Governance mondiale e crisi finanziaria in salsa G20
Il G20 di Londra sin dall’ inizio si è annunciato difficile. Le posizioni prospettate erano molto diverse, specchio di sistemi diversi nella divisione del lavoro come nella natura giuridica.
Obama si è trovato a fare i conti con players riottosi alle proposte made in Usa, come made in Usa è la crisi da affrontare al G20, ha ricordato con (il solito) disimpegno il presidente Silvio Berlusconi.
Prima del vertice di Londra, il Presidente americano aveva annunciato tra le contromisure alla crisi interna, la riforma drastica nel controllo finanziario con lo scopo di sottoporre hedge fund e derivati alle regole di vigilanza attualmente esercitate sugli istituti bancari. Giunto in Europa, Obama si è dovuto rendere conto che ciò non è bastato a convincere l’asse Berlino-Parigi che chiedeva maggiore vigilanza finanziaria nella prospettiva di disciplinare il mercato globale con regole comuni.
Proposta assolutamente chiara e rigorosa per isolare gli asset tossici, ripulire e rilanciare il sistema, più di quanto non lo siano gli incentivi sostenuti da USA e Gran Bretagna. L’opposizione europea alla ricetta obamiana nasce dalla convinzione franco-tedesca che le continue iniezioni di moneta non risolvano la situazione ma al contrario, la aggravino, spingendo l’economia mondiale ancora più giù, nella spirale dell’aumento del debito e dell’inflazione. Mentre la Cancelliera e il Presidente francese al tavolo tenevano ben in mente il ruolo del wealfare state nelle loro economie nazionali (e di tutto il vecchio continente), Hu Jintao aveva presente il potere della sua Cina sulle casse statunitensi.
Detentore di una larga fetta del debito pubblico americano, la Cina è anche il paese che dopo gli Stati Uniti ha immesso, con 500 miliardi di dollari, la quota più elevata per tamponare la deriva finanziaria. Se al vertice i cinesi stringevano la mano agli americani e li rassicuravano sull’accordo per nuovi incentivi, con l’altra tiravano una proposta bomba: abbandonare il dollaro come valuta globale di scambio; allo stesso tempo strizzando l’occhiolino anche alla Germania, convenivano sulla necessità di un’authority mondiale. La capacità strategica di Pechino è riuscita a destare affinità anche nel cuore dell’Europa dove, la Germania come la Cina fonda sull’esportazione gli attivi commerciali, contrariamente a Stati Uniti e Regno Unito che si sostengono a vicenda, consci del loro deficit di risparmio pubblico e privato.
La conclusione del summit ha raggiunto l’accordo sul rifinanziamento del Fondo Monetario Internazionale per mille miliardi di dollari. Il provvedimento è fondamentale, perché interviene in aiuto dei paesi in bancarotta, e inoltre prevede che 250 miliardi del fondo siano destinati per il cosiddetto ‘Special drawing rights’ (diritti speciali di prelievo, una sorta di valuta virtuale del Fmi che può essere scambiata con dollari, euro, yen e altre monete pesanti). “Previsti anche 5.000 miliardi di dollari che saranno stanziati nell’economia mondiale entro la fine del 2010”, ha annunciato Brown. Un altro accordo raggiunto è quello sui paradisi fiscali e bancari: dal vertice esce l’impegno preciso a mettervi fine sulla base di una lista Ocse.
L’organizzazione porta due elenchi: nella black list compaiono Costa Rica, Malaysia, Filippine, Uruguay. Nella “lista grigia” invece 38 paesi tra cui Lussemburgo, Svizzera, Austria, Belgio, Singapore, Cile e Isole Cayman, Liechtenstein, Antille olandesi, Belgio e Principato di Monaco, che, pur essendosi impegnati a rispettare le regole dell’Ocse le violano. Sanzioni saranno applicate a quei paesi che non forniranno le informazioni richieste dalle autorità di controllo ed i vincoli amministrativi saranno più severi, impedendo di depositare fondi in questi paesi. I G20 annunciano la fine del sistema bancario ma la Cina ha chiesto che Hong Kong e Macao ne siano escluse, in questo modo il rischio di spostamenti di capitali verso oriente è più di un rischio, è una certezza.
