system che porterebbe l’Italia in un contesto più simile a quello americano che quello europeo. Una rivoluzione che fa accapponare la pelle a molti studiosi di Diritto Pubblico e che, tuttavia, per poter essere anche solo immaginata, ha bisogno di un’altra leva fondamentale: la valutazione di cui si parla da decenni e che, nessuno, tra tanti illustri predecessori di Marianna Madia è mai riuscito a realizzare fino in fondo.
Sono necessari, dunque, strumenti che costringano chiunque gestisce anche un solo euro dei contribuenti italiani a “dar di conto” (esiste, già, la traduzione in Italiano che Renzi chiede per la parola accountability) dei risultati (che è nozione ben più ampia e decisiva della pubblicazione on line di ogni spesa) ottenuti rispetto a obiettivi che vanno negoziati con il dirigente che accetti una determinata responsabilità: è questa la vera rivoluzione, il grimaldello verso quella meritocrazia che finora abbiamo evocato a parole e che diventa l’unica garanzia per poter effettuare nomine di qualità.
Ciò vale – anche se è un ambito parzialmente diverso – anche per le seicento nomine che lo stesso Governo si accinge a fare per le società partecipate dal Tesoro e che diventano, a questo punto, una verifica fondamentale per capire se le intenzioni del nuovo Presidente del Consiglio sono diventate metodo in grado di cambiare i processi stessi attraverso i quali in Italia si acquisisce e si distribuisce potere.
È la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno: valutazione semplice su indicatori che siano conosciuti ai cittadini; selezioni e carriere legate al raggiungimento degli obiettivi negoziati con chi ne risponde nei confronti degli elettori; possibilità di promuovere la mobilità verso servizi di maggiore valore aggiunto di chi è stato condannato dall’inerzia a diventare una zavorra per gli utenti e per le imprese; un ridisegno del bilancio dello Stato che, attualmente, rende difficilissima una revisione della spesa che non sia lineare.
Ciò è essenziale per vincere la sfida della crescita. Ma serve anche alla pubblica amministrazione che obbligata a dimagrire solo attraverso il blocco delle assunzioni è stata tecnicamente inchiodata ad un destino di progressiva obsolecenza. Per Matteo Renzi sarà, adesso, decisivo convincere persino i privilegiati della inevitabilità del cambiamento.
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