Quella paralisi di fine impero
Ma cos’altro bisogna tentare per scalfire questo muro opprimente dello spread? Rispetto a questa domanda i ministri dell’Economia dell’Eurogruppo riuniti ieri a Brussels apparivano ancora più impotenti dopo che persino il tanto celebrato vertice che si è tenuto dieci giorni fa e che era parso a tutti segnare una discontinuità rispetto al passato, si è dimostrato incapace di invertire l’inarrestabile aggravarsi della crisi: i progressi che dopo l’incontro erano stati realizzati in termini di risparmi potenziali nel costo di finanziamento del debito pubblico di Italia e Spagna sono stati in solo dieci giorni completamente spazzati via.
Cosa manca allora dopo ventisette vertici dall’inizio della crisi più grave che l’Unione Europea abbia mai affrontato? Cosa continua a mancare in una rincorsa affannosa che vede i governi europei costretti nella scomoda posizione di un medico al quale rimane solo la possibilità di comprare tempo in attesa che a qualcuno venga un’idea?
Molti commentatori continuano ad invocare passi decisi verso l’unione fiscale. Tuttavia, essa non può che esigere anche un’unione politica che pur essendo teoricamente la soluzione, appare oggi improponibile per la stessa mancanza di condizioni politiche che l’inconcludenza dei vertici fa emergere. Voler fare, in questo momento, il salto verso gli Stati Uniti d’Europa tra Paesi che neppure si riescono a mettere d’accordo sull’utilizzazione di 500 miliardi di Euro da attribuire al fondo creato per assicurare la stabilizzazione finanziaria (ESM), sarebbe un po’ come per una coppia decidere di fare un figlio quando si è in crisi: le difficoltà verrebbero accantonate momentaneamente per la necessità di rispondere alla nuova sfida solo a costo di esporsi a guai ancora più devastanti nel giro di pochi mesi.
All’Unione politica mancano, del tutto, opinioni pubbliche europee, meccanismi istituzionali e modelli di partecipazione che costringano le nuove istituzioni a rispondere nei confronti dei contribuenti europei dell’utilizzazione di risorse pubbliche: più grave ancora è il fatto che sia mancato un qualsiasi serio investimento nella direzione della costruzione di un demos europe senza il quale l’Unione politica rischia paradossalmente di sancire una nuova drastica lacerazione tra classi dirigenti e cittadini.
Molto più utile è, come segnala il think tank Breugel, lavorare più pragmaticamente su quella che è la contraddizione più forte che si legge in tutti gli atti dell’Unione: la distanza tra gli annunci con i quali si cerca di placare i mercati, e l’implementazione che lasciano regolarmente gli operatori economici, finanziari e persino i cittadini nella più totale incertezza.
Anche per ciò che concerne, l’ultimo vertice la realizzazione concreta delle due più importanti decisioni prese – la possibilità che l’ESM intervenga direttamente nell’abbassare il costo del debito pubblico dei Paesi in maggiore difficoltà e nella ricapitalizzazione delle banche – è condizionata da almeno cinque aspetti si sa troppo poco per indicare che una strada precisa è stata intrapresa: quale è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatta l’operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tali indicatori l’assistenza finanziaria verrebbe fornita ed in che misura ai vertici – governi per gli Stati e management per le banche – sarà concessa l’autonomia per raggiungere tali obiettivi e quando scatterebbe al contrario l’alternativa di sostituire di fatto chi ha assunto le decisioni che hanno creato il problema? Fino a quando l’intervento di supporto deve e soprattutto può continuare e, considerando che le risorse attualmente a disposizione del meccanismo di stabilizzazione sono una frazione molto piccola dei debiti sovrani e bancari da garantire, attraverso quali meccanismi è possibile immaginare un suo rifinanziamento? Quali criteri di informazione sui rischi – nel caso delle banche – e omogenizzaione delle contabilità pubbliche – in quello dei governi – devono essere rispettati da tutti gli aderenti al patto in maniera tale che il soggetto deputato a stabilizzare possa identificare le crisi prima che esse si materializzino? Ed infine chi governa l ‘intero processo nelle due diverse aree di consolidamento degli Stati e delle istituzioni finanziarie e su quali basi giuridiche verrebbero perseguiti eventuali inadempimenti considerando che i soggetti regolati sono sovrani o comunque soggetti a leggi nazionali?
Stati e Banche rappresentano, ovviamente, questioni diverse sia per motivi tecnici che politici e, tuttavia, le due crisi gemelle avvicinano i due problemi e impongono un approccio in una certa misura simile.
La soluzione, a mio avviso, deve essere in entrambi i casi quanto più lineare è possibile: uno o due organismi – certamente uno dei quali deve essere la Banca Centrale Europea – devono essere dotati della capacità autonoma di intervento e della possibilità di finanziarsi o attraverso aumento della quantità di moneta oppure attraverso obbligazioni garantite dai Paesi dell’Eurozona collettivamente. I livelli di rischio ai quali corrisponda l’attivazione di pre definite tipologie di intervento devono essere stabiliti in anticipo in maniera tale da rendere più credibile l’impianto di stabilizzazione e ridurre le possibilità di doverlo effettivamente scattare. La capacità di risposta deve essere potenzialmente illimitata in maniera da scoraggiare gli speculatori e le soglie oltre le quali intervenire devono essere fissati a livelli sufficientemente bassi per limitare i rischi.
Un vertice come quello consumato nelle ore della semifinale tra Italia e Germania avrà impatto: le possibilità però che esso diventi l’ennesima occasione per salvare chi meriterebbe di uscire dalla partita con l’effetto di aumentare la propensione all’azzardo morale, sono però assolutamente uguali a quelle che costituisca un buon equilibrio tra necessità di non uccidere il malato ed esigenza assoluta di una modifica dei comportamenti che ne hanno determinato la malattia.
Tutto dipenderà dai dettagli nei quali spesso il diavolo si nasconde. Questi dettagli mai più devono essere rimandati da un vertice ad un altro , passando da livelli politici ad altri più tecnici. Non necessariamente tutti gli aspetti potranno essere stabiliti una volta e per tutte e correzioni del meccanismo sulla base dei risultati dovrà essere previsto. Ma perlomeno una strategia chiara deve essere chiaramente condivisa in maniera da far capire a tutti in che direzione – nei prossimi anni e non nei prossimi giorni – ci si vuole muovere per salvare un progetto – quello europeo – che merita visione e pragmatismo.
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