Innovatori Europei

Significativamente Oltre

L’Ambiente – il fianco scoperto di Bersani – e la necessità di accelerare

bersaniMolto interessante l’articolo di oggi di Europa (“L’ambiente – il fianco scoperto di Bersani”), che evidenzia la limitata “attenzione reale” del PD sui temi dell’Ambiente, soprattutto ora che l’Area Ecologista di Realacci è in “minoranza” e Rutelli è uscito dal Partito.
 
Ma sempre oggi, su Repubblica, si legge dell’effetto traino che il nuovo Segretario sta dando ai consensi del Pd (che sale sopra il 40% quasi al pari del Pdl).
 
Sarebbe allora un peccato non rendersi conto dell’importanza di accelerare – innovare oggi, mentre si è in “recupero”, in tal senso.
 
Ebbene, speriamo che il Segretario Bersani si dedichi presto a questo tema, a cominciare dalla strutturazione, all’ interno del Partito, di un nuovo Dipartimento Ambiente e Innovazione, che possa fare da “cabina di regia” per tutte quelle iniziative necessarie a sensibilizzare e sostenere gli attori del cambiamento (cittadini, imprese, mercato finanziario ed amminstratori pubblici) verso quella “Green Economy and Society” di cui tanto abbiamo scritto e dibattuto.
 
Su questi temi, l’opportunità politica per il PD è almeno grande quanto l’opportunità di cambiamento che ne trarrebbe il Paese.
Massimo Preziuso

Aspettando Mr PESC, Massimo D’Alema

d'AlemaNon sono per nulla un politologo, ma sento di fare una piccola riflessione sul perche’ io credo che le probabilità che Massimo D’Alema diventi Mr PESC (super Ministro degli Esteri europeo), in una Europa normale, siano altissime.
 
Sembrerà un ragionamento elementare, e mi scuso se lo risulta, ma noto che molti non si rendano conto di due fatti essenziali:
 
– la differenza enorme di esperienza nelle istituzioni tra D’Alema e Miliband
 
– la differenza enorme nelle tradizioni (europeiste) dell’Italia e (euroscettiche) della Gran Bretagna
 
Onestamente, dover leggere che Tony Blair è candidato alla Presidenza dell’Unione Europa e, soprattutto, David Miliband (seppure politico di brillantissimo futuro)  a Mr PESC è  troppo (anche e soprattutto nel “vedere” oggi Londra, dopo anni di  esaltazione della superiorità della sua Sterlina ed economia, colpita più dell’Area Euro dalla crisi, correre in maniera affannosa direttamente verso i piu’ prestigiosi incarichi europei).
 
Ancora di più fa sorridere chi in Italia “tifa” per Miliband, oltre che per le ragioni di cui sopra, anche per quel senso di patriottismo che al nostro Paese non farebbe per niente male.
 
In bocca al lupo, Mr PESC.
 
Massimo Preziuso

La green economy un alibi per salvare un’idea di sviluppo energivora? I limiti di Copenaghen

di Fabio Travagliati

Un articolo come quello di Riccardo Petrella apparso sull’ultimo Monde Diplomatique testimonia la possibilità di un ambientalismo adeguato alla gravità della crisi ecologica attuale; capace non solo di vederne la disperata urgenza, ma di individuare la pressoché illimitata complessità di problemi che in essa si intrecciano, in un confronto finora squilibrato a favore dei poteri costituiti e delle idee dominanti, cioè degli stessi agenti che della crisi sono responsabili.

In vista della Conferenza sul clima programmata per dicembre a Copenaghen, Petrella innanzitutto analizza e duramente critica l’assurda contesa che, da un Summit all’altro, si riproduce praticamente invariata tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, con ciascuno che pretende solo dall’altro drastici tagli alle emissioni di Co2.

 Una sceneggiata in cui, scontata l’evidente maggiore responsabilità dei «ricchi», è difficile anche assolvere i «poveri», non solo preoccupati esclusivamente della propria salvezza, ma ormai acquisiti al produttivismo occidentale e, come tutti, lontanissimi dall’auspicare un reale cambiamento del sistema operante: che è la causa prima sia dell’iniquità sociale di cui sono vittime, sia del collasso degli ecosistemi di cui anch’essi sono responsabili.

