Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Il rito stanco di questi partiti

di Gregorio Gitti

Eppure avevano detto di sì. La nostra proposta di legare il finanziamento pubblico dei partiti al rispetto di determinati requisiti era stata accettata pubblicamente dai principali partiti, Pd, Udc e Pdl. Non il mese scorso, ma tre anni fa. Al convegno che organizzammo a Roma il 7 aprile del 2009.

Sin dalla sua costituzione, Fondazione Etica ha sempre chiesto l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione, attraverso l’approvazione di una legge che disciplini i partiti e che, soprattutto, subordini l’erogazione di finanziamenti pubblici, sotto qualsiasi forma, all’adozione di uno Statuto in grado di assicurare democrazia interna, ricambio nella classe dirigente, trasparenza ed efficienza.

I partiti – abbiamo sempre detto – non devono essere obbligati a regole interne, ma neppure i cittadini devono essere obbligati a pagare per il loro sostentamento a qualunque condizione.

Questa non è antipolitica: non crediamo che i politici siano tutti uguali. Nei fatti, però, in troppi hanno dato prova di un uso disinvolto di fiumi di denaro e di un’occupazione smodata dello spazio pubblico, a livello nazionale come locale. Questo vuol dire che possiamo fare a meno dei partiti? Dei partiti no, ma di questi partiti sì.

Il disfacimento del quadro politico è tale ormai che il problema non è più solo di “quanti” soldi dare ai partiti, ma del “se” darli. Paradossalmente, anche il semplice rimborso elettorale – quello vero – viene ora percepito dai cittadini come uno sperpero del loro denaro di fronte all’inefficienza e inadeguatezza dimostrata dai partiti. Pochi o tanti che siano, perché dare soldi a partiti che non hanno saputo portare a compimento nessuna riforma seria in campo economico e finanziario, nessuna per la ricerca scientifica, nessuna sul lavoro,  nessuna in ambito elettorale, nessuna per il riassetto istituzionale del Paese?

È ora di cambiare, da tanto tempo ormai. Ma questa classe politica ha dato prova di non volersi autoriformare e, siccome è essa stessa che fa le leggi, anche su di sé, è difficile fidarsi dei suoi roboanti annunci di questi giorni.

Riconoscere questo non è una resa, ma una presa di coscienza. Per non illudere e non illudersi.

Realisticamente i cittadini hanno solo due strumenti per ottenere una legge sui partiti: la crisi economica e finanziaria, che può spazzare via tutto e tutti – come già in parte ha fatto lo scorso novembre – ma questo dipende solo dagli eventi. Il secondo strumento, invece, è nelle mani dei cittadini: il voto alle prossime politiche può azzerare ogni assetto.

Non c’è bisogno di aspettare un anno: le previsioni di voto, anzi di non-voto, potrebbero essere una spinta sufficientemente convincente per i partiti a invertire finalmente la rotta.

Ma se non si convinceranno loro, potrebbe essere qualcun altro, forse un nuovo soggetto politico (anche solo una lista civica nazionale), a capirlo prima, e a raccogliere la messe di voti in uscita da simboli elettorali ormai svuotati di significato e privi di attrattiva.

Il programma elettorale di Giuseppina Bonaviri, candidata sindaco a Frosinone

Giuseppina Bonaviri

Candidata Sindaco

Per la mia e vostra “Piccola Capitale”: Frosinone

1) Beni Comuni

Lo sviluppo di Frosinone capoluogo di provincia, quale motore di sviluppo indipendente ed autogeno, attraverso il migliore utilizzo delle proprie risorse naturali e pubbliche passa dallo scambio della conoscenza e del pensiero, ponendo al centro l’essere e non l’avere, in modo libero da censura o da altri impedimenti. Questo, per noi, diventa la priorità nella gestione della città. Le risorse di un Comune, a partire dall’azzeramento degli sprechi già dalle campagne elettorali, non possono essere intese solo come quelle finanziarie ( in una logica di entrate/ uscite), bensì come l’insieme delle proprietà, del personale, delle imprese industriali/ commerciali e degli immobili che a vario titolo appartengono al Comune. I beni comuni sono patrimonio di tutti, indisponibili sul mercato, non negoziabili. Sono altro dalla proprietà statale o privata, sono beni di proprietà sociale e la loro gestione deve riguardare sia il governo sia le amministrazioni pubbliche sia i cittadini. Ambiente, territorio e paesaggio, patrimonio storico e culturale, democrazia sono un bene comune così come le forme di conoscenza collettiva, i saperi e le culture locali. L’acqua è vita non fonte di profitto. L’aria è vita non fonte di avvelenamento: più biciclette, più trasporto pubblico di qualità, car e bike sharing, e pedibus. La città di Frosinone deve crescere in qualità ed in capacità di recupero urbano, in aree verdi, zone pedonali e in spazi pubblici aggregatori di energie, luoghi questi idonei a mamme, bimbi, giovani, anziani. Le aziende e le proprietà comunali non devono essere privatizzate ma gestite secondo criteri di nuova economia solidale. La partecipazione democratica non può essere uno slogan: deve essere un modo nuovo di concepire l’impegno politico e amministrativo. Attivare allora nell’immediato: consigli di quartiere, consulte tematiche, forum cittadino-dei diritti-delle pari opportunità, una consulta delle bambine-i e per l’infanzia. Si stabiliranno spazi aggregativi comuni quali luoghi aperti di proposte del cittadino con una campagna innovativa ” Uno spazio in comune, uno spazio in ogni comune” . Per l’efficienza e trasparenza della macchina comunale si stabiliranno dei tetti per gli stipendi del management sia del Comune che delle Aziende Partecipate che saranno gradualmente convertite in servizi di gestione pubblica. Ai cittadini dovrà essere messo a disposizione uno sportello virtuale dove esprimere le proprie opinioni sull’operato degli amministratori, per esporre i problemi del proprio quartiere o della città e proporre soluzioni alternative. Tutte le delibere comunali saranno rese pubbliche on-line almeno tre mesi prima delle loro approvazione per ricevere i commenti da parte dei cittadini. Le sedute del consiglio saranno video e on-line così come sarà immediatamente on-line ogni delibera consiliare e la pubblicazione sul sito ufficiale di schede personali dei componenti della giunta comunale. Sul sito ufficiale si pubblicheranno i regolamenti comunali, le pianificazioni d’interventi e di atti decisionali di carattere amministrativo che riguardino gare d’appalto prevedendo per i cittadini la possibilità di fare proposte ed esprimere pareri. Si creeranno strumenti di comunicazione digitale ad accesso libero ai cittadini per il monitoraggio e la verifica delle azioni pubbliche e di tutte le forniture di servizi con relativi contratti e fornitori. Sarà creata una banca dati on-line per le gare di appalto delle ditte vincitrici con relative certificazioni antimafia, elenco dei fornitori e dei consulenti comunali. Saranno eliminati i gettoni di presenza e le indennità per gli amministratori comunali che percepiscono già uno stipendio e-o permessi retribuiti. Si introdurranno referendum popolari senza quorum consultivo, propositivo, abrogativo su materie di esclusiva competenza locale. Si introdurrà il diario pubblico di ogni Assessore: ogni assessore verrà fornito di un blog collegato al sito del Comune che dovrà aggiornare in tempo reale a fine giornata. In questo modo cittadini e media potranno seguire quotidianamente l’azione dei loro amministratori. Introdurremo una nuova possibilità per i cittadini di partecipare al consiglio comunale con domande ed interventi: limitando i tempi di intervento dei consiglieri si darà la possibilità al cittadino presente fisicamente nella sala o collegato via internet di fare domande e brevi interventi. Se richiesto dallo 0.5% dei cittadini, una volta l’anno, nell’ambito di un programma ”La parola ai cittadini” si realizzerà una serata partecipativa con facilitatori, difensore civico, e l’intera giunta, in cui i cittadini avranno diritto di fare proposte o critiche per la loro città in un tempo massimo di tre minuti ed un contraddittorio di un minuto, così che la proposta sarà messa ai voti per alzata di mano. Si otterrà così una lista di proposte messe in ordine decrescente di voto. La giunta comunale potrà fare interventi per chiarire aspetti della proposta prima del voto con un tempo massimo di tre minuti e sarà obbligata a portare avanti le tre proposte più votate dai cittadini.

Andando ai singoli temi, ecco come interverremo:

a) Gestione pubblica dell’acqua e rifiuti

Sull’acqua consideriamo essenziale che la gestione del sistema idrico integrato sia totalmente pubblica e guardiamo alla costituzione di una azienda speciale, consorziandoci con i comuni limitrofi. Le tariffe dovranno essere rimodulate rispettando i principi di gratuità per una quota minima giornaliera e dell’assenza delle remunerazioni del capitale. Il Comune deve essere parte attiva aderendo al coordinamento dei comuni a favore dell’acqua pubblica e con azioni volte a prevenire future scelte tendenti ad annullare l’esito referendario. Si adotteranno iniziative specifiche come l’abolizione della buste di plastica, il disincentivo all’uso dell’acqua in bottiglia di plastica e si adotterà la gestione integrata dell’intero ciclo delle acque ( potabile, fogne, acqua piovana). Per la manutenzione straordinaria alle infrastrutture si stabiliranno piani finanziati dalla Regione per accedere a fondi europei. Occorre anche stimolare iniziative che coinvolgano i privati per investimenti in attività di interesse comune anche tramite forme di sponsorizzazione virtuose.

