CLEAN BEHAVIOUR E CARBON MARKET
Clean Behaviour e Carbon Market: la Democrazia e il mercato sfidano il Climate Change
La riflessione di Innovatori Europei (pubblicata su PD MAGAZINE)
Lo sviluppo sostenibile del nostro Pianeta passa per una nuova organizzazione della Società.
Il recente summit dei G8 in Giappone ha dimostrato ancora una volta la sostanziale incapacità dei governi nazionali di farsi carico dei problemi che assillano il pianeta nella sua globalità. La crescita economica rappresenta ancora l’idolo sul cui altare si sacrifica ogni altro valore, compreso l’ecosistema Terra ed il futuro delle prossime generazioni. Per decenni l’Occidente ha vissuto contraendo enormi “debiti ecologici”, che ora cominciamo tutti a pagare con gli interessi; la situazione è poi aggravata dalla globalizzazione che, permettendo a milioni di persone di uscire da una condizione di povertà, ha anche impresso una frenetica accelerazione al riscaldamento globale.
Esiste una sola via d’uscita da questa spirale autodistruttiva: la presa di coscienza che ogni nostra azione lascia un’impronta sul pianeta, un’impronta, la cosiddetta carbon footprint. Dobbiamo allora imparare a “camminare più lievemente” sul nostro Pianeta, e noi cittadini delle nazioni più ricche ed evolute abbiamo il dovere di perseguire e diffondere questo nuovo stile di vita.
L’obiettivo strategico di questa svolta è l’affermazione di un nuovo modello macroeconomico globale, che qui chiamiamo “Clean Economy”. Secondo questo paradigma, gli impatti ambientali derivanti da qualunque attività umana sono considerati a tutti gli effetti “passività contabili”, che devono trovare una corrispondente voce di “attività contabile” che ne azzeri i costi. In un contesto siffatto, sono chiaramente vincenti tutte le forme di produzione che sono nativamente ad impatto zero, mentre quelle tradizionali devono sopportare costi aggiuntivi e tendono pertanto ad essere non concorrenziali e quindi progressivamente abbandonate.
Occorre innescare un processo virtuoso che, sfruttando le leggi del mercato, determini l’emersione ed affermazione di questo nuovo modello economico globale: tutti noi, in quanto abitanti del pianeta Terra ed attori di un mercato globale, possiamo agire sviluppando la domanda di prodotti e servizi ecosostenibili, scegliendo l’offerta che “costa meno” secondo questa nuova definizione di “costo”. La vera sfida consiste, infatti, nel diffondere nella società civile una consapevolezza ambientale che si traduca in comportamenti e buone pratiche quotidiane, che nel loro insieme definiamo “Clean Behaviour”. Queste azioni vanno dagli accorgimenti quotidiani per la riduzione dei consumi di energia ad interventi più strutturati di efficientamento energetico degli edifici, installazione di impianti di generazione da fonti rinnovabili, progetti di energy management, di trasporto sostenibile, produzione sostenibile etc., sia in ambito business che domestico.
Le soluzioni sono ormai note, la tecnologia è in gran parte già disponibile; per diffondere il Clean Behaviour ed accelerare la transizione di paradigma economico i fattori critici di successo sono:
1. Sfruttare l’attuale crisi energetica, che da congiunturale sta diventando a tutti gli effetti strutturale, come opportunità offerta dal mercato per sensibilizzare tutti sui risparmi immediati che nascono da comportamenti eco-compatibili;
2. Adottare Internet come paradigma di processo bottom-up, autenticamente democratico e direttamente partecipativo. Il Web è esploso nel momento in cui si è configurato come rete peer-to-peer in cui tutti collaborano alla creazione e diffusione dei contenuti: lo stesso modello va adottato per creare e condividere conoscenza sul tema del Clean Behaviour. È importante notare che la “rete intelligente” sarà anche molto probabilmente il modello di generazione e distribuzione dell’energia del futuro, in cui ciascun utente sarà potenzialmente produttore e consumatore di energia, esattamente come nel Web 2.0 il navigatore ha un ruolo di creatore e fruitore di contenuti.
3. Gli Stati devono creare le condizioni di consolidamento di una massa critica di “politiche” che possa scatenare un processo irreversibile. Ciò può avvenire incentivando gli investimenti in iniziative di Clean Behaviour attraverso strumenti normativi (standard a livello internazionale) ed economici (sgravi fiscali, finanziamenti agevolati di livello sovra-nazionale).
In conclusione, le risorse necessarie per raggiungere questi traguardi possono essere trovate sia investendo sui risparmi economici ottenuti dal “Clean Behaviour”, sia utilizzando gli strumenti finanziari più sofisticati del Carbon Market, la piattaforma finanziaria “nata” con il Protocollo di Kyoto del 1997: quest’ultima rappresenta il “propulsore” di mercato necessario ad avviare un nuovo “motore” di Sviluppo Sostenibile, una nuova Società incentrata sul “Clean Behaviour” appunto.
Massimo Preziuso, Alberto Zigoni, Stefano Casati
Innovatori Europei – Energia
PARTENARIATO SOCIALE EURO MED
Il partenariato sociale, culturale e umano dell’area euro-mediterranea
di Giuliana Cacciapuoti – Facoltà di studi arabo islamici e del Mediterraneo “Università di Napoli l’Orientale” ed Innovatori Europei EUROPA
Abstract: Idee per dotare le regioni meridionali dell’area mediterranea di strumenti informativi e formativi al fine di ampliare e consolidare le opportunità di formazione professionale in una prospettiva di crescita occupazionale, della crescita sociale e civile e di nuovo welfare dell’area euro-mediterranea
E’ utile evidenziare il quadro europeo di riferimento. Nell’ambito delle attività europee due temi generali possono indirizzare la programmazione, il 2007 è stato l’anno europeo delle Pari Opportunità e il 2008 in corso è stato designato “ l’anno europeo per il dialogo interculturale.”
Quadro normativo e degli accordi internazionali di riferimento
Per quanto concerne gli accordi internazionali il principale punto di riferimento é la dichiarazione di Barcellona con la quale, sulla base degli orientamenti già definiti dai Consigli europei di Lisbona (giugno 1992), Corfù ( giugno 1994) e Essen ( dicembre 1994) e alle proposte della Commissione, l’Unione europea (UE) ha deciso di istituire un nuovo contesto per le sue relazioni con i paesi del bacino mediterraneo in vista di un progetto di partenariato. Questo progetto si è concretato in occasione della conferenza di Barcellona che ha riunito, il 27 e 28 novembre 1995, i quindici ministri degli Esteri degli Stati membri dell’UE e quelli dei seguenti dodici paesi terzi mediterranei (PTM): Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese. Sono stati invitati anche la Lega degli Stati arabi, l’Unione del Maghreb arabo (UMA) e la Mauritania (in qualità di membro dell’UMA).
