INTERVISTA A WALTER VELTRONI
Veltroni: con Berlusconi democrazia svuotata Come la Russia di Putin
«Dove porterà la continua conversione del governo in potere?»
ROMA — Walter Veltroni, perché lei parla di «bullismo al governo »?
«Perché vedo un cambio di passo in questa legislatura, uno scarto rispetto ai governi della storia repubblicana. La società italiana e occidentale vive in uno stato di angoscia che non ho mai visto da quando sto al mondo. Mi viene in mente Dickens: “Era il migliore e il peggiore dei tempi, era il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione”. Anche nel nostro tempo accadono meraviglie: la scienza, la comunicazione. Eppure in Italia vedo prevalere i segni del tempo peggiore. Sulla fiducia vincono paura, chiusura, arroccamento. E la paura è un moltiplicatore della crisi. Quando una società ha paura, è tentata dal barattare democrazia per decisione. È una sorta di maleficio: ogni volta che la crisi democratica si è saldata con la crisi sociale e con il prevalere di suggestioni populistiche e autoritarie, sono accadute le tragedie peggiori nella storia dell’umanità».
Siamo messi così male?
«Viviamo un tempo che ha in sé gravi rischi. Se non ci sarà una sufficiente controreazione, rischiamo di veder realizzarsi anche in Italia il modello Putin. È il rischio di tutto l’Occidente. Una democrazia sostanzialmente svuotata. Una struttura di organizzazione del potere che rischia di apparire autoritaria. Il dissenso visto come un fastidio di cui liberarsi, la divisione e l’autonomia dei poteri come un ostacolo da rimuovere »
L’incapacità di decidere è stata fatale al centrosinistra.
«È vero. Sono il primo a dire che la democrazia è anche decisione. Ma la democrazia prevede che si governa pro tempore, non che si è al potere. Che si governa nell’interesse di tutti i cittadini, non di una fazione o di una persona. Loro invece si comportano come gente che ha preso il potere. Il capo del governo oscilla dal discorso alla Adenauer del primo giorno a una quotidianità in cui il capo dell’opposizione è definito ora “un fallito”, ora “un funambolo”, ora “inesistente”. L’hanno fatto con Rutelli, con Prodi, adesso con me. Una cosa che non avviene in nessun Paese del mondo».
Dove vede i segni del «modello Putin»?
«Il governo tratta il Parlamento come fosse una perdita di tempo, una rottura di scatole, un impedimento. Ora, mi è evidente la lentezza dei lavori parlamentari; ma il rimedio è ridurre le Camere a una e i parlamentari alla metà, non impedire di discutere e migliorare leggi che sono discutibili e migliorabili. Il governo ha l’obiettivo di far male ai sindacati. Ora, io sono tra coloro che stimolano il sindacato ad assumere un atteggiamento riformista. Ma indebolire i sindacati è una scelta suicida, il cui risultato è la proliferazione delle rappresentanze autonome e corporative. Il governo addita negli immigrati un nemico; ma se espelli un uomo dalla società, si comporterà come un espulso, e avremo un Paese non più sicuro ma meno sicuro, in cui già ora accadono episodi gravissimi di intolleranza, di caccia allo straniero. L’assassinio di Abdul per un pacco di biscotti è un segno del tempo peggiore. C’è tutto: la povertà, l’esasperazione, il razzismo. E i genitori che dicono: “Pensavamo di essere italiani, abbiamo scoperto di essere neri”».
Il movente razzista è stato escluso dalla Procura.
«Ma è stato ammesso da La Russa. Del resto, non ho mai sentito di un ragazzo sprangato al grido di “sporco bianco”. Ancora: il governo ha nel mirino le autorità indipendenti; ora toccherà a quella per l’energia e il gas; l’indipendenza dà fastidio. Il governo muove all’attacco della magistratura. Anche noi vogliamo la riforma, convocheremo gli Stati generali della giustizia per discuterla; ma ci preoccupano i diritti di sessanta milioni di cittadini, non i problemi di uno solo. E, per la scuola, l’idea di bocciare alle elementari e alle medie i ragazzi che hanno anche solo un’insufficienza significa favorire l’abbandono e l’elusione scolastica, specie tra i più poveri; qualcosa che farebbe accapponare la pelle a un uomo come don Milani».
Di «putinizzazione» parlò in piazza Navona Flores d’Arcais. Non teme di essere accostato all’opposizione più radicale?
«Questa preoccupazione l’hanno espressa in molti, anche molti moderati. E poi non c’è nulla di più radicale di quello che stanno facendo loro. Radicalità non nel cambiamento, ma nella sistematica conversione del governo in potere. La mia non è solo una denuncia, è anche un appello. Ripristiniamo le condizioni minime, fisiologiche del confronto. Guardiamo agli Stati Uniti, dove Bush chiama e i democratici rispondono. Bush non ha insultato Obama, l’ha consultato. Così funzionano le grandi democrazie. Ci vuole un po’ più di moderazione; ma la moderazione è estranea a un governo che ha un’idea sostanzialmente autoritaria delle relazioni con chi è diverso. Mi chiedo dove diavolo arriveremo».
Si è offeso per le polemiche su Alitalia?
