Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Intorno il deserto

di Giuseppina Bonaviri  (IE Frosinone)

Incertezza ed insoddisfazione della società, partiti lottizzati e dunque svaniti, politici intercettati in una palude di sabbie mobili, voti di scambio tra quel che rimane delle macerie di una destra –sinistra- centro liquefatti, accordi sfumati e dissapori, comitati elettorali funzionali solo alla conservazione del potere di chi già ce l’ha, associazioni e fondazioni in corsa-retromarcia verso il 2013, astensionisti e antipolitici, soldi e poltrone, populismo e qualunquismo, alleanze corrotte e rotte ancor prima di  entrare in azione. Alta alchimia politica o inconsapevolezza di una classe dirigente? Ed intanto un elettore su due rimane a casa “ tanto il voto non incide sulla vita quotidiana”. L’oscillazione del gradimento per i partiti è fissa intorno al 5% il che significa che in una democrazia rappresentativa su mille seggi parlamentari i partiti ne occupano oggi abusivamente 950. Il Pdl perde 28 punti sul 2008, il Pd 16.

Sembrerebbe, allora, in una lucida interpretazione del paese mortificato, vessato, allo sbando che per la prima volta le elezioni non le abbia vinte proprio nessuno. Questo avviene contemporaneamente e difformemente ai milioni di donne e uomini che affollano le piazze, agli indignati, ai precari, ai giovani senza lavoro, ai suicidi di tanti imprenditori, alle morti bianche, alla sofferenza sociale, ai sacrifici chiesti, alla nascita in Svezia, Olanda, Austria, Norvegia  del movimento post-moderno dei Piraten che sta sconvolgendo il sistema dei partiti in Germania e che è approdato in Italia. Non possiamo non prenderne atto. L’ alternativa rimane quella di guardare avanti e non quella di chi pensa di sopravvivere stancamente al malessere senza farsene carico nell’illusione che l’autosufficienza di una classe conservatrice che non ha più ascoltatori prosegua imperterrita; la passione civile e politica e non l’apatia o la rinuncia o i furti amministrativi devono caratterizzare i prossimi mesi quelli di una campagna elettorale nazionale già avviatasi sulla via di veleni, frenate e rincorse, attendismi e profezie che avanzano come i vizi eterni di politici incancreniti e senza anima. Frosinone, in queste ultime amministrative, è apparsa inzuppata nel rancore, senza linfa vitale ( se non per il coraggio di rari gruppi privi dell’ appannaggio  di padroni), senza nutrimento quello che invece ogni madre buona deve saper donare al proprio figlio dunque alla propria terra. Abbiamo assistito in diretta al peggio di cordate e pseudo coalizioni spentesi come fuochi fatui.

Eppure la risposta c’è: la politica dei territori non è riuscita a tradurre in chiave programmatica la spinta che viene dal basso uguale “ non c’è lavoro, non c’è equità ne solidarietà” e non ha saputo interpretare il futuro non essendo attrezzata alla modernità ma essendo rimasta ferma all’epoca dello schiavismo. Non possono interessarci i gradimenti personalistici, noi vogliamo guardare all’interesse dell’Italia una Italia che chiede speranza e non si fida più delle sempiterne facce che hanno lavorato alla disfatta di una intera civiltà.

Assuefazione e inganno non possono continuare ad essere leve di un auspicato cambiamento. Non c’è alternativa se non c’è cittadinanza. La democrazia è orizzontale.

Continuare a mortificare l’autenticità di un percorso proteso al cambiamento con trucchi ed inganni, con blocchi di potere che blindano la circolazione della conoscenza non fa bene all’intelligenza gruppale e alla salute di un intero popolo. Noi non abbiamo paura dei dinosauri in estinzione.

Rete indipendente “Nuove Idee nei territori”  

 

 

L’insostenibile leggerezza dell’amministrazione dei fondi europei per la coesione

di Antonino Tropea (IE Reggio Calabria)

Come noto, i fondi strutturali sono il principale strumento per la realizzazione della politica di coesione europea, ovvero della politica regionale comunitaria il cui obiettivo è per l’appunto il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, la riduzione delle disparità di sviluppo fra le regioni e gli stati membri, la promozione della competitività delle economie regionali per favorire un costante recupero delle aree più arretrate investendo nelle potenzialità endogene delle regioni. La politica regionale inoltre è l’espressione della solidarietà dell’Unione europea e il motore per il raggiungimento di una maggiore competitività sull’intero territorio europeo.

