L’UOMO CHE VINSE DUE VOLTE
di Enzo Tripaldi
“Evvai!”. E’ stato questo il generale commento del centrosinistra italiano all’annuncio dei primi dati ufficiali delle presidenziali statunitensi. Al quale si unita anche la sinistra e qualcuno di destra.
Barak Obama è il 44° Presidente USA. Tutti o quasi pazzi per l’ex senatore dell’Illinois.
La storia tuttavia va ricordata per intero e non solo nelle sue battute finali, altri momenti ben più decisivi hanno segnato il successo di Obama.
Ad onor del vero il miracolo l’avrebbe dovuto compiere il suo avversario, quel John McCain che partiva con gli otto anni dell’era Bush sul groppone, un’amministrazione screditata, impantanata su molti teatri internazionali ed accusata di aver fatto poco per prevenire il ciclone finanziario degli ultimi tempi.
Ma chi era Barak Obama? Basta riavvolgere il nastro di un paio di anni. Un senatore del PD americano, un “emergente” lo definirebbero in Italia, uno cui occorreva ancora un po’di gavetta.
Al momento della sua discesa in campo, molti hanno mostrato solo simpatia, altri scetticismo, soprattutto il PD americano puntava su un altro cavallo: Hillary Clinton.
Gli stessi toni della lotta nelle primarie dell’asinello, la stessa “stampa amica”, hanno cercato di affibbiargli addosso l’immagine di un candidato competitivo, nuovo, ma ancora acerbo.
Mentre Obama lavorava con caparbietà alla sua proposta, alla sua vittoria, utilizzando con genialità il web, l’etablishment democratico era per lo più schierato con la Clinton.
La disputa fra i due è stata serrata, è volato anche qualche colpo basso (e non dal senatore afroamericano), che successivamente i repubblicani hanno cercato di rilanciare con modesti risultati.
Qui nasce l’impresa di Obama, la vera lezione del “popolo democrat” è stata quella di ribellarsi nelle urne al candidato appoggiato dal partito, è stato più difficile superare Hillary Clinton del settantaduenne John McCain. Chi oggi esalta la “lezione americana” dovrebbe anche riconoscere questa decisione rivoluzionaria dell’elettorato democratico. Il cambiamento non è solo stato annunciato, auspicato, esso si è concretizzato con la nomination dell’outsider Barak Obama.
Ecco perché ha vinto due volte.
Anche sull’altro fronte d’altra parte ha prevalso il candidato meno amato del partito, che avrebbe preferito (ed ha sostenuto) Mitt Romney e Rudolph Giuliani.
A McCain qualcosa di più dell’onore delle armi, dopo aver dichiarato che “Obama è il mio presidente” si è spinto sino a dire “Questa è un’elezione storica, ed io riconosco lo speciale significato che riveste per gli afroamericani e per il particolare orgoglio che deve essere il loro questa sera”. Non prima di aver chiamato il vincitore per congratularsi e comunicagli “…il mio rispetto per le sue capacità e la sua perseveranza”.
Gli americani, il mondo ora si augurano una forte “rottura” Con il permesso del pauroso deficit americano dovrebbe essere impostata una nuova politica economica, più attenta alle fasce più bisognose. Le maggiori speranze riguardano però gli scenari internazionali: si dovrebbe ripartire da zero per tessere un dialogo (con il contributo dell’interlocutore) sul dossier – Iran, mentre seppur abbandonando la dottrina “bushiana” dell’attacco preventivo, è difficile che, a breve, vi sia un radicale cambiamento della strategia in Iraq ed Afghanistan. Se sono divisi su alcuni temi, su altre partite democratici e repubblicani registrano più differenti sfumature che reali divergenze.
Dovrebbe mutare la sensibilità dell’amministrazione verso i problemi del clima, si vedrà di quanto.
Questa elezione potrà dare una spinta alle aggregazioni non conservatrici del vecchio continente?
Certo che si, ma sarà meno intensa di quanto si spera, le socialdemocrazie, i riformisti, la sinistre europee ci dovranno mettere molta applicazione.
Resta il fatto che un quarantasettenne sarà a capo della più grande potenza mondiale.
Good luck Mister Obama !
L’ORGOGLIO DI ESSERE AMERICANO
L’orogoglio di essere concittadino ed elettore di Barack
(di David Ragazzoni – IE)
NEW YORK – Il 4 novembre 2008 sara’ per me non solo uno spartiacque indelebile nella storia politica del nostro tempo, da raccontare ai miei figli con la commozione e l’attenzione di chi lo ha vissuto in prima persona. Sara’ nella mia memoria il giorno in cui mai mi sono sentito piu’ orgoglioso di essere cittadino americano. Il 4 novembre 2008 e’ stata l’occasione per me di votare per la prima volta negli Stati Uniti e di far sentire la mia voce in una circostanza in cui non si poteva rimanere in silenzio. Il seggio elettorale a New York dove mi sono recato a votare poco dopo le 17 contava ancora un’affluenza straordinaria: persone di ogni eta’ rimaste per ore in attesa del proprio turno, perche’, come ci ha ricordato Barack nel suo discorso subito dopo i risultati, sentivano che la loro voce poteva essere, questa volta, la differenza. Il popolo di Times Square in tripudio come se si festeggiasse una palingenesi, i volti rigati dalle lacrime mentre sui maxi schermi passano in diretta le immagini di colui che portera’ nel mondo una nuova immagine di cosa significa America, il paese dove ‘tutto puo’ succedere’, e di cosa significa essere Americani nell’America di Obama. La mattina del 5 novembre alle 9 del mattino le copie del New York Times in tutta New York erano esaurite: una copia nel pomeriggio arrivava fino ai 100 dollari, per chi voleva conservare le immagini stampate del giorno in cui la Storia aveva preso una direzione diversa. Mai il mondo e’ stato cosi’ unito e cosi’ preso nel festeggiare la vittoria di un presidente americano. Mai si sono visti tanti paesi reclamare il proprio contributo nell’aver formato o contribuito anche in tempi remoti ai natali di un presidente USA. Nel discorso che ha pronunciato immediatamente dopo i risultati, Barack non ha utilizzato tonfi trionfalistici, ma ha messo l’accento su quello che adesso serve fare, ha ricordato quanto sia importante lavorare adesso per lasciare ai propri figli un paese migliore. Guardare avanti, non fermarsi nel presente. Otto anni di amministrazione repubblicana in cui le paure radicate nella pancia e nel cuore dell’America sono state manipolate con efficacia vengono ora rimossi per lanciare verso il futuro uno sguardo nuovo. Non lo sguardo trionfante che potrebbe vantare chi ha dimostrato di poter realizzare l’impossibile, ma quello incredibilmente penetrante, deciso e carismatico con cui Barack ha ringraziato l’America che lo ha eletto. Lo sguardo che caratterizza soltanto le forze dolci, le forze piu’ vere e visionarie.