La conferenza ha gettato le basi di un processo che avrebbe dovuto portare all’istituzione di un quadro multilaterale di dialogo e di cooperazione tra l’UE e i paesi terzi mediterranei. In occasione di questo incontro, i 27 paesi partecipanti hanno adottato all’unanimità una dichiarazione e un programma di lavoro. La dichiarazione euromediterranea definisce, infatti, un quadro multilaterale che associa strettamente gli aspetti economici e di sicurezza e comprende, inoltre, la dimensione sociale, umana e culturale.
Il partenariato social culturale e umano ispiratore della proposta progettuale
Ai sensi della dichiarazione di Barcellona, si è convenuto di instaurare un partenariato in ambito sociale, culturale ed umano finalizzato al ravvicinamento e alla comprensione tra popoli e ad una migliore percezione reciproca. Il partenariato si fonda da un lato, sul delicato compromesso tra l’esistenza, il riconoscimento e il rispetto reciproco di tradizioni, di culture e di civiltà diverse su entrambe le sponde del Mediterraneo e dall’altro, sulla valorizzazione delle radici comuni. In tale ottica, la dichiarazione di Barcellona e il suo programma di lavoro pongono l’accento su :
– l’importanza del dialogo interculturale e interreligioso;
– l’importanza del ruolo dei mezzi di comunicazione di massa ai fini della conoscenza e della comprensione reciproca tra culture;
– lo sviluppo delle risorse umane nel settore della cultura: scambi culturali, conoscenza di altre lingue, attuazione di programmi educativi e culturali rispettosi delle identità culturali;
– l’importanza del settore sanitario e dello sviluppo sociale e il rispetto dei diritti sociali fondamentali;
– la necessità di coinvolgere la società civile nel partenariato euro mediterraneo e il rafforzamento degli strumenti della cooperazione decentrata per favorire gli scambi tra i diversi settori dello sviluppo;
– la cooperazione nel settore dell’immigrazione clandestina e della lotta al terrorismo, al traffico di droga, alla criminalità internazionale e alla corruzione.
La proposta progettuale nell’ambito della programmazione europea
Nella valorizzazione della dimensione umana sociale e culturale rientrano le iniziative come il programma MEDA (I e II) che dal 2000 al 2006 ha finanziato per un ammontare di circa 5,3 miliardi di Euro programmi di cooperazione, di supporto tecnico e finanziario per riforme sociali ed economiche nei Paesi partner mediterranei.
MEDA ha sostenuto tra gli altri temi:
– la partecipazione della società civile e delle popolazioni alla progettazione e all’attuazione dello sviluppo;
– il rafforzamento della democrazia, dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto;
– la promozione degli scambi di giovani e della cooperazione culturale.
Inoltre, il programma MEDA ha appoggiato la cooperazione regionale, sub regionale e transfrontaliera attraverso gli scambi tra le società civili della Comunità e dei paesi terzi mediterranei nel quadro della cooperazione decentrata, attraverso la creazione di reti tra i soggetti della società civile (università, enti locali, associazioni, sindacati, mass media, imprese, organizzazioni non governative, ecc.).
La stessa Banca Europea di Investimento, soprattutto tramite il Fondo Euro-Mediterraneo d’Investimento (Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership – FEMIP), dal 2000 al 2007 ha finanziato attività di sviluppo nei paesi membri del Partenariato per un ammontare di circa 6,4 miliardi di Euro.
Per il periodo 2007-2013, per quanto concerne l’area del Mediterraneo, il Programma MEDA è stato sostituito dall’ENPI: con una dotazione complessiva di circa 12 miliardi di euro, lo strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI) è, con lo strumento di Pre-Adesione (IPA) e lo strumento di Cooperazione allo sviluppo (DCI), uno dei nuovi strumenti geografici che compongono il nuovo “pacchetto aiuto esterno” dell’Unione europea nel quadro della Rubrica 4 (“L’Unione europea come attore globale”) del Bilancio comunitario
Infine, in una riflessione generale sui temi della cooperazione sociale culturale e umana nell’ambito del bacino mediterraneo non si può non concludere sulla questione cruciale del futuro dell’Europa.
La necessità di un governo consapevole dei flussi migratori elemento necessario allo sviluppo dell’area.
L’ Unione non è stata ancora in grado di elaborare una politica comune europea sull’immigrazione, soprattutto in tema di integrazione culturale e sociale, i fondi predisposti e l’azione dedicata a questo scopo è stata approvata solo dal giugno 2007, ieri praticamente. Oggi l’Europa non gestisce l’immigrazione, la UE dovrebbe seguire la strada di accordi bilaterali tra stati UE e non UE anche con l’ipotesi di avere flussi migratori temporanei, anche per darsi il tempo di poter gestire le migrazioni nelle 3 fasi temporali a 3 velocità: velocità economica (immediata) velocità logistica( a medio termine casa/istruzione) velocità psicologica e culturale di lungo periodo. Inoltre occorre considerare i ruoli di nazioni di recente entrate nella UE, es.Romania e Polonia, delle nazioni UE datrici di lavoro soprattutto nel Nord Europa, il ruolo dei paesi di transito, in qualche modo ancora Spagna Italia e Portogallo e i paesi di transito non UE, verso l’Europa la Libia. Il domani alla luce di questo deficit purtroppo non è incoraggiante.
Una proposta politica, coniugata anche a valori etici di collaborazione e sostegno a realtà più deboli, deve fare riferimento però a idee e politiche innovative: rete di relazioni progetti e cooperazioni che si fondino su sviluppo ricerca, formazione e azioni del saper fare, investendo significative risorse sul capitale umano emergente e capace di “inventare” un nuovo modello di cooperazione economica e umana.
PREMESSA
La Regione Campania che vanta una popolazione in giovane età più ampia rispetto al resto dell’ Europa, ha una grande opportunità: la Regione Campania e altre regioni “Euromed” dell’Italia Meridionale, con simili caratteristiche potrebbero contare su un grande vantaggio competitivo nel prossimo futuro purché le Istituzioni locali siano in grado di offrire ai giovani dell’area e in particolare del loro territorio di origine, opportunità significative.