Alcuni punti specifici:

a. Quota minima giornaliera gratuita 50 mc pro capite e pagamento del surplus a costi crescenti in relazione alla crescita dei consumi pro capite

b. Disincentivo all’uso dell’acqua in bottiglia nelle scuole e nei pubblici uffici (Campagna di informazione “Imbrocchiamola”) prevedendo incentivi agli esercizi aderenti; installazione di fontanelle leggere

c. Gestione integrata dell’intero ciclo dell’acqua potabile, fogne, acqua piovana da introdurre nel regolamento edilizio per le ristrutturazioni, nuove costruzioni, scuole e edifici comunali

d. Forte contrasto agli allacciamenti idrici e fognari abusivi.

Promuoveremo la logica “rifiuti zero” raggiungendo livelli di raccolta differenziata del 75% con la creazione di un piano comunale sulla gestione dei rifiuti che veda come prima priorità la prevenzione e la riduzione a monte dei rifiuti e poi, come snodo centrale, la raccolta differenziata porta a porta su tutto il territorio. Un piano che avvii attività virtuose per la valorizzazione di rifiuti differenziati, incentivando l’economia dei rifiuti riciclati a partire da iniziative quali il commercio di beni inutilizzati in primo luogo istituendo un Comitato della Trasparenza e Partecipazione che acceda ai dati di monitoraggio e gestione delle attività e che punta sull’innovazione con una seria riconversione produttiva macrosociale.

b) Risparmio energetico e fonti rinnovabili

La crisi di questi ultimi anni, ha portato al sostanziale abbassamento del potere di acquisto e dei redditi dei cittadini ed un dato rimane costante: l’Italia detiene il più alto prezzo dell’energia a livello europeo.

Nel contempo il Pianeta va rapidamente verso un innalzamento della temperatura media, a causa di una crescente quota di emissioni nocive, a cui si può rispondere attraverso azioni di efficientamento e risparmio energetico, e di produzione di energia da fonti rinnovabili. Su questo tema fondamentale, ancora di più quando le bollette energetiche continuano a crescere insieme ai prezzi dei combustibili, indichiamo alcune tra le iniziative ed azioni specifiche da adottare:

a. Sviluppare il piano energetico comunale

b. Applicare e tutti gli edifici pubblici la legge 10-91 sulla certificazione energetica, dagli uffici comunali alle scuole gestite dal comune, sensibilizzando anche il Provveditorato ad adeguare gli edifici scolastici ricadenti sotto la propria giurisdizione.

c. Sensibilizzare la cittadinanza giovane sui temi del risparmio energetico e sull’urgenza di utilizzo di energia da fonte rinnovabile inizialmente con: promozione di un progetto eco-didattico con conferenze nelle scuole tenute da personale volontario; sensibilizzazione della cittadinanza adulta con assemblee pubbliche; azioni di responsabilizzazione degli utenti nei locali pubblici.

d. Attivare circuito del credito locale per sostenere famiglie e piccole imprese nella loro volontà di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica o termica.

c) Mobilità

La mobilità è un settore strategico per la vita di una città. Una corretta pianificazione può consentire economie rilevanti di risparmio di tipo energetico-economico e in termini di emissioni in atmosfera di CO2 ed inquinanti del traffico, dando una immediata risposta al miglioramento della soddisfazione della qualità della vita del cittadino. In quest’ottica il Comune deve influire anche sulle scelte a carico di altre autorità strutturando un rapporto dinamico con Ferrovie dello Stato ed altri gestori del traffico ed istituendo collaborazioni con i comuni limitrofi per una ottimizzazione dell’offerta. Importante appare attivare servizi- con la co-partecipazione fra comuni sintonici- per sviluppare un trasporto pubblico sano (car e bike sharing, noleggio pubblico a basso costo di auto e mini bus elettrici e a chiamata, realizzazione di percorsi cittadini e pista ciclabile circumlacuale). Importante in tal senso sarà un ammodernamento della rete viaria accompagnato da una gestione intelligente del traffico e dei parcheggi – che saranno di scambio e con tariffazione rimodulata nel rispetto delle esigenze dell’utenza – rivedendo la gratuità e meccanismi di franchigia ad esempio di ’30 min.

Il piano di mobilità comunale per i disabili sarà alla base dei nostri primi interventi insieme all’attenzione sulla modalità di telelavoro, che impatta sulla mobilità e rappresenta una delle più grosse opportunità mancate per riformare la sostenibilità dei trasporti e del lavoro e sostenere i tempi di compatibilità di genere.

d) Il Bilancio

Il bilancio deve diventare il primario Bene Comune di una città partecipata. A tal fine, semplicemente proponiamo che il comune pubblichi tutte le voci di spesa corrente e in conto capitale che sostiene durante l’esercizio amministrativo. Questo per dare la possibilità alla cittadinanza di esprimere
pareri (inizialmente non vincolanti) sull’efficienza e l’efficacia della spesa ed attivare così processi di miglioramento dell’attività comunale e dei risultati da essa raggiunti. Vi è tanto da fare per raggiungere quei livelli qualitativi di spesa di una città che sia moderna e funzionale, competitiva dentro e fuori la Regione. Dobbiamo garantire con rigore e metodo l’equilibrio finanziario dell’ente sapendo che nei primi periodi non ci sarà la possibilità di effettuare investimenti. Un comune autosufficiente è di per se virtuoso e premiante.

Il Bilancio comunale, dettagliato ed articolato, in maniera tale da essere facilmente compreso dalla cittadinanza, deve essere dunque illustrato con conferenze pubbliche periodiche e messo in rete sul sito comunale. Va introdotta la destinazione d’uso delle tasse pagate dal cittadino, anche a livello comunale. Con questa ottica si ritiene necessaria la creazione di un soggetto terzo, l’Osservatorio Comunale della Governance, che verifichi i risultati ottenuti dai singoli amministratori ed uffici di settore ed i profitti delle società partecipate e pubbliche e favorisca l’obbedienza civile degli amministratori. Si ritiene utile effettuare e pubblicizzare il censimento approfondito delle proprietà che a vario titolo afferiscono al comune e delle loro rendite con lo scopo di ottimizzarne l’impiego verso iniziative economiche rinnovate. Contenendo poi i costi del personale con la riduzione di contratti su base fiduciaria e di consulenze esterne si ridurranno le voci del bilancio in uscita. Inoltre il personale ed i dirigenti comunali saranno così maggiormente responsabilizzati e coinvolti pienamente negli obiettivi annuali da raggiungere. La necessità di contenere i costi del personale impone di ridurre drasticamente il numero di quanti vengano assunti nello staff del sindaco o con contratti fiduciari o di consulenza. Questo provvedimento, a nostro giudizio, sarà in grado di ridurre notevolmente le voci in uscita del bilancio comunale.

e) Frosinone nella rete delle città virtuose e intelligenti

Ci si metterà in gioco sottoponendo il sistema urbano ad un confronto con altre città italiane ed europee come qualificatore di vivibilità per ambienti urbani. Si farà ricorso alle tecnologie moderne di comunicazione per assicurare un governo più efficiente e sostenibile in termini di infrastrutture, informatico ed informativo. Frosinone “piccola capitale”, territorio – macroarea in cui la crescita congiunta della conoscenza, dell’inclusione sociale, della cultura, del turismo sia la via praticabile e prioritaria.

Facilitare la riconversione di vecchie strutture ed edifici comunali come anche di alcune strutture militari; attivare un Osservatorio prezzi tramite una rete di utenti ampia ed efficace; rilanciare il centro storico a partire dalla rinascita del vecchio Teatro Nestor dove poter riproporre eventi artistici nazionali e dei locali storici (ex-cinema Vittoria ed Excelsior) da adibire a laboratori artistici aperti alla cittadinanza, agli artigiani per il rilancio di attività artigianali locali ed itineranti, alle scuole con visite guidate. Si prevede la ristrutturazione e l’ampliamento del Museo comunale di Frosinone come la salvaguardia di tutto il patrimoni artistico locale (vedi Terme Romane, Piloni). Le biblioteche comunali avranno un posto di avanguardia nella edizione di un Premio letterario Città di Frosinone che aprirà le porte a giovanissimi e infanzia per la riscoperta di autori classici e contemporanei locali e nazionali. La Casa della Cultura “Giuseppe Bonaviri”, ex –mattatoio, sarà la naturale casa della cultura di Frosinone, indipendente e libera, aperta alle proposte di gruppi locali giovanili e polo di attrazione per artisti provenienti da tutta Europa. Si istituiranno borse di studio per giovani artisti aderendo ai fondi comunitari e si proporranno, in sintonia con i luoghi sacri della cultura ed istruzione locale (Conservatorio di musica, Accademia delle belle arti, Università di Cassino, Provveditorato agli studi), corsi di formazione ed aggiornamento quale Polo Aggregativo di talenti che sarà attrattivo di mobilità per intellettuali, ricercatori e storici.