David Ragazzoni
IL DISCORSO DI PRESIDENT OBAMA
THANK YOU, PRESIDENT OBAMA
(di Massimo Preziuso)
Per fortuna, c’è Obama.
In poco tempo, un leader naturale, un giovane politico dei Democrats, è uscito alla ribalta ed è arrivato a conquistare il Potere Americano, quale Presidente degli Stati Uniti.
E’ evidente che nel trionfo di Obama vi è l’impostazione meritocratica della società americana: un Paese in cui giovani trentenni come Page e Brin (Google) o ventenni come Zuckerberg (Facebook) hanno una influenza pari o maggiore a quelle dei Clinton o dei Bush.
THAT IS AMERICA.
Con Obama il mondo può finalmente vedere una nuova fase di sviluppo sostenibile.
Negli ultimi dieci anni, i conservatori americani di Bush e Greenspan (ex numero uno della Fed) hanno creato un modello di crescita insostenibile, basato su concetti molto fragili: consumo a debito, assenza di welfare, centralità della finanza sull’economia.
L’effetto di questo modello perverso è sotto gli occhi di tutti: una serie di brutte notizie, che dalla finanza sta arrivando giorno dopo giorno all’economia reale, e così nelle case di tutti noi.
Questo modello perverso oggi si sta fortemente ridimensionando, e la nomina di Obama a Presidente degli Stati Uniti è una grande opportunità per gli Stati Uniti ed il Mondo intero per cambiare radicalmente percorso.
Ecco alcune importanti novità dei prossimi mesi:
– il ritorno al potere dei Democrats sarà importante per ritrovare equilibri geopolitici nuovi, anche in Italia (ed il Partito Democratico avrà una grande possibilità di ripartire, se unito avvierà serie relazioni politiche con i Democrats)
– la presenza di un giovane alla Presidenza degli Stati Uniti darà “energia” e “motivazione” a quella generazione di 30-40 enni che ha avuto solo forti delusioni e sconfitte in questi ultimi 10 anni
– Obama rappresenta, per background e per leadership, il perfetto collante tra Stati Uniti, Europa e Mondo Mediterraneo
L’Italia e l’Europa cambieranno, e molto, con la presidenza Obama: a cominciare proprio dal modus operandi dei governi di Centro Destra al potere oggi – primo tra tutti il Governo Berlusconi.
E’ chiaro che la nuova ondata di sviluppo globale arriverà, ancora una volta, dagli Stati Uniti – rinnovato motore di uno sviluppo sostenibile – e toccherà a tutti, ancora una volta, seguire (e provare a modellare) l’innovazione americana.
THANK YOU, PRESIDENT OBAMA.
Massimo Preziuso
WAITING FOR OBAMA – INNOVATORI EUROPEI’S PARTY
CLEAN TECHS E FINANZA ISLAMICA
Finanza islamica e clean technologies per lo sviluppo sostenibile nel Mediterraneo
(pubblicato su RESET di Novembre in Progetto “Kyoto of the cities”(di Massimo Preziuso*))
In questo contributo si vuole evidenziare l’emergere, dalle ceneri della crisi finanziaria che sta colpendo i mercati e le economie di tutto il mondo, di un enorme potenziale di sviluppo sostenibile nell’area del Mediterraneo, derivante dall’incontro dei mondi delle Clean technologies e della Finanza islamica.
In pochi mesi, le clean technologies e sviluppo sostenibile del pianeta sono diventati i protagonisti del dibattito quotidiano nel mondo dei media, della politica, dell’economia e nella società.
Solo a dicembre scorso, anche io scrissi per Astrid un piccolo contributo dal titolo “il futuro della finanza nelle clean technologies” dove sostenevo che, in un mondo scottato dalla finanza derivata, gli investitori avrebbero guardato sempre più ai real assets, in particolare alle Clean technologies, per trovare riparo dalla “tempesta perfetta” che si stava per abbattere su di essi.
Solo qualche mese più tardi, tutto questo sta avvenendo, ed in maniera sostenuta: infatti, sebbene gli ambiziosi ma necessari risultati previsti dal protocollo di Kyoto (il trattato internazionale sul cambiamento climatico, che ha dato luogo alla fissazione di “limiti di emissione nocive” alla maggior parte dei paesi industrializzati) siano ancora lontani, ci sono tutti gli elementi per essere fiduciosi ed aspettarsi una ulteriore crescita di attenzione, di investitori e non, verso il tema della sostenibilità ambientale.
In questo senso, la recente sfida di lungo periodo lanciata solo qualche settimana fa al G8 di Hokkaido (riduzione del 50% di emissioni nel 2050), sebbene a molti possa sembrare soltanto “un enunciato di parole”, rappresenta un ulteriore e decisivo segnale su quale direzione il mondo abbia ormai preso: quella dello sviluppo sostenibile dell’economia e della società.