In considerazione di quanto detto nel quadro di riferimento generale, e alla luce della richiesta specifica trasmessa a questo Ente XXXXXXXXXXXX da XXXXXXX nella quale enumerando tutte le questioni precedentemente illustrate, richiedeva specificamente l’elaborazione di un progetto esecutivo che avesse quale obiettivo principale la realizzazione di solide significative stabili e produttive relazioni, alla luce di tutti gli accordi citati, con i paesi del bacino del Mediterraneo, in particolare in ambito delle politiche rivolte alla fasce in formazione dell’area in oggetto, si ritiene dunque necessario considerare i giovani come risorsa su cui investire, non trascurando il loro ruolo di cittadini/e consapevoli, critici e attivi, protagonisti dello sviluppo complessivo della società.
In questo contesto si comprende bene il valore e il significato dell’investimento nel capitale umano.
E’ la prima condizione per costruire rapporti duraturi di carattere culturale, politico ed economico, oltre che per facilitare tutte le partnership.
I contatti a livello locale promuovono interessi comuni e rafforzano la democrazia locale e la società civile.
Altrettanto rilevante, come nel caso nell’investimento nelle risorse per la gioventù di ambito Euromediterraneo, è l’importanza di organizzazioni come, ad esempio, le “Euro-regioni” che promuovano la cooperazione a livello regionale e locale e la cooperazione a livello locale attraverso strumenti quali i gemellaggi tra regioni con caratteristiche simili e trovino tra loro elementi di convergenza.
L’Europa allargata annovererà 75 milioni di giovani tra i 15 e i 25 anni. Anche se eterogenei (in termini di accesso al mercato del lavoro, di istruzione, di vita familiare, di reddito, ecc.), i giovani rivendicano la loro condizione di cittadini con i loro diritti e i loro obblighi. Investire nella gioventù significa investire nella ricchezza delle nostre società di oggi e di domani. Si tratta di una delle chiavi del successo per l’obiettivo politico definito dal Consiglio europeo di Lisbona: fare dell’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”.
Peraltro, mentre sotto l’effetto congiunto di un tasso di natalità ridotto e di una maggiore longevità le nostre società stanno invecchiando e tra il 2000 e il 2020 la proporzione delle persone tra i 65 e i 90 anni di età passerà da 16 a 21% della popolazione complessiva, in Campania la popolazione in giovane età è più ampia rispetto al resto del paese Italia: già nel 2003 si registrano 78 anziani per ogni 100 giovani in Campania, contro i 132 del resto del paese (e i 98 nel Mezzogiorno).
Ciò può costituire in futuro un vantaggio in termini di minore impatto dell’invecchiamento della popolazione e di maggiore disponibilità di forza lavoro, laddove si riuscisse a trattenerla sul territorio. Gli indicatori relativi al grado di istruzione della popolazione – pur attestandosi in alcuni casi al di sotto dei dati di confronto (Italia/ Mezzogiorno) – hanno registrando nel corso dell’ultimo decennio significativi miglioramenti: il tasso di partecipazione alla scuola secondaria superiore è aumentato di circa il 20% (87,3% nel 2003), anche il livello di scolarizzazione della popolazione in età compresa tra i 15-19 anni è migliorato portandosi al 95,2 nel 2003.
Efficaci azioni pubbliche hanno consentito una sostanziale riduzione della dispersione nelle scuole elementari, ma rimane elevata la dispersione nelle scuole medie in relazione alla quale la Campania detiene il primato tra le regioni italiane.
La regione mostra comunque una relativa capacità di ritenzione e remunerazione del capitale umano, come si evince dal fatto che mediamente i giovani a più elevata scolarizzazione e qualificazione tendono a rimanere in regione molto più dei giovani con gradi intermedi di istruzione.
Visto l’alto livello di istruzione dei profili curriculari richiesti nel contesto della globalizzazione e dell’economia della conoscenza, risulta necessario rafforzare l’istruzione, la alta formazione e migliorare il patrimonio di competenze necessario a sostenere la crescita del capitale umano della regione.
Diversi i settori di attività che riguardano direttamente o indirettamente la gioventù: la lotta contro la discriminazione, la cittadinanza europea, l’occupazione, la lotta contro l’esclusione sociale, l’istruzione, la formazione professionale, la cultura, la salute, la protezione dei consumatori, la libera circolazione delle persone, la protezione dell’ambiente, la mobilità dei giovani ricercatori, la cooperazione allo sviluppo e la lotta contro la povertà. Al di là delle politiche generali e settoriali che interessano i giovani, si è sviluppato anche un altro tipo di attività che favorisce la mobilità, gli incontri interculturali, la cittadinanza, il volontariato ecc. In tale contesto, e sulla base dell’articolo 149 del Trattato, l’Unione ha attuato una serie di azioni tra cui il programma GIOVENTÙ.
L’AGENDA DI LISBONA
Nel marzo del 2000 si è tenuto a Lisbona un Consiglio Europeo straordinario dedicato ai temi economici e sociali dell’Unione Europea. In tale sede sono state introdotte importanti novità nella guidance delle politiche economiche degli Stati membri e dell’area nel suo insieme.
Innanzitutto, viene rivendicato il ruolo cruciale del Consiglio Europeo nel definire le priorità di policy a livello comunitario. In secondo luogo, viene definito un obiettivo strategico decennale e una strategia per attuarlo, la cosiddetta “Strategia di Lisbona”.
Infine, viene delineato un processo di coordinamento economico europeo in grado di rafforzare l’attuazione della strategia; tale processo prende avvio, ciascun anno, dal Consiglio Europeo di Primavera e si sviluppa nell’arco dell’intero anno tentando di conciliare i lavori delle diverse formazioni del Consiglio dell’Unione Europea.
L’obiettivo posto a Lisbona è molto ambizioso e si propone, in dieci anni, di far divenire l’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.
Uno degli obiettivi primari è “MODERNIZZARE IL MODELLO SOCIALE EUROPEO INVESTENDO NELLE PERSONE E COSTRUENDO UNO STATO SOCIALE ATTIVO”.
