YUNUS E LA “BANCA DEI POVERI”
YUNUS: Con il Crédit Agricole la “Banca dei poveri” si concretizza sempre di piu’ in Europa.
di Mauro Stefanelli
Auspicabile in futuro un maggior coinvolgimento anche degli istituti italiani.
Lo storico accordo tra il premio Nobel 2006 per la pace Muhammed Yunus ed il presidente di Crédit Agricole Georges Pauget consolida in Europa le basi in materia di microfinanza.
Creata tra Crédit e Grameen Bank una fondazione alla pari in joint venture, con sede in Lussemburgo, con un capitale iniziale di 50 milioni di Euro.
Si ricorda che la Grameen Bank, altresì nota ai media come “banca dei poveri”, è dal 1976 che opera in Bangladesh, dove ha ancora il suo quartiere generale.
Con la mission di sviluppare iniziative imprenditoriali tra le classi meno abbienti, la Grameen sta in tutto il mondo vincendo la sua scommessa di business: “Prestare danaro alla povera gente non solo è eticamente ammirevole ma, a conti fatti, è anche economicamente redditizio”.
Come infatti l’economista Yunus tiene ad esibire in tutte le sessions cui partecipa, i dati del suo istituto sono in tal senso inequivocabili:
– Un capitale sociale di 6 miliardi di dollari Usa;
– Il Fiscal Year 2006 chiuso con un saldo attivo netto di bilancio di 20 milioni di dollari;
– 100 i paesi del mondo attualmente interessati;
– 7 milioni di clienti a livello global ancora prevalentemente concentrati nella penisola indiana (di cui il 97% donne);
– Un mercato potenziale di 1,5 miliardi di clienti per un valore di circa 300 miliardi di dollari come target di affidamenti, nonchè un trend di crescita annuo del 20-30%;
– Un tasso di rientro per i prestiti che supera addirittura il 99% (percentuale nettamente superiore agli standard delle concessioni del credito classico);
– Una formula vincente: Gli investitori molto spesso sono gli stessi debitori, a suo tempo incoraggiati (nel 93% dei casi di finanziamento) ad acquistare quote dell’istituto di credito e a diventarne così comproprietari.
Ad essere premiato da questo nuovo modo di “fare banca” è senza dubbio il desiderio di riscatto e la creatività dei soggetti beneficiari dei finanziamenti.
Il diritto al credito, quale nuova nozione nel vocabolario dei diritti umani, viene ad assumere dimensioni di vera e propria pietra miliare nei processi di pace internazionali.
Il raggiungimento di equilibri di distensione, infatti, transita indissolubilmente per contesti in cui a dominare sono l’equilibrio economico ed un’ equa distribuzione delle risorse.
Questa l’ottica in cui a Yunus è stato riconosciuto il Nobel due anni fa: Premiato proprio per la pace anziché per l’economia, interpretata, quest’ultima, come mezzo per il perseguimento della prima.
Vuoto per pieno il ‘Social Business’ messo in piedi in questi 30 anni dal benefattore di Chittagong, la comunità rurale del Bangladesh dove l’iniziativa partì, in prospettiva sarebbe in grado di emancipare dalla povertà il 60% della popolazione mondiale.
Ciò, ovviamente, qualora ci fosse un disegno politico di sostegno da parte dei diversi paesi.
Per tornare al Crédit Agricole, piu’ che blasonata istituzione creditizia transalpina, questa è stata la prima banca a stringere contatti con la Grameen per la realizzazione di un progetto comune di sviluppo del “credito etico”.
C’è da scommettere che i francesi avranno saputo fare bene i loro calcoli, non solo alla luce dei numeri di cui sopra, ma anche e soprattutto,se confrontati, dei “risicati” andamenti di crescita degli istituti di credito tradizionali occidentali.
Microleasing e microfactoring sono in agenda i due settori nei quali la neonata joint venture ha intenzione di cimentarsi nell’immediato; questi, oltre alla creazione di un fondo etico entro il 2009 dedicato alla microfinanza.
Il raggiungimento di 100 milioni di Euro di surplus, rispetto ai 50 milioni già stanziati all’inizio, sono stati considerati l’obiettivo sfidante per ampliare subito dopo il raggio d’azione geografico e potenziare così il mercato africano (avvalendosi dei canali creditizi dei paesi francofoni, soprattutto dell’area maghrebina).
In sintesi, diciamo che di carne al fuoco con questo matrimonio d’interessi ne è stata messa eccome.
Calandoci nella realtà nostrana, c’è da dire che, se in generale l’Europa non è stata sorda al richiamo etico e solidaristico dell’economista bengalese, l’Italia fino ad ora si è limitata a dei timidi approcci.
Il Bel Paese ha infatti attivato poco piu’ del 20% dei programmi microcreditizi europei, con circa 350 entità beneficiarie (pari all’1% della quota continentale), mentre le stime ufficiali del Bollettino statistico della Banca d’Italia, per l’arco temporale 2001/2005, hanno certificato che sono stati erogati soltanto 550 mila euro circa di microcrediti…
Della serie: Si può dare di piu’.
Per concludere con alcune mie considerazioni, penso sia indubbio che la realtà occidentale si presenti differente da quella terzomondista e dei principali paesi emergenti dove il bisogno di certi interventi è maggiormente sentito.
Ad ogni modo una cosa è certa: Parlare sempre di piu’ di finanza etica farà bene all’opinione pubblica…. Farà riflettere sugli ancora elevatissimi guadagni che i nostri istituti di credito realizzano sulla pelle della collettività.
Si comincia a proporre di tassare le banche e si scomoda come al solito Robin Hood, intitolandone addirittura una tax….:Mi sta bene per carità…..
Mi auspico però che si continui su questa strada, che si dia, consentitemi il gioco di parole, un “taglio alla forbice” ancora troppo larga tra tassi debitori e tassi creditori cui la clientela è sottoposta.
Ritengo che se si arrivasse ad avere delle banche “formato public company” nel vero senso della parola (la formula della partecipazione azionaria della Grameen naviga in questa direzione…), forse la musica cambierebbe davvero……
Sperare è d’obbligo
Mauro Stefanelli
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