Gli spread scendono, nonostante i Media vogliano mercati incandescenti, mentre il governo Monti va a finire
Nel ragionamento precedentemente svolto da Massimo sulla assenza di correlazione tra Spread e fine del Governo Monti, manca una delle spiegazioni, secondo me la più plausibile.
Mentre nel 2011 e fino a metà del 2012 gli spread erano correlati alla politica dei singoli paesi, oggi sono più legati alla politica della BCE (non che la politica interna non conti più niente ma certo influenza meno i mercati).
In Italia, i media a cui Massimo si riferisce hanno fatto passare la riduzione dello spread come il “dono” di Monti, mentre invece, per correttezza, deve essere attribuito l’eventuale donatore è Draghi.
Infatti, se si guardano bene gli spread (non solo quello dell’Italia ma anche quello degli altri paesi dell’area Euro) questi sono scesi vertiginosamente dopo le dichiarazioni a fine luglio di Draghi.
La storia dello spread, se si guardano i picchi, parla chiaro e in maniera evidente della quasi indifferenza del mercato a Monti o Berlusconi o altri (la situazione finanziaria dell’Italia non si risolve con un cambio di governo, né da un giorno ad un altro, cosa nota ai mercati):
– Max ad Agosto 2011 dovuto alla situazione italiana e una politica inerte (al governo c’era Berlusconi).
– Max a Novembre/Dicembre 2011 con al governo Monti, era chiaro che nessuno degli attori del mercato credeva che Monti avrebbe potuto frenare il treno del debito.
– Min a Marzo 2012 raggiunto dopo che la BCE ha stampato in due battute circa 1000 miliardi di euro.
– Max a Luglio 2012 raggiunto perché i mercati non credono che stampare i soldi sia sufficiente, ma sia necessaria una azione incisiva della BCE
– Infine, il 27 Luglio Draghi parla di aiuti illimitati attraverso acquisti di bond sul mercato secondario a patto di prestabilite condizioni che i governi dovranno rispettare. Per il mercato è sufficiente, da lì gli spread scendono e, come Massimo sottolinea, diventano meno sensibili alle vicende politiche interne
La freddezza dello Spread e la fine del governo Monti
di Massimo Preziuso su L’Unità online
E, ancora una volta, i media tradizionali non raccontano la verità.
In quelle che sembrano essere le fasi finali di un governo Monti preso nella morsa berlusconiana, una cosa salta infatti agli occhi.
Tutti i giornali nazionali e le televisioni raccontano di una eccessiva ”tensione dei mercati finanziari”, di “spread in crescita” per paura della fine del governo dei tecnici.
Se si segue bene quello che realmente accade in queste ore, in realtà la musica è diversa.
Si evince una certa freddezza dei mercati ai fatti politici del Belpaese.
Gli spread nei fatti, dopo una singola giornata di “sell” speculativo, rimangono sui livelli medi dell’ultima settimana (intorno ai 330 punti base tra BTP e BUND decennali), mentre le borse si muovono poco sotto la parità.
Questo è un fatto importante, forse quello decisivo.
I mercati finanziari, motore della distruzione creatrice che portò Monti alla Presidenza del Consiglio un anno fa, oggi sono indifferenti ad una eventuale e forse auspicabile crisi di governo.
Le spiegazioni possibili possono essere diverse.
– Si potrebbe dire che i mercati oggi ritengano compiute le riforme necessarie a rimettere in marcia l’Italia.
– Si potrebbe pure pensare che gli operatori finanziari invece credano che i “tecnici” abbiano arrecato più danni (economici e sociali) che benefici (finanziari) al Paese..
– Oppure che, a livello internazionale, oggi l’Italia è vista come un Paese che ha trovato una forte direttrice politica per i prossimi anni, che è quella progressista ed europeista a guida Partito Democratico (che proprio in queste ore è ai massimi assoluti, al 38% di consenso).
Qualunque sia la verità, è chiaro che il tempo dei “tecnici” è finito. E questo è un fatto notevole, perché dice che in Italia si sente di nuovo bisogno di politica seria, che rinnovi dalle fondamenta il nostro Paese.
Il ritorno di Berlusconi nel vuoto assoluto del centro-destra
di Massimo Preziuso su L’Unità online
So di essere provocatorio, ma sarò contento, mio malgrado, se Silvio Berlusconi nelle prossime ore deciderà di tornare sulla scena politica.