Parole dure anche sui bonus e gli stipendi dei dirigenti. “Non ci saranno più bonus per chi provoca fallimenti”, ha detto Brown, e le retribuzioni dovranno riflettere la performance, mentre i nuovi vertici delle istituzioni finanziarie dovranno venire assunti sulla base del merito.
E’ soddisfatto Gordon Brown, presentando al termine dei lavori del G20 il documento finale. Un accordo raggiunto a fatica dai leader riuniti a Londra, un testo sezionato e cambiato più volte, per trovare una mediazione fra le spinte contrapposte di Stati Uniti (con l’appoggio inglese), e Francia e Germania (con sostegno italiano). Le misure assunte a Londra appaiono senza dubbio marginali, non sufficienti a ripristinare un ingranaggio bloccato e lasciano deluse le aspettative di risanamento. Alla fine del summit è inevitabile domandarsi quale sia la portata effettiva di questi vertici, non propriamente istituzionali, legittimati direttamente non si sa ancora da chi, che mal riescono ad assumere di concerto strategie comuni. L’Europa continua a non ricoprire un ruolo autorevole, giacchè si sentono due voci per due paesi invece che una per ventisette. La fine del summit lascia il posto a molti interrogativi, come quello sull’opportunità di rivedere e modificare la governance mondiale.
Il G20 non avrà dato risposte risolutive alla recessione ma è certo che quel tavolo abbia confermato il cambiamento dell’assetto politico mondiale in cui la Cina è al centro.
La volontà di Francia e Germania di stabilire regole di vigilanza nell’economia mondiale è sembrata il punto di vista istituzionale e moderato della medesima critica mossa dai contestatori che hanno invaso il cuore della city; dal’altra parte il piano Geithner-Obama appare oscuro se si riflette a fondo sulle origini e le conseguenze delle immissioni di liquidità. Esse infatti garantiscono operatori privati, ad esempio nell’acquisto di titoli tossici, proteggendoli con solidi fondi da eventuali rischi. Ma questi “solidi fondi” a chi appartengono? Alle casse pubbliche, ai contribuenti. Ovvio.
Si può comprendere allora il principio liberista di sostenere gli operatori privati che assumono il rischio dell’investimento, ma chi assicura che con qualche correzione il sistema riparta senza incepparsi ancora?
Continuare a rattoppare la superficie non colmerà le voragini di un sistema precipitato per squilibri reali.
La pessima distribuzione del reddito, il continuo incitamento al consumo irrazionale, l’esaurimento del risparmio privato e il ricorso all’indebitamento pubblico ci portano a Londra per trattare con una Cina potente che usa il capitale e l’autorità per dettare le condizioni o quantomeno avere l’ultima parola.
Per quanto appaia remota l’ipotesi di una tanto invocata nuova Bretton Woods, l’idea di world regulation è senza dubbio l’alternativa più efficace e responsabile rispetto a palliativi costosi e di strette vedute inadatti ad uno sviluppo di lungo periodo. Il prestito va reso, sempre. Se ora creditore è la Cina, un domani più vicino di quanto non si immagini, sarà l’ambiente a presentare il conto. Allora (nel nostro bel paese) quanto pagheremo per la nouvelle vogue di cemento e nucleare?
ATTUIAMO I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN ITALIA, ADESSO
La Proposta degli Innovatori Europei
In questo 2009 di piena recessione, con un Prodotto Interno Lordo in significativa e preoccupante discesa, i “Contratti di Solidarietà” potrebbero evitare la perdita di migliaia di posti di lavoro (con tutte le conseguenze che ne conseguono).
I meno giovani ricorderanno fin troppo bene la formula dei contratti di solidarietà aziendale che in Italia trovarono diverse attuazioni a partire dagli anni 80’.
