RI-GENERAZIONE E INNOVAZIONE
di Luca Lauro
Walter Veltroni ieri scriveva a Repubblica una lettera per i giovani ma a ben vedere indirizzata ai sindacati, cioè, ai soggetti che negli ultimi anni sembra abbiano smarrito, più della politica, il senso del proprio ruolo in questa società e in questo sistema produttivo.
La politica, infatti, ha un mandato molto più ampio di quello sindacale che invece nasce, per definizione, a difesa di una parte e, se necessario, anche contro e con lotta, verso tutte le altre.
Del resto il cosiddetto ‘conflitto industriale’ è una nozione contenuta nei libri di diritto del lavoro, la cui spiegazione è fatta di una storia di lotta sul campo.
Scrivo quanto segue anche sulla scorta di un’esperienza di sindacalista nel pubblico impiego, dove in qualità di rappresentante eletto dai lavoratori nelle liste della Cgil per un periodo di oltre 2 anni, ho potuto nella mia realtà produttiva saggiare sul campo la forza, il contenuto e la trasparenza dell’azione sindacale realmente svolta.
Le mie conclusioni attuali, quindi, sono personali, ma in parte dirette.
La vera stortura economica degli ultimi 15 anni è stato il ruolo dei sindacati.
Negli anni ’70 hanno offerto una difesa a tutti e le conquiste che mano a mano venivano raggiunte erano estese erga omnes a tutti i lavoratori (lo statuto dei lavoratori è l’emblema di questo processo).
Poi a partire dal ’92 si è cominciato a distinguere fra chi poteva avere una pensione con il retributivo e chi con il contributivo col metodo a ripartizione, cioè, prendi quello che avanza se avanza;
la linea di confine fra sindacato e politica è evidentemente sbiadita in quel momento, cioè, il sindacato ha perso la sua posizione di terzietà a difesa di tutti i lavoratori, perché in a partire da quell’occasione ha scelto di limitare il suo intervento a favore di una base che in quegli anni era numerosa e solida, e oggi lo è sempre di meno e soprattutto anziana;
la oggi presenza dei vari Bertinotti, Marini, D’antoni, Cofferati, Del Turco, Benvenuto e altri ex-sindacalisti fra gli scranni della Camera e del Senato e in altre istituzioni democratiche rappresentative ne possono essere una prova.
Si sono create per legge figure di lavoratori che altro non sono che le stesse persone, le stesse braccia, inquadrate ad un livello di protezione giuridica inferiore e i sindacati non solo non si sono opposti, ma hanno favorevolmente e consapevolmente accompagnato il varo di queste leggi;
proprio l’esistenza di figure come il precario permettono in un sistema economico ma anche nella micro realtà di impresa di mantenere in vita contratti di lavoro più costosi dove non è possibile licenziare nè pretendere che la prestazione sia più efficiente:
sono di fatto categorie diverse e contrapposte (sebbene ci sono molti lavoratori a tempo indeterminato anche molto efficienti e bravi, nonché sottopagati).
Oggi rimane un grosso punto di domanda:
la politica di sinistra ha sempre fatto leva sui sindacati per coinvolgere le masse;
ora, come intende riaffermare e riproporre la propria azione e i propri ideali senza il consenso che queste importanti strutture una volta, di sicuro, potevano garantire?
La risposta per me sta tutta nella capacità di tramutare in leggi e fatti quanto promesso nel programma elettorale dell’Unione e soprattutto relativamente agli obiettivi di redistribuzione dei redditi, dell’innovazione di sistema e della ricerca e della lotta al precariato;
sono temi che ancora attendono segnali di risposta e svolte tangibili sicchè nei 5 mesi che abbiamo davanti potremo aspettarci di tutto.
Penso almeno a tre scenari.
Il primo, che le primarie del 14 ottobre potrebbero segnare un grande successo dell’Ulivo, cioè, la riaffermazione dell’attuale asset politico e della relativa proposta (quella contenuta nel programma era abbastanza buona e condivisa sebbene rimasta in buona parte sulla carta).
Il secondo scenario, prefigura una definitiva sconfitta etico morale di chi ha usato valori forti di sinistra e storicamente costati enormi sacrifici anche in termini di vite umane solo per mantenere la poltrona su cui è seduto.
Potrebbe esserci una terza possibilità.
Che si scateni un dibattito sui contenuti strepitoso che veda impegnata tutta la società civile, che coinvolga i mass media e la popolazione sull’identità e l’azione di una nuova forza politica, i cui contenuti e valori siano incentrati sulla necessaria ri-generazione di sistema e sulla ri-innovazione di sistema, parole che non dicono niente senza i fatti, ma che prefigurano cambiamenti epocali anche nella visione degli occhi più disperati;
un dibattito dove chi ha intenzione di partecipare si rimetta seriamente in gioco rischiandola la poltrona, mettendola su un piatto della bilancia e ponendo sull’altro piatto la credibilità dei contenuti di cui è generatore, ispiratore o rappresentante, dimostrando sul campo il proprio valore politico;
quello sarebbe, sostanzialmente e al di là dei simboli, delle etichette e delle regole nuove, il successo del Partito Democratico.
Possiamo ancora crederci?
La sentenza è una questione di giorni, il processo è aperto.
Luca Lauro
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