Oggi, le clean technologies (tecnologie di produzione energetica a zero emissioni) continuano ad attrarre ingenti capitali (di investitori istituzionali e non), a motivare importanti politiche pubbliche in tutto il mondo, a dar vita ad importanti iniziative di business e di ricerca, e a rendere sempre più consapevoli i cittadini dell’importanza da dare alle scelte di consumo e agli stili di vita personali.
Due esempi numerici per tutti:
– tra il 2005 e il 2007 la piattaforma finanziaria dell’ETS (Emission Trading Scheme), il principale mercato di scambio di certificati di emissione ha quadruplicato i propri volumi, passando dai 15 ai 64 miliardi di dollari annui ed avviandosi a divenire una piattaforma globale, con l’ingresso secondo molti ormai vicino (2009) dei grandi colossi economici Stati Uniti e Cina.
– Esistono ormai più di 60 carbon funds, con capitalizzazione sopra i 10 miliardi di dollari, che hanno dato vita ad importanti investimenti in progetti CDM (Clean Development Mechanism, il meccanismo project based nato a Kyoto) operanti nei paesi in via di sviluppo, dando l’inizio ad un trend crescente sull’Africa (oggi 5% del totale).
Ma se è vero che le clean techs rappresentano sempre più il cuore di un nuovo paradigma economico e culturale mondiale, da qualche tempo si affianca loro un’altra novità interessante e di lunga prospettiva: lo sviluppo della Finanza Islamica.
Negli ultimi due anni, infatti, in parallelo alla crisi scoppiata con i subprime, e continuata con la crescita dei prezzi del petrolio e delle materie prime, proprio la finanza islamica ha acceso i motori a ha preso il largo.
Ma cos’è la finanza islamica e perché sta crescendo così tanto, in un panorama finanziario da tempo e da tutti definito grigio?
Fondamentalmente la finanza islamica è basata su alcune interpretazioni di alcuni versetti del Corano – il “glorioso” libro dell’Islam, e i suoi due pilastri centrali consistono nell’impossibilità di ottenere interessi sui prestiti (ribà) e nell’obbligo di effettuare investimenti socialmente responsabili. La finanza islamica, quindi, si fonda sul concetto dell’assed based financing, ovvero sull’idea che una istituzione finanziaria possa agire solo nel finanziamento di attività produttive – reali attraverso una propria partecipazione diretta nell’investimento.
Proprio per queste sue caratteristiche peculiari, in questi ultimi due anni, mentre i mercati venivano fortemente colpiti dall’attuale crisi globale, un enorme spostamento di capitali si è diretto verso la finanza islamica: il settore è cresciuto, infatti, ad un ritmo del 20% annuo e molti analisti prevedono il giro di affari di questa tipologia di investimento sarà di circa 2 trilioni di dollari per il 2010.
Da un lato tale crescita si spiega con la crescita della ricchezza dei paesi arabi legata al prezzo del petrolio, dall’altro dalla richiesta degli investitori (istituzionali e non) di investimenti più sicuri e meno rischiosi, nel “viaggio verso la semplicità” di cui si è parlato nei media i mesi scorsi.
Alcuni analisti ed economisti sono arrivati a dire che una finanza mondiale incentrata sul modello islamico oggi non avrebbe vissuto il trauma derivante dai subprime, per la semplice ragione che “le varie strutture finanziarie montate su tali mutui non sarebbero potute esistere in quel mondo (finanza islamica)”, e quest’ultima è una verità dura da contestare.
Di contro, la finanza islamica vive oggi nella difficoltà di staccarsi dalla diffusa consuetudine, presente nelle società occidentali, di essere considerata “attività” vicina al mondo del terrorismo internazionale, sebbene la maggior parte dei colossi dell’investment banking abbiano avviato linea di attività dedicate a tale tipologia di investimenti.
Andando a concludere: il punto centrale che questo piccolo contributo vuole sottolineare è che i fenomeni “Finanza Islamica” e “Clean Techs” si stanno sviluppando insieme, perché mossi dagli stessi drivers e diretti verso un futuro collegato e correlato – la sostenibilità ambientale.
Infatti, essendo le clean techs fondamentalmente legate ad assets reali, esse diverranno sempre più il target di attrazione per la finanza islamica dei prossimi anni, a maggior ragione quando i paesi arabi dovranno guardarsi intorno per trovare il sostituto del “petrolio” – asset / risorsa che andrà ad esaurirsi presto – e trovare un nuovo sentiero di crescita sostenibile per le proprie economie e società.
I primi passi di questo avvicinamento sono stati già fatti:
– il governo di Abu Dhabi ha avviato il più grande fondo clean tech al mondo, investendo in tutto il mondo per raggiungere importanti obiettivi di crescita sostenibile per tutto il mondo arabo.
– I paesi islamici del mediterraneo iniziano a definire degli obiettivi importanti di crescita
Sostenibile basata sulle politiche ambientali
– Il Mediterraneo vive un momento di rinascimento economico e culturale, ed è già sede di importanti investimenti provenienti da tutto il mondo: è di questi giorni la notizia di un progetto (50 miliardi di Euro), sviluppato presso la Commissione Europea, per la costruzione di una immensa rete di pannelli solari (di dimensione paragonabile alla superficie del Galles) che potrebbe produrre tutta l’elettricità richiesta dal continente europeo.
E’ il mediterraneo, infatti, il luogo in cui far frutto dell’avvicinamento tra clean techs e finanza islamica sopra descritto, ed è l’Europa la naturale candidata a condurre questo percorso, essendo per storia e cultura, il baricentro naturale tra mondo arabo, mediterraneo e occidentale.
I primi fatti stanno avvenendo: infatti, con l’avvio dell’Unione Mediterranea (UM), “avvenuto” il 13 e 14 luglio a Parigi, l’Europa ha da subito la possibilità di unire i quattro concetti chiave – Europa, Mediterraneo, Energia e Finanza Islamica – sotto un unico cappello, UM appunto.