Le persone sono la principale risorsa dell’Europa e su di esse dovrebbero essere imperniate le politiche dell’Unione. Investire nelle persone e sviluppare uno stato sociale attivo e dinamico sarà essenziale per la posizione dell’Europa nell’economia della conoscenza, nonché per garantire che l’affermarsi di questa nuova economia non aggravi i problemi sociali esistenti rappresentati dalla disoccupazione, dall’esclusione sociale e dalla povertà.
In particolare, quello della gioventù è un ambito in cui vanno applicati i seguenti principi di provenienza comunitaria:
– Apertura: assicurare un’informazione e una comunicazione attiva nei confronti dei giovani, formulata nel loro linguaggio.
– Partecipazione: assicurare la consultazione dei giovani e promuovere la loro partecipazione alle decisioni che li riguardano e, in linea generale, alla vita delle loro collettività.
– Responsabilità: sviluppare una cooperazione nuova e strutturata onde attuare, al livello di responsabilità appropriato, soluzioni concrete in risposta alle aspirazioni dei giovani.
– Efficacia: valorizzare la risorsa costituita dalla gioventù perché possa meglio rispondere alle sfide della società, contribuire al successo delle diverse politiche che la riguardano e costruire l’Europa di domani.
– Coerenza: sviluppare una visione integrata delle diverse politiche che riguardano la gioventù e dei diversi livelli d’intervento pertinenti.
Nella nuova prospettiva europea, i giovani hanno un ruolo chiave e non possono essere esclusi dal fondamentale processo di costruzione dell’U.E..
Occorre rivolgere una particolare attenzione alle politiche giovanili, favorendo un maggiore coinvolgimento dei giovani nei processi decisionali e nell’elaborazione delle politiche per lo sviluppo. Bisogna, tuttavia, sottolineare che il modello di sviluppo da adottare non è quello di considerare i giovani prevalentemente come problema sociale da affrontare, ma come risorsa produttiva su cui investire, non trascurando il loro ruolo di cittadini consapevoli, critici e attivi, che dovrebbero essere protagonisti dello sviluppo complessivo della società. Un rapporto europeo definisce lo sviluppo sostenibile come “uno sviluppo che consente di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali pensando alle generazioni future” e si fonda su tre pilastri fondamentali: il sociale, l’economico e l’ecologico. Questi pilastri hanno acquisito un ruolo trainante e determinante nelle dinamiche della programmazione delle azioni per lo sviluppo a livello internazionale, comunitario, nazionale e locale. Ma l’idea strategica dello sviluppo sostenibile di fatto deve comprendere la dimensione culturale come motore di sviluppo: quarto pilastro ineludibile per investire più incisivamente sui giovani in una prospettiva durevole. Giovani, dunque, intesi come risorsa umana, prima che economica, in grado di sviluppare autonomamente le loro potenzialità e valorizzare la loro identità culturale in un ottica interculturale.
Il Libro Bianco : punto di partenza per una politica sulla Gioventù
Il Libro bianco della Commissione europea «Un nuovo impulso per la gioventù europea», presentato il 21 novembre 2001, ha il merito di considerare i giovani come la principale risorsa del nostro futuro: risorsa intesa prima di tutto in senso umano e poi in senso economico. Il Libro Bianco sottolinea l’importanza e l’urgenza di “considerare la gioventù come una forza nella costruzione europea e non come un problema da gestire”. Suggerisce, inoltre, di “inserire la dimensione gioventù nell’insieme delle politiche”, consentendo di attuare politiche trasversali ed integrate, che mirino a favorire la partecipazione attiva dei giovani in tutti i processi decisionali, in modo da renderli protagonisti della costruzione dell’Europa dei popoli e dei cittadini. Un’Europa in cui la qualità della vita preveda un sistema dove la sostenibilità economica va di pari passo con la sostenibilità sociale, culturale ed ecologica. Il Libro Bianco anticipa quindi il concetto di sostenibilità, coniugandolo alle politiche giovanili e propone alcune fondamentali parole chiave, tra cui prioritarie appaiono l’informazione e la partecipazione.
L’informazione e la partecipazione.
La Risoluzione del Consiglio dell’U.E. del 25 novembre 2003 in materia di obiettivi comuni sulla partecipazione e informazione dei giovani (2003/C 295/04) ha confermato l’importanza delle priorità «partecipazione e informazione dei giovani». Lo ha fatto nel prendere atto: 1) del Libro bianco della Commissione europea, che prospetta un nuovo quadro per la cooperazione europea in materia di gioventù; 2) della risoluzione del 27 giugno 2002, che nel definire un nuovo quadro di cooperazione in materia di gioventù, ha sottolineato che le politiche e le iniziative che riguardano i giovani, sia a livello nazionale che europeo, tengano in considerazione questioni quali le esigenze, la situazione, le condizioni di vita e le aspettative dei giovani; 3) della comunicazione della Commissione [COM(2003) 184 defin.] dell’11 aprile 2003 che ha proposto un insieme di obiettivi comuni per la partecipazione e l’informazione dei giovani, del Consiglio del 5 maggio 2003.
La partecipazione
La partecipazione si declina con lo sviluppo della partecipazione dei giovani, mettendo in atto e appoggiando azioni che favoriscano l’esercizio di una cittadinanza attiva e rafforzando la loro partecipazione effettiva alla vita democratica, mediante:
1. ampliamento della partecipazione dei giovani alla vita civile della loro comunità;
2. ampliamento della partecipazione dei giovani al sistema della democrazia rappresentativa;
3. maggior sostegno alle varie forme di apprendimento della partecipazione.
Precipitato dell’elemento partecipazione risulta essere il coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica.
In linea di massima, i giovani vogliono promuovere la democrazia e soprattutto esserne gli attori. È emersa però una certa diffidenza rispetto alle strutture istituzionali. I giovani si identificano meno che in passato nelle strutture tradizionali dell’azione politica e sociale (partiti, sindacati) e la loro partecipazione alle consultazioni democratiche è debole. Le organizzazioni dei giovani risentono anch’esse di questa situazione e avvertono il bisogno di rinnovarsi.
Ciò non significa affatto che i giovani si disinteressino alla vita politica. La maggior parte di loro dimostra una chiara volontà di partecipare e di influenzare le scelte della società, ma secondo forme d’impegno più individuali e più specifiche, al di fuori delle vecchie strutture e dei vecchi meccanismi di partecipazione. Spetta alle autorità pubbliche colmare il fossato che separa la volontà di espressione dei giovani e le modalità e le strutture offerte a tal fine dalle nostre società, se non vogliono alimentare il deficit di cittadinanza o addirittura incoraggiare la contestazione.