E in ciò Petrella merita la nostra gratitudine per affrontare il problema con un taglio che – tranne rare eccezioni – anche gli ambientalisti più impegnati ignorano. «I paesi potenti non hanno alcun interesse a modificare le cause strutturali del disastro climatico. Al contrario tutti sembrano ormai convinti, al Nord come al Sud, che la soluzione alla crisi mondiale passi per il rilancio della crescita, dell’economia di mercato, ma di colore verde (automobile verde, energia verde, abitazione verde…).

Nessuno potrebbe contestare l’importanza e l’urgenza di ‘mettere al verde’ le nostre economie. Tuttavia, colorare di verde il sistema economico senza modificarne i principi e le modalità di funzionamento che sono all’origine della crisi, ha poco senso (…).

Abbiamo davvero bisogno di altre centinaia di milioni di automobili e di camion, anche se verdi? Così milioni di abitazioni supplementari a energia passiva e attiva, a New York, Parigi, Francoforte, Osaka, Dubai, Los Angeles… non risolveranno niente per miliardi di persone povere, senz’acqua potabile né servizi sanitari, senza abitazione decente, senza accesso alla sanità e all’istruzione base».

Sono parole su cui dovrebbero riflettere i tanti ambientalisti che credono di poter arrestare il collasso degli ecosistemi affidandosi al «green business», di fatto identificando il problema ambiente soltanto con il mutamento climatico; il quale certo, nell’impazzimento delle stagioni e nel moltiplicarsi di fenomeni meteorologici «estremi», ne costituisce la conseguenza più grave, ma non può essere considerata la sola, col rischio di mancare l’intero obiettivo.

Come appunto dice Petrella, «la vampirizzazione» dell’agenda relativa all’ambiente da parte della questione energetica «costituisce un’evidente mistificazione delle priorità del mondo».

A cominciare dall’acqua, gigantesco problema di cui Petrella è studioso di fama mondiale. L’acqua dolce, necessaria garanzia della nostra salute e insostituibile alimento di ogni forma di vita, oggi va facendosi sempre più scarsa: certo a causa del riscaldamento atmosferico e conseguente scioglimento dei ghiacciai, ma anche (e questo quasi sempre si dimentica) per via del moltiplicarsi delle attività industriali, non soltanto forti consumatrici d’acqua, ma agenti di gravi forme di inquinamento.

Per continuare con la quotidiana produzione di miliardi di tonnellate di rifiuti non trattati e non trattabili, tra cui scorie tossiche e radioattive; con mari e oceani sistematicamente invasi da idrocarburi e immondizie di ogni tipo, sovente secondo criminali operazioni di lucro; con milioni di intossicati e migliaia di morti da pesticidi tra i lavoratori agricoli; con malformazioni e tumori che si moltiplicano specie tra i giovani nei territori a intensa industrializzazione; con tossicità diffusa anche sotto l’innocua apparenza di sostanze e oggetti d’uso quotidiano (plastiche, vernici, colle, conservanti, detersivi, additivi, ecc.).

E’ accettabile tacere tutto ciò e puntare solo sulla «green economy», creando l’ottimistica attesa di un futuro libero da inquinamento e da scarsità energetica, con sicuro rilancio di produzione e consumi?

 «Negoziare il futuro dell’umanità unicamente a partire dall’energia (…) è una grave colpa storica», è il duro, lucido, sacrosanto giudizio di Petrella. Il quale, proprio sulla base di queste verità avanza ben poco ottimistiche previsioni circa la prossima Conferenza di Copenhagen.

E al proposito commenta la recente convocazione da parte del governo danese di un World Business Summit, organizzato «per ottenere il sostegno delle imprese e della finanza». Al termine del quale è stata emessa una dichiarazione «i cui propositi sono tutti centrati sulla priorità da dare alle innovazioni tecnologiche, ai meccanismi di mercato e agli strumenti finanziari favorevoli al mondo dell’impresa privata», mentre è mancato qualsiasi altro impegno.