Questo perché egli rappresenta ancora oggi l’unica leadership politica (sic!) all’interno del centro – destra italiano.
Non sono un suo elettore, ma credo che da quelle parti non esista alcun confronto possibile, ahinoi, in termini di capacità politiche, con il Cavaliere.
E questo è stato di nuovo dimostrato in queste ore, mentre un PDL totalmente disgregato, voleva a tutti i costi andare alla completa auto-distruzione in Primarie che assomigliavano più ad un cast televisivo che ad un fatto politico.
Berlusconi, uscito da un silenzio durato mesi, torna alla ribalta mediatica ed in poche ore annulla il caos, scendendo in campo a 75 anni, e manda in tilt il governo Monti subito dopo.
E Alfano, la Meloni e tutti gli altri, ancora una volta dovranno mettersi a lato, e procrastinare le proprie velleità politiche.
Credo che Berlusconi (sic!) sia l’unica possibilità per provare a tenere in piedi, e a rinnovare dall’interno (quello me lo auguro vivamente) ma senza accelerazioni masochiste, tutto il centro – destra italiano.
E la presenza di una proposta alternativa di destra è necessaria affinché questo Paese possa finalmente giungere ad una legislatura politica, di piena ricostruzione e rinnovamento politico, a guida Partito Democratico.
Buona politica a tutti.
Che il PD dica no alle privatizzazioni e segua Bersani nel Mediterraneo
di Massimo Preziuso (su L’Unità)
Le privatizzazioni proposte stamattina dal senatore Nicola Rossi di Italia Futura, quale tema fondamentale per lo sviluppo italiano, non centrano davvero nulla con il Partito Democratico di Pierluigi Bersani.
E ascoltare Rossi che “boccia” (lui) una potenziale alleanza con il PD è offensivo per un simpatizzante democratico.
La verità è che privatizzare in un periodo in cui gli asset (mobiliari ed immobiliari) sono a valori di mercato bassissimi e la liquidità in Europa è molto scarsa, vuol dire una sola cosa: fare regali a pochi e continuare ad indebolire il Bel Paese.
Così come l’idea liberista di tagliare “tout court” spesa pubblica durante una crisi da dopoguerra, senza fare distinzioni tra spesa produttiva e improduttiva, ammazza l’economia reale.
Questa cosa andrebbe detta a chi – nel Partito Democratico – si ostina a proporre alleanze a soggetti come Italia Futura, almeno fino a quando essi si fanno portatori di questi temi e interessi.
L’Italia ha bisogno di acquisire spazi culturali e politici, prima ancora che economici, e sicuramente non di svendere patrimonio pubblico, che è ricchezza culturale e bene comune, ancora prima che finanziaria.
E’ forse ora che un Partito che naviga intorno al 36% di consenso, e sfiora picchi del 50% se mette insieme i partiti di centrosinistra, si faccia promotore di una netta politica progressista ed europeista, senza più pensare a voler incuriosire o sedurre piccole realtà politiche, che possono solo rovinare la navigazione dei prossimi anni di un Partito che può e deve essere il motore del cambiamento italiano dei prossimi decenni.
Che il Partito Democratico allora si dedichi ad una cosa semplice ma piena di significato: lo sviluppo della nostra cultura e della nostra economia nel Mediterraneo, come in questi giorni il candidato premier Pierluigi Bersani sta indicando nel suo viaggio libico.
Per farlo, si dedichino da subito energie, a Brussels e a Roma, per definire politiche di sviluppo economico sostenibile centrate sul Mare Nostrum.
E per cominciare – torno a proporlo, qualche anno dopo – si disegni da subito un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (nel Mediterraneo).
Il momento giusto e ultimo è questo. Non sciupiamolo.
Primarie: Renzi credeva fosse Grillo ed invece era un”calesse”
di Salvatore Viglia (su L’Unità)
Se Bersani fallirà, saremo severi con lui. Su questo non ci piove. A ben vedere, la vittoria non giustificherà una nuova possibilità.
Nessun’altra possibilità neanche per il buon Matteo che ha tentato di incantarci però con un pacchetto ben assortito di demagogia e manierismo barocco forbito di parole, gesti, opere ed omissioni.