I giovani affermano il loro ruolo di cittadini responsabili. A questo titolo desiderano essere maggiormente associati alla vita della collettività e vogliono pronunciarsi sulle tematiche più svariate. Questa volontà di partecipazione deve potersi esprimere a diversi livelli – da quello locale a quello regionale – e la partecipazione dei giovani non può essere limitata alla sola consultazione e ancor meno a sondaggi d’opinione, ma deve includere i giovani nel processo decisionale. L’Europa, peraltro, chiede che si debba incoraggiare la partecipazione, senza escludere nessuno e questo significa che la si dovrà agevolare per tutti coloro che incontrano più difficoltà e aprire maggiormente le strutture attuali ai giovani non appartenenti a organizzazioni.
Corollario indispensabile allo sviluppo di questa cittadinanza attiva è quello dell’informazione, che è un ambito da cui i giovani si attendono molto: consapevoli che i campi da coprire sono ampi (occupazione, condizioni di lavoro, alloggi, studi, salute ecc.) e che vanno al di là di un’informazione sui programmi comunitari, le loro aspettative vertono in primo luogo sul riconoscimento del fatto che c’è un bisogno da soddisfare. I principali punti da sostenere e incoraggiare sono:
– promuovere studi e indagini, raccogliere dati e diffondere informazioni relative alla condizione giovanile, in tutti i suoi aspetti;
– valutare l’impatto sulla condizione giovanile delle politiche regionali;
– curare iniziative tendenti a innalzare i livelli della formazione, favorire l’inserimento sociale e lavorativo dei giovani, incentivare lo sviluppo di forme di imprenditorialità giovanile;
– esercitare un’azione di impulso e di supporto nei confronti dei singoli Assessori, volta a favorire l’adozione di provvedimenti di loro competenza e conseguire una politica coordinata a favore dei giovani;
– promuovere l’adempimento di convenzioni internazionali, direttive e regolamenti comunitari, concernenti settori a forte impatto per la condizione giovanile nell’ambito delle proprie competenze.
La partecipazione è realizzata in prima battuta attraverso i Forum regionali della gioventù cui è data facoltà di predisporre gli opportuni strumenti di informazione rivolti ai giovani.
Obiettivo deve essere il dialogo con il Forum Europeo della Gioventù, fondato nel 1979 per rappresentare le organizzazioni giovanili a livello europeo e per avviare un dialogo con i giovani. È composto dai consigli giovanili nazionali degli Stati membri dell’UE e da organizzazioni giovanili internazionali non governative.
Intrattiene contatti continui e comunicazioni con i membri, che riuniscono complessivamente milioni di giovani, e con i giovani a titolo personale. Persegue l’obiettivo di allargare la propria rappresentanza. Il Forum ha acquisito competenze significative nel settore dell’animazione della gioventù, della politica della gioventù, dei settori non governativi della gioventù e delle questioni della società civile. È rappresentato nei gruppi di lavoro della Commissione europea e partecipa alla selezione dei progetti nel quadro del programma GIOVENTÙ.
Le aree regionali dunque devono aver cura di iniziative tendenti a innalzare i livelli della formazione, favorire l’inserimento sociale e lavorativo dei giovani, incentivare lo sviluppo di forme di imprenditorialità giovanile, e conseguire una politica coordinata a favore dei giovani, anche promuovendo l’adempimento di convenzioni internazionali, direttive e regolamenti comunitari concernenti settori a forte impatto per la condizione giovanile nell’ambito delle proprie competenze.
Alla luce di tutti gli accordi euro mediterranei e seguendo le linee guida del trattato di Barcellona, lo sviluppo delle risorse umane nel settore della cultura, dagli scambi culturali, la conoscenza di altre lingue, attuazione di programmi educativi e culturali rispettosi delle identità culturali, riveste un ruolo significativo e strategico sul piano delle relazioni per la cooperazione e la collaborazione in senso più ampio nel bacino del Mediterraneo; rilevante è la necessità di coinvolgere la società civile nel partenariato euromediterraneo; il rafforzamento degli strumenti della cooperazione decentrata per favorire gli scambi tra i diversi settori dello sviluppo rende necessario considerare i giovani come risorsa su cui investire, non trascurando il loro ruolo di cittadini consapevoli, critici e attivi, che devono essere protagonisti dello sviluppo complessivo della società.
DALL’EUROPA AL MEZZOGIORNO
Sto seguendo quotidianamente, tramite il sito http://www.giannipittella.ilcannocchiale.it, il viaggio dell’ Europarlamentare Pittella con Mezzogiorno Europa nel “mio” amato Meridione.
Trovo questa iniziativa di un potenziale enorme per lo sviluppo del Mezzogiorno e dell’Italia, ed è un grande piacere vedere tanti posti che ho conosciuto personalmente (Napoli, Salerno..) affrontate con Pittella le tematiche del futuro (Innovazione, Energia, Euro Mediterraneo).
Credo, infine, che sarebbe ottimo se facessimo sentire, come Innovatori Europei, il nostro contributo a questo viaggio, che a mio avviso può e deve aprire legami tra il Sud e l’Europa, per affrontare meglio la complessità che in questi anni ha invaso le nostre vite, e a cui si può rispondere solo come cittadini, studenti, ricercatori, lavoratori, imprenditori, movimenti, network e politici EUROPEI.
Ho per questo messo in copia Gianni Pittella, nel caso qualcuno voglia partecipare al suo viaggio nel Mezzogiorno.
Massimo Preziuso
PERDERE LA PACE
Il Partito democratico e la nuova stagione politica
di Tommaso Visone
Si è soliti ricordare agli studenti di geopolitica che ben più difficile di vincere la guerra è vincere la pace. Il Partito democratico dopo aver perso, prevedibilmente, la guerra (le elezioni) sta riuscendo nell’inconsueta- per chi fa opposizione in Italia- impresa di “perdere” anche la pace ( il confronto parlamentare e politico che segue alle elezioni stesse).