 «In queste condizioni – conclude Petrella – è difficile pensare che eventuali proposte contrarie agli orientamenti e agli interessi del mondo degli affari abbiano qualche possibilità di essere prese in considerazione». Di fatto i responsabili del nostro futuro «hanno di nuovo imposto le logiche economiche, soprattutto finanziarie, per risolvere il disastro ecologico.

 Una volta di più, insomma i cosiddetti «grandi» non solo sottovalutano la crisi ecologica e ignorano le vergognose iniquità che pure appartengono al mondo loro affidato, ma puntano a legittimare il dominio del capitalismo, il culto della ricchezza individuale, il primato del consumo.

Consumo «sempre energivoro, ma verde», ribadisce Petrella, mentre sembra abbandonare ogni speranza nella prossima Copenhagen.

Come dargli torto? E però, fra circoli culturali, gruppi pacifisti, centri ecologisti, organizzazioni femministe, ecc. si avverte un fermento, certo non chiaramente definito, ma presente e vivo, e – parrebbe – disponibile a un discorso radicale.

Forse il mio è solo un esorcismo, un’illusione scaramantica. Ma insomma, come immaginare che si continui a tollerare indefinitamente la sceneggiata di questi Summit che si susseguono senza senso né conseguenze di qualche utilità?

Voglio dire, una sorta di Seattle ecologista a Copenhagen sarebbe davvero impensabile?

Auguri ad Ivan Scalfarotto (Vice Presidente PD) ed a I Mille

Ivan scalfarotto

Siamo lontani da Natale, ma in questo periodo tocca fare, con piacere, molti Auguri.

Dopo Bersani e Letta, tocca ad Ivan Scalfarotto per la sua nomina a Vice Presidente del PD.

La vittoria di Scalfarotto rappresenta un successo, speriamo non l’ultimo, per i tanti movimenti associativi che sono cresciuti negli ultimi anni attorno al Partito Democratico.

I complimenti vanno fatti in particolare a I Mille, gruppo nato nel 2007 (ricordo di aver partecipato al loro primo incontro), che ha da sempre supportato il suo membro Scalfarotto e che oggi vede raggiunto questo importante traguardo.

Va aggiunto che la Mozione Marino, come fu per Letta e la Bindi alle Primarie 2007, ha dato un importante contributo di innovazione al PD, che a mio avviso continua a crescere e a rafforzarsi (seppure) lentamente e in maniera silenziosa.

Buon lavoro.

Massimo Preziuso

Enrico Letta è Vice-Segretario del Partito Democratico: una vittoria anche per noi

letta

Oggi, nel corso dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico, Enrico Letta è stato eletto Vice Segretario del Partito.

Ricordando l’entusiasmo e l’impegno con cui Innovatori Europei lo sostenne alle Primarie del 2007 (“..perche’ rappresenta il candidato che piu’ di ogni altro puo’ garantire contendibilita’, innovazione, meritocrazia ed europeismo all’interno del Partito Democratico”), si puo’ dire che questa è un po’ anche una nostra vittoria.

Con Bersani Segretario, Letta Vice Segretario e Rosi Bindi Presidente il PD puo’ fare davvero bene.

Auguri Onorevole Letta

ACCADE DOMANI, online gli oltre 400 progetti ricevuti – Complimenti ad Italia Futura

Italia Futura

E’ bello notare  il successo di questa iniziativa di Italia Futura, una Associazione che sta dimostrando di avere un enorme potenziale di “novità” al suo interno.

ACCADE DOMANI, un concorso che finanzierà con 30,000 di Venture Capital un brillante progetto di “Micropolitica”, ha infatti ricevuto la partecipazione di 400 progetti

Vi invito a “leggere” tra i progetti presentati, perchè vi si trova uno spaccato della creatività di noi italiani.
 
Aggiungo che sarebbe l’ora che anche i Partiti Politici ragionassero in questi termini, promuovendo “Bandi di innovazione”, “Concorsi di Idee” con cui “conoscere” e “sostenere” lo spirito creativo-imprenditoriale che è un po’ in ognuno di noi, a partire dal livello locale.
 