f) Pianificazione urbanistica

Accresciamo l’efficienza delle strutture pubbliche, rivedendo quella logica spesso perversa per cui il privato è più efficiente, dunque naturalmente idoneo a surrogare le lentezze ed incapacità dei soggetti pubblici. Dietro l’inefficienza si nascondono illegalità ed interessi. Trasparenza e partecipazione, attribuzione di responsabilità, lotta all’evasione sono le radici di un vivere sano e tutelato. Cubatura zero, rivisitazione dell’uso del territorio e dell’organizzazione dei servizi, utilizzo delle strutture comunali dismesse e loro riqualificazione, piano straordinario agevolato alle giovani coppie e alle famiglie bisognose come ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea con regolare permesso di soggiorno , contributi a fondo perduto attraverso la stipula di convezioni regionali a persone disabili per l’abbattimento di barriere architettoniche delle loro abitazioni, creazione di un data base unificato delle agenzie immobiliari per una percezione concreta e quotidiana del surplus di offerta. Realizzeremo un sistema informativo trasparente territoriale per pianificare e controllare il territorio e che fornisca la base conoscitiva come tariffa puntuale relativa ai rifiuti, controllo dell’abusivismo e dell’evasione fiscale e sia atto alla redazione di un rapporto annuale sulla sostenibilità di Frosinone. In un contesto di autonomia, ci si impegna a fare una ricognizione del patrimonio architettonico esistente creando spazi confortevoli ( esempio sistemazione del verde lungo il fiume Cosa) e a favorire la presenza di luoghi fisici idonei alla nascita di un polo universitario decentrato da Roma nel campo delle scienze agricole ed ambientali. La valorizzazione delle aree verdi con l’adozione di isole verdi su tutto il territorio e la riscoprire dell’agricoltura, antica vocazione del popolo ciociaro, indicano nuovi modi di pianificazione del territorio. In tal modo poi si consentirà la riduzione del percorso produzione-consumo con la valorizzazione dell’agricoltura sociale ed il sostegno ai consorzi e cooperative che favoriscono il reinserimento di soggetti svantaggiati. L’agricoltura sociale, le fattorie sociali, sono oggi il nesso tra sicurezza alimentare, equilibrio territoriale, conservazione del paesaggio e approvvigionamento alimentare. Si tratta di un vero strumento operativo per l’applicabilità di un welfare moderno e competitivo.

g) Cooperazione e finanziamenti tra enti locali ed altri soggetti

Favorire la costruzione di più reti settoriali per i diversi servizi di reciproco interesse fra i comuni del comprensorio e dei distretti limitrofi, che veda al centro del sistema-macroarea il capoluogo ciociaro, in modo da ottimizzare le risorse valorizzando tutte le possibili sinergie e abbassando gli sprechi con l’ ottimizzazione dei risultati. Attiveremo all’interno della macchina amministrativa le funzioni di ricerca, promozione ed attivazione dei bandi emessi dalle strutture sovracomunali (Provincia, Regione, Stato, Unione Europea) sia come supporto per la partecipazione ai bandi dell’amministrazione comunale sia quale consulenza per la partecipazione da parte dei cittadini, delle associazioni e delle imprese locali all’interno di tali opportunità.

h) Sanità

La difesa ed il potenziamento delle Strutture Socio-Sanitarie sono forti priorità. Il Comune dovrà dare indirizzi politici interagendo con Asl e Regione. Le lunghe liste di attesa, ritardi dei rimborsi ai pazienti colpiti da malattie croniche, difficoltà nell’attuazione di programmi domiciliari, continuità terapeutica carenti fanno si che un Comune diventi sinonimo di contrasto a tutte quelle forme di disagio e forme di emarginazione sviluppando un welfare integrato con il terzo settore ed il volontariato, con i privati che a titolo di gratuità vorranno diventare depositari di benessere. Contrasteremo dunque ogni forma di discriminazione e tuteleremo la salute dei cittadini più indigenti ed emarginati- come persone detenute o dimesse dal carcere, immigrati, senza fissa dimora- a partire dalla costituzione di un Ambulatorio popolare che prevenga ulteriori disagi sociali e permetta, interagendo con la ASL deputata, diagnosi precoci e trasferimenti veloci in strutture reputate più idonee per la creazione di una comunità sempre più inclusiva e sana.

2) Frosinone primo hub italiano del Mediterraneo.

Agganciare Frosinone ad una naturale direttiva dello sviluppo italiano nel Mediterraneo.

Il Mediterraneo “allargato” è senza dubbio lo spazio geopolitico più esposto alle ventate di destabilizzazione che soffiano sul sistema politico-economico internazionale. Area di contrasti sociali, economici e culturali ma, allo stesso tempo, caratterizzato da forte dinamismo commerciale e interessanti interdipendenze geo-economiche, tra le due sponde nord e sud, che delineano vincoli e opportunità per un processo di integrazione avviato oltre venti anni fa. L’integrazione economica e sociale nel Mediterraneo, iniziata nel 1995 con il Processo di Barcellona a livello europeo e con la Conferenza di Lisbona dell’APM a livello regionale è una delle più grandi occasioni che l’Italia deve saper cogliere nel suo percorso di rilancio. Tutte le città, da ora anche Frosinone, devono costruire il proprio profilo strategico in tale area, cercando di puntare su un rilancio complessivo della propria immagine.

Ciò consente di posizionarsi in maniera ottimale nella percezione degli operatori stranieri diventando contemporaneamente un importante nodo della rete più ampia impegnata a stimolare relazioni attraverso qualità ed eccellenze. In tal senso la Regione Lazio, ed in particolar modo la città di Frosinone, risultano per la loro centralità geopolitica, bene posizionate. Essere poi un territorio fatto da piccole e medie imprese talvolta può essere un vantaggio. È necessario promuove quello che il territorio locale sa veramente “fare”. Frosinone avrà un suo ruolo nello spazio Mediterraneo con azioni concrete accompagnate da politiche pubbliche. Tutto ciò a partire dal fatto che il motore dello sviluppo, oggi, non è più rappresentato dagli Stati bensì dalle aree metropolitane. Bisogna puntare sui settori più strategici, moderni, ad elevato valore aggiunto: innanzitutto le infrastrutture immateriali, la filiera delle comunicazioni moderne, la banda larga, la connessione veloce, le reti di seconda generazione. Da questo punto di vista, il ritardo accumulato in questi anni può ribaltarsi e le condizioni competitive trasformate in vantaggio per una moderna e innovata imprenditoria frusinate desiderosa di puntare su una semplice ma ambiziosa idea: fare del centro Italia l’hub connettivo dell’area euro-mediterranea, fare di Frosinone una piccola Capitale.

E’ su questi temi che si giocano le prossime possibilità di successo della nostra città. Costruiamo una nuova stagione di relazioni economico – culturali con il bacino Mediterraneo rilanciando l’immagine in campo nazionale ed internazionale del nostro territorio.

3) Genere e Generazioni

a) Genere e generazioni per un nuovo equilibrio famiglia-lavoro.

Far emergere innovazione e sviluppo dalla creazione di un Patto Generazionale che diventa fonte di sapere. Attraverso il censimento degli immobili comunali soprattutto del centro storico si possono ottimizzare e rendere fruibili spazi di condivisione per i giovani che diventano la catena del rilancio di antichi mestieri. In questi luoghi della memoria entreranno gli anziani che sono portavoce di grandi ricchezze. Non vogliamo centri sociali chiusi ma opportunità di scambio con tutte le componenti sociali. Frosinone città interculturale produttrice, tra Roma ed il Mediterraneo, di linfa nuova. La regolamentazione del rapporto di lavoro (più flessibilità dei tempi di lavoro a favore della lavoratrice mamma con la conseguente rimodulazione della struttura retributiva), la leva fiscale dal quoziente familiare alla detraibilità selettiva di alcune spese legate alla cura dei bambini in età prescolare (ad esempio le badanti), il ricorso ai fondi strutturali dove i regolamenti comunitari prevedono specifiche forme di investimento proprio sulle misure di conciliazione di vita e professionale. Si prevede obbligatoriamente la messa in atto a livello comunale del bilancio di genere in un approccio di benessere comunitario. Si agirà al rafforzamento della consigliera di parità offrendo servizi di consulenza gratuita. Si realizzeranno progetti pilota per micro-nidi e centri ludici per prima infanzia, per asili nido con l’adozione di nuove strutture o ristrutturazioni, ampliamenti e adeguamenti di strutture esistenti. La nostra amministrazione metterà mano ad una profonda revisione dello Statuto comunale cosi che questo possa tornare , nel suo primario valore, lo strumento di partecipazione democratica attraverso la reintroduzione, come già specificato, dell’istituto referendario e la previsione di delibere di iniziativa popolare.

b) Per una città a misura di Donne e Giovani

L’affermazione di genere all’interno di una prospettiva che garantisca parità di gender con accesso a ruoli decisionali e contro gli stereotipi di genere. La compatibilità dei tempi di conciliazione della vita familiare con gli orari e i tempi della vita lavorativa e scolastica. L’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Attrezzare spazi comunali adeguati di accoglienza in sostegno delle lavoratrici madri con figli minori a carico. Donne e uomini hanno bisogni diversi e usano la città in modo diverso: il bilancio di genere anche nel nostro comune per valutare l’impatto delle decisioni di spesa sulla disuguaglianza di genere. Le politiche di genere sono trasversali e non settoriali. Analizzando i dati sulla condizione della popolazione in ottica di genere abbiamo capito che è importante leggere le fasce di età come fasce di bisogni. Per questo la popolazione, per uno studio stratigrafico iniziale, sarà divisa in quattro grandi fasce: l’area di interesse primario infanzia ed adolescenza, età 0-18 ; l’area di conciliazione famiglia-lavoro, che comprende la popolazione impegnata contemporaneamente nel mondo del lavoro e nelle attività di cura per infanzia, adolescenza ed anziani, età 19-64; l’area di supporto ed assistenza che offre aiuto all’area di conciliazione, età 65-79; l’area di cura anziani, con perdita di autonomia e bisogni di assistenza e cura, età superiore agli 80 anni. Il bilancio di genere, oltre all’analisi di contesto, necessaria per ricavare informazioni sui bisogni della popolazione, produce anche una analisi dei servizi erogati che mettono in evidenza molto chiaramente il fenomeno delle nuove povertà. In un periodo di grave e profonda crisi economica si fa ancora più stretto il binomio donne-povertà. Le giovani donne, nonostante il livello di istruzione più alto dei coetanei, hanno grosse difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro; molte lavorano nel settore dei servizi (per esempio in cooperative) con redditi bassi, spesso senza sufficienti garanzie. Emerge che le donne sole con figli, con scolarità medio-bassa, sono a rischio di povertà. Anche se non perdono il lavoro, non ce la fanno a far fronte alle spese per l’affitto e per una vita dignitosa per sé e per i propri figli. Questi dati nazionali sul bilancio preventivo del comune dovranno essere seriamente considerati per quantizzare la spesa delle politiche sociali locali. Si prevede l’introduzione di un fondo di solidarietà destinato alle famiglie più colpite dalla crisi economica, tra cui quelle monoparentali con minori a carico e quelle composte da ultra-sessantacinquenni a basso reddito, oltre ad autorizzare agevolazioni ed esenzioni alle famiglie in difficoltà economiche. In un momento in cui le risorse scarseggiano è fondamentale assicurarsi che le risorse arrivino dove il bisogno è più forte e pressante.