UM nasce infatti proprio con l’idea che l’ambiente possa essere il volano per lo – sviluppo sostenibile delle due sponde del mediterraneo – luogo ideale in cui cominciare a sviluppare quella complessa e necessaria transizione verso quello che io chiamo “Clean Economy and Society”.
Ci sono tutte le premesse – politiche, economiche, sociali e demografiche – per permettere che questo accada: bisogna però darsi tutti da fare, perché vi sono pochi anni per intercettare il “futuro”.
Massimo Preziuso – Innovatori Europei
www.innovatorieuropei.com
*Profilo
Laureato in Ingegneria Gestionale nel 2003 presso Federico II a Napoli, si è specializzato su Innovazione e Tlc presso Telecom Italia (Talent Academy), E Business e Management presso il Politecnico di Torino (2004), Finanza Pubblica e Valutazione di Investimenti Pubblici presso l’Università La Sapienza (2005). Si è poi iscritto (2005) al Dottorato di Ricerca in Finanza di Progetto presso Luiss Guido Carli, svolgendo una Tesi sul tema della “Evoluzione della finanza verso l’ambiente e la sostenibilità”, passando periodi di ricerca presso Peking University (2007), dove ha frequentato una Summer School sul tema Globalizzazione e Climate Change, e London School Economics (2007/08), in qualità di Visiting Researcher. Ha lavorato presso Telecom Italia (2003-04), Consip spa (Ministero Tesoro, 2004-06) e dal 2007 si occupa di investimenti nei settori delle Energie alternative e delle Risorse Naturali. Dal 2006 è fondatore e presidente di Innovatori Europei e dal 2008 direttore del Centro Studi di ISME (Istituto di studi economici e finanziari per lo sviluppo del Mediterraneo).
E’ IL TEMPO DELLE SCELTE
LA CULTURA DEL NOSTRO PIANETA E’ IN PERICOLO. E’ il tempo delle scelte
(pubblicato su RESET di Novembre all’interno di Progetto “Kyoto of the cities” (di Gabriele Mariani) *)
La nostra cultura ha conosciuto e conosce ancora momenti splendidi, là dove l’uomo viva senza traumi il suo rapporto con la natura. Questo pare si possa intendere anche dal racconto della Bibbia, ove il peccato non arrivi a rompere gli equilibri.
Ma questa età felice può non finire, se l’uomo saprà amare le proprie origini.
La natura soddisfa tutte le nostre esigenze, e vivendo in simbiosi con essa e godendone i frutti ci fa crescere. Ce ne accorgiamo quando la natura ci manca. Ed è bello apprendere ancor oggi dai libri di protagonisti del secolo appena trascorso, quale Rigoni Stern (che amo ricordare), come l’uomo che viva la natura ne alimenti anche la propria cultura.
Intendendo per cultura non tutto quanto faccia (o dia l’illusione di fare) dell’uomo un essere potente e superiore agli altri esseri viventi, ma la sapienza che deriva dalla conoscenza del proprio ambiente vitale e dal modo di gestirlo, preservandone la ricchezza. Perché mentre imparava a gestire il rapporto con elementi vitali quali la terra, l’acqua e il fuoco, l’uomo è cresciuto dallo stato semplicemente esistenziale a quello di essere razionale, in grado di stabilire e di scegliere da sé come operare per il meglio.
Così è stato sino a quando non capitò che l’uomo si sentisse minacciato dalla natura. Perché ovviamente il rapporto con la natura non è stato sempre idilliaco, e l’avvicendarsi delle stagioni e i fenomeni che nei secoli hanno modificato l’ambiente hanno sviluppato negli uomini dei meccanismi di difesa, che nel tempo talvolta purtroppo sono diventati aggressivi. L’uomo ha cercato di modificare la natura a proprio vantaggio, com’era ovvio e ragionevole, ma spesso dimenticando le regole e i limiti che la natura stessa ci insegna.
Ne è nato un conflitto, e dove la natura ha avuto il sopravvento sono rimasti solo i resti.
Perché paradossalmente, l’uomo per fare ordine crea il disordine. Il consumo dell’energia, che secondo le leggi della fisica può produrre un lavoro più o meno utile, è cresciuto a dismisura senza regole e senza freni, sino allo spreco, creando in molti casi danni non rimediabili nel breve arco dei tempi che l’umanità sa gestire.
Oggi la nostra cultura e i nostri costumi, troppo dipendenti dall’uso dell’energia, sono in pericolo. E’ tempo di rimetterli in discussione, e non solo per noi stessi, ma guardando anche a quello che ci circonda.
Infatti il colonialismo politico ed economico delle nazioni più avanzate che, per iniziativa propria o per una felice posizione geografica, hanno imboccato per prime la via dello sviluppo, monopolizzando per decenni i consumi dell’ energia e appropriandosi delle fonti, dovrà fare i conti con i mercati che loro stessi hanno sviluppato, e con i popoli che, per la crescita demografica e il migliorato stile di vita, incrementano esponenzialmente i propri consumi.
E la tentazione è più forte per chi ha avuto di meno….
E ciò in relazione al risveglio politico e sociale in quei paesi che per decenni sono stati relegati ai margini, accontentandosi di vivere di luce riflessa dai paesi ricchi.
Chi ha meno certezze ha anche più coraggio, o la forza della disperazione, ed è più disposto a rischiare. Le promesse dei paesi ricchi non hanno più credibilità e solo dove si fa qualcosa assieme si ottiene credito.