Per i piu’ giovani, dietro lo slogan LAVORARE MENO per LAVORARE TUTTI, in molte aziende di quegli anni fu fatto il sacrificio di ridurre secondo varie formule il normale orario lavorativo, con contestuale riduzione degli elementi retributivi.
Il risultato a tendere era quello di evitare i licenziamenti.
In molte realtà esso non solo fu raggiunto ma consentì alle aziende di uscirne rafforzate in termini sia “di morale” che di compattezza della forza lavoro.
In questi mesi, paesi come la Germania hanno intrapreso e bene questa strada.
Diciamo pure che anche da noi, il 20 dicembre scorso, il Ministro Sacconi l’aveva proposta …. poi però il progetto non ha avuto sviluppi concreti.
Quello che chiediamo con la nostra iniziativa è semplicemente di rinvigorire gli entusiasmi del governo su questo strumento, focalizzando l’attenzione su come questa forma di accordi andrebbe adattata al contesto attuale.
In sintesi, in termini di forze aziendali, forte dovrebbe essere il coinvolgimento anche dei dirigenti (le cui finanze senz’altro meglio sono in grado di sopportare periodi piu’ o meno prolungati di “dieta retributiva”).
D’altronde è criterio comune “a qualsiasi schieramento politico sano” che la solidarietà parte da chi ha di piu’ e progressivamente va a scendere.
I filantropi contribuiscono volontariamente, gli altri “vanno aiutati” a diventare piu’ generosi.
Troppo spesso sentiamo parlare di top manager con emolumenti da capogiro. Con lo stipendio medio di un dirigente “strategico” si possono trovare dei margini di manovra soddisfacenti. Del resto se molte aziende si sono in passato trovate impelagate in situazioni di crisi cio’ è stato dovuto anche a scelte “strategiche” poco ortodosse.
Se a questo aggiungiamo che, non solo dalla citata Germania ma anche dalla Francia e dalla Scozia spira un vento decisamente in chiave “anti-management”, riteniamo possa essere cosa buona incanalare questo vento in chiave assolutamente propositiva e non populista.
Chiudiamo con un’unica certezza: che i tempi siano maturi per iniziative di questo genere.
Ma cosa sono i contratti di solidarietà?
In sintesi sono degli strumenti di diritto del lavoro che prevedono, nelle situazioni di crisi aziendale, di ridurre il normale orario lavorativo (e, quindi, leggermente lo stipendio del lavoratore) per evitare il licenziamento di altri colleghi.
E’ una bellissima forma di solidarietà tra lavoratori – cittadini, e soprattutto permette di evitare la perdita di posti di lavoro, che comportano enormi problemi di natura sociale, economica e di sviluppo. Pensiamo solo cosa voglia dire, anche per la stessa azienda, perdere un lavoratore con un’esperienza pluriennale anni in termini di competenze, fiducia, formazione; oppure pensiamo cosa vuol dire per un lavoratore di 40 anni trovarsi, oggi – 2009, in cassa integrazione, con figli a carico; e pensiamo, infine agli impatti di un lavoratore senza stipendio sul “circuito dei consumi” del nostro Paese.
Questo è forse il migliore strumento di politica pubblica attuabile, rapidamente, in un’Italia in piena recessione. Oltre a preservare per periodi limitati di tempo le professionalità ed i posti di lavoro, ha due grandi vantaggi:
1) la trasposizione pratica del concetto di solidarieta’ in se’ … non piu’ “homo homini lupus” ma coinvolgimento collettivo e compartecipazione rinforzando la coesione aziendale;
2) se la crisi avra’ una durata limitata potrebbe fare la differenza, allungando i tempi di sopravvivenza delle aziende a ranghi completi facilitando la ripresa delle attivita’ non appena il mercato si riprende.