Per il periodo 2007-2013, la politica regionale dell’Unione Europea occupa il secondo posto nel bilancio dell’Unione Europea, il 36% del bilancio dell’UE con uno stanziamento pari a 348 miliardi di euro su tre obiettivi prioritari: convergenza, competitività regionale e occupazione, cooperazione territoriale europea.

Nonostante i fondi strutturali siano parte del budget comunitario, essi sono spesi sulla base di un sistema di responsabilità condivisa tra la Commissione europea e gli stati membri. La Commissione negozia e approva i programmi di sviluppo proposti dagli Stati e alloca le risorse. Gli Stati membri e le regioni gestiscono i programmi, li implementano scegliendo i progetti, li controllano e li valutano. I progetti scelti sono finanziati dalla Commissione Europea che inoltre monitora e verifica i sistemi di controllo.

Questo punto è essenziale per comprendere le responsabilità che le nostre regioni e lo Stato italiano hanno nell’implementazione dei programmi operativi, i programmi che organizzano la spesa in relazione agli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale, conosciuti attraverso i più celebri  acronimi POR, PON, POIN.

Responsabilità che purtroppo, nel caso della nostra regione soprattutto – la Calabria – come peraltro anche delle altre regioni del Mezzogiorno italiano, si declinano in termini di notevoli ritardi e criticità nella gestione e nell’avanzamento della spesa dei fondi strutturali, sia il FESR – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – che finanzia infrastrutture, ricerca e sviluppo – sia il Fondo Sociale Europeo – FSE, che finanzia formazione ed occupazione.

Ritardi e criticità già visti nel precedente periodo di programmazione 2000-2006 e riprodotti inspiegabilmente e colpevolmente anche nel periodo corrente 2007-2013.

Un dato su tutti: la spesa certificata del POR FESR Calabria 2007-2013 al novembre 2011 ovvero dopo 4 anni su 6 di programmazione è ferma al 18 %. E’ evidente come tale ritardo, che di fatto priva il territorio regionale di preziose risorse per il sistema socio-economico in termini di aiuti alle imprese nonchè di investimenti infrastrutturali e servizi, sia ancor più grave nell’attuale crisi economica e chiami in causa responsabilità trasversali.

E certamente non si tratta solo di un problema quantitativo, ma anche di qualità della spesa e soprattutto, anche in questo caso, di certezza del diritto.

Le recenti vicende sui bandi turismo della regione Calabria che ha annullato ben due iniziative in avanzato stato di progresso – vi era già la pubblicazione delle graduatorie dei beneficiari –  a favore di un settore strategico per lo sviluppo della Calabria, non possono trovare giustificazioni e fare lo scaricabarile sulle responsabilità non serve a rimediare agli errori che incessantemente continuano a verificarsi nella gestione della cosa pubblica.

Con quale prospettiva di governance ci apprestiamo a gestire il federalismo se falliamo in quella che certamente è una prima importante prova di autonomia ed autodeterminazione territoriale quale quella della gestione dei fondi strutturali?

Non è intenzione di chi scrive fare sterili polemiche sulla questione di tali ritardi. Tantomeno interessa imputare tale fenomeno a questa o quella parte politica.

Si tratta piuttosto di una questione che interessa tutte le amministrazioni e che deve essere risolta una volta per tutte. Se si tratta di metodo. Occorre cambiarlo. Se si tratta di mancanza di capacità occorre dotarsene. Se si tratta di mancanza di visione occorre una nuove classe politica.

Quello che è certo è che i ritardi nella gestione della spesa dei fondi comunitari rappresentano questioni cruciali perché attengono strettamente alla storia delle occasioni mancate di sviluppo della Calabria e dell’intera questione meridionale, questioni da troppo tempo irrisolte e di cui purtroppo continuano a farne le spese cittadini ed imprese.

La fase storica che stiamo affrontando vede messa a rischio proprio quella coesione sociale, economica e territoriale obiettivo delle politiche comunitarie. A fronte del razionamento delle risorse disponibili per la spesa pubblica e della contrazione di quella privata, l’unica strada percorribile per rilanciare questo nostro Paese passa per l’efficienza amministrativa e l’efficacia gestionale del sistema pubblico e privato.