Una società nuova, attenta ai bisogni della persona non può non nascere dall’ascolto dei bisogni delle sue fasce più svantaggiate, talenti sprecati, non compresi e non valorizzati. Noi dobbiamo avere una visione di città diversa, più vivibile e più bella, in cui si possa crescere insieme, uniti, complementari per la rinascita collettiva. Una città in cui le donne possano essere anche madri e non solo, in cui possano essere e diventare tutto ciò che desiderano, tutto ciò per cui sono portate, tutto ciò in cui sono competenti. Senza limiti, senza imposizioni, senza sacrifici: scuole a tempo pieno, asili nido, parchi e ludoteche; spazi per crescere insieme, per passare dallo studio al lavoro, dalla formazione all’ascolto; centri in cui si fondono i saperi e dove si saldi un patto generazionale affinché chi più sa e più ha diventi modello e mentore per chi ancora è indietro. Spazi da creare insieme.

4) Etica e Politica

L’etica base di una rinascita della politica amministrativa. Senza etica non c’è società. Per raggiungere livelli elevati di etica in un territorio tanta è la strada da percorrere. Dopo l’utilizzo abnorme che si è fatto della parola ‘etica’ con riguardo alla crisi finanziaria globale ora è il momento della questione morale in politica, che è praticamente ciclica tanto che i cittadini si sono ormai assuefatti all’idea che gli scandali siano persino fisiologici nell’amministrazione della cosa pubblica. Esiste, infatti, un sistema di potere che ha sconfinato dalle sedi istituzionali originarie, riproducendo a dismisura luoghi decisionali parcellizzati: le nostre amministrazioni comunali e regionali sono affollate di comitati, consorzi ed agenzie. Un tale proliferare non è solo un costo in termini di bilancio e di efficienza del servizio pubblico è anche la pericolosa occasione del rafforzarsi ed infittirsi di una rete di clientele tra politici, funzionari e imprenditori. Come per l’economia, anche in politica non basta affidarsi all’etica dei singoli: oltre ad essere una questione personale, cosa può il comportamento individuale di pochi di fronte ad un malcostume diffuso e radicato? Uno Stato moderno e democratico non può lasciare all’arbitrio degli individui il funzionamento corretto delle proprie istituzioni. Disporre di un organo legislativo per disegnare il sistema istituzionale in modo coerente e cancellarne i cloni, atti solo al proliferare delle nomine e di posti di lavoro fittizi è fondamentale. Sulla questione morale è indispensabile l’intervento dello Stato e degli organi di cui dispone costituzionalmente; dall’altro, la portata della sua azione dipende dal coraggio della sua classe dirigente, particolarmente quella che, ha il potere di deliberare.

Proponiamo alcune iniziative che puntano al raggiungimento dell’ obiettivo:

a) Limite di mandato cumulativo di 10 anni per qualsiasi incarico pubblico e politico.

a)Anagrafe degli eletti e degli amministratori.

b)Divieto di cumulo degli incarichi pubblici o in società, enti, consorzi a partecipazione o interesse pubblico.

c)Incompatibilità di incarichi pubblici per persone con interessi privati in palese conflitto con il bene pubblico.

d)Incompatibilità di incarichi pubblici per persone con incarichi di rilievo in società private che agiscono in ambito pubblico.

e)Pubblicazione e trasparenza dei bilanci dell’amministrazione, di partiti, associazioni e comitati.

g) Completa trasparenza e pubblica accessibilità degli atti e contratti pubblici.

h) Registro comunale del testamento biologico.

i) Registro comunale unioni di fatto.

5) Tecnologie dell’informazione e della comunicazione per il rilancio di una moderna socialità ed imprenditorialità.

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono oggi riconosciute quale motore di nuova cultura, innovazione e imprenditorialità. Ciò sarà uno standard a Frosinone “piccola capitale”. Nella attuale crisi economica e sociale non c’è futuro per il Paese se non si pensa di ritornare ad una cultura imprenditoriale che nel resto del mondo è motore di sviluppo economico ( a partire dagli Stati Uniti della Silicon Valley passando per la Cina fino ad arrivare al Sud Africa e in Nigeria). E’ dovere di una città capoluogo attrezzarsi e fronteggiare il cambiamento. A livello nazionale da alcuni mesi nascono e si diffondono iniziative di supporto alla nascita di start up tecnologiche che hanno portato risultati sorprendenti in termini di sviluppo socio-economico. Vogliamo organizzare il primo Start Up Incubator anche nella citta’ di Frosinone per poter sostenere i nostri giovani e le nostre donne. La tecnologia, motore di nuova socialità, va valorizzata e trasformata in crescita economica e occupazionale. Daremo vita ad iniziative di “Bar Camp” tematico, per un confronto aperto, destrutturato e orizzontale nella cittadinanza, finalizzato alla definizione e realizzazione di progetti di sviluppo imprenditoriale basati sui nuovi saperi. La tecnologia oggi permette anche da noi di attivare, a costo zero, reti di comunicazione immateriale con tutto il mondo, a partire dalla realizzazione di un portale di sviluppo territoriale – www.frosinone.com – che sarà “disegnato” in logica “open source” e “wiki” ovvero sviluppato e gestito in collaborazione con la comunità frusinate. Innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, rilancio della cultura per una moderna socialità ed imprenditorialità: la tecnologia quale apri-pista allo sviluppo di una città di medie dimensioni.

Per tutto questo abbiamo messo in cantiere un progetto – che puntando alla creazione di una rete mediterranea e nazionale dei beni comuni per il rilancio dell’economia italiana- farà di Frosinone una piccola capitale.

Regione Lazio : la fase egemonica dell’eclettismo

di Pierluigi Sorti

Nell’ arco politico regionale, ormai, i percorsi  politici, sia nel centro sinistra come nel centro destra, obbediscono solo a linee orizzontali.

E non sempre i confini si identificano solo con le aree di appartenenza  che infatti , non di rado, estendono i loro confini in reciproca sovrapposizione.

Il fenomeno  si evidenzia nel pullulare di associazioni tematiche, molte volte ispirate dai dirigenti in carriera,    coscienti  pienamente della caduta di attrazione delle rispettive sigle di partito.

Solo con tali modalità possono essere facilitati incontri e dialoghi di cittadini, anche privi  di tessere di partito, ma assai poco inclini a dichiarare le proprie vocazioni elettorali e che comunque non  vengono richiesti di farlo.

La diagnosi del quadro complessivo si completa nella constatazione , evidente soprattutto a Roma, delle genesi più disparate dei presupposti di  base dei  temi sul tappeto  e delle soluzioni politiche proposte.

Anche le altre aree provinciali laziali,  contraddistinte essenzialmente dal tratto , più o meno dissimulato, dell’ antagonismo alle prevaricazioni romane, presentano il  sintomo significativo della rottura di una visione politica geograficamente unitaria.

Dai problemi occupazionali a quelli urbanistici , dalla crisi delle politiche abitative al dissesto sanitario regionale, le relative soluzioni proposte , permeate dei più  variegati criteri ispirativi, scaturiscono da disparate  genesi ideologiche in un processo di mutui ma continui scambi di volubili  opinioni dello spazio temporale di un mattino.

L’ osservatore attento coglie il fenomeno crescente di un eclettismo di vedute il cui continuo variare finisce per  smarrire i vantaggi del confronto e  scadere nelle forme deteriori del peggior sincretismo .

Ma forse la Regione Lazio è lo specchio  fedele delle tendenze nazionali  più deprimenti  di queste stesse ultime ore  : dalle convergenze di Bertinotti e Violante in tema di privilegi di casta, dalle analogie  di comportamento  di Lega e Margherita nell’opacità dei loro criteri amministrativi in una cornice in cui spicca il  desolante silenzio di Pd e PdL e partiti minori, impotenti  tutti a una decorosa  reazione politica .

Anche l’ aforisma del carattere individuale delle responsabilità penali , genera, nel  conforto illusorio dell’ oblio, la latitanza di tutti i partiti e dei loro dirigenti, incapaci di percepire politicamente il diffondersi di una metastasi  che percorre ormai la nazione tutta.