L’attuazione richiede un grande lavoro di regia del Ministero del Lavoro, per trovare l’optimum legislativo che raccordi gli interessi delle varie categorie (principalmente sindacati, imprese e politica), ma a nostro avviso è fattibile. Occorre estendere a tutte le imprese il perimetro della normativa attuale, in vista di una più ampia revisione del sistema degli ammortizzatori sociali di cui il paese ha impellente bisogno.
La cosa importante è che nell’attuale congiuntura si eviterebbe la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro qualificati, che sta portando già tensioni sociali, crollo dei consumi, e, forse ancora peggio, la dispersione di capitale umano attraverso il licenziamento di lavoratori fidelizzati che si dequalificheranno e che difficilmente potranno poi essere reinseriti nel mondo del lavoro.
In termini realizzativi, una proposta/soluzione di questo tipo dovrebbe avere carattere di accordo temporaneo tra i portatori di interesse della specifica azienda ed essere incentivata, nel senso che le aziende/enti che decidessero autonomamente di adottare uno schema “lavorare meno – lavorare tutti” ben accolto dalla maggioranza dei lavoratori dovrebbero poter accedere a crediti d’imposta o altri meccanismi indiretti di diminuzione dei costi del lavoro a carico degli imprenditori.
Lavoratori con contratto a tempo determinato e prestatori d’opera ancora più precari dovrebbero assolutamente rientrare nel contratto di solidarietà aziendale con percentuali analoghe di diminuzione di ore di lavoro, garantendo però la continuità del rapporto di lavoro precedentemente instaurato.
Lo strumento “contratto di solidarietà” non è facilmente applicabile a tutte le realtà aziendali.
Ma sarebbe già ottimo se venisse applicato nelle tante PMI italiane, in cui si potrebbe salvare “la vita” a tanti lavoratori “specializzati in realtà aziendali di nicchia” che, se mandati via a 40-50 anni da “quella realtà” aziendale, rischiano grosso di restare disoccupati fino all’età della pensione (se mai la percepiranno). Le piccole aziende infatti non possono accedere a strumenti istituzionali come CIG/CIGS e scivoli vari e l’attuale fondo ex-lege 236/93 ha disponibilità molto limitate.
Da ricordare inoltre molte realtà settoriali, ad esempio quelle dello spettacolo e del turismo, caratterizzate da stagionalità e discontinuità ma da cui traggono reddito un gran numero di lavoratori autonomi/partite IVA che non posseggono nessun tipo di supporto economico ma che contribuiscono fortemente alla produzione di servizi.
E’ su queste realtà così presenti nel tessuto economico italiano che ci si dovrebbe concentrare più che sulle grandi imprese che, tra incentivi alle vendite, aiuti di stato e una maggiore capacità manageriale e competitiva (si veda il grande risultato raggiunto da FIAT negli Stati Uniti, che è frutto di tutte queste condizioni) superano sempre, alla fine, ogni congiuntura negativa.
I primi firmatari
Michele Cipolli
Andrea Masconi
Massimo Preziuso
Carlo Alberto Sartor
Mauro Stefanelli
Enzo Tripaldi
Per aderire, si può scrivere a: infoinnovatorieuropei@gmail.com
CONTRATTI DI SOLIDARIETA’
Ciao a tutti.
Parlando con il “nostro” Mauro Stefanelli è venuta fuori l’idea di scrivere e diffondere un nostro documento sul tema dei “Contratti di Solidarietà”, che potrebbero evitare la perdita di migliaia di posti di lavoro in questo 2009 (con tutte le conseguenze che ne derivano).
In Germania hanno avviato e bene questa iniziativa, che è totalmente diversa (come impostazione) rispetto all’assegno di disoccupazione proposto da Franceschini (e bocciato in Parlamento) e vedrebbe un maggiore consenso bi-partisan e, diciamola tutta, molto più sensata (perchè mette insieme i principi di “solidarietà” con quelli di “economia del lavoro” e di “economia politica”).
Il 20 dicembre scorso il Ministro Sacconi l’aveva proposta, poi si era fermato, ora sembra ripartire il dibattito: ma è chiaro che è in questi mesi che un “contratto di solidarietà” andrebbe attuato.