Questo significa intervenire isolando e riducendo sprechi, inefficienze, clientele, burocrazia cattiva e soprattutto opportunismo amorale. Insieme occorre puntare senza remore alla valorizzazione del merito, delle idee, dell’impegno e della responsabilità sociale.

Solo così si potranno giustificare i sacrifici che ci attendono, solo così è possibile ripristinare la fiducia nel mercato e nelle istituzioni nonché la certezza del diritto necessari per far ripartire positivamente il ciclo economico e concretizzare le condizioni per la coesione sociale.

In questo percorso diventa essenziale l’efficienza e la qualità della spesa disponibile dei fondi strutturali.

 

R-innovamenti secondo Bankitalia

 

 

 

 

 

 

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

 

Torno da una bella mattinata passata al Quirinale, dove il Centro Studi Arel ha organizzato un dibattito incentrato sul tema “Giovani senza futuro?“, titolo di un libro scritto da più mani rappresentative del mondo giovanile, e curato da Dell’Aringa e Treu.

Stranamente la mattinata non mi ha colpito per i pure interessanti interventi della ampia rappresentanza del mondo dei giovani invitati a dibattere con il Presidente Napolitano.

Nemmeno per l’ottimo Presidente – di cui da tempo apprezzo la carica di umanità e capacità di analisi storica e del presente – nonostante la bellissima frase di chiusura della giornata (“Se le porte e le finestre le trovate chiuse, cercate di spalancarle, io non ho altre ricette da suggerirvi”).

Mi ha invece colpito enormemente ascoltare, senza avere la possibilità di criticarlo per nemmeno un istante, il nuovo Governatore della Bankitalia, Ignazio Visco.

Fino ad oggi ne avevo letto solo sui giornali e consociuto per il forte curriculum professionale, ma non avevo mai avuto modo di approfondirne lo spessore politico.

Nemmeno da un altro grande Governatore come Mario Draghi avevo mai ricevuto una sintesi così stimolante di rappresentazione della complessità e della novità che la nostra società vive e si trova a dover rapidamente affrontare.

Mai prima avevo sentito una figura istituzionale denunciare chiaramente l’analfabetismo proprio delle classi dirigenti attuali (i non giovani) rispetto alla complessità attuale (che i giovani molto meglio conoscono), che è riassunta nella Rete Internet (ma non solo), traducendo in maniera semplice concetti complessi come quello di “(in) adattamento funzionale” di un Paese come il nostro (da questo punto di vista ai livelli più bassi tra i Paesi avanzati).

Mai una figura di questo livello proporre ai giovani laureati italiani uno scambio tra maggiori livelli salariali e un’aumentata flessibilità dei contratti, prendendo spunto dai mercati del lavoro più dinamici e competitivi.

Oggi posso dire di aver ascoltato e conosciuto una altissima figura istituzionale calata perfettamente nell’Italia del 2012.

E’ anche grazie a scoperte come queste che ci si sente fieri comunque di vivere in Italia.

Rientri all’italiana – una sanità che affonda

di Francesco Zarrelli (IE Molise)

La spesa sanitaria, problema che esiste da circa 30 anni e che solo oggi, all’alba di una crisi economica senza precedenti, salta davanti agli occhi dei nostri amministratori e’ uno dei tanti talloni di achille del nostro budget nazionale. Bisogna correre ai ripari – giusta osservazione, bisognava farlo da tempo ma come si dice “meglio tardi che mai”.

La ricetta elaborata per poter pareggiare la spesa e’ semplice e rispondente al classico teorema italico del fare cassa – tagli lineari, blocchi del turnover del personale che va in pensione, stop delle assunzioni, tagli ai posti letto, rincari dei ticket sanitari e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta.

In tutto questo questo chi e’ che paga il conto?

Inefficienze e spese folli in ambito sanitario vengono pagate ovviamente dai cittadini e soprattutto vengono pagate due volte da chi deve accedere al servizio sanitario nazionale, i quali non solo si ritrovano ad essere salassati da tasse regionali piu’ salate, ma anche da pesanti accise sui carburanti, i quali notoriamente di questi tempi costano poco. La cosa piu’ grave non e’  l’esborso al quale noi tutti siamo costretti per riordinare i conti ma il servizio inefficiente e totalmente insufficiente che spesso costringe molti, che per questioni di urgenza, sono costretti a doversi rivolgere a loro spese a strutture sanitarie private per poter tutelare la loro salute.

