Buffett e gli errori
di Massimo Sapienza
(Con questa, avviamo una serie di pubblicazioni di Sapienza sulla esperienza trentennale di innovazione imprenditoriale di Buffett)
Quando sei diventato la leggenda vivente degli investitori finanziari mondiali puoi permetterti il lusso di fare errori. Quando la storia delle tue imprese economiche diventa parte della storia della finanza, allora puoi addirittura esibire i tuoi sbagli. Oppure forse proprio perché hai sempre avut…o il coraggio di riconoscere, ammettere, analizzare e soprattutto mai aver tentato di nascondere i tuoi limiti sei diventato l’incarnazione contemporanea di Re Mida. Buffett teorizza in maniera esplicita l’interesse comune suo e del suo socio Munger per gli errori, non solo nel business, ma più in generale nella vita: “Our Vice Chairman, Charlie Munger, has always emphasized the study of mistakes rather than successes, both in business and other aspects of life. [.] You’ll immediately see why we make a good team: Charlie likes to study errors and I have generated ample material for him particularly in our textile and insurance businesses”. La chiusura del brano potrebbe sembrare una mera captatio benevolentiae. Si potrebbe dire: “Ma come il presidente di una holding che nell’arco di quasi 50 anni ha reso oltre il 20% all’anno composto che si schernisce per i suoi errori?” Eppure non è una mera clausola di stile. E’ molto di più. E’ una filosofia di vita, tipicamente americana da etica protestante e spirito del capitalismo: “If you are going to play the game, you must count the runs scored against you in all nine innings”. Non ci sono sconti per nessuno, chi cerca di sottrarsi, con scuse o altri artifici a questo crivello indagatore non è degno probabilmente di partecipare al gioco: “Any manager who consistently says “except for” and then reports on the lessons he has learned from his mistakes may be missing the only important lesson- namely, that the real mistake is not the act, but the actor”. Nessuna attenuante, tantomeno per sé stessi. Un processo di esame infinito e spietato, difficile, molto difficile per un lettore di cultura cattolica. Nella lettera del 1989 Buffett dedica addirittura una sezione agli “errori dei primi 25 anni di Berkshire Hathaway” e promette di aggiornare il paragrafo nel 2015 con gli errori dei primi 50 anni. In seguito ha introdotto episodicamente in alcune lettere un paragrafo intitolato “Mistake du jour”. Ma come sono gli errori di Buffett? Gli aggettivi che li descrivono negli anni, lettera dopo lettera, sono abbastanza roboanti: “despite some colossal mistakes made by your Chairman”, “In 1982 I made a huge mistake in [.]”, “whatever the reason the mistake was large”, “my decision to sell McDonald’s was a very big mistake”. Niente male per uno che ha guadagnato oltre i limiti dell’immaginabile. Pensato cosa avrebbe scritto di sé stesso qualora il successo della sua holding di investimento fosse stato banalmente solo “eccezionale”, noblesse oblige del capitalismo finanziario moderno, s’intende. Per entrare più nel concreto partiamo dall’errore iniziale di Buffett, quello su cui ha più lungamente recriminato nel corso del tempo. Un errore ormai famoso: avere comprato la stessa Berkshire Hathaway che tanta fama gli ha dato nel cinquantennio successivo. “My first mistake, of course, was in buying control of Berkshire. Though I knew its business -textile manufacturing- to be unpromising, I was enticed to buy because the price looked cheap”. Buffett ascrive il suo “errore originale” alla sua tendenza innata a cacciare le opportunità a buon marcato. Si tratta di un’inclinazione naturale, chi ha questa tendenza tenderà sempre a subire il fascino del buon prezzo. L’umanità in questo è proprio bipartita con una muraglia adiabatica in mezzo: da un lato quelli che pensano che se paghi poco, la qualità che otterrai sarà sempre bassa, e dall’altro coloro i quali invece sono attratti dal prezzo basso con l’intensità di desiderio di una baccante durante un rito dionisiaco. Analizzeremo meglio questo vizio del presidente di Berkshire Hathaway, trattando nello specifico il suo rapporto con le opportunità di investimento in un approfondimento dedicato, per adesso ci limitiamo a segnalare un brano nel quale la tendenza a comprare a basso prezzo, trascende il borghese “mistake” per diventare un mistico ed esoterico “folly”: “I could give you other personal examples of “bargain-purchase” folly but I’m sure you get the picture: It’s far better to buy a wonderful company at a fair price than a fair company at a wonderful price”. Il secondo tipo di errore sul quale vorrei concentrare la vostra attenzione è invece quello legato all’eccesso di sicurezza derivante dalla grande esperienza e dai successi ottenuti nel passato. Quante volte in paesi di cultura latina (e non solo) abbiamo ascoltato l’elogio dei capelli grigi e dell’esperienza. In un paese in cui un cinquantenne al potere è un giovane, cosa potremmo mai pensare di un ultra-ottantenne plutocrate? Chi oserebbe mai in una riunione italiana contraddire una persona dell’esperienza di Buffett? Ma anche su questo tema, con la sua consueta ironia, l’oracolo di Omaha racconta di come una volta aveva forzato, sbagliando, per fare un’operazione giocandosi la carta “Io sono più vecchio, fidatevi di me”: “I subtly indicated that I was older and wiser. I was just older”. Quante volte avete visto manager, senior manager o chiunque dotato di un minimo grado di autorità contorcersi come una tarantola pur di non ammettere i propri sbagli? A me tantissime volte. Devo ammettere però che, personalmente, a me le persone che non sanno riconoscere i loro errori, più che farmi arrabbiare, mi fanno ridere, le trovo per l’appunto ridicole. Quanti mediocri non comprendono che la sola speranza per il miglioramento passa attraverso il riconoscimento dei limiti e degli sbagli che si sono commessi? Quanti invece si crogiolano nell’immobilismo estatico e auto-flagellatorio del rimuginare eterno sulle proprie mancanze? Per entrambe le categorie Buffet ha parole di condanna. “Agonizing over errors is a mistake. But acknowledging and analysing them can be useful, though that practice is rare in corporate boardrooms”. Io ho una esperienza di consigli di amministrazione, e più in generale di organi collegiali di direzione, abbastanza importante rispetto alla mia età, ma devo dire che in effetti non ricordo nessuna seduta di consiglio nella quale ci sia presi il tempo di fare un analisi sistematica e scientifica di cosa non è andato secondo I piani. I dossier si studiano e si approfondiscono molto ex-ante, si approvano se è il caso e si celebrano quando finiscono bene. Quando finiscono male o sono destinati all’oblio o a processi alle persone che s’intende usare come capri espiatori in stile caccia alle streghe. Un consiglio di successo forse dovrebbe riuscire a fare di più e meglio sotto quest’aspetto. Il terzo e ultimo tipo di errori che segnaliamo ci rimanda una formula che i credenti hanno sentito ripetere tante volte: “In pensieri, parole, opere e omissioni”. Pur non essendo cattolico Buffett ha un’idea degli errori che rimanda alla nozione di peccato tipica dei santi della chiesa cattolica: “Typically, our most egregious mistakes fall in the omission, rather than commission, category”. Non solo, infatti, il nostro Warren si accusa degli errori che hanno portato a perdite in bilancio di Berkshire Hathaway e che sono quindi quasi immediatamente evidenti agli occhi del lettore/azionista, ma anche addirittura di ciò che è invisibile agli occhi del pubblico, vale a dire i mancati affari: “Some of my worst mistakes were not publicly visible”. “These were stock and business purchases whose virtues I understood and yet didn’t make”.
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