Chi vuole dare una mano con contributi per la stesura del documento?
E’ il momento che riprendiamo a proporre idee ed iniziative anti crisi: un dovere nei confronti di un Paese in crisi profonda, e che continua a nasconderla.
Massimo Preziuso
WORLD ENERGY OUTLOOK 2008
ADDIO A GIUSEPPE BONAVIRI
È morto Sabato sera a Frosinone a 84 anni il poeta e scrittore Giuseppe Bonaviri, più volte entrato nella rosa dei candidati al premio Nobel.
La notizia è stata data dalla Fondazione che porta il suo nome.
Era nato a Mineo, in provincia di Catania nel ’24. Medico cardiologo, Bonaviri, è stato sempre attento a cogliere la dimensione magica e arcaica della natura.
Ha pubblicato, soprattutto per Rizzoli ma anche Mondadori e Sellerio, numerosi libri dal giovanile La ragazza di Casalmonferrato a Il fiume di pietra nel 1964, Notti sull’altura nel 1971, L’enorme tempo nel 1976, Novelle saracene nel 1980, L’incominciamento nel 1983, È un rosseggiar di peschi e d’albicocchi nel 1986, Ghigò nel 1990, Il vicolo blu nel 2003.
Tutti gli Innovatori Europei sono vicini, in questo momento difficile, alla cara amica Giuseppina e tutta la sua famiglia.
ENERGIA NUCLEARE O RINNOVABILI: LA MIA RISPOSTA A CHICCO TESTA
(sul suo nuovo ed interessante blog “pro-nucleare” http://www.newclear.it)
Egregio Chicco.
Leggo con piacere gli interventi su questo Suo interessante Blog.
Mi dispiace, però, notare di essere in disaccordo su temi così “innovativi” ed “importanti” come quelli della scelta di una “nuova” politica industriale energetica.
Provo a spiegarmi meglio.
E’ evidente a tutti che le dinamiche della domanda di energia (dei consumi, in generale) vedono un nuovo baricentro che si sposta rapidamente verso Oriente, per fattori geopolitici e demografici, frutto della globalizzazione.
E’ vero anche che, per far fronte a questa rapidità, i Paesi “emergenti” (Cina e India, in particolare) stanno portando avanti politiche energetiche basate sulle cosiddette “infrastrutture energetiche puntuali” (principalmente Carbone, Idroelettrico e Nucleare).
La cosa che non capisco è il ragionamento consecutivo che Lei sostiene, ovvero che, dato che due Paesi emergenti (con popolazioni di miliardi di persone, e “Governi non perfettamente democratici”) come la Cina e l’India (e aggiungiamo anche la Russia) rispondono a bisogni “rapidi e pressanti” derivanti da una crescita repentina ed inaspettata, nella maniera più ovvia per loro, principalmente Carbone e Nucleare, un Paese (piccolo e maturo – anzi decadente) come l’Italia debba rispondere a “loro” da Follower in una gara al consolidamento di Monopoli nell’industria Energetica (ricordiamo che Nucleare e Carbone sono industrie naturalmente oligo-monopolistiche, con tutte le conseguenze sui prezzi, e non solo, che tutti conoscono).
Il ragionamento che io mi aspetterei, invece, da un Paese maturo e decadente, ma con una enorme tradizione di cultura e storia, come l’Italia (l’Europa sta già invece muovendosi, con grande piglio, in questa innovativa direzione) è quello di guardare al futuro: ad un mondo in cui l’energia è distribuita, è (idealmente) prodotta e consumata nello stesso luogo (o comunque, nelle “aree in cui si vive”), in cui i livelli di emissione di CO2 scendano a livelli ottimali, ed il consumo diventi “sostenibile” e “consapevole” nel rispetto dell’ambiente e degli altri.
Ebbene, tutto questo passa per una scelta NETTA che è quella dell’EFFICIENZA ENERGETICA, delle RINNOVABILI, e del CLEAN BEHAVIOUR.