Lavorare nella sanita’ del rientro

Il piano di rientro cosi concepito, oltre a creare forti disservizi verso i pazienti, e’ generatore di forti malesseri nell’ambiente lavorativo. Contratti co.co.pro., incarichi temporanei, scarsita’ di personale, di strumentazione adeguata e di posti letto sono parte dominante della realta’ che si vive tutti i giorni negli ospedali italiani. Si perde a poco a poco il senso di quello che si fa’ grazie alla decurtazione delle buste paga e si decapita letteralmente, a coloro che credono nel lavoro che svolgono, il sentimento di appartenenza verso la propria azienda sanitaria per via delle pessime condizioni lavorative nelle quali si e’ costretti.

Ci si meraviglia dunque di quello che succede nei prontosoccorsi romani, quando si vede gente ammassata nei corridoi su barelle traballanti, o peggio ancora quando si trasmette in tv un tentativo di rianimazione svolto dal personale sanitario ad un paziente steso a terra per mancanza di posti nelle sale di urgenza. La politica scarica il barile a chi combatte tutti i giorni sul fronte della vita, andando a sospendere dal servizio i dirigenti delle unita’ operative che vivono quel dramma tutti i giorni, rendendo chiaro agli occhi dei lavoratori e spero anche dei pazienti, la loro mancanza di volonta’ nel voler risolvere davvero questo problema.

Cosa fa dunque questo piano di rientro sanitario?

Il suo scopo e’ evidente, si limano gli sprechi insieme alla componente positiva della spesa sanitaria. Si spende meno e’ vero, ma a cosa serve questo risparmio se comporta la distruzione della sanita’ pubblica e gratuita? Chi trae vantaggio da questa situazione sono sicuramente le strutture private le quali fanno un passo avanti ogniqualvolta il pubblico e’ costretto a farne uno indietro, centri diagnostici e cliniche private oggigiorno crescono come funghi. Intanto i privilegiati e gli intoccabili baroni della sanita’ pubblica continuano a conservare le loro posizioni e i loro proventi, le consulenze insensate continuano ad essere date agli amici degli amici, le gare di appalto pubbliche continuano ad essere viziate a favore dei conoscenti. Si vogliono ridimensionare gli sprechi senza volerli eliminare poiche’ importante retaggio della politica laurista, a scapito del servizio reso ai cittadini e della salute pubblica.. tanto i politici si curano nelle cliniche private a carico dei nostri generosi portafogli.

R-innovamenti meridionali nel mediterraneo

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Nel giorno del ventesimo anniversario della strage di Capaci vorrei tanto che in Italia si parlasse finalmente di Sud e di rinnovamenti meridionali.

Del Sud bello, non di quello raccontato nelle televisioni e nei giornali, dagli spiacevoli fatti di questi ultimi giorni.

Scrivo di questo perchè in questa fase di oscurità sociale, economica e politica è proprio dalla riscoperta del vero Mezzogiorno, fatto di cultura, tradizioni, cibo buono e tanto sole, che il Paese può ripartire.

Da un lato guardando con occhi fieri a Nord verso Roma, Milano e l’Europa.

Ma soprattutto puntando di corsa lo sguardo verso il Mediterraneo, dove intere popolazioni e Paesi (dalla Turchia al Marocco) – molto più simili a noi di quanto crediamo –  ci accolgono da sempre, noi italiani, con braccia aperte e sorrisi pieni.

E’ arrivato il momento che il Sud riparta da solo verso questi lidi naturali, senza più aspettare ulteriori decisioni e proclami di altri.

Per farlo deve tornare a credere nelle potenzialità insite nelle tradizioni dei padri e dei nonni e in quell’enorme bagaglio di apertura e innovazione dei giovani.

E allora da dove cominciare?

Prima di tutto da una repentina e congiunta azione delle leadership politiche meridionali che, aldilà delle appartenenze politiche (oggi più che mai annientate dai fatti e dalle circostanze italiane) si incontrino, possibilmente nella bella e oggi sofferente città di Brindisi, per gli STATI GENERALI DEL MEZZOGIORNO NEL MEDITERRANEO.

Da lì disegnino una fase di r-innovamenti e di prosperità per la società e l’economia italiana, supportati dalle crescenti politiche euro-mediterranee dell’Unione Europea.

Un appello ai Governatori Caldoro, De Filippo, Lombardo, Scopelliti, Vendola: fate presto!

