Sempre meno laureati
Notizia di questi giorni è il costante calo di laureati nel nostro paese. Ovviamente si registra nel contempo la diminuzione di professori ed il generale de-finanziamento delle università e della ricerca.
Se studenti e professori sono diminuiti del 20% probabilmente anche la spesa ha seguito un andamento simile, comunque l’evoluzione dei costi in generale sempre aver penalizzato gli investimenti con il risultato di avere università con sempre meno insegnanti, attrezzature, studenti.
Il primo grido che si è levato è stato: “più soldi per l’università” (qualsiasi cosa accada nel nostro paese la prima richiesta è sempre quella).
Altre statistiche ci dicono che nel nostro paese non c’è lavoro per i laureati (nemmeno per gli operai a dire il vero). C’è richiesta di tecnici specializzati, chiamiamoli “superdiplomati” ovvero di figure più che idonee a svolgere un certo lavoro ma che costino il meno possibile. Va da se che un laureato è un ottimo operatore di call center, la sua laurea viene declassata a “superdiploma”.
Allo stesso tempo la laurea nel nostro paese è condizione spesso non necessaria per raggiungere posizioni elevate. All’estero invece i nostri laureati trovano lavoro e fanno carriera a conferma che le nostre università sono comunque in grado di produrre eccellenza, ovvero laureati eccellenti (merito anche delle qualità individuali, spesso sovrabbondanti nel nostro paese).
Tentiamo una sintesi:
Il valore della laurea è molto scarso nel settore privato (non distingue, non discrimina). Amicizie, parentele, conoscenze, possono tranquillamente controbilanciare qualsiasi brillante curriculum accademico. Rimane un pezzo di carta il cui valore è variabile, una sorta di biglietto di invito, se ne sei in possesso spesso vale poco (vedi che fanno entrare pure chi non ce l’ha), se non ce l’hai vali poco tu, dipende dal buttafuori alla porta del locale.
Nel settore pubblico è solo un indispensabile titolo di accesso (una specie di biglietto di entrata al cinema.. si strappa all’’ingresso.. i posti sono numerati… è bene conoscere la bigliettaia per non trovarsi nelle ultime file). Una volta entrati altri meccanismi permettono di guadagnare i posti migliori.
Nelle professioni vale quanto detto nel settore pubblico con l’’aggravante che si tratta di lavoro privato e quindi il biglietto è senza numero e non da neanche diritto a sedersi (capace che entri, resti in piedi e non vedi nulla…; importantissimo conoscere qualcuno delle prime file e saper sgomitare).
La laurea pur costituendo effettivamente in molti casi una barriera all’’entrata (se uno ne è privo,… ma si sa.. i titoli, se proprio serve, in qualche modo si possono acquisire), non garantisce ne un lavoro, ne del lavoro, ne un carriera, ne un certo livello di reddito.
In concreto un investimento molto rischioso.
In generale quindi studiare non conviene…, o comunque conviene poco a molti e molto a pochi, ed essendo l’offerta di qualsiasi bene o fattore sempre elastica sul lungo periodo, ad un calo della domanda o comunque dei prezzi non può che seguire una diminuzione dell’offerta. Aggiungiamo che questa diminuzione dell’offerta è stata in qualche modo politicamente auspicata con l’innalzamento delle barriere all’accesso ai corsi di studi, questo attraverso l’aumento delle tasse universitarie senza il finanziamento di borse di studio (tagliamo fuori le fasce più povere, art. 34 della Costituzione… marameo); ma anche con l’introduzione del numero chiuso e di un sistema di selezione (quiz per tutti) che ha già dimostrato di essere assolutamente inadatto, inadeguato e sbagliato visto che la percentuale di insuccesso (iscritti mai laureati) non è variata, per non parlare degli scandali e del “mercato” (corsi, testi, ecc.) che questo sistema ha messo in piedi.
Per concludere, la statistica conferma nonostante tutto che ancora esiste una proporzionalità tra il titolo di studio ed il reddito pro-capite. Mediamente i laureati guadagnano di più dei diplomati, ed i diplomati più del solo obbligo scolastico, ma allo stesso tempo si osserva che i titoli di studio si “tramandano” in genere da padre in figlio.
Viene da domandarsi se è laurea che permette un maggiore reddito e benessere o al contrario è il benessere che implica la laurea ? Se, come penso io, la condizione familiare è sempre più una importante premessa per il raggiungimento di titoli di studio superiori una certa responsabilità per la diminuzione dei laureati è certo attribuibile all’impoverimento delle famiglie italiane, che non possono più permettersi di far studiare i figli oppure preferiscono di non investire nello studio (visto il rischio di insuccesso, vedi call center) e preferiscono favorire altre iniziative come il commercio, il lavoro autonomo, l’artigianato e anche, come giornali e TV spesso sottolineano, un ritorno alle attività agricole.
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