Ma nonostante la prospettiva di un inizio di esaurimento delle fonti energetiche più sfruttate, di natura fossile, i paesi ad elevato sviluppo economico, dove la crisi energetica è comunque già in atto, egoisticamente non sono disposti a sacrificare il proprio benessere. I paesi in via di sviluppo a loro volta incrementano un uso irrazionale delle stesse fonti di energia manipolandole nel modo più pratico e veloce. La mancanza di mezzi e di una seria cooperazione da parte dei paesi ricchi non li incoraggia all’impiego di tecnologie più avanzate, sia dal punto di vista ecologico che dell’efficienza. E così succede che, “nel fai da te”, chi ha sete di sviluppo e possiede una risorsa ne faccia un uso incontrollato ed anche “improprio”, diventando una minaccia anche per coloro che sinora li hanno sopravanzati .Intendendosi per “improprio” l’attitudine allo sfruttamento delle risorse su basi poco scientifiche e poco ecologiche. Come avviene in paesi quali la Cina, dove si allagano intere Regioni per fare energia idraulica e si inquina a dismisura l’atmosfera con l’uso del carbone senza trattare le emissioni e gli scarti..
Oggi per uso improprio è da intendersi principalmente quello su vasta scala di idrocarburi quali petrolio e derivati, gas e carbone senza limiti alle emissioni: le maggiori cause di una produzione enorme di gas tossici e di CO2 che la natura non riesce più a riciclare e che determinano il riscaldamento e le modifiche, talora devastanti, del clima del nostro pianeta .
Il cosiddetto “effetto serra”.
L’incremento dei consumi di combustibili di origine fossile per la produzione di energia elettrica è stato talmente rapido ed imponente da causarne la crescita spaventosa e non prevista dei prezzi, senza con questo che se ne riducano significativamente i consumi.
E paradossalmente l’uso dei cereali per produrre carburanti sintetici da sostituire agli idrocarburi rischia di contrastare la lotta alla fame nel mondo.
Per la prima metà di questo secolo gli indici di previsione degli incrementi globali dei consumi energetici nel mondo , e contemporaneamente le aspettative di riduzione attraverso l’educazione al risparmio, sono valori in continua evoluzione, anche a causa della crisi economica e politica. Pertanto è meglio riferirsi solo ai dati di tendenza, orientati comunque verso un netto incremento dei consumi, con una varia distribuzione sul pianeta.
Come fonte dei dati possiamo riferirci all’IEA (Int. Energy Agency) e al suo outlook annuale.
In effetti in Occidente, auspicando che si possano assumere comportamenti più virtuosi, o volontariamente o come effetto della crisi, i dati dei consumi potrebbero mantenersi più stabili, mentre in Oriente si é imboccata decisamente la strada della crescita, con incrementi medi del PIL di dieci punti annui. In Cina e in India in particolare, incoraggiati dalla necessità dell’Occidente di sviluppare nuovi mercati e di assumere manodopera a basso costo.
Così ogni anno in Oriente si incrementano gli impianti di produzione di energia elettrica di circa 200 gigawatt, un valore circa doppio di quello degli impianti operanti attualmente in Italia .
Pertanto ogni comportamento virtuoso dell’Occidente non basta a contrastare la crescita globale dei consumi e delle conseguenti emissioni. E ciò nonostante che per circa due terzi la produzione di energia elettrica sia ancora concentrata in Occidente.
E’ difficile parlare di risparmio a chi é ancora in gran parte sotto la soglia di povertà.
Quindi le prime esigenze sono quelle di promuovere l’educazione al risparmio energetico e contemporaneamente lo sviluppo su vasta scala di nuove risorse energetiche non inquinanti, alternative alle risorse fossili.
L’educazione al risparmio energetico diventa un fatto di costume, da sviluppare per noi e da insegnare ai nostri figli come rispetto della natura e di coloro che vivono situazioni precarie.
Ora il vero problema è che non esiste “sviluppo sostenibile” se la migliore educazione al risparmio si limita alla installazione di lampadine di basso consumo e a distribuire meglio i propri consumi nella giornata, per evitare i picchi.
Occorre investire nell’acquisto e nell’ammodernamento delle macchine e dei sistemi che migliorano il nostro stile di vita ma che hanno consumi elevati, e cogliere così due obiettivi: riduzione dei consumi e rilancio dell’economia.
I Governi del mondo attraverso il cosiddetto protocollo di Kyoto hanno avviato una azione di natura politica tendente a educare i popoli, anche attraverso sanzioni, a ridurre e/o a modificare le emissioni e le relative cause. Ma i primi a non rispettare gli obiettivi sono state nazioni come Stati Uniti e Russia, fra i maggiori consumatori (anche se produttori) di energia. Ed ora anche Cina ed India, in pieno sviluppo, reclamano per sé meno vincoli.
E’ difficile convincere i popoli dei paesi in via di sviluppo, se la logica è che hai meno diritto ad inquinare perché hai un’economia più arretrata.
Anche il commercio di questi diritti (l’ Emission Trading System) non può essere l’obiettivo principale dell’azione intrapresa per coinvolgere tutti i popoli della terra..
Le riduzioni auspicate del 20% delle emissioni al 2020 (rispetto al 1990) rimarranno una mera aspettativa fintantoché la dipendenza dai combustibili fossili non verrà ridotta drasticamente.
Sia per la trazione che per la produzione di energia elettrica.
La possibilità di catturare la CO2 e reiniettarla nel sottosuolo è una soluzione, e si sta studiando, ma, sia dal punto di vista tecnico che economico, non trova per ora larga applicazione. Forse potrebbe essere imposta se i costi dei combustibili tornassero ai livelli di dieci anni fa.
Oggi nel mondo oltre due terzi dell’ energia elettrica è prodotta ancora da combustibili fossili.
La sostituzione su scala industriale dei combustibili fossili con risorse energetiche rinnovabili (specchi solari, eolico, fotovoltaico, biomasse etc..) comporta due generi di difficoltà: i costi e la scala degli impianti. E’ noto che occorrono alcune centinaia di ettari di terreno per produrre poche decina di megawatt, là dove una centrale tradizionale produce 1000/1500 megawatt. L’impiego di tali risorse su vasta scala richiede situazioni culturali e geografiche particolari, quali la gestione diretta, su scala domestica e/o di piccole comunità, di impianti locali, con esigenze più limitate e non continuative di consumo. Inoltre il costo del kilowattora prodotto è in generale più elevato.
