Battaglia civile per contrastare la povertà dilagante anche nella provincia di Frosinone
di Giuseppina Bonaviri
La chiusura della Marangoni fa sembrare senza fine la crisi che investe il nostro territorio verificandosi a poca distanza dal recente accordo di programma che tenta di risolvere i casi aziendali locali da tempo in attesa di soluzione. L’ennesima perdita di posti di lavoro, punta dell’iceberg di un più diffuso disagio economico della popolazione, come possiamo rilevare nella vita quotidiana delle tante famiglie che riducono i loro consumi rinunciando persino ai beni di prima necessità come cure preventive e sanitarie. Una situazione che rende il nostro territorio simile alle provincie del sud italiano dove, attualmente, diventa persino difficile rilevare la gravità dello stato di disagio che si vede solo in occasione di luttuosi fatti di cronaca. Drammaticamente ci sono stati sottoposti in queste settimane due dati, dai quali non si può sfuggire.
Il primo è che la nostra regione è quella che fra il II trimestre del 2012 ed il corrispondente 2013 ha subito il più alto incremento di persone in cerca d’occupazione, quelli che chiamiamo disoccupati, fra tutte le regioni del centro-nord: + 2,4%, superata di pochi decimali dalle regioni del Mezzogiorno, mentre la crescita della media nazionale è stata dell’1,5%.
Il secondo dato: l’Istat ha pubblicato i dati sulla povertà nel nostro Paese dai quali emerge che, nel 2012 erano 3.232.000 le famiglie in condizioni di povertà (assoluta e relativa), interessando il problema 9.563.000 persone -che equivale al 15,8% della popolazione-. E’ considerato povero un italiano su quattro con l’aggravante che nei paesi del sud la situazione è nettamente in crescita. Ovviamente la causa della condizione di povertà, in Italia, è per il 36% originata dalla perdita di lavoro.
Non vi sono dati provinciali ufficiali su queste statistiche ma non è difficile trarre conclusioni che appaiono assai preoccupanti per la nostra terra, ove parte della popolazione che ha perso il lavoro vive con dignità in uno stato d’indigenza.
E’ questa la ragione per la quale la Rete La Fenice vuole aderire alla “Proposta per un patto aperto contro la povertà” delle Acli e della Caritas Italiana che chiede l’inserimento, nella legislazione italiana, del Reddito d’inclusione sociale affinché nessuna famiglia viva al di sotto di un livello di vita “minimamente accettabile”.
Alla facile obiezione che in tempi di tagli alla spesa pubblica questa sarebbe un insostenibile aggravio bisogna opporre la forza di una battaglia di civiltà che giudica insopportabile una situazione che da ormai più di dieci anni vede l’Italia (unica nazione con la Grecia) destinare alle famiglie in povertà la più bassa percentuale di risorse: lo 0,1% del Pil mentre i quindici paesi che aderiscono all’euro vi destinano, in media, lo 0,4%.
Il percorso attuativo di questa politica ha preso in esame l’ammontare delle risorse che attualmente spende (male) il nostro Paese e, in riferimento a quanto speso nella media europea, prevede uno stanziamento addizionale di 6.062 milioni ripartiti in prestazioni monetarie: 4.982 mln per servizi alla persona e 1.078 mln, poco più di due milioni, per l’indispensabile monitoraggio e valutazione delle risorse destinate al progetto.
Va rilevato che nella modalità di attuazione di questa politica volta ai bisogni delle famiglie, tutto il sistema del welfare italiano ne trarrebbe vantaggio. Un primo risultato, è negli scopi della “Proposta”: realizzare l’“infrastruttura nazionale del welfare locale” ovvero dotare il territorio, attuando il principio di sussidiarietà orizzontale, di un sistema unitario che metta fine alla segmentazione attuale prevedendo la co-progettazione ed attuazione degli interventi fra enti locali, strutture pubbliche (i servizi socio-sanitari, i Centri per l’impiego, la scuola e la formazione professionale) e Terzo settore. Non di minore valore è poi la scelta di commisurare le soluzioni alle caratteristiche delle diverse aree per le molte differenze -per reddito ed opportunità di servizi e lavoro- esistenti sul territorio italiano. Ciò imporrà ai diversi attori di misurarsi con esse stimolandone la conoscenza e l’autonomia. Noi siamo pronti per questa ulteriore battaglia di civiltà da portare anche in ciociaria.
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