Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Le elezioni regionali sparite

elezionidi Francesco Grillo su Il Messaggero

Completamente sparita. Se della campagna politica nazionale ci siamo persi – nel diluvio di comizi televisivi – domande essenziali per il futuro del Paese, di quella per le elezioni regionali non c’è letteralmente traccia. Eppure le Regioni pesano nella spesa pubblica complessiva quanto i Ministeri, i Comuni e le Province messe insieme, e le amministrazioni di Lombardia e Lazio rappresentano un terzo della spesa di tutte e ventuno le Regioni italiane. Eppure sono le Regioni ad essere responsabili della politica – la Sanità – che, in assoluto, maggiormente incide sulla vita – letteralmente – delle persone.

La sparizione del dibattito sulle scelte di grande importanza politica, sociale, finanziaria fa pensare che accorpare le scadenze elettorali in un solo giorno sia stato uno sbaglio: è vero che se non ci fosse stato l’accorpamento avremmo speso – solo in Lazio – dieci milioni di euro in più; ma questa cifra appare irrisoria rispetto alla montagna di denaro –centoventicinque miliardi di euro – che un’amministrazione regionale