A mio avviso, questo è un ottimo modo per coinvolgere cittadini e favorire processi imititativi di innovazione: anche questo è fare Politica nel ventunesimo secolo.
 
Complimenti ad Italia Futura.
 
Massimo Preziuso

Ed ecco il Partito Democratico


 

Dopo le belle elezioni primarie di ieri, 25 Ottobre 2009, viene voglia di scrivere qualcosa: perchè sono state un successo, sotto vari punti di vista.

– 3 milioni di votanti sono tantissimi, soprattutto se si pensa che l’Italia non sta vivendo un momento di “euforia” (come invece accadde nel corso delle primarie del 2007).

– Ha vinto la squadra di Pierluigi Bersani, il nuovo Segretario, perchè è quella che meglio garantisce all’elettore – simpatizzante quel connubio necessario tra “esperienza e valori” del Passato e “visione e progettualità” per il Futuro.

– I “competitors”, Franceschini e Marino, hanno dimostrato, da subito, apertura e rispetto verso il nuovo Segretario: questo porterà ad una sana dialettica ed un irrobustimento dell’azione politica del Partito nei prossimi mesi.

– Con queste Primarie si disegna  una squadra di Segretari Regionali “giovani e preparati” (con Amendola in Campania, Martina in Lombardia, Speranza in Basilicata, Basso in Liguria, Serracchiani in Veneto, e tanti altri): emerge, dunque, una nuova classe dirigente.

– Queste elezioni hanno finalmente portato al centro Temi che erano stati lasciati troppo a lungo in periferia: dal Lavoro quale diritto fondamentale, alla Green Economy quale opportunità di sviluppo economico e culturale, alla Ricerca e Innovazione quale necessità per competere in un mondo che cambia rapidamente, all’Immigrazione e la Diversità viste come opportunità di crescita per la società tutta,  alle Alleanze politiche “per tornare a governare il Paese”.

Ebbene, in questo fine 2009, dopo un anno di seria crisi e di immobilismo (della Politica e dell’Economia), si apre uno spiraglio per agire e far cambiare rotta all’Italia: un Paese che ha dimostrato, in queste elezioni, di voler esserci e di saper scegliere in maniera critica.

A Bersani il delicato ma possibile compito di raggiungere questo obiettivo, cominciando (questo il mio suggerimento) dal tema fondamentale dell’Organizzazione (centrale e periferica) del Partito Democratico.

Buon lavoro, Segretario.

Massimo Preziuso

Un vero innovatore segretario del PD

Un vero innovatore segretario del PD

(di Alessia Centioni – IE Brussels)

bersani

 

 

 

 

 

 

Cari Innovatori e Innovatrici,

domenica 11 ottobre in qualità di delegata del Belgio ho partecipato alla Convenzione Nazionale del PD per confermare il mio sostegno a Luigi Bersani.

Il  suo discorso pacato, puntuale e misurato ha espresso quel che il popolo dei riformisti italiani si aspetta dal suo leader. Non uno spot, niente demagogia.  Solo un programma, articolato da realizzare con impegno ed  efficacia razionale. Un’analisi lucida della drammatica situazione in cui oggi l’Italia si trova, un’alternativa concreta su cui puntare per risollevarsi e guardare al futuro che è già qui. A noi innovatori non piacciono le parole da comizio, le platee infiammate che si perdono nel vuoto delle parole. A noi innovatori non piacciono i colpi bassi tirati a chi non ha potere di replica. Non crediamo in un partito che si arrocca su posizioni elitarie illudendosi di poter far da solo consegnando il paese nelle mani di un potere arrogante e personalistico.

 La coerenza, questa si, la pretendiamo, e solo in Luigi Bersani e nella sua politica possiamo dire di trovarla. Una politica  che guarda diritta alla Green Economy, all’abbattimento delle corporazioni, al welfare, alla centralità del ruolo della donna, alla laicità.

 La continuità di un partito  che lavora per l’Italia e lo fa insieme agli altri, una politica coraggiosa che accetta il sostegno  di  quanti vogliono cambiare.