Deputato grazie al web

di Mario Adinolfi (su Europa Quotidiano)
Una premessa personalissima. La giornata di ieri è stata particolarmente divertente perché vedevo avverarsi i miei pronostici sui ballottaggi grillini pubblicati qualche giorno fa su Europa.
E anche perché con l’elezione del deputato Pietro Tidei a sindaco di Civitavecchia (congratulazioni a questo vecchio combattente mio corregionale) scatterà nelle prossime settimane il mio ingresso alla camera, da primo dei non eletti promosso dalle regole sull’incompatibilità. I quattro sindaci del M5S sono evidentemente molto più politicamente rilevanti della mia vanagloria da deputato per qualche mese, ma c’è un tratto comune: la vittoria di Internet.
Nel 2008 venni inserito a forza in lista dalla campagna “Un blogger in parlamento” attivata da centinaia di colleghi di destra e di sinistra che dalla rete fecero piovere nel quartier generale del Partito democratico una valanga di email che mi valsero una posizione ineleggibile, che per il terremoto politico causato dalle scelte del Pd finì per essere ai margini dell’area di eleggibilità.
La rete aveva smosso qualcosa in un partito tradizionale, così come qualcosa si mosse quando i blogger di Generazione U inventarono la via della candidatura alle primarie del Pd l’anno precedente. Insomma, se Internet si mette a fare politica, qualcosa succede.
Io vado implorando il Pd dalla sua nascita: deve capire che la rete cambia tutto, cambia i rapporti tra i cittadini nati dopo il 1970 e la politica. Dopo il 1970 sono nati 29 milioni di italiani, i candidati sindaci del M5S erano tutti nati dopo quella data, hanno vinto contro sfidanti (anche del Pd) tutti più vecchi.
Non vince l’anagrafe, non solo almeno: vince però il sapere interpretare il paese in digitale e non attardarsi nella lettura datata, quella in analogico di chi ha ballato su dischi a 78 giri e guardato con sospetto i primi cd.
Qualche mese fa restituii con dolore la tessera del Pd al segretario Bersani, con una lettera che ha fatto discutere anche qui su Europa. I motivi di quel dissenso permangono tutti, ma al momento del mio ingresso alla camera ricorderò che sono stato eletto nelle liste del Pd, da cittadini del Pd che quelle liste hanno votato: mi iscriverò da indipendente al gruppo del Pd e ne accetterò la disciplina. Farò valere però in sede parlamentare e politica le mie idee sul rinnovamento radicale di cui abbisogna il partito, che non può pensare di vincere proponendosi come “l’usato sicuro”.
Deve sapere essere un passo avanti nell’innovazione, non un passo indietro. Può battere la proposta più innovativa, quella del M5S, rilanciando come si fa a poker: deve essere più innovativo. Deve avere il coraggio di correre il rischio di proporsi come alternativa di governo in autonomia, secondo l’originale vocazione maggioritaria, accettando la sfida di primarie che identifichino la leadership e la legittimino secondo un processo di democrazia diretta, senza inutili coalizioni e ringiovanendo totalmente le liste. Gli schemi ingialliti dal tempo vanno riposti in soffitta, insieme ai vecchi 78 giri.
Ha vinto internet, non so neanche se è un bene o un male, ma è così. Da oggi si deve viaggiare in digitale. Sono personalmente felice di aver dato una mano a mettere in moto questo cambiamento.

Gianni Pittella: “Svalutare l’Euro per salvare la Grecia”. Un primo eurobond infrastrutturale per crescita e abbattimento stock debito greco?

 Svalutare l’Euro per salvare la Grecia (di Gianni Pittella)

Finanziare immediatamente il Tesoro greco con un trasferimento a fondo perduto della Bce pari all’eccedenza del 60 per cento del rapporto debito\pil. Lo propone il vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella.