Giuseppina Bonaviri candidata sindaco a Frosinone

Giuseppina Bonaviri Candidata Sindaco a Frosinone – Amministrative 2012 

Con determinazione verso il cambiamento (#bonaviriafrosinone)

La mia candidatura nasce dalla forza e dalla volontà di alcuni movimenti della società civile che non trovano riferimenti nelle segreterie di partito. La Rete Indipendente “

 

Nuove idee per Frosinone” chiese a me, proveniente dalla società civile e dal mondo del volontariato e associazionismo -negli ultimi anni ho militato attivamente nella fila del centrosinistra locale e regionale- di accettare una candidatura a Sindaco di Frosinone.

Dopo lunghi mesi di confronti e dibattiti, avendo aperto un confronto diretto con la cittadinanza attiva del nostro territorio, abbiamo deciso di fare un passo avanti nel rispetto della città di Frosinone . Dare un taglio al vecchiume politico che avanza, nel segno della discontinuità e della trasparenza, dell’onestà e della lealtà significa fare pulizia. Siamo contro gli inganni e lo strapotere, contro gli abusi, le vessazioni a cui ci ha sottoposto vergognosamente l’attuale classe dirigente. Hanno svenduto Frosinone ai poteri forti per i loro personali affari di bottega. Non c’è nulla da spartire con i fautori che, a destra come a sinistra -una sinistra che nella nostra terra continua a colludere con i giochi di prestigio dei partiti- hanno voluto il disastro amministrativo e morale di Frosinone. Mettiamo in discussione la gestione politica del nostro territorio di questi ultimi venti anni e, soprattutto, non accettiamo il ritardo culturale che si respira a causa della sordità del governo locale.

Abbiamo fatto una scelta diversa e molto coraggiosa. C’è un terza strada tra antipolitica e voglia di lasciar perdere: la scelta di candidarsi come Indipendente. All’agitarsi e all’arruffare degli attuali gruppi di potere noi contrapponiamo passione e coraggio. Le nostre due liste civiche sono le uniche di puro civismo: non dipendono e non sono collegate a nessun partito, per scelta, ne tantomeno sono appendici di trasversalismi e ambiguità.

TUTTE FACCE NUOVE – GIOVANISSIMI E DONNE – MAI CANDIDATI PRIMA,VISI PULITI; NESSUN COLLUSO O RICICLATO PROVENIENTE DAI CARROZZONI PARTITICI, NESSUN VECCHIO ED USURATO AMMINISTRATORE.

Abbiamo scelto di dar voce a chi non l’ha mai avuta. In questa visione rinnovata della res pubblica il nuovo significa capacità di sintesi, onestà, voglia di volare alto mentre la cosiddetta “esperienza amministrativa” consuma e nasconde corruzione, malaffare, conflitto tra potere e stato di diritto centro della questione morale nelle istituzioni. Prima di tutto vogliamo tagliare con determinazione legacci e legami con i vecchi schemi partitici. Partiamo con la nostra sola forza delle idee e queste sono la nostra unica risorsa.

LE NOSTRE IDEE SONO IL NOSTRO UNICO FINANZIAMENTO.

Non aderiamo allo scontro tra bande dietro cui si nasconde una egemonia precisa che ha prodotto distruzione di valori, mercificazione, svendita del merito e dei talenti e che ha espropriato un intero popolo dai propri diritti e da un processo di democrazia partecipativa. Risorgere è anche sperare. Si chiede un ricambio e noi lo assicuriamo: chi pensa ed osa ha già vinto. La civiltà del dialogo, la capacità di ascolto, il rigore intellettuale fa poi la differenza. Noi donne, eredi di un pensiero della differenza, non siamo invisibili e non ci spaventa di certo la sfida nell’affrontare un sistema allo sbando. Mettiamo al centro l’uomo e il bene comune per un progetto di città libera, visibile, che lavora , che cammina sulle proprie gamba: FROSINONE, UNA PICCOLA CAPITALE.

Questa è la città che vogliamo.

Seguitemi, vinciamo insieme!

Condividete le mie idee. Ci conto! #bonaviriafrosinone

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R-Innovamenti energetici

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Se c’è oggi un settore che meglio di altri rappresenta il baricentro del R-innovamento del nostro Paese, quello è il settore energetico.

In questi giorni si torna a parlare di politica energetica, ed è un fatto di per sè positivo. Problema è che, ancora una volta e inaspettatamente, dopo l’affossamento tramite referendum delle velleità nucleariste del Governo Berlusconi, oggi il Governo Monti prova a imporre un modello di sviluppo basato sulle rimanenti industrie monopolistiche (il Ministro Passera – e lo stesso Premier che pochi giorni fa nei suoi incontri Kazaki – vuole accelerare sulle estrazioni petrolifere!) e mature, addirittura andando a togliere ulteriori risorse al settore delle rinnovabili.

Una situazione incredibile, soprattutto per i molti “Green thinkers” che su questo Governo avevano fortemente puntato, e tra questi Innovatori Europei e SOS Rinnovabili, con il lancio del Manifesto “Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili”.

In questi giorni, oltre al Corriere della Sera, anche giornali solitamente più moderati come La Repubblica indicano il fotovoltaico e le rinnovabili quali colpevoli dell’aumento delle bollette energetiche del Paese, provando, e in molti casi riuscendo, a convincere le famiglie che il settore è semplicemente luogo di fortissime speculazioni (che ci sono, ma rappresentano oggi una piccola parte del tutto), fatte con i soldi di tutti gli italiani. Speculazione vi è stata, e credo volutamente permessa, nei primi Conti Energia.

Ma oggi che il settore è vicinissimo alla “grid parity” solare (a cui seguiranno le altre tecnologie), un ulteriore intervento a gamba tesa ha chiaramente un’altra volontà: quella di rallentare il più possibile lo sviluppo di una industria energetica distribuita, quindi democratica. Sta nei fatti che oggi esistono centinaia di migliaia di piccoli impianti solari, installati in piccole abitazioni o aziende, che permettono abbattimenti di costi energetici e indipendenza di approvigionamento (al netto degli importanti abbattimenti di emissioni nocive). Lo stesso sta avvenendo con la rivoluzione mini-eolica, appena cominciata. E così pure nel settore delle biomasse, che evolve verso la mini impiantistica. Come in tutti i settori ad alta intensità tecnologica, quello delle rinnovabili ha richiesto un investimento iniziale importante di risorse pubbliche e private, che lo accompagnasse verso l’indipendenza e la maturità. Ci siamo quasi. Ed ecco perchà la minacciata politica energetica di questo Governo ha del paradossale, forse ancora di più di quella del precedente Governo.

Oggi, il ministro Clini – che finora è stato relegato allo stesso ruolo inconsistente che fu della Prestigiacomo – la sintetizza così: “Attenzione a non fare un altro grosso autogoal con le rinnovabili, bloccandole come facemmo negli anni’80 all’inizio del boom della telefonia”. Ebbene sì, il rischio che si corre è proprio quello. Uscire, ancora una volta, da una rivoluzione tecnologica (quella telefonica portò poi all’Internet che oggi conosciamo) in cui potremmo essere protagonisti mondiali.

Intanto, finalmente il mondo delle rinnovabili si è svegliato e reagisce in maniera più compatta. Domani 2 Aprile dalle 16,45 a Roma – presso la Sala Bologna del Senato – ci saranno gli Stati generali delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, in cui 20 associazioni di categoria chiederanno un incontro ai Ministri competenti per discutere su quello che è un vero e proprio attacco a uno dei pochi settori tecnologici trainanti innovazione e nuova occupazione, in questo ormai quadriennio di crisi, che questo Governo vuole ammazzare proprio mentre diventa un’industria strutturata.

Preoccupati per le ricadute economiche, sociali, ambientali, e anche del rischio di inadempienza del nostro paese nei confronti dell’Unione Europea, le Associazioni chiedono con urgenza al Governo, ai Ministri interessati e ai Gruppi parlamentari di aprire già a partire dalla prossima settimana un confronto trasparente, che consenta di progettare il futuro di un settore decisivo per lo sviluppo del paese” si legge nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori.

Si riuscirà questa volta a evitare l’autogoal?

R-Innovamenti italiani

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Ero tra quelli che nel 2009 – quando sembrava che l’Italia avrebbe pagato di meno la crisi “americana” di quanto stavano andando a pagare paesi ad economia più finanziaria della nostra – dicevano che il rischio era invece che il Belpaese avrebbe scontato come gli altri quell’anno e poi addirittura vissuto  – insieme a pochi compagni di sventura – una ricaduta di febbre, entrando nella cosiddetta “crisi a doppia V”.

Ebbene, il 2012 – dopo un 2009 disastroso e un 2010-2011 di bassissima crescita – sta nei fatti avverando quel pensiero, con una recessione seria in atto e in aumento.

Improvvisamente oggi è chiaro un po’ a tutti che siamo arrivati a quell’anno zero italiano, che in tanti pensavano fosse già passato qualche anno fa, ma che invece arriva solo nel 2012.

E in tutto questo la politica di puro rigore finora attuata dal Governo Monti non aiuta affatto, andando semplicemente ad indebolire un tessuto socio – economico già fortemente lacerato.

Laddove le varie riforme attuate o in via di discussione siano – nella teoria – in gran parte condivisibili, esse risultano incomprensibili per questioni di “contesto” in cui vanno a essere imposte ai cittadini.

Ancora di più se si pensa alla contestuale assenza di politiche redistributive e di azioni di sviluppo, uniche vere leve di rilancio di un Paese immobilizzato.