 Rinnovo tutto la stima a Luigi Bersani, il segretario che scegliamo il 25 ottobre

L’alfabeto critico – Si comincia a parlare di uscita dalla crisi mondiale. Come ne usciamo?

crisi

di Enzo Tripaldi

“V”, “W”, “L”, “U” non sono semplici lettere maiuscole.

Per economisti e soci sono anche il modo sintetico e facilmente intellegibile per rappresentare quell’uscita dalla crisi che in molti ritengono vicina, già a partire dal primo semestre del 2010.

La “V” prefigura una uscita rapida e sostanzialmente indolore, ad una fase discendente segue una risalita di pari entità; la “U” è una sua variante, laddove la ripresa è preceduta da una fase di stanca (la gobba della lettera) per poi risalire. La “L” rappresenta l’evento come un crollo verticale che poi si arresta a livelli notevolmente inferiori a quelli di partenza, mentre la “W” descrive una ripresa effimera seguita da una nuova rapida caduta e successiva ripresa.

E’ evidente che questi scenari sono una semplificazione estrema, in quanto non rendono appieno il senso delle macerie e delle cicatrici che la recessione lascia alle sue spalle, così come la risalita, sia essa in termini di PIL, di ordinativi, di produzioni industriale prima di esplicare tutti i suoi benefici sull’occupazione abbisogna di molto tempo. Se tuttavia i numeri possono dare una prova del miglioramento delle condizioni macro – economiche, questi non sempre raccontano di quali zavorre e quali problemi ci si troverà ad affrontare e a gestire, seppure in una fase di crescita.

Senza contare che l’Italia, in genere, sperimenta gli effetti, siano essi negativi o positivi, con non meno di tre / sei mesi di ritardo dal contesto mondiale.

Sul fatto che questa crisi non sia a forma di “V” concordano quasi tutti. L’idea e la speranza di un immediato ritorno alle condizioni pre – crisi non sembra essere nelle realtà delle cose.

I più ottimisti prefigurano un possibile modello a “U” ovverosia a loro giudizio stiamo entrando in una fase di crescita bassa (o di stasi) cui (dicono nel 2010) dovrebbe seguire la ripresa.

Non sono però pochi a temere la “W”, che ha due picchi negativi fra una ripresa.

Nel mondo infatti, in primis negli USA, molto meno da noi, è stata scaraventata una montagna di liquidità. I “regolatori” fra non molto dovranno decidere se alzare i tassi di interesse (ora ai minimi termini) o gestire spinte inflazionistiche in altro modo. E qui qualcuno immagina una contrazione seppure non dell’entità della prima.

La lettera “L” è quella più temuta dagli addetti ai lavori e, per alcuni, possibile in qualche Paese o area geo – economica: in questo caso non vi sarebbe alcuna ripresa, ma una pericolosa stabilità, una stagnazione ad una livello assai inferiore a quello di partenza.

Sin qui siamo all’accademia o quasi, la quasi accademia se gli analisti questa volta ci prendono, nel concreto le sfumature sono molteplici ed in alcuni casi apparentemente sorprendenti.

I numeri migliorano ma la disoccupazione sale. Normale, assolutamente normale.

In piena buriana c’è chi chiude e chi no.

Chi chiude lascia sul lastrico i lavoratori che al più potranno in Italia essere “coperti” dal sistema degli ammortizzatori, prevalentemente in deroga. I cosiddetti precari dovranno arrangiarsi.

Chi tiene, chi resiste riesce a farlo anche stipulando un patto con i dipendenti (straordinario, differenti turnazioni, ecc.), riducendo i costi operativi (internalizzando alcune attività) e, in generale, aumentando la produttività (più prodotti in meno tempo o a costi inferiori). Le loro risorse umane non aumentano, salvo eccezioni.

All’uscita della crisi le imprese che hanno tenuto, in teoria potrebbero riassorbire parte della forza lavoro inoccupata, ma è ragionevole che non lo facciano a breve.

Avendo gestito la crisi con un miglioramento delle performance, con la riduzione dei costi, hanno acquisito un forte vantaggio competitivo che difficilmente saranno disposte a rivedere.

La situazione migliora quindi ma la forza lavoro espulsa sarà ancora fuori dal circuito produttivo.