Non ci ha convinto neanche nel pieno del marasma ghiacciato della disillusione, non ci convincerà mai più allora. Ad un certo punto ha creduto d’essere il Grillo della sinistra ma invece si è accorto di essere un “calesse” come nel titolo di un film del compianto Troisi.
Un incrocio tra Grillo e Benigni, seppur nella pittoresca fusione delle tipologie, non poteva bastare a Renzi stante la mancanza di un “sacco” personale ed originale dal quale estrarre farina che fosse sua.
La politica e gli uomini devono cambiare e lo devono fare attraverso il processo e la parentesi Bersani. Pier Luigi è colui sul quale pesa la responsabilità delleresponsabilità, quella di traghettare e condurre il generale ed auspicato cambiamento del paese da una sponda all’altra del fiume.
E’ chiamato a disinnescare un ordigno nucleare a prezzo della sua stessa vita politica, del partito nel quale agisce e del destino prossimo futuro del paese. Parliamoci chiaro, e diciamolo una volta per tutte, qui in ballo c’è molto di più del default economico.
C’è assai di più del prestigio internazionale che lascia, in fin dei conti, il tempo che trova. Siamo chiamati a predisporre le forze sul campo per difendere la reputazione e la dignità di un intero popolo fucina di eccellenze umane senza precedenti che da Mani pulite ad oggi non solo non ha fatto progressi, ma è addirittura peggiorato. Da oggi pensiamo seriamente al da farsi, mettiamoci un punto. In bocca al lupo.
Bersani faccia “en plein”: un ticket con Matteo
Matteo Renzi, da rottamatore a rottamato?
di Massimo Preziuso (su L’Unità)
Aldilà delle promesse, Matteo Renzi alla fine non ha convogliato – in maniera sostanziale – nuovo elettorato nel PD e nel centrosinistra in queste primarie, e soprattutto non lo farebbe alle prossime politiche.
Bastano alcuni dati e fatti per capirlo.
– i 3,1 milioni di elettori alle primarie del centrosinistra evidenziano che l’elettorato è rimasto più o meno quello del 2007.
– i sondaggi che danno in queste ore una ipotetica, e non auspicata, Lista Matteo Renzi intorno al 4% raccontano di un leader, ad oggi, più mediatico che reale.
– Il sito web domenicavoto.it che, nonostante il mail-bombing e la massiccia pubblicità rottamatrice, porta a circa 100,000 richieste-email di registrazioni , denuncia la poca forza attrattiva del candidato toscano.
– La necessità, protratta fino a poche dal secondo turno, di richiamare al voto tutti gli Italiani, con modalità che vanno al di fuori di regole precedentemente concordate, narra di una presa di Matteo sul nuovo elettorato, che è più emozionale che reale.
Una campagna elettorale impostata sul “noi” e “loro”- sinusoidale nel rapporto del rottamatore con il centrosinistra e il concorrente vincitore del primo turno, Pierluigi Bersani – indica la volontà ferrea di creare qualcosa di nuovo nel panorama politico italiano, senza riuscirci.
Manca una linea politica chiara, e questo fatto trasmette agli italiani l’idea che la “rottamazione” renziana sia più una necessità mediatica che un racconto realistico.
Il team della comunicazione di Renzi, molto più del candidato, denuncia una cultura politica, infarcita di slogan ma carente di sostanza politica, che rischia di fare male al Partito Democratico, ma soprattutto al rottamatore.
E, alla fine di questo gran chiasso mediatico, Matteo Renzi rischia di essere dimenticato, perché la rottamazione da lui proposta è risultata scomposta e disordinata.
Un consiglio: che il rottamatore si allontani da subito dal corto circuito informativo che lo sta fagocitando, o da lunedì rischia di trasformarsi in rottamato.
Tanti voti, alla Berlusconi, però!
Il berlusconismo rappresenta un pericolo per la democrazia. E’ “sgradito” ed “inadatto”, indipendentemente dall’area politica di appartenenza del personaggio che lo esercita (e degli elettori che in buona o in cattiva fede lo sostengono). Senza “se” e senza “ma”.
Non si può parlare male del berlusconismo solo quando questo è esercitato da chi appartiene ad una certa area politica ed ha la faccia di Berlusconi. Come abbiamo visto, ormai, si può essere berlusconiani anche a sinistra e ciò non è un bene.