L’Italia incentiva l’installazione di pannelli fotovoltaici, nonostante che il costo del Kilowattora prodotto sia dell’ordine di cinque/dieci volte superiore al costo del prodotto tradizionale. Questo è un bene comunque perché incentivando l’applicazione di una tecnologia promettente se ne favorisce lo sviluppo dell’efficienza e la conseguente riduzione dei costi.
La Smart Grid, ovvero la rete intelligente, é il sogno di stabilire un rapporto di scambio diretto fra tutti i produttori e i consumatori, con una rete simile a Internet, che possa eliminare il vincolo delle politiche delle grandi compagnie e dei governi che gestiscono le risorse.
Le difficoltà derivano dal fatto che nella rete elettrica non è come su WEB, dove può andarci di tutto. Una rete elettrica per operare deve essere monitorata e controllata da un sistema centrale.
La nostra nazione, che impegna attualmente una quantità di energia prodotta pari a circa 100 gigawatt, è dipendente per circa il 15% dei consumi dall’estero, in particolare dagli impianti ad energia nucleare che la Francia e la Svizzera hanno costruito ai nostri confini.
Per far fronte autonomamente ai nostri consumi noi abbiamo la necessità di programmare la costruzione entro il 2020 di almeno dieci centrali da 1500/2000 megawatt, a meno di non voler continuare a comprare energia facendo finta di non conoscerne la provenienza.
Solo l’energia nucleare può dare il contemporaneo vantaggio di un’alta concentrazione di produzione di energia e assenza di emissioni di CO2 e di altri gas.
E’ forse il tempo di rinnovare le scelte che in modo non molto razionale e consapevole abbiamo fatto in occasione del referendum nell’87.
Se vogliamo essere sinceri le scelte le hanno già fatte gli altri per noi, ce lo dimostra anche Chicco Testa nel suo recente libro: Tornare al nucleare ?
Non possiamo più dire di no al nucleare di ultima generazione, già sperimentato e collaudato in oltre 400 impianti nel mondo, senza con questo trascurare lo sviluppo delle risorse alternative che daranno in un futuro prossimo un contributo essenziale, in mancanza di altre risorse.
Nulla che l’uomo ha scoperto o ha inventato è in sé un bene o un male, dipende dall’uso che l’uomo ne fa. Lo sfruttamento per fini pacifici della grande potenza concentrata nell’atomo é un dono di Dio, se contribuisce a elevare lo stile di vita e allontana la tentazione di usi aggressivi.
Il problema è convincersi che si può convivere con un rischio calcolato. Che dopo il disastro di Cernobyl, dovuto a un grossolano errore dell’uomo, l’energia nucleare per scopi pacifici ha causato di fatto molte meno vittime di altre attività industriali e/o di attività normali della nostra vita di ogni giorno, verso le quali non abbiamo questo rifiuto. E questo perché l’industria nucleare ha molti più controlli ed é in continua evoluzione, sia dal punto di vista delle tecnologie che della sicurezza e dei sistemi di trattamento delle scorie.
La terra nella sua evoluzione, a partire dal primo Big Bang, ha sviluppato sempre migliori condizioni di vita, almeno sul lungo periodo. Può esserci una spiegazione religiosa, oppure è solo perché nella natura c’è uno” slancio vitale”, che non si esaurisce . James Lovelock, ambientalista, noto quale inventore della teoria di Gaia, considera la terra un organismo vivente alla ricerca continua di equilibrio,coadiuvata dalla specie umana come parte attiva e interagente, e ha dichiarato che considera l’energia nucleare una risorsa irrinunciabile per affrontare i cambiamenti climatici.
*profilo
Laureato in ing.meccanica al Politecnico di Milano nel 1969, ha lavorato come progettista tre anni alla F.Tosi di Legnano.Assunto nel ’73 alla Snamprogetti( ENI) ha ricoperto vari ruoli e varie responsabilità sino al 2006.Dall’Ufficio Macchine é passato alla Divisione Infrastrutture dove é stato Resonsabile delle Tecnologie ,del Marketing e infine Direttore della Divisione sino al 1988.Direttore commerciale della Snamprogettisud sino al1992.In seguito Presidente del Consorzio Alta Velocità Cepavdue e Direttore Realizzazione Progetti.
“SCUBADRIVE” DI ALBERTO ZIGONI
MANIFESTO ENERGIA – AMBIENTE
MANIFESTO DEL GRUPPO “ENERGIA E AMBIENTE”
L’opinione pubblica si sta finalmente rendendo conto dell’enorme sfida posta all’umanità dal Cambiamento Climatico. L’evidenza della responsabilità umana su questo fenomeno è ormai appurata a livello scientifico, così come l’urgenza di adottare contromisure efficaci per far fronte al mutamento del nostro ecosistema.
Questa consapevolezza non si è ancora tradotta in azione nei tavoli in cui si decide il futuro del pianeta:
• le complesse relazioni geopolitiche tra Paesi produttori di energia (in particolare combustibili fossili) e Paesi consumatori, ostacolano qualunque sviluppo che possa impattare significativamente sullo status quo.
• Al momento si registra una disponibilità di abbondante energia a costi contenuti e questo, nonostante la corsa del prezzo del petrolio, l’utilizzo di fonti rinnovabili (qualora non si valutino le esternalità positive) non è sempre competitiva. Il tasso di crescita delle economie dei Paesi emergenti non è oggi sostenibile senza il petrolio, mentre la crisi finanziaria incombente sull’Occidente rende difficilmente attuabile un piano di investimenti a medio – lungo termine volti ad affrancare i Paesi sviluppati dalla dipendenza dal petrolio.
Nonostante tutto alcuni passi in avanti sono stati fatti, come il Protocollo di Kyoto, con gli sviluppi che ha determinato (il Carbon Market ad esempio): da queste conquiste bisogna ripartire per ridefinire un piano di cambiamento globale.