Tranne virate primaverili, l’attuale esecutivo sarà servito fondamentalmente per renderci  conto di quanto urgente fosse, in Italia, ripartire – da zero – con energie nuove e progetti di innovazione, che nascono solo dal ritorno di una politica più autorevole, rispettosa degli elettori e dei territori, mancata per troppi anni.

Il Paese è oggi nei fatti paralizzato su tutto. Si deve ora tutti insieme rimboccarsi le maniche e lavorare per una vigorosa ripartenza, come fu nel secondo dopo guerra. Le elezioni del 2013 devono essere l’inizio di tutto questo.

Sono stati davvero  tanti i cambiamenti radicali che questa globalizzazione accelerata di un tratto ci ha sbattuto davanti agli occhi. In primo, quello di aver trasformato l’Italia da potenza globale in attore di secondo livello. Già questo fatto da solo manderebbe in crisi una popolazione. Figuriamoci allora quanto ci si possa sentire smarriti ad essere italiani nel 2012.

E’ da questo smarrimento che dobbiamo uscire rapidamente per poter ripartire. Per farlo il Paese deve affidarsi a nuovi talenti e nuove progettualità, che – aldilà della tanta retorica che circola da tempo sul tema – nei fatti ancora oggi (il sottoscritto lo diceva già nel 2006) rimangono confinati nella testa dei Giovani e delle Donne, prima che in altri luoghi.

Il tempo per ripartire è pochissimo, ma sento che noi italiani ancora una volta (ci) imporremo un cambiamento epocale che non è più possibile posticipare, proprio perché – restando fermi ancora – tutto continuerà rovinosamente a crollare.

Apro dunque questo spazio di discussione per dire la mia sui tanti “R-innovamenti” di cui credo questo Paese abbia urgentemente bisogno,  e che già in molti stanno provando a mettere in campo nei territori e in alcuni settori dell’economia e della società.

Mi occuperò principalmente di quei  temi che ritengo da sempre prioritari per il nostro Paese, come appunto quello generazionale e di genere, quello del merito nella società italiana, dell’Europa dei popoli, delle nuove tecnologie e del loro impatto su una società cambiata, di una nuova politica energetica e industriale sostenibile, della necessaria centralità del Mezzogiorno nel progetto Euro – Mediterraneo e – last but not least – dunque dell’esigenza di una rinascita della Politica in Italia.

 

Art.18 : simbolo, sintomo, pretesto o illusione

di Pierluigi Sorti

E’ tutt’altro che infrequente che un tema ( non necessariamente il più importante ) possa rappresentare la goccia che fa traboccare il vaso dei rapporti politici e sociali.

La scelta del governo di procedere alla modifica dell’ art. 18 dello statuto dei lavoratori è, al riguardo, altamente emblematica, con aggiuntive caratteristiche cui l’ opinione pubblica era da tempo disabituata.

Le posizioni in campo sembrano sempre più ispirarsi a tematiche che riportano ai grandi contrasti ideologici dei primi due decenni della nostra repubblica, ai tempi  di una sovranità nazionale,  non solo italiana, influenzata dalla guerra fredda  quando  le linee di divisione fra i partiti politici riflettevano lo schema sociale delle divisioni di classe.

Padroni e lavoratori, potere di licenziamento e regolamento dei contratti collettivi, pubblico impiego e dipendenti dalle imprese private, economia statale, libera iniziativa e tutele sindacali.

Si mescolano le contraddizioni : il Pd, da tempo incapace di iniziativa propria, subisce la spinta della Cgil e ritrova in archivio reperti di lotta di classe, con dilemmi sintomatici sul  possibile aprirsi della faglia della sua unità interna.

Il Pdl che nell’ art. 18  ritrova il facile pretesto di una demarcazione precisa fra schemi moderni ed europeisti  (con il tramite cortese del Presidente del Consiglio ) e quelli legati all’ archeologia dell’ ideologia comunista.

Il leghismo regredisce pretestuosamente alle sue origini e nel governo Monti  ravvisa il duplice morso della tenaglia romana e di quella  plutocratica europea e internazionale.

L’ Idv , a  sua volta, ravvisa più ampi  spazi di manovra e punta su una fetta cospicua dell’ eredità elettorale del  malcontento sociale che, sempre di più, appare invece in preda al disorientamento e alla diffidenza verso il sistema dei Partiti.

I  sindacati che, nonostante i presupposti ( la guerra fredda ) della loro genesi siano ormai da lungo tempo venuti meno, pagano il lungo sonno della loro incapacità a formulare minime ipotesi  del loro ricongiungersi e della irrazionalità del loro permanere divisi.

Pigri nei  loro sforzi di analisi delle trasformazioni indotte dalla globalizzazione, si trovano, sempre più disuniti  a fronteggiare le iniziative altrui, con l’ unica eccezione, almeno sul piano della combattività, della federazione dei metalmeccanici della Cgil.

I sindacati, appaiati con i loro anacronismi al mondo dei partiti sono l’ uno e l’ altro dimentichi rispettivamente dell’ art. 39 ( democrazia dei sindacati ) e dell’ art. 49  ( democrazia dei partiti ) e soffrono di analoghi fenomeni di  senescenza  per un ricambio direzionale sempre basato sulla cooptazione.

E si illudono coloro per i quali episodi in gran parte occasionali come il dibattito sull’ art. 18 potrebbero ripristinare, anche solo approssimativamente, un clima generale, ormai scomparso, come quello leggendario dei tempi della Trimurti.

Cosa succede se la direzione nazionale (del PD) va su Twitter

di Michele Mezza

Maria Teresa Mieli con  un qualche senso di rassegnazione, nota sul Corriere della Sera di questa mattina che la riunione della direzione del PD, di per sè evento che non faceva certo fremere alcun essere animato, ha avuto la caratteristica di essere raccontata in diretta su Twitter dai partecipanti.

L’evento, nonostante l’arcigna guardia di un ufficio stampa che voleva  trattenere l’aria, è diventato pubblico: di più , è stato seguito quasi come” tutto il calcio minuto per minuto”. Con l’arricchimento, rispetto a chi c’era, di avere insieme sia le notizie sugli interventi che si susseguivano che i commenti e le visioni dello stesso evento da parte dei protagonisti. Un valore aggiunto che nessun cronista avrebbe potuto mai dare. Poi, a scapito dei soliti pierini che si arrampicano sulla sedia per difendere la bontà del sapore dell’acqua, è ovvio che , a valle di questo flusso un’ulteriore sintesi  da un osservatore prtofessionale aggiunge ulteriore intelleggibilità all’evento. Ma il motivo per cui, una volta, si giustificavano  presenze e impegni professionali “sul posto” vengono largamente meno con l’irruzione delle nuove modalite di comunicazione diretta.  Siamo ad una ulteriore tappa di  quel processo di disintermediazione che alcuni buontemponi vollero eccentricamente sintetizzare con un libro nel 2003 dal titolo mediasenzamediatori.org, che fece sbellicare dalle risate colleghi e conoscenti.

Basterebbe chiedere oggi a un qualsiasi  appassionato di sporto, di qualunque disciplina, dove  si rivolga per acquisire le informazioni più tempestive su gli atleti che ama o le gare che segue: i media o i siti e le comunity degli stessi protagonisti?

Altro esempio: mentre folle di innovatori si accalcano a pubbliche lamnentazioni sulle carenze del paese e la mancanza di banda larga, uno dei più accreditato gruppi di ricerca tecnologica del pianeta -Il Boston Consulting Group- pubblica dati da cui si  evince che in base ai fondamentali fattori di crescita dei socialnetwork l’Italia è il sistema più promettente per registrare un immediato sviluppo economico grazie all’impatto della rete. Ancora una volta politica e stampa raccontanbo un paese che non c’è ed ignorano quello che  esiste.

Infine un piccolo  esempio concreto: proprio in questi giorni è partita la consultazioni on line del Ministero dell’Università sul valore legale del titolo di studio. Ora al di là del merito, di cui forse si dovrebbe parlare non meno del can can sollevato dal mitologico articolo 18, si scopre che in soli 4 giorni ben 20 mila fra giovani, professionisti ed insegnanti hanno aderito all’iniziativa e che probabuilmente, di questo passo, entro il  24 aprile, data di scadenza della consultazione, potrebbero essere centinaia di migliaia i partecipanti: qualcosa di molto più significativo di un sondaggio e solo meno formale di un’elezione. Un evento questo che vedo assai snobbato dai vari opinion leader, singoli o comunitari, dell’innovazione, e che invece dovrebbe prevedere l’organizzazione di forum e discussioni per promuovere una partecipazione collettiva delle diverse comunity e blog che discutono da anni di  autogestione del sapere.

Conclusione: la disintermediazione è ormai pratica di massa. Cambiano le regole, aumentano le discontinuità, si fanno più acuti i diagi dei mediatori, si incrementa l’eccitazione dei partecipanti. Il combinato disposto di questi fattori ci dà la causa della crisi dei partiti e del processo di inno0vazione in corso.   Ancora una volta si conferma che non è il lavoro l’ordinatore sociale ma il processo di relazione di cui il lavoro può essere una variabile.

Siamo dinanzi al terzo mulino, dopo quello ad  acqua e quello a vapore, tocca a quello digitale, avrebbe detto un grande disintermediatore del passato.

Campidoglio 2013 : prove iniziali d’ orchestra

di Pierluigi Sorti

Con largo anticipo si è aperta la gara per le primarie per scegliere chi dovrà opporsi, fra più di un anno, al tentativo di Gianni  Alemanno di duplicare la conquista del Campidoglio.