I risultati ottenuti dal partito sul piano della costruzione istituzionale (statuto, governo ombra, codice etico, manifesto dei valori, ecc.) ed il coraggio dimostrato nel corso della campagna elettorale con i relativi effetti sulla semplificazione del quadro parlamentare avrebbero potuto dare luogo a ben altri scenari in questi primi mesi d’opposizione. Quello che traspare invece a seguito di questo primo periodo di vita del nuovo partito è un profondo deficit politico sul piano dell’iniziativa e della concretezza propositiva(fanno un po’ sorridere le parole di Veltroni recentemente apparse sul Foglio), contornato da uno scontro interno tra leader “sconfitti” (es. Veltroni contra D’Alema e Veltroni contra Rutelli) che, caso quasi unico in Occidente fatta eccezione per il fallimentare partito socialista francese, non pagano politicamente – in termini di leadership interna – la sonora batosta elettorale. Non paghi dell’esiziale anomalia, i nostri, continuano in un confronto a distanza che rasenta il ridicolo (es.quando Veltroni nega di aver pesato sulla sconfitta romana e Rutelli finge un altrettanto poco credibile ingenuità tradita) vogliosi di scaricarsi reciprocamente addosso l’uno con l’altro la responsabilità della debacle nazionale e locale seguita dalla palese erosione di consenso che, dall’inizio della legislatura, sta rafforzando l’opposizione dell’Italia dei valori aiutata, in questo, dal gioco di sponda di una maggioranza ben contenta di trovare un degno sostituto (i giustizialisti) per la prosecuzione della sua personale, sia pur anacronistica, guerra fredda.
L’attuale scenario di rincorsa “differenziata” sull’Italia dei valori è effetto delle premesse poste quando si sosteneva un’apertura onnicomprensiva al dialogo con la maggioranza sull’unica base concreta del “pacchetto Violante” senza tener conto dei saggi consigli di cautela pronunciati da chi (es. Eugenio Scalfari) ne vedeva tutta la problematicità. Parlare di “dialogo” è possibile (e giusto) solo una volta che si è stabilità una propria linea politica su cui basare il confronto, farlo a scatola chiusa non ha alcun senso (su cosa si dialogherebbe? Sulla prospettiva di una sola parte?) ed, anzi, risulta politicamente dannoso come lo sarebbe, per una forza che si autodichiara “riformista” (si rimanda a F.Caffè per la definizione del concetto), la decisione aprioristica in senso opposto: quella del muro contro muro senza alcun spiraglio potenziale. Se il Partito democratico vorrà fare suo in maniera efficace il motto del dialogo dovrà prima presentare delle proposte ai cittadini. Non basta avere un governo ombra se poi non lo si usa, così come non basta, di per sé, la nascita di un partito nuovo al fine di cambiare la qualità della politica italiana. Come sostiene N.Irti, “il partito è strumento per qualcosa, non scopo in sé concluso ed appagato” e questo “qualcosa”- l’unità del disegno politico come indirizzo per la vita collettiva- è esattamente quello che manca all’attuale Partito democratico che non solo, nella maggior parte dei casi, è stato finora incapace di far emergere singole soluzioni concrete da confrontare con quelle della maggioranza ma non ha neanche saputo comunicare (sempre che ce ne sia una, condivisa o quantomeno maggioritaria) la sua visone politica d’insieme sul futuro del Paese. Per raggiungere questo imprescindibile risultato, il Partito democratico dovrà farsi carico di formulare delle proposte coerenti tra di loro e capaci di esprimere una reale alternativa, quando ce ne sarà bisogno, nei confronti di quelle della maggioranza. Solo su queste basi ci potrà essere “un’opposizione riformista di chi non si accontenta di gridare più forte degli altri ma vuole costruire giorno per giorno, come si fa nei grandi paesi europei, una credibile alternativa di governo” (W.Veltroni). Esclusivamente in questo modo il PD potrà dare il via ad una nuova stagione politica. Altrimenti, come sta già avvenendo, alla retorica seguiranno ulteriori e sempreverdi sconfitte.
EUROPA E MEZZOGIORNO
LE ONDE DELLA GLOBALIZZAZIONE
LE ONDE LUNGHE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Roma, 24 luglio ‘08 (Fuoritutto) La calura del solleone non interrompe la laboriosità e l’attivismo del mondo politico e sindacale. Possiamo dunque agevolmente trascegliere, secondo le nostre inclinazioni, fra le innumerevoli iniziative che costellano le giornate romane.
Ci concentriamo con interesse sul convegno, svolto nei giorni scorsi presso il Cnel, a cura della Uil, e dedicato alle tematiche della “ partecipazione del mondo del lavoro alla gestione e all’azionariato delle imprese e delle iniziative economiche “.
Antico e ben noto problema, sempre irrisolto, come emerge dalle prime battute del convegno, che ebbe, come precursori illustri, figure di pensatori come John Stuart Mills e Giuseppe Mazzini, convinti sostenitori della necessaria armonia fra mondo del lavoro e capitale, e su sponda opposta, Karl Marx che ne postulava invece la radicale conflittualità.
Dilemma, comunque, che pur configurato dal dibattito nel quadro di circostanze storiche e geografiche in continuo mutamento, impone fatalmente la sua perenne attualità e quindi le necessarie ipotesi, seppur contingenti, di soluzione.
Così la relazione base del convegno (Domenico Proietti) propone soluzioni di tipo partecipativo e di cogestione, ma a un grado superiore del semplice livello di singola impresa, (pur previste nella Costituzione all’art.46).
In concreto il dirigente sindacale ha indicato nitidamente ipotesi di cogestione in fattispecie come quelle incarnate nei “Distretti industriali”, senza escluderle peraltro anche nelle holding nazionali e internazionali, per la loro frequente rilevanza economica, sociale e territoriale. Non si discostava sostanzialmente da tale impostazione, Pasquale Viespoli, sottosegretario al Welfare e da essa prende le mosse nelle conclusioni Luigi Angeletti che tocca il diapason dell’emotività dell’uditorio.
La globalizzazione, afferma il segretario della Uil, è una realtà da cui nessuno, piaccia o no, è in grado di prescindere: il mondo deve fare i conti con uno straripante capitalismo, per contenere il quale gli ordinamenti nazionali; ma anche gli organismi internazionali, sono sprovvisti di strumenti idonei. Le imprese possono difendersi principalmente con la propria capacità competitiva, la quale si realizza soprattutto con il miglioramento costante delle loro risorse umane.
Con tali premesse è giusto ostinarsi a perseguire, sul piano dottrinale, legislativo e sindacale una politica di parità salariali o affrontare strategie che privilegino tangibilmente i lavoratori più abili ed efficienti, magari anche a scapito dei livelli occupazionali?