L’obiettivo strategico del gruppo Energia ed Ambiente di Innovatori Europei è quello di contribuire all’affermazione di un nuovo modello di sviluppo sostenibile: la Clean Economy. Questo modello premia i processi di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi ad impatto zero, ovvero tali che qualunque costo ambientale derivante dalla pressione esercitata dalle attività umane sull’ecosistema Terra sia controbilanciato da un’azione uguale e contraria, evitando di contrarre “debiti ambientali” che ricadono inevitabilmente sulle future generazioni.
Il Gruppo non vuole essere un centro di ricerca fine a se stessa, ma si propone di sviluppare la propria missione lungo due assi:
• ricerca
• azione
• divulgazione
L’attività di ricerca ha due principali obiettivi:
• creare una solida cultura sui temi di interesse
• formulare ed avanzare proposte concrete per l’attuazione della missione del gruppo.
Le proposte, attraverso le capacità di networking di Innovatori Europei, saranno portate all’attenzione di tutti gli attori coinvolti nel mondo dell’Energia:
• istituzioni accademiche e di ricerca
• aziende
• mercato ed autorità di governance
• opinione pubblica
• decisori
Il gruppo è costituito da persone provenienti sia dal mondo accademico e da quello produttivo e può vantare un mix di competenze e di relazioni che permette a ciascuno dei membri di contribuire fattivamente al raggiungimento dei due obiettivi precedentemente indicati.
Gli argomenti trattati dal Think Tank sono i seguenti:
• Fonti rinnovabili
• Nucleare
• Efficienza energetica
• Abbattimento delle emissioni di CO2
• Piattaforme di commercio di certificati verdi
• Smart grids
• Normativa nazionale e protocolli internazionali
• Finanziamento di attività imprenditoriali “verdi”
La creazione di una base di conoscenza estesa ed organica comprendente queste tematiche permette di immaginare percorsi di cambiamento con obiettivi a lungo termine, ma calati nella realtà quotidiana. In questo contesto, in particolare, una grande enfasi sarà data al Clean Behaviour, ovvero a quell’insieme di buone pratiche per il risparmio energetico che ognuno può adottare per risparmiare ed aumentare la propria consapevolezza ambientale.
Nel concreto le attività svolte saranno le seguenti:
• pubblicazione di articoli e studi sui temi elencati precedentemente
• organizzazione di convegni e dibattiti per diffondere i contenuti elaborati dal Think Tank e fare rete
• progetti di formazione e promozione, presso scuole di ogni ordine e grado, per accrescere la consapevolezza di un comportamento responsabile verso l’ambiente e l’utilizzo dell’energia
• azioni di sensibilizzazione sulla politica per dare rilievo ai temi di nostro interesse nell’agenda dei partiti e delle istituzioni
Il modello operativo è quello costitutivo di Innovatori Europei.
• democrazia: ogni argomento è dibattuto tra i membri del gruppo, sempre nel rispetto delle opinioni altrui.
• tecnologia: le attività si svolgeranno inizialmente sfruttando l’infrastruttura tecnologica di Innovatori Europei (Portale, gruppi, email, Skype,…), appoggiandosi alle sedi fisiche della Associazione.
Fondamentale sarà l’interazione con gli altri Think Tank ad oggi attivi in Innovatori Europei:
• Sapere ed Innovazione: una fattore critico di successo per le attività del gruppo è la capacità di comunicare efficacemente i propri messaggi. La sinergia con questo gruppo permetterà di veicolare i nostri contenuti nell’ambito di quella società della conoscenza che il Think Tank Sapere ed Innovazione contribuisce a disegnare.
• Europa e Mediterraneo: le relazioni dell’Europa con i Paesi del Mediterraneo è di fondamentale importanza nell’ambito delle tematiche energetiche ed ambientali, sia per quanto riguarda le fonti tradizionali (petrolio e gas) che per le rinnovabili (solare ed eolico). Un programma di sviluppo condiviso in questo senso può essere cruciale per il consolidamento delle relazioni politiche tra gli stati che si affacciano sul Mediterraneo. In questo contesto, in cui l’Italia gioca un ruolo fondamentale, la collaborazione con il gruppo Euromed permette di inquadrare le attività del Think Tank in una cornice politica di primaria importanza (Unione per il Mediterraneo) e di articolare le proposte alla luce della ricchezza e diversità di culture coinvolte (finanza islamica ad esempio).
MANIFESTO EUROPA – MEDITERRANEO
MANIFESTO DEL GRUPPO “EUROPA E MEDITERRANEO”
Nel mese di febbraio 2008 è partito definitivamente il Gruppo Europa di IE, che, da allora, si sta occupando principalmente di politiche Euro Mediterranee.
Nel termine “EuroMediterraneo” c’è un ovvio riferimento al Partenariato EuroMediterraneo, alle Politiche Europee di Vicinato e all’Unione per il Mediterraneo .Si parla perciò (come è ovvio) di relazioni politiche EuroMediterranee.
Basta fermarsi a questi tre quadri normativi per capire che non solo le relazioni politico-diplomatiche stanno al centro del dibattito, ma il Mare in sé è l’oggetto, e serve, perciò, come spunto per entrare nel merito dei più diversi argomenti, che uniscono e separano entrambe le sponde mediterranee:
1) da un punto di vista di POLITICA AMBIENTALE: le fonti di energia alternative che il Mediterraneo può fornire (sia come risorsa idrica che per quanto riguarda sole, vento e altre fonti di energia pulite).
2) di RELAZIONI COMMERCIALI e, perciò, della volontà di creare una zona di libero scambio euromediterranea (come prevedeva il Partenariato). La libertà di scambi in quest’area (tenendo conto del precedente europeo – cioè delle 4 libertà all’interno delle frontiere dell’Unione – ) fa subito pensare ai “rapporti sociali euromediterranei” (punto 3).