Essere contro il berlusconismo non è essere contro Berlusconi, ma essere contro un modello di proposta, di metodo, di atteggiamento verso la collettività.
Renzi è berlusconiano, senza per questo volerlo demonizzare. E senza dirlo per sponsorizzare un Bersani che ha tutto il mio apprezzamento, ma che non è il mio ideale di politico.
Mi è piaciuto e gli farei i complimenti di persona, se potessi. Ripeto, non per il merito ma per la capacità di essere politico, prima di tutto, nel comunicare con rispetto e correttezza verso chi ascolta.
C’è uno strappo in corso tra Renzi ed il resto del Partito Democratico. Quindi c’è anche uno strappo tra due gruppi (consistenti) di elettori del PD.
Nel mio piccolo vedo il sostenitore di Renzi decisamente imbestialito per la reazione del Comitato per le primarie allo stile stile “simil-berlusconiano”: qualcosa di più di un mal di pancia.
Questo “scontro” era previsto e voluto ed i relativi danni in termini di frattura erano previsti, ed anche auspicati, in un momento tra l’altro in cui il PD ha fatto vedere i denti e le unghie in termini di consenso, facendo evidentemente paura a più di qualcuno.
Scusi, dov’è il bagno?
Rinnovare la classe dirigente è una impellenza e per questo necessaria.
Ma non può proporsi all’improvviso sostituendo tutti i veterani in un colpo solo. Sarebbe da incoscienti oltre che da masochisti.
Certo che, occupare un dicastero da parte di chi non ha esperienze in questo senso neanche “adiacenti”, rappresentare un governo dalla poltrona della presidenza del consiglio da un momento all’altro, significherebbe cominciare da Adamo ed Eva a partire dalla conoscenza logistica dei servizi igienici.
Se una colpa è da imputare al PD è la disattenzione passata per la formazione in previsione di un ricambio generazionale ai vertici delle istituzioni. Una panchina avara di ricambi perché la scuola stessa non è stata mai istituita in tal senso.
Scuola soppiantata da un concetto di militanza sorpassato e superato dallo stesso Bersani perché dichiara che si rivolgerà ai cittadini comuni ed alle liste civiche quando si tratterà di stilare la squadra dei candidati.
Quindi Pier Luigi rappresenta il giusto passaggio da una storia all’altra senza azzardi. Saprà, anzi, dovrà rendersi interprete dei progressi in atto nel paese e tra i cittadini, nel modo di comunicare, di protestare e proporre.
Prendendo per oro colato le sue promesse, egli rappresenta la giusta sintesi che traghetterà l’esperienza nel rinnovamento approntando ogni precauzione possibile per evitare scosse e danni ulteriori.
Ciò che Matteo Renzi ignora
di Salvatore Viglia (pubblicato su L’Unità)
L’immagine comunicativa in manica di camicia stile Mormone della domenica piuttosto che look Obama da convention non può né riesce a colmare un vuoto sostanziale che lo separa da Bersani.
Non tanto nei contenuti, ma nella disinvoltura con la quale non considera i “conti” da fare nella formazione di una futura maggioranza di governo sta la mancanza.
Il suo vulnus è tutto qua se non si considera la critica a volte acerrima, lesionista di cui egli si fa paladino contro il “papà” Bersani come se parlasse ad un ministro del cavaliere.
E’ stato finanche troppo facile citare l’imbarazzo Casini perché Matteo prescinde troppo facilmente dal considerare situazioni nazionali politiche contingenti.
Altrettanto semplicistico è sembrato l’atteggiamento di poca analisi con la crisi globale che pospone irrimediabilmente le motivazioni ideologiche agli aggiustamenti urgenti del dissesto economico europeo.
Pur chiamato Matteo da Bersani, ha continuato a denominare, nel discorrere diretto, “segretario” Pier Luigi.
Anche questa questione non di poco conto dal momento che è un aspetto sottovalutato dal punto di vista dell’impatto mediatico.
Significa molto non alla stregua della cravatta nera su sfondo bianco, ma significativa di una impostazione partitica vecchia, antiquata, che contrasta con il nuovo e che è sintomatica di una formazione della quale egli non si è spogliato ancora nonostante l’assillo della rottamazione che auspica.