L’UOMO CHE VINSE DUE VOLTE
di Enzo Tripaldi
“Evvai!”. E’ stato questo il generale commento del centrosinistra italiano all’annuncio dei primi dati ufficiali delle presidenziali statunitensi. Al quale si unita anche la sinistra e qualcuno di destra.
Barak Obama è il 44° Presidente USA. Tutti o quasi pazzi per l’ex senatore dell’Illinois.
La storia tuttavia va ricordata per intero e non solo nelle sue battute finali, altri momenti ben più decisivi hanno segnato il successo di Obama.
Ad onor del vero il miracolo l’avrebbe dovuto compiere il suo avversario, quel John McCain che partiva con gli otto anni dell’era Bush sul groppone, un’amministrazione screditata, impantanata su molti teatri internazionali ed accusata di aver fatto poco per prevenire il ciclone finanziario degli ultimi tempi.
Ma chi era Barak Obama? Basta riavvolgere il nastro di un paio di anni. Un senatore del PD americano, un “emergente” lo definirebbero in Italia, uno cui occorreva ancora un po’di gavetta.
Al momento della sua discesa in campo, molti hanno mostrato solo simpatia, altri scetticismo, soprattutto il PD americano puntava su un altro cavallo: Hillary Clinton.
Gli stessi toni della lotta nelle primarie dell’asinello, la stessa “stampa amica”, hanno cercato di affibbiargli addosso l’immagine di un candidato competitivo, nuovo, ma ancora acerbo.
Mentre Obama lavorava con caparbietà alla sua proposta, alla sua vittoria, utilizzando con genialità il web, l’etablishment democratico era per lo più schierato con la Clinton.
La disputa fra i due è stata serrata, è volato anche qualche colpo basso (e non dal senatore afroamericano), che successivamente i repubblicani hanno cercato di rilanciare con modesti risultati.
Qui nasce l’impresa di Obama, la vera lezione del “popolo democrat” è stata quella di ribellarsi nelle urne al candidato appoggiato dal partito, è stato più difficile superare Hillary Clinton del settantaduenne John McCain. Chi oggi esalta la “lezione americana” dovrebbe anche riconoscere questa decisione rivoluzionaria dell’elettorato democratico. Il cambiamento non è solo stato annunciato, auspicato, esso si è concretizzato con la nomination dell’outsider Barak Obama.
Ecco perché ha vinto due volte.
Anche sull’altro fronte d’altra parte ha prevalso il candidato meno amato del partito, che avrebbe preferito (ed ha sostenuto) Mitt Romney e Rudolph Giuliani.
A McCain qualcosa di più dell’onore delle armi, dopo aver dichiarato che “Obama è il mio presidente” si è spinto sino a dire “Questa è un’elezione storica, ed io riconosco lo speciale significato che riveste per gli afroamericani e per il particolare orgoglio che deve essere il loro questa sera”. Non prima di aver chiamato il vincitore per congratularsi e comunicagli “…il mio rispetto per le sue capacità e la sua perseveranza”.
Gli americani, il mondo ora si augurano una forte “rottura” Con il permesso del pauroso deficit americano dovrebbe essere impostata una nuova politica economica, più attenta alle fasce più bisognose. Le maggiori speranze riguardano però gli scenari internazionali: si dovrebbe ripartire da zero per tessere un dialogo (con il contributo dell’interlocutore) sul dossier – Iran, mentre seppur abbandonando la dottrina “bushiana” dell’attacco preventivo, è difficile che, a breve, vi sia un radicale cambiamento della strategia in Iraq ed Afghanistan. Se sono divisi su alcuni temi, su altre partite democratici e repubblicani registrano più differenti sfumature che reali divergenze.
Dovrebbe mutare la sensibilità dell’amministrazione verso i problemi del clima, si vedrà di quanto.
Questa elezione potrà dare una spinta alle aggregazioni non conservatrici del vecchio continente?
Certo che si, ma sarà meno intensa di quanto si spera, le socialdemocrazie, i riformisti, la sinistre europee ci dovranno mettere molta applicazione.
Resta il fatto che un quarantasettenne sarà a capo della più grande potenza mondiale.
Good luck Mister Obama !
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