3) Il termine RAPPORTI SOCIALI EUROMEDITERRANEI è volutamente ampio e poco preciso, per poter così fare riferimento a diversi aspetti, tra i quali:
– dal punto di vista delle relazioni commerciali, della libertà di movimento nell’area euromediterranea, argomento che richiama velocemente altre tematiche, quali i movimenti migratori e le politiche adottate in merito.
– si può, però, parlare pure di rapporti sociali, dal punto di vista del sapere e della cultura, della possibilità di scambio e trasmissione di conoscenza
Da un punto di vista internazionale, la crisi dell’economia basata sul petrolio, la discussione sulle clean energies e la clean economy in genere, e il possibile ritorno al nucleare, mettono PEM, PEV ed UPM al centro di un dibattito affascinante: il Mediterraneo si presenta come uno degli scenari più interessanti al mondo su ambiente, energia e co-sviluppo, e ci invita a realizzare una nuova e più approfondita riflessione sul tema.
Le tematiche dell’ambiente e del co-sviluppo assumono sempre più rilevanza nei dibattiti nazionali e nei vertici internazionali (dalle iniziative su base regionale allo scorso Summit del G8 incentrato sul clima). E le politiche europee e quelle degli Stati che si affacciano sulle due sponde del Mediterraneo non sono estranee a queste dinamiche.
L’attenzione all’impatto delle urbanizzazioni, le politiche di insediamento di plessi industriali (perciò politiche economiche) e quelle energetiche, il rispetto della natura ma anche le conseguenze dei fenomeni migratori e la gestione delle risorse naturali (riserve d’acqua, smaltimento dei rifiuti, nuovi costi sostenuti in termini economici e sociali dalle amministrazioni locali per l’aumento di coloro che ‘sfruttano’ il territorio) si collegano tutte alle tematiche del cosiddetto “sviluppo sostenibile”.
Tale concetto è diventato, non a caso, uno dei principi guida nelle politiche dei Paesi Mediterranei e dà luogo a 3 sfide prioritarie, che rispondono alle 3 dimensioni del problema, ovvero:
• sul piano ambientale, la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali, con particolare riferimento all’energia;
• dal punto di vista economico, la sfida della lotta alla povertà nella sponda Sud del Mediterraneo e lo sviluppo socio-economico della Regione;
• nell’ambito sociale, il mantenimento della Pace tra i popoli.
I tre concetti si accompagnano alla necessità “ultima” di ripensare le Società moderne nel loro complesso, trovando in un nuovo rapporto con l’Ambiente il driver per cambiamenti sociali epocali, in termini di comportamenti economici e di redistribuzione delle ricchezze.
La stessa UE, nell’art. 177 del Trattato di Amsterdam, ha già collegato il concetto di sviluppo sostenibile con quello dell’ambiente e con la politica di cooperazione, stabilendo che:
• per quanto riguarda lo sviluppo economico e sociale sostenibile, i Paesi in via di sviluppo (PVS) devono tener conto sistematicamente degli aspetti ambientali nella formulazione delle politiche economiche e sociali;
• nella lotta alla povertà, nel dialogo con i PVS si deve tener conto dell’equazione tra povertà ed ambiente;
• si deve favorire l’inserimento dei PVS nell’economia mondiale, attraverso il commercio, lo sviluppo nel settore privato e gli investimenti internazionali, ma sempre nel rispetto dell’ambiente.
Tutti questi aspetti sono stati trattati, gli scorsi 13 e 14 luglio, a Parigi, dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi Mediterranei, riuniti per discutere sull’Unione per il Mediterraneo (UPM). L’UPM parte infatti da un focus sulle politiche ambientali, energetiche e di co-sviluppo.
L’UPM propone una visione che è una via di mezzo tra un approccio globale (e cioè euro – mediterranea) ed uno “semi-locale” (e cioè di Vicinato, che presuppone un rapporto bilaterale): una visione intra – mediterranea degli argomenti di suo interesse, ma in cui la Commissione sia “socia” e partecipi ai lavori, in modo tale che il rapporto sia di associazione e complementarietà e che i meccanismi si “rinforzino” a vicenda.
Il progetto che il Gruppo Europa di Innovatori Europei si pone di portare avanti si concentra sui rapporti tra questi aspetti (energia, ambiente, economia, sapere e cultura), all’interno del più ampio contenitore che è il co-sviluppo (un primo titolo, ancora in discussione, sarebbe quello di “Impatto socio-economico delle energie rinnovabili sulle relazioni Euro Mediterranee”).
Esso va realizzato con un approccio top-down, studiando le modalità con le quali il PEM, la PEV e l’UPM hanno inquadrato l’argomento.
Metodologicamente si adotterà il modello del PEM, che prevede la suddivisione dell’argomento in 3 pilastri, in base a 3 prospettive differenti e allo stesso tempo complementari:
– piano politico (politiche ambientali ed energetiche; posizioni dell’UE, da una parte, e degli Stati della sponda Sud, dall’altra, su ambiente ed energia; influenza di questi settori sui movimenti di popolazione, lavoro,…);
– piano socio – economico (fondi stanziati per ambiente ed energia; accordi commerciali; clean energies economy;…) ;
– piano socio-culturale (ricerca e sviluppo; fuga di cervelli; cooperazione R&D&I tra le due sponde;…).
Si è proceduto ad iscrivere IE ad importanti network euromediterranei, quali la Fondazione Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture (utile, tra l’altro, per l’identificazione di possibili partners con i quali poter avviare progetti di ricerca) , Platon Plus Net (network nell’ambito del VII Programma Quadro di Ricerca) e APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea, come network referente in Italia del VII Programma Quadro).
Infine si è avviato un primo gruppo di lavoro attorno alla redazione di articoli a cadenza bimestrale su sottoargomenti riguardanti il macro tema Euro mediterraneo, con i quali sviluppare una massa critica di competenze sull’argomento.