Questa scelta non è in disaccordo con la scelta di investire in ricerca e sviluppo nel settore del Nucleare, ma lo è con quella di investire, oggi, in infrastrutture energetiche – nucleari, togliendo risorse all’industria energetica del futuro, perché si avrebbero effetti di spiazzamento (economici e culturali) enormi ed irreparabili, a mio avviso.
Spero di poterne discutere ancora con Lei, perchè io credo che è proprio sulla decisa e rapida definizione di una nuova politica energetica che il nostro Paese può ripartire.
Con rispetto.
Massimo Preziuso
OBAMA TELLS OUR FUTURE
PRODI FOR PRESIDENT (DEL PD)
di Massimo Preziuso
Oggi sento di dover scrivere su Romano Prodi. Per un semplice motivo.
Due giorni fa, ho letto una sua Lectio Magistralis fatta in un’ Università spagnola, sui temi dell’Economia Industriale, che mi ha lasciato positivamente entusiasta.
Il titolo della lezione era “L’industria: passato o futuro della nostra economia?”, e la Tesi del Professore che, dopo anni di pesante sbilanciamento delle economie europee verso il “terziario avanzato”, questa crisi ci dice che è importante “tornare” o “rinforzarsi” nell’economia reale – manifatturiera, esistendo già interessanti correlazioni tra “peso industriale manifatturiero” e “resistenza alla crisi economica”.
Sembra, infatti, che Paesi più manufatturieri come la Germania, la Francia e l’Italia vengono intaccati meno dalla crisi rispetto ai Paesi fortemente orientati al terziario avanzato (servizi finanziari etc) come Regno Unito, Irlanda e altri.
Ebbene, io ho totalmente condiviso l’impostazione dello studio e, soprattutto, la sua conclusione, che intravede in maniera chiara il futuro delle economie e società europee nelle Energie Pulite e nelle Bio Tecnologie.
Ora voi direte: ma che centra questo con il Titolo “Prodi for President (del PD)”?
Provo spiegarlo: fin dall’Aprile scorso, quando il Professore lasciò il PD mi ero convinto della grossa perdita che il Partito avrebbe avuto da questo “episodio”
Per vari motivi: in primiis per il fatto che Prodi rappresenta il Padre del Partito Democratico, e che moltissimi elettori e simpatizzanti erano stati attirati da questo nuovo progetto proprio grazie al Professore.
Bene, dopo questo articolo mi sono anche ricordato di quanto “lucido ed innovativo” sia il pensiero del Prodi politico ed economista industriale, che, unico in Italia, sa tracciare un futuro netto e deciso per l’Europa (Energie Pulite e Bio Tecnologie).
Infine, ieri ho letto che Prodi ha rinnovato la Tessera del PD.
Allora, mi son detto: ora speriamo che Franceschini e il Partito Democratico tutto si diano una mossa e convincano il Professore a “prendersi” il ruolo che gli è naturalmente dovuto dalla nascita del Partito.
Romano Prodi for President (del PD), dunque.
Anche se già so quanto sarà difficile vedere questo importante passaggio realizzarsi.
Massimo Preziuso
CONTRO IL NUCLEARE IN ITALIA
Come Innovatori Europei da anni ci battiamo per la promozione di serie politiche di innovazione energetica (Rinnovabili, Smart Grids, Consumo Efficiente, Efficienza Energetica).
Questa partenza strana (soprattutto perchè fuori dal tempo e dalle circostanze in cui l’economia si trova oggi in tutto il Mondo) verso il Nucleare, imposta dal Governo italiano, è davvero troppo.
A chi un minimo conosce l’Industria del Nucleare, è evidente la enormità dell’errore insito in questa scelta di Politica Economica (perchè di quello si tratta) e culturale (perchè di quello si tratterà), fatta nel peggiore momento di crisi economica degli ultimi 50 anni, a livello mondiale: il 2009.