Da uno scoop di “Paese sera “ abbiamo appreso che si candideranno alla competizione Sandro Medici           ( giornalista, ex direttore de “Il Manifesto “ e, attualmente, presidente del X municipio di Roma ) e Paolo Berdini ( urbanista, docente a Tor Vergata, editorialista ed autore di numerosi libri su Roma ) entrambi  largamente noti nel mondo politico e culturale della capitale.

Con automaticità,  nella rete Web cittadina, è stata richiamata, in parallelo allo scoop di “Paese Sera “ , la vocazione masochistica della sinistra : valutazione di cui, considerata la contemporaneità  delle due candidature, non è facile respingere la fondatezza .

Non si è registrata invece, al riguardo, reazione specifica della costellazione di circoli e associazioni,  di prevalente, ma non esclusivo, orientamento di centro sinistra, e  variamente impegnate nelle tematiche urbanistiche e sociali romane.

Un silenzio derivante forse dalla presumibile difficoltà di esprimere compiacimenti per l’ una o l’ altra delle due ipotesi di candidature o, più probabilmente, dalla riluttanza di doverle comparare a quella, quasi carismatica, di Nicola Zingaretti,  già da tempo in campo anche se mai ufficializzata.

Non per questo devesi  tacere che, a ridosso delle notizia delle due candidature e ancora ignara di esse ,  un’ assemblea assai nutrita di rappresentanti di associazioni cittadine, propiziata da una iniziativa di cittadini del  I° Municipio ( Centro storico ),  ha manifestato,  con  inusuale fervore, una comune volontà  di analisi critica sul costante degrado, morale e sociale, della vita cittadina.

La varietà degli interventi  ne ha sottolineato responsabilità profonde ,  vecchie  e nuove, ma non certamente imputabili solo alla vigente consiliatura di centro destra guidata da Alemanno .

Ne è quasi naturalmente emerso il ricordo di un evento di poco meno di quaranta anni or sono,  per iniziativa promossa dal vicariato romano, Pontefice Paolo VI° , che tentava, con realistico linguaggio, di dare risposte di verità  a uno stato d’ animo di profondo disorientamento politico e morale della cittadinanza romana .

I presupposti di quel convegno, di larghissima eco cattolica e laica e che fu chiamato “Sui Mali di Roma”,  si è ragionato sempre nella stessa recente assemblea ,  sono tuttora largamente presenti : con l’ aggiuntiva condizione di una attuale ancor più grave situazione economica cittadina e nazionale.

Quel convegno, come tante italiche nobili intenzioni, rimase inascoltato : con grandi eccezioni, tuttavia, di opera concreta, di dottrina e di elaborazione ideologica e morale  ( sacerdoti come Di Liegro, Franzoni, intellettuali come Scoppola, De Rita  ) e di tentata  traduzione politica e amministrativa  ( sindaci Argan , Petroselli ).

Memore di quel convegno e del suo messaggio , l’ assemblea interassociativa sopra menzionata,  ha condiviso l’ auspicio di reiterarne la piena attualità, formulando l’ ipotesi di un incontro con coloro che si propongono di amministrare Roma, assurta ormai anche formalmente a capitale d’ Italia, per  invitarli a  manifestare l’ essenza  delle loro diagnosi e i canoni delle loro prognosi .

Lettera aperta al Presidente Monti e al Ministro Fornero

di Domenico De Masi (su Corriere della Sera del 29 Febbraio 2012)

Non è solo una questione economica. Il lavoro e la sua mancanza sono oggi ai primi posti nell’agenda del Governo e sui media. Ma l’ottica con cui si affronta il problema è esclusivamente economico e giuridico laddove, invece, il pianeta lavoro è di natura plurima e non può essere esplorato senza l’apporto di molte altre discipline: la psicologia, la sociologia, le scienze organizzative, l’antropologia, la medicina, ecc. Qualsiasi soluzione unidimensionale di un problema così complesso è condannata al fallimento.

Vale perciò la pena di ricordare alcuni aspetti della questione lavoro che il dibattito prevalentemente economico e giuslavoristico sta trascurando ma che la rivista NEXT e il movimento ad essa collegato stanno privilegiando sistematicamente nelle loro analisi.

Molte realtà, una sola parola per dirlo. Quando mio padre parlava di lavoro pensava ai braccianti agricoli; quando io, da giovane, parlavo di lavoro, pensavo ai metalmeccanici della catena di montaggio. Ma oggi, cosa è il lavoro? chi sono i lavoratori? E’ possibile dire, indifferentemente, che un tornitore lavora, un bancario lavora, un artista, uno scienziato lavorano? Già lo scrittore Joseph Conrad si chiedeva: “Come faccio a spiegare a mia moglie che, quando guardo dalla finestra, io sto lavorando?”

Il fatto stesso di usare una parola sola per esprimere realtà profondamente diverse induce a comprimerle in un’unica camicia di forza normativa. E’ logico, ad esempio, che un giornalista vada in pensione anche se vorrebbe scrivere ancora? Ed è logico che debba andarci, obbligatoriamente, alla stessa età di un minatore?

Lavoro fisico, lavoro intellettuale. Quando Marx scriveva il Capitale, a Manchester, la città più industrializzata del mondo, gli operai in fabbrica rappresentavano il 94% di tutta la forza lavoro e solo il 6% svolgeva mansioni impiegatizie. Da allora in poi, per centocinquanta anni, nei paesi industriali tutta l’organizzazione e la legislazione del lavoro si sono riferite al lavoro fisico e non a quello intellettuale. Ma oggi, in Italia, gli operai non arrivano neppure al 33% della popolazione attiva. Un altro 33% svolge ruoli di tipo impiegatizio. Un ultimo 33% produce idee svolgendo attività di tipo creativo. Due terzi del lavoro non consiste più in fatica ma in pensiero. Eppure, nelle discussioni e nelle proposte in corso non vi è traccia di questa profonda differenza strutturale. E’ possibile trascurarla? Un medico accomunerebbe e curerebbe con lo stesso farmaco tre tipi così diversi di pazienti?

Mezzo secolo di decrescita. Gli economisti e i governi italiani stanno programmando il nostro futuro partendo dal presupposto che il Pil si è bloccato a partire dalla crisi finanziaria del 2008 ma che presto ricomincerà a crescere anche grazie alla proroga dell’età pensionabile e all’abolizione dell’articolo 18. Ma i dati ci dicono che il nostro Pil crebbe di 5,5 punti negli anni Sessanta; di 3,8 punti negli anni Settanta; di 2,4 punti negli anni Ottanta; di 1,6 punti negli anni Novanta; di 0,3 punti nell’ultimo decennio. Dunque la nostra crescita rallenta da mezzo secolo ed ora è azzerata. Come mai? E’ realmente possibile invertire questo trend, come ci assicura il Governo?

Io credo che la nostra decrescita è causata soprattutto dalla globalizzazione. Le diverse economie del pianeta sono ormai interconnesse e i paesi già ricchi non possono sperare di arricchirsi ulteriormente, a spese dei paesi emergenti. Negli ultimi dodici anni il nostro Pil pro-capite è cresciuto di 1,7 volte; il Pil pro-capite della Cina e dell’India sono cresciuti di cinque volte. Anche le nostre esportazioni sono cresciute di 1,7 volte ma quelle indiane sono cresciute di sei volte e quelle cinesi di otto volte. Il Pil della Cina ha superato quello del Giappone e sta per superare quello degli Stati Uniti; l’India ha superato la Spagna; il Brasile ha superato l’Italia. Per secoli i ricchi credenti hanno pregato il buon Dio affinché aiutasse i poveri; a quanto pare, da qualche anno a questa parte, le loro preghiere cominciano ad essere ascoltate.

E’ plausibile che, in un’economia mondiale fatta di vasi comunicanti, l’Italia con i suoi 37.000 dollari pro-capite continui a crescere lasciando la Cina a 3.740 dollari?

Le previsioni più affidabili ci assicurano che, entro dieci anni, il Pil complessivo del pianeta crescerà di 8 punti ma quello dell’Europa diminuirà di 15 punti. In campo energetico, ciò significa che l’Europa dovrà ridurre di almeno 30 milioni di tonnellate il suo fabbisogno di prodotti petroliferi. Altro che crescita!

Invece di inseguire questa improbabile chimera, sarebbe più saggio programmare una decrescita equilibrata, puntando sulla longevità, sulla scolarizzazione, sui consumi culturali e sulla qualità della vita che, per fortuna, non sono in rapporto diretto con la ricchezza. Tutte le ricerche sul benessere indicano che, sopra i 15.000 dollari di reddito pro-capite, la felicità non cresce.

Oggi siamo imprigionati nel circolo vizioso del consumismo: la pubblicità ci inculca bisogni futili, le banche ci fanno credito per soddisfarli, le imprese ci forniscono beni rapidamente superati da altri beni che la pubblicità rende più appetibili. Il Governo dovrebbe avere il coraggio di ispirare le sue decisioni a un nuovo modello di vita capace di sostituire la corsa al denaro, al possesso e al potere con la soddisfazione solidale di bisogni come l’introspezione, l’amicizia, l’amore, il gioco, la bellezza e la convivialità. Ma bastano gli economisti e i giuslavoristi per elaborare un simile modello?