«Guardi, qui in casa mia, su quei due divani là in fondo, si sono seduti Epifani e Colaninno, e hanno trovato l’accordo. Io ho un giudizio pessimo di come il governo ha gestito la vicenda, compresa la scelta di una cordata non si sa in base a quali principi. Avrei potuto lasciare che il governo andasse a sbattere e ne pagasse le conseguenze. Ho fatto una scelta diversa, recuperando una trattativa che era morta, con la cordata che dopo aver scaricato i debiti sui contribuenti intendeva scaricare sui lavoratori ulteriori margini di profitto. In un Paese civile, il capo del governo in questi casi dà atto al capo dell’opposizione. Costa tanto fare questo sforzo? Ma lui, che vive nel terrore della comunicazione, improvvisa uno spot a freddo contro di me, si inventa che avrei fatto saltare la trattativa che invece stavo riannodando».
Sull’Alitalia il Pd è stato a lungo in difficoltà. Del resto, il vostro ministro ombra è il figlio del capo della cordata.
«Lei non pensa che in Italia cominci a esserci un pensiero unico? Sono stanco dell’assenza di una coscienza critica che ignora la trave e si concentra sulla pagliuzza. Il premier è padrone di mezzo Paese, sua figlia entra nel consiglio di Mediobanca, e il conflitto di interessi è quello di Matteo Colaninno? Se in passato l’egemonia della sinistra ha asfissiato la destra, ora l’egemonia della destra asfissia il Paese. C’è un clima plumbeo, conformista, come se a chi governa fosse consentita qualsiasi cosa. La Gelmini arriva a Cernobbio in elicottero, come neppure Dick Cheney. Il premier non va all’Onu, non partecipa alla trattativa Alitalia, per andare al centro Messegué; senza che nessun tg lo dica. Leggo sull’Espresso che a San Giuliano c’è stata una selezione tra gli operai, per fargli incontrare solo quelli più bassi di lui. Non so come li abbiano trovati; so che queste cose accadono nei sistemi autoritari. Ma i riflettori vengono puntati su di noi. Se un dirigente locale del Pd fa una critica, finisce in prima pagina. Se il sindaco di Roma smentisce Berlusconi sulla legge elettorale per le Europee, finisce in un colonnino».
Lei teme anche per l’indipendenza dei giornali?
«Sì. È giusto che il governo cambi con un provvedimento amministrativo le regole di erogazione dei fondi pubblici ai quotidiani, riportandolo sotto il suo controllo? È giusto che, in questo clima asfissiante, chiudano il Manifesto, il Secolo, Liberazione, Europa? Un clima in cui il sedicente portavoce del governo definisce Leoluca Orlando “esponente di un partito contrario ai valori della libertà e della democrazia”. Come se spettasse al dottor Bonaiuti dare patenti di libertà e democrazia».
A proposito di Rai, qual è il vostro candidato alla presidenza?
«Il presidente è un tassello di un percorso. Che deve cominciare con l’elezione di Orlando alla Vigilanza. Noi accettammo Storace; perché loro non possono accettare un esponente del partito di Di Pietro, cui Berlusconi offrì il Viminale? Poi occorre riformare la governance della Rai. Se le regole non cambiano, e se c’è il consenso sul nome di Petruccioli, per noi va bene. Ma è la destra a essere divisa: tra chi vuole alla direzione generale Parisi e chi vuole Gorla, tra chi vuole dare al direttore generale più poteri e chi no. Io non mi opporrei a rafforzarlo, se questo significa ridimensionare il peso dei partiti in Rai. Purtroppo il pensiero unico prevale anche in televisione. Al riguardo, non può non essere visto con grande preoccupazione l’annuncio de La7 di voler licenziare 25 giornalisti; di tutto c’è bisogno in Italia tranne che di limitare ulteriormente la libertà d’informazione».
È sicuro di aver fatto bene a lasciare il comitato per il museo della Shoah?
«Sì. Al clima plumbeo concorre pure la rivalutazione del fascismo. Il museo della Shoah era un’idea della comunità ebraica e mia. Il nuovo sindaco ha fatto l’apologia di un regime che, ben prima delle leggi razziali, ha provocato la morte di tutti i capi dell’opposizione: il liberale Gobetti, il comunista Gramsci, il socialista Matteotti, il cattolico don Minzoni, gli azionisti Carlo e Nello Rosselli. Il giorno dopo, anziché correggersi ha aggravato le cose, condannando l’esito ma non la natura del fascismo. Con un sindaco che non si mette a urlare di fronte ai saluti romani, gli stessi saluti che hanno accompagnato gli uomini che andavano a morire a via Tasso o alle Ardeatine, per me è difficile discutere della Shoah».
Non la preoccupa anche lo stato del Pd? I prodiani la attaccano e Prodi tace. Il partito è diviso in ogni regione, in Sardegna la bega finisce in tribunale. Dopo D’Alema, pure Rutelli annuncia la sua corrente. «No, non sono preoccupato. Lo ero sino ad agosto. Ma da settembre, dalle feste e dalla summer school, dal contatto con il nostro popolo, credo siamo usciti tutti convinti che va benissimo il pluralismo culturale, non il correntismo esasperato. Abbiamo una base molto forte e molto sana. Nei sondaggi stiamo risalendo. Il clima sta cambiando. Lo vedremo quando tra quattro settimane manifesteremo contro la politica economica di un governo che occulta la povertà, non si occupa di prezzi e salari, fa sparire pure i soldi della social card. La destra pagherà la sua confusione culturale, il passaggio brusco e zuzzurellone da Reagan a Zhivkov, dalla deregulation allo statalismo. Il tempo migliore può ancora prevalere sul tempo peggiore».
Aldo Cazzullo – Corriere della Sera
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