Ecco che, al di là dei numeri, degli indici di borsa sarà estremamente delicato gestire oltre che l’uscita (e in merito alla cosiddetta “exit – strategy” assistiamo al solito coro polifonico delle “mille ricette”) altresì la fase della crescita.

Solo recentemente pare si stiano definendo delle azioni incisive a livello planetario, nel frattempo si è cercato di parare i colpi, che saranno regolarmente scontati più avanti (leggi colossale indebitamento pubblico, soprattutto americano), mediante politiche puramente espansive o con proposte populiste del tipo il tetto ai supermanager, visto che il problema (al di là di un aspetto etico) non parte da lì.

Lo dice un Nobel, Joseph Stiglitz: “…..in America….non abbiamo varato le regole necessarie per garantire una maggiore protezione del denaro dei risparmiatori degli investitori” ed ancora “……Siamo in una situazione di maggior pericolo rispetto all’autunno 2008, perché il crollo di una delle banche troppo banche per fallire innescherebbe un terremoto di maggiori dimensioni”. (da La Stampa on line del 14.09.2009).

Il fatto che il Nobel parli degli USA non deve rassicurarci più di tanto, va altresì detto che tale dichiarazione ha preceduto il vertice G20 a Pittsburgh.

L’Italia dal canto suo, ma non è la sola, non ha messo in campo una sola misura strutturale (le chiamano riforme) che servono a rendere meno ingessato il sistema ed a creare le condizioni perché un Paese non debba svenarsi in caso di difficoltà. E dire che l’alto livello di pubblico indebitamento (e Marchionne intanto chiede di allungare i termini per la fine degli incentivi) avrebbe dovuto indurre il legislatore a pigiare sul tasto delle riforme, dato che risorse fresche ve ne sono pochine (si attendono quelle del discusso scudo fiscale) e questo spiega una certa ritrosia di via Venti Settembre nel concedere danari, anche laddove questi erano già destinati a qualcuno (vedi FAS).

Salvo repentini cambi di rotta, non ci pare che le regole globali siano state sensibilmente modificate, qualche sforbiciatina qua e là, qualche dichiarazione solenne, ma in concreto…..?

Quanti bilioni di dollari in sub – prime sono ancora in giro?

E gli ultimi aspetti non sono marginali, gli eventi di crisi non dovrebbero cogliere impreparati il sistema economico – finanziario ed i governi nazionali, se il primo non cambia (e d’altra parte dovrebbe auto – riformarsi) il cambiamento dovrebbe passare dai governi.
Invece, oltre a evitare un collasso strutturale con misure tampone, ci sembra si sia atteso che la febbre passasse da sola, affidandosi magari alla crescita tumultuosa di quelle economie emergenti Cina, India, Brasile ed altre, che si dolgono quando il PIL cresce meno del 5% (!), fornendo tuttavia la prova che non esiste una globalizzazione buona o cattiva, ci sono aspetti critici da gestire ma anche opportunità e vantaggi che forse l’occidente coglie senza grandi meriti.

Senza contare che i dati consuntivi sono negativi, gli ottimisti si basano su dati di previsione che, in quanto previsionali, potranno o meno essere confermati dai fatti, visto che analisti ed economisti, dicono alcuni, non ne capiscono granché.

Parentesi.

Tremonti di recente ha ingaggiato un corpo a corpo con gli istituti di credito ed allora così, quasi per gioco, siamo andati a curiosare sul sito della Banca d’Italia.

Ci ha colpito quanto scritto alla voce “vigilanza”.

Qualche perplessità tuttavia sorge quando il cittadino verifica che il capitale della stessa pari ad € 156.000 (solo?) è detenuto da banche ed assicurazioni. Uniche eccezioni INAIL ed INPS che assieme hanno diritto a 42 voti su 539, pesano quindi per l’8% circa.

Ed il Tesoro, visto che trattasi di un Istituto di diritto pubblico? Mah….forse siamo noi a non capire, ma non c’è il rischio di sovrapposizione fra vigilante e vigilato? Tutto normale? E se invece di lanciare strali erga omnes si cominciasse ad “entrare” nella banca delle banche (e non d’Italia)?

Chiusa parentesi.

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