“La provvista di fondi necessaria dovrebbe essere coperta da emissione di moneta o di “Greek bond” – spiega Pittella – con il doppio vantaggio di risolvere alla radice la crisi greca che sta facendo tremare l’intera eurozona e di svalutare l`euro, rilanciando cosi immediatamente le esportazioni e con esse la crescita; l’operazione avrebbe un costo, del tutto virtuale, pari a 160 miliardi, in rapporto a una base monetaria dell’area euro che ammontava all’11 aprile scorso a 1599 miliardi, con un impatto minimo sulla gia’ contenuta inflazione interna”. ‘’Di fronte alle prevedibili obiezioni che sollevera’ questa proposta tra le autorita’ tedesche – sottolinea l’europarlamentare di S&D – vorrei ricordare i finanziamenti europei e nazionali praticamente a fondo perduto che hanno concorso alla riunificazione delle due germanie e, a parti invertite, l’assillante pressione esercitata dalle potenze vincitrici dopo la prima guerra mondiale su Berlino per ottenere l’insostenibile pagamento delle riparazioni e che ebbe come unico risultato l’avvento del nazionalsocialismo, un meccanismo che potrebbe tragicamente ripetersi in giro per l’Europa’’.

Massimo Preziuso:  In alternativa, una via piu’ morbida (anche per accettazione politica) potrebbe essere la seguente: il lancio di un primo Eurobond per la Grecia (greek bond, appunto) finalizzato a infrastrutture per la crescita nazionale (ad esempio focalizzato sulle energie rinnovabili) che nei fatti diventi  anche un “collaterale” per rinegoziare con i creditori il debito della nazione ellenica e quindi avvii percorsi di crescita economica e miglioramento dello stock di debito pubblico (per un suo successivo abbassamento).

R-innovamenti italiani 2013

R-innovamenti italiani 2013 (di Massimo Preziuso su L’Unità)

Si può dire quel che si vuole, ma un primo rinnovamento italiano, domenica e lunedì scorsi, in Italia c’è stato eccome.

A prima vista, i cambiamenti avvenuti possono anche sembrare modesti, ma a guardar bene, l’Italia che esce dal primo turno delle elezioni amministrative è in nuce già una Italia rinnovata.

Vediamo in sintesi perchè:

– Il Movimento Cinque Stelle è ora il principale virus di sana società civile entrato nel sistema immunitario ormai davvero senza forze del sistema partitico italiano, e farà da apripista a numerose iniziative civiche alle elezioni politiche del 2013.

– Le tante liste civiche scese in campo nella battaglia amministrativa, insieme ai partiti tradizionali o da indipendenti, sono in molti casi risultate più forti delle liste con sigla partitica, e questo è un dato altrettanto forte.

– Il PDL e la Lega sono già da annoverare come esperienze politiche passate: dovranno cambiare ragione sociale e sigla presto, travolte ormai da enormi problematiche interne e da questa lunghissima crisi economica nei fatti generata dal loro inattivismo politico e resa oggi così esasperata ed esasperante dalla (in) azione dell’attuale governo tecnico.

– Il PD – unico partito politico in Italia (dopo che l’eventuale alternativa ad esso – il Terzo Polo – è già stata rapidamente archiviata il giorno stesso in cui doveva nascere, per bocca del leader Casini) – è nei fatti ancora incapace di sperimentare un cambiamento sostanziale e rimane a difendere una “posizione dominante”: si comporta infatti come un grande operatore industriale che opera in un mercato protetto, in cui però presto arriverà una naturale ondata di “liberalizzazioni” e di “aperture” che rischia di travolgerlo. Lo si è visto nella scelta dei candidati sindaco in varie città di Italia, dove ha prevalso una assurda continuità (che poi lo ha penalizzato), nonostante il vento di innovazione, che ormai sta sfondando le porte di Italia e di Europa.

In tutto questo quadro politico, ci avviamo ormai verso quell’ #annozero2013 italiano di cui scrivo da tempo, e che proprio oggi la Commissione Europea certifica intravedendo addirittura la necessità di una ulteriore manovra finanziaria per 8 miliardi di euro in un contesto di rapporto deficit/Pil 2012 a -2% e 2013 a -1,1% nel 2013, nonostante il pregresso di sacrifici e di austerità imposta ai cittadini nei mesi scorsi.

E’ proprio per questo travagliato quadro politico ed economico che ci si aspetta grandi cambiamenti nei prossimi 12 mesi che ci porteranno alle elezioni politiche.

La domanda che ci si pone è: ce la farà il Partito Democratico a diventare, dopo 5 anni di avviamento, quel naturale attrattore delle tante energie distribuite nel BelPaese, fuori dalle istituzioni, che comunque porteranno avanti questa rivoluzione all’italiana? Oppure queste tante energie nuove si aggregheranno intorno a Beppe Grillo o a nuovi leader che prenderanno rapidamente la scena, imponendosi come forza di “distruzione creativa” italiana?