E la nostra riflessione è corsa istintivamente, alle parole pronunciate, un paio di settimane or sono, dal presidente cubano Raoul Castro, che, da un paese di rivoluzione socialista, poneva concetti analoghi ….
… Chi mai l’ avrebbe potuto immaginare?
(Sor)
UNIVERSITA’ ITALIANE
Università italiane verso una rivalutazione? (di Luca Barbieri Viale)
L’Università italiana nel suo insieme, dagli studenti ai docenti, ha detto e ripetuto che non intende sottrarsi a un severo processo di valutazione che porti alla valorizzazione del merito. Segnalo il recente appello “Salviamo l’Università! Un appello per la sopravvivenza e il rinnovamento dell’Università italiana attraverso la Valutazione” alla pagina http://universita.selfip.org/
La differenziazione dei finanziamenti ministeriali, in base al merito degli atenei, sarebbe il passo decisivo nell’attuazione di quel processo di autonomia e selezione (ridimensionamento dell’offerta didattica, riduzione delle sedi, etc.) che aspettiamo da anni. Inclusa, finalmente, la libertà di differenziare le tasse e gli stipendi. Questo permetterebbe di razionalizzare il nostro sistema e incentiverebbe la competizione tra gli atenei: pochi ma buoni! potrebbe essere lo slogan da adottare …
Se la manovra proposta dall’attuale governo è di tagliare indiscriminatamente si va esattamente nellla direzione opposta. Il decreto Tremonti prospetta di tagliare indiscriminatamente l’organico, riducendo le nuove assunzioni di giovani, e di tagliare indiscriminatamente gli stipendi, anche a chi sta lavorando bene e rappresenta l’eccellenza in ambito internazionale; inoltre, introduce lo strumento della fondazione privata come mezzo per attivare una selezione naturale: chi riesce a finanziarsi sopravvive!
Ma non è affatto sorprendente, se ci pensiamo bene, questa è una naturale conseguenza dei vari precedenti fallimenti in materia (sia del centro-destra che del centro-sinistra) Inoltre, la linea di governo è coerente con il pensiero liberale che rappresenta la maggioranza degli italiani.
Il messaggio che il governo intende dare ? Chi riesce a finanziarsi, ha amicizie che contano, anche se non ha nessun merito, ha il diritto di sopravvivere e chi, anche se bravissimo, in Italia, continuerà ad esser sottovalutato o neanche considerato ? No! Il ministro Maria Stella Gelmini, ha spiegato le cinque grandi missioni del nuovo tavolo di consultazione permanente: garantire la qualità del reclutamento dei docenti, realizzare un sistema efficace e trasparente di valutazione, premiare le Università che ottengono risultati migliori in termini di qualità della ricerca e della didattica, prevedere un fondo per incentivare i docenti meritevoli, incoraggiare l’internazionalizzazione del sistema universitario.
Repetita iuvant! ma son solo parole che anche il precedente governo Prodi ha pronunciato e non mancavano in nessun programma di governo! Che fare ? L’unica risposta che possiamo cercare è in Europa! La dichiarazione di Lisbona, ad esempio: lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore fisserà le condizioni e il quadro normativo all’interno del quale anche l’Italia dovrà restare assumendo sempre che intenda rimanere in Europa.
SOGNO DI MEZZA ESTATE
Un resoconto critico sul seminario del 14 Luglio, promosso da Italiani Europei
di Pierluigi Sorti – IE Sapere
Illusorietà di un seminario. Con il concorso di una quindicina di associazioni, emblematici surrogati di partiti e delle risorgenti loro vecchie correnti interne, in una fatidica data – 14 luglio -, e con la regia di Massimo D’ Alema, Presidente di “Italiani Europei”, si è dissertato delle forme di governo, della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari.
Con un obbiettivo: ottenere dai rappresentanti presenti delle forze di centro destra, un avallo all’ ipotesi di un mutamento della nostra legge elettorale secondo i canoni di quella vigente in Germania.
E’ già nota la delusione che l’ intervento di Cicchitto e Calderoli ha suscitato negli esponenti del centro sinistra favorevoli alla tesi degli elementi ispiratori del seminario.
Ma, a prescindere dal “fin de non recevoir” recitato diplomaticamente dai due esponenti della maggioranza, quello che non è sfuggito ai più, nell’ ascolto dei circa 30 intervenuti in oltre sette ore di dibattito, è il senso di frustrazione, offerto al numerosissimo uditorio, da una dirigenza politica del centro sinistra, apparentemente, non ancora consapevole delle dimensioni della sua sconfitta.
Una dirigenza che insegue il teorema di un dialogo istituzionale con un Berlusconi che simula ascolto privilegiando or questo ( Veltroni ) or quel (D’ Alema ) leader, solo per dividerli tra loro e allontanarli vieppiù dal loro elettorato.
Eppure i due sono convinti di avere rispettivamente le credenziali di poter continuare a essere, del loro elettorato, autentici interpreti e legittimi rappresentanti.
E non si avvedono che, a prescindere dall’ illusione di trattare paritariamente con Berlusconi, scelgono tematiche che Berlusconi “in primis” ha tutta la convenienza a lasciare inalterate, trascurando invece quelle che invece potrebbero segnare la strada maestra del riscatto futuro.
Essi per primi, infatti, della denunciata progressiva degenerazione presidenzialista o, specularmente, dell’ accentuazione progressiva della subalternità delle assemblee elettive, dai comuni in su, fino al parlamento nazionale, portano non poche corresponsabilità.
E della giusta considerazione preliminare del documento introduttivo del seminario ( l’ errore reiterato di considerare i temi istituzionali più impellenti dei problemi dell’ economia e dell’ambiente ), da troppo tempo quegli stessi gruppi dirigenti hanno dimostrato, in oltre un decennio, così evanescente immedesimazione, da rendere chimeriche le ipotesi di convincenti inversioni di rotta.
Se la militanza del Pd non sarà cosciente che la natura sincretistica del partito e una realtà politica, nazionale e internazionale, caratterizzata da mutamenti continui, impongono il superamento di una concezione oligarchica e conseguentemente gregaria della dirigenza, nazionale e periferica, il Partito non andrà lontano.
Specie trattandosi di dirigenze che hanno non solo un imprinting di formazione e di carriera che risale ai tempi della guerra fredda, ma che hanno ormai accumulato una serie di insuccessi, per i quali sembra non debbano mai rendere conto.