Su Facebook vi è una PETIZIONE CONTRO IL NUCLEARE: Io l’ho firmata!
Massimo
RIFLESSIONI DEMOCRATICHE
di Enzo Tripaldi
Out Veltroni ecco il suo vice, via libera a Dario Franceschini dall’assemblea plenaria del PD, ancora una volta chiamata a ratificare decisioni già prese e soprattutto poco numerosa vista la gravità del momento.
Un PD che soffre, traballa, infila sconfitte elettorali, stretto fra la morsa dei valori di Di Pietro, temi etici e l’avanzata interessante dell’UDC.
Una classe dirigente che aveva chiamato alla testa del partito Veltroni, considerato l’unico in grado di arginare l’avanzata del centrodestra. Sino al punto di organizzare primarie dall’esito scontato (come non ricordare l’invito a non correre a Bersani). Salvo pochi mesi dopo dimenticarsene.
Una classe dirigente che ha mal digerito una sconfitta (prevedibile) alle elezioni politiche quasi che il segretario avesse una bacchetta magica che gli permettesse di cambiare la realtà nei desideri.
Quasi che l’umore del Paese fosse mutato per una congiunzione astrale, rispetto alla quale anche il PD non avesse responsabilità.
Una classe dirigente che si è – chi più chi meno – chiamata fuori da ogni elezione persa, un segretario che con il passare del tempo ha smarrito la sua capacità di guida politica.
Nulla di irrimediabile, può succedere, ma nelle analisi sin qui mancano alcuni passaggi di riflessione.
Inclusivo, troppo inclusivo questo PD. E’ mancata la definizione di un profilo identitario cui ha fatto seguito una inclusività spinta, ma esclusivamente annunciata e quindi declinata sempre a livello di massimi sistemi, di approcci generali, conditi da qualche luogo comune.
Una inclusività che ha poggiato solo sul connubio DS – DL lasciando fuori quello che storicamente c’era fra queste due forze politiche.
Si è stretta un’alleanza strategica (e non politica) con IdV, poteva starci intendiamoci, non recisa però colpevolmente quando Di Pietro ha cominciato a lavorare più come antagonista che come alleato (vedi il famoso gruppo unico non realizzato).
La vocazione maggioritaria che perde di credibilità con l’assenso allo sbarramento al 4 % alle Europee, sintomo più di una debolezza che di un partito che fa leva sulle sue proposte, ovvero di una azione volta a ribadire il suo “peso maggioritario” dalla alchimie delle leggi elettorali
Ancora la logica del supermarket, laddove ognuno può trovare il prodotto che più gli aggrada, che induce a discutere senza scendere mai nel pratico, nello specifico, con il risultato che quando la realtà ti costringe a farlo, sei alquanto impreparato ed il PD ripropone in piccola scala tutte le criticità dell’Unione (scaramucce, distinguo, fughe in vanti, ecc.).
In piena bufera economico – finanziaria con una coperta troppo corta, sarebbe forse stato il caso di “stoppare” la riforma federale, o quantomeno di congelarla, anche a costo di perdere le simpatie di qualche esponente nordista e di lavorare per favorire il dimagrimento dello Stato, perché quindi non rilanciare il tema del contenimento dei cosiddetti costi della politica?
Un partito ossessionato dal timore di una leadership forte, indiscussa, quasi che Tony Blair condizionasse la sua azione politica rispetto agli umori di caminetti e cabine di regia. A riprova di ciò l’incredibile richiesta a Franceschini di non proporsi come nuovo possibile segretrario, dopo la sua reggenza. Allucinante.
Come occorrerà continuare è giusto che lo decida il popolo del PD, attivisti e simpatizzanti, semplici elettori, oggi considerazioni sulla guida e su un nuovo percorso che porti a definirla appaiono, vista la tornata elettorale di giugno, non proprio opportune.
Metà ottobre potrà essere tardi o meno, dipende da come ci si arriverà, con quali regole, con quali propositi e con quali obiettivi.