Sviluppo senza lavoro. Con questo titolo già nel 1994 pubblicai un libro con cui cercavo di sfatare il mito sempre corteggiatissimo della piena occupazione. Keynes  riteneva che nessuna economia potesse superare impunemente un tasso di disoccupazione del 2%. Poi questo limite è stato elevato man mano: oggi si considera “fisiologico” un tasso del 6% e si finisce per accettare anche una disoccupazione che sfiora le due cifre.

Nel mondo ci sono 205 milioni di persone senza lavoro; 75 milioni sono giovani. Per la prima volta nella storia i posti di lavoro diminuiscono soprattutto nei paesi più industrializzati, proprio a causa della loro modernità. Negli Stati Uniti e in Europa, nell’arco di sei anni, il settore manifatturiero ha perso 6.118.000 posti, il settore delle costruzioni ne ha perso 4.500.000, il settore della logistica ne ha perso 770.000.

Ciò che gli economisti si ostiniamo a disconoscere è che, grazie al progresso tecnologico, allo sviluppo organizzativo e alla globalizzazione, abbiamo imparato a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano. In altri termini, siamo diventati più civili. Ma, di fronte al diminuire del lavoro, invece di ridistribuirne equamente la parte residua, i genitori continuano a sgobbare 10 ore al giorno mentre i loro figli restano disoccupati.

Quando erano automatiche,  le macchine sostituivano un numero di lavoratori pari o inferiore ai posti di lavoro che esse stesse creavano direttamente o indirettamente; oggi, invece, gli apparati elettronici, l’informatica, i laser, le nanotecnologie, le fibre ottiche riescono a creare molti più prodotti con molto meno apporto umano e distruggono più lavoro di quanto ne creano. Per ogni posto di lavoro che crea, un centro commerciale ne distrugge sette; il bancomat toglie lavoro a migliaia di cassieri di banca; i tablet sostituiscono milioni di addetti alle cartiere, alle tipografie e alle edicole.

Nel 1891 gli italiani erano meno di 40 milioni e lavorarono per un complesso di 70 miliardi di ore. Cento anni dopo – nel 1991 – erano diventati 57 milioni eppure lavorarono solo 60 miliardi di ore. Però, grazie al progresso tecnologico e allo sviluppo organizzativo, produssero ben 13 volte di più. In Francia – secondo Olivier Marchand e Claude Thélotnell’arco di due secoli la durata del lavoro individuale si è dimezzata, l’occupazione è aumentata di 1,75 volte, la produzione è aumentata di 26 volte, la produttività oraria del lavoro è aumentata di 30 volte.
E’ questo il Jobless Growth, lo viluppo senza lavoro. Già in tempi di tecnologie meccaniche Alexis Léontiev scrisse: “Illudersi che i lavoratori sostituiti dalle nuove macchine possano essere reimpiegati nella produzione di altre macchine, è come illudersi che i cavalli sostituiti dalle automobili possano essere reimpiegati nelle industrie automobilistiche”. Cosa direbbe ora Léontiev di fronte alle tecnologie elettroniche?

 

Garantiti e precari

In pochi giorni tre autorevoli membri del Governo hanno sparato a zero contro il lavoro fisso. Ha iniziato il Presidente Monti: “I giovani devono abbandonare l’idea del posto fisso, che monotonia!”. Ha proseguito il ministro del Welfare Fornero: “Uno degli scopi di questo Governo è non dare l’illusione del posto fisso a vita che non si può promettere”. Ha concluso (almeno per ora) il ministro degli Interni Cancelllieri: “Gli italiani sono fermi mentalmente al posto fisso, nella stessa città, magari vicini a mamma e papà, ma occorre fare un salto culturale”.

La prima impressione che si ricava da questo fuoco di fila è che la coincidenza di esternazioni contro il posto fisso non sia casuale ma corrisponda a una crociata intenzionalmente orchestrata per uno scopo ritenuto prioritario da questo Governo. La seconda impressione è che questi ministri considerino il posto fisso come una categoria minoritaria e residuale del mercato del lavoro, mentre riguarda la grande maggioranza dei lavoratori e rappresenta una conquista civile, altrettanto utile ai lavoratori e ai datori di lavoro.

Rivediamo i dati: i lavoratori in Italia sono 23 milioni, di cui 17 milioni lavorano alle dipendenze di imprese o della Pubblica Amministrazione. La stragrande maggioranza di questi – 15 milioni, pari all’87% – ha un posto fisso mentre 2.182.000, pari al 13%, rappresentano la galassia dei lavoratori precari.

Il posto fisso, cioè senza l’incubo di una scadenza, conviene al lavoratore perché gli permette di programmare la sua carriera, la sua vita personale e familiare; ma conviene anche al datore di lavoro perché gli permette di fidelizzare la propria forza lavoro, di formarla, di motivarla. Quando il lavoro era prevalentemente fisico ed esecutivo, l’organizzazione era centrata sul controllo; ora che è prevalentemente intellettuale e spesso creativo, ha bisogno imprescindibile di operatori motivati. La precarietà è la tomba della motivazione e, quindi, è la tomba della produttività. Questo può sfuggire agli economisti e ai giuslavoristi perché attiene alla psicologia e alla sociologia. Sta di fatto che i principali oppositori del posto fisso, parlano nella comoda e incoerente posizione di chi il posto fisso ce l’ha.

Il lavoro precario introduce nella vita del lavoratore una deprimente sensazione di fragilità e di estraneità che conduce all’anomìa.

 

Neet. In tutto l’Occidente il lavoro diminuisce mentre coloro che vorrebbero lavorare aumentano. Inoltre, chi ha investito anni di studio e soldi per conseguire un livello elevato di formazione, resiste all’idea di svolgere un lavoro meno qualificato e retribuito di quello cui si è psicologicamente e professionalmente preparato. In Italia sono circa due milioni i giovani che hanno terminato gli studi e, dopo anni di frustrante ricerca, hanno smesso di cercare un’occupazione. E’ il popolo dei Neet (Not in Education, Employment or Training) pari al 21% di tutti i giovani tra i 15 e i 29 anni.

Insieme ai disoccupati e a quei pensionati che vorrebbero lavorare ancora, essi costituiscono una massa crescente di cittadini cui è consentito consumare ma non è consentito produrre. Questa condizione, privilegio dei nobili quando il lavoro era fatica fisica, ora che il lavoro è prevalentemente intellettuale diventa condanna all’inutilità sociale, alla depressione, alla devianza. Quali squilibri subirà il sistema sociale quando questa massa di inerti per obbligo raggiungerà i dieci milioni?

Dopo le recenti decisioni governative che hanno prorogato l’età pensionabile senza però ridurre gli orari di lavoro, per questi né-né  la speranza di trovare un’occupazione anche precaria è stata ulteriormente vanificata: perché essi possano essere riassorbiti dal mercato del lavoro, non solo occorrerebbe l’improbabile crescita economica, ma questa crescita dovrebbe essere così irruenta da creare milioni di posti in pochi mesi.

La maggioranza degli attuali trentenni – ricchi o poveri che siano – si ritrovano in una condizione professionale peggiore di quella in cui si trovavano i loro genitori quando avevano la stessa età. Cosa sarà dei loro figli (se potranno permettersene) quando, a loro volta, avranno trent’anni?

 

Che fare. La guerra sferrata dal Governo contro il posto fisso vorrebbe insinuare nella mente dei precari che, rendendo precari anche i garantiti, l’economia crescerà e ci sarà lavoro per tutti. Come possa derivare la sicurezza di alcuni dall’insicurezza di tutti, è un mistero.

I risultati di una mia nuova ricerca sulla gestione del personale nel prossimo futuro evidenziano come, da qui in poi, è l’azienda che dovrà inseguire i talenti sempre più nomadi e, quando riuscirà a trovarli, dovrà corteggiarli per non essere abbandonata.

Vi sono solo tre rimedi alla disoccupazione provocata dal Jobless Growth: indurre i giovani ad accettare anche lavori ritenuti degradanti, ora delegati agli immigrati; ridurre drasticamente – come suggeriva Keynes fin dagli anni Trenta – l’orario di lavoro per quel 66% di occupati che svolgono mansioni di tipo esecutivo; vietare ai workaholics le ore non retribuite di lavoro straordinario.

In Italia, soprattutto grazie all’invecchiamento della popolazione, in tre anni sono stati creati 125.000 posti di lavoro per “unskilled workers” come le badanti, i camerieri, gli autisti, le colf e le baby sitter. Se il trattamento che i datori di lavoro riserveranno a questi collaboratori domestici diventerà meno schiavistico e se le loro prestazioni verranno meglio professionalizzate e apprezzate, sarà possibile dirottare su questi posti di lavoro anche giovani italiani con diploma e laurea.

Quanto ai workaholics, nel nostro Paese sono almeno due milioni i manager e i professionisti che ogni giorno fanno almeno un paio di ore di overtime, pari a una massa di 880 milioni di ore, che potrebbero essere convertite in 500.000 nuovi posti di lavoro per gli inoccupati.

 

In conclusione. Come si vede, il problema lavoro è assai più complesso di quanto credano gli economisti e i giuslavoristi oggi al governo. Hannah Arendt si chiedeva: “Cosa succede in una società fondata sul lavoro quando il lavoro viene a mancare?”. Succede che occorre mettere mano a un nuovo modello di vita che non corrisponde né al Washington consensus né al Beijing consensus perché richiede un patto inedito fra le generazioni, basato sull’equa ridistribuzione del lavoro, della ricchezza, del sapere, del potere, delle opportunità e delle tutele. Altro che articolo 18!

 

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