L’ UNIONE PER IL MEDITERRANEO
L’Unione per il Mediterraneo: verso una Global Mediterranean Policy?
Il passato 9 luglio si è concluso, in Giappone, il vertice dei G8, dove le più importanti potenze economiche mondiali hanno trattato alcuni degli argomenti che, dal 13 luglio, sono destinati a convertirsi, anche, in oggetto di progetti regionali del e per il Mediterraneo.
Si tratta di ambiente, crisi energetica ed energie alternative che, a livello regionale, devono diventare vettori per il co-sviluppo del Mediterraneo, secondo quanto previsto dall’Unione per il Mediterraneo (UPM). È questa, invece, una delle regioni al mondo con maggiori squilibri economici (il reddito pro capite è, in media, 10 volte superiore nella sponda Nord rispetto a quello della sponda Sud), oltre ad essere scenario di gravissime tensioni (Algeria-Marocco, Turchia-Cipro, Siria-Libano, per esempio) o, addirittura, conflitti diplomatici (come quello israelo-palestinese). La scelta di queste tematiche come vettori del co-sviluppo (e perciò della creazione di una zona di pace e stabilità) convince sicuramente di più i Paesi europei che quelli della sponda Sud del Bacino, più preoccupati a risolvere problemi come impiego e migrazioni.
L’UPM, ideata e lanciata dall’attuale Premier francese nonché Presidente di turno europeo, Nicolas Sarkozy, si propone perciò come un progetto di carattere economico-ambientale che cerca di assumere una dimensione più realistica e democratica rispetto al suo “predecessore”, il Partenariato Euromediterraneo (PEM).
Innanzitutto, l’UPM dovrebbe essere più democratica, giacché amplia la partecipazione a 43 Paesi (i 27 Paesi dell’UE e tutti i Paesi che affacciano sul Mare Nostrum – al Vertice di Parigi non hanno però partecipato né il Marocco, a causa della questione algerina, né la Libia –) e stabilisce una doppia presidenza di turno (un partner del Nord e uno del Sud), con l’idea di superare la grave assimmetria tra le due sponde del Bacino.
D’altra parte, si presenta come più realistica, poiché prevede la realizzazione di progetti concreti, non più di politiche (come prevedeva il PEM). Ciò dovrebbe fornire un carattere più concreto e pratico all’UPM, rispetto a quanto suppone l’ideazione di politiche, sicuramente molto più ambiziose, da un punto di vista ideale, ma difficilmente realizzabili, da un punto di vista pratico.
I progetti inizialmente previsti sono 6, riguardanti: il disinquinamento del Mediterraneo, la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare le fluidità del commercio fra le due sponde del Mediterraneo, il rafforzamento della protezione civile – tenuto conto dell’aumento dei rischi regionali legati al riscaldamento climatico –, la creazione di un piano energetico solare mediterraneo, lo sviluppo di una università euromediterranea – già inaugurata a Portoroz, in Slovenia – e una iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese.
Nella realizzazione dei progetti si pone un problema fondamentale per quanto riguarda le risorse economiche di cui dovrà disporre l’UPM (ed è questo uno dei nodi gordiani del progetto di Sarkozy): per il momento, non ci sono soldi a disposizione. Bruxelles ha già presentato il piano di bilancio fino al 2013, che non prevede fondi aggiuntivi a favore dell’Unione per il Mediterraneo. Secondo gli stessi leader, saranno benvenuti donatori internazionali, tali come la Banca Mondiale, la BEI e la Banca Africana. L’appello vero è rivolto, però, agli investitori privati: gli Stati euro-mediterranei sperano che le industrie interessate ad investire nei Paesi del Sud aumentino.
Questo ci pone di fronte a due questioni:
• una di carattere esclusivamente economico, ovvero riguardo la dimensione vera dei progetti dell’UPM: ad esempio, la Commissione Europea ha presentato un rapporto, nel quale sostiene che ci vogliono almeno due miliardi di euro per ripulire l’80% del Mediterraneo…
• l’altra, di carattere più politico, che si riferisce all’approccio che gli investitori privati vorranno dare ai diversi progetti che propone l’UPM e, perciò, al difficile rapporto che essi potranno avere con il co-sviluppo.
La mancanza di una maggiore partecipazione economica da parte dell’Unione Europea sorprende fortemente, in quanto contrasta con la posizione assunta, negli ultimi mesi, da Bruxelles, che ha cercato (fino a riuscirci) di convincere la Francia sulla necessità di impostare l’UPM non come un club intra-mediterraneo, ma Euro-mediterraneo (il nome ufficiale è diventato addirittura “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”), dove l’assenza dei 27 dell’UE avrebbe votato l’UPM ad un fallimento sicuro.
Il carattere intra-regionale che Sarkozy aveva previsto per l’UPM (alla quale originariamente dovevano partecipare solo i Paesi dell’UE che affacciano sul mare, più tutti i Paesi della sponda Sud), rappresentava sicuramente uno dei punti più controversi del progetto. Da una parte, attribuiva il potere decisionale ai Capi di Stato e di Governo di tutti i Paesi mediterranei (inclusi quelli dell’UE), anche se ciò avrebbe potuto dare luogo a conflitti tra l’UE e l’UPM: una decisione poteva prendersi, in sede UE in un senso e in seno all’UPM in un altro, diametralmente opposto. Questa questione si lasciava però in sospeso. D’altra parte, costituiva sicuramente il punto più interessante del progetto, giacché segnava la grande differenza con il PEM e donava all’UPM una forza particolare, dovuta sicuramente all’interesse diretto di tutti i partner nella realizzazione dei progetti.
La possibilità di avviare una Global Mediterranean Policy c’è ancora, anche se dipende, in gran parte, dal modo in cui si decideranno di impostare i particolari organizzativi, decisione rinviata a novembre e che verrà presa non già dai Capi di Stato e di Governo, ma da Ministri degli Esteri, come si prevedeva per il PEM.
Ainhoa Agullò – Innovatori Europei / Europa
G8 RESEARCH ON CLIMATE CHANGE
Ciao a tutti.
Sperando vi faccia piacere e lo vogliate far girare, ecco il Report Finale del G8 Research Group LSE/Oxford sul Climate Change, che ha concluso la propria attività ieri, con il Summit di Hokkaido, con la presentazione del lavoro.
Buona lettura.
Grazie.
Massimo Preziuso