E’ ormai attorno a questa domanda – e alla risposta ad essa – che ci giochiamo il futuro del Paese: nell’ #Italiannozero2013 appunto.

 

Elezioni: il premio di consolazione

Elezioni: il premio di consolazione (di Fondazione Etica)

In ogni gara, anche elettorale, non c’è solo il primo premio, che il 6 maggio si sono aggiudicati i cittadini, scegliendo l’astensione o il voto al Movimento 5 Stelle. C’è anche il premio di consolazione, e qualche partito si arrovella su numeri e percentuali per aggiudicarsi almeno quello.

Il Pdl non ci prova neppure: il 6 maggio è stato punito sonoramente, e non è una sorpresa. Semmai una conferma. I cittadini perdonano molti errori al proprio partito, a volte contro ogni evidenza, ma non amano essere presi in giro troppo a lungo.

Prova a consolarsi, invece, la Lega, Tuttavia, il numero dei Comuni persi, la loro dislocazione geografica, il crollo dei consensi, non possono certo consolare. E neppure essere coperti dai risultati, se pur ottimi, di singole figure: se anche un Tosi deve ricorrere alla lista personale per fare il pieno di voti, la dice lunga sullo stato in cui versa il partito, anche senza Bossi.

Chi, invece, sente già suo il premio di consolazione è il Pd, perché –si dice – ha tenuto. Certo, ha vinto in più Comuni e ha percentuali di consenso migliori degli altri partiti tradizionali. Sicuramente è il primo partito in Italia oggi. Ma questo non toglie l’amarezza di una vittoria mancata: i numeri dicono che anche il Pd ha perso voti, e soprattutto che ha sprecato la sua grande occasione: quella di raccogliere i frutti della disfatta altrui. Un Pd che raccoglieva il 33% quando il Pdl era al suo apice, sa bene che non può essere considerata una vittoria quella di domenica scorsa.

Anche perché il Pd sa di aver disperso il suo unico vero patrimonio: le tantissime persone che si avvicinarono alla politica per la prima volta nel 2007 affollando i gazebo democratici. Illuse prima e ignorate dopo, molte di quelle persone hanno pazientato per anni, ma oggi sono tornate arrabbiate a far sentire la loro voce, ricorrendo all’astensione e al voto a Grillo.

La smettano di polemizzare con lui certi politici e giornalisti: gioca ad alzare i toni perché come, Bossi 20 anni fa, sa che è l’unico modo per guadagnarsi l’attenzione dei media. Per il resto, i candidati a 5 Stelle sembrano avere molto poco di sovversivo e di demagogico: ingenui, semmai, ma solo a fronte dei vecchi lupi che affollano la scena pubblica.

Diciamo la verità: i 5 Stelle assomigliano in modo impressionante alle tante facce per bene che il Pd esibì ai suoi esordi: facce normali, giovani, di gente competente e appassionata. Scientemente, ne vennero riempite le liste alle primarie, con la sicurezza che i meccanismi di voto appositamente studiati le avrebbero bruciate tutte per sempre. Ci rifletta qualche astuto dirigente democratico, che nei giorni scorsi ha commentato i risultati elettorali in modo arrogante, e così magari riuscirà anche ad ammettere che il Pd, domenica, ha vinto spesso diluendosi in coalizioni affollate, talora nascondendo il proprio simbolo dietro quello di Liste civiche, non di rado votando il candidato sindaco di altri. Altro che consolarsi.

Quanto al Terzo Polo, si dice ovunque che abbia perso: la verità è che non ha partecipato alla gara. Candidati del Terzo Polo non se ne sono visti, mentre l’Udc ha guadagnato qualche voto. Se Casini, allora, dichiara la resa dei moderati, ci deve essere dell’altro. C’è da augurarsi che abbia compreso che il quadro politico italiano, e non solo, è diventato più complesso di quello immaginato con l’uscita di scena di Berlusconi: la crisi economica e il rigore a senso unico dell’attuale Governo hanno lacerato gli equilibri sociali. Di fronte a tutto questo l’ennesimo esperimento politico creato in laboratori asettici e di lusso, come il Terzo Polo rischiava di essere, sarebbe parso solo una risposta irriverente di fronte ai troppi Italiani in sofferenza.

Il premio di consolazione per il momento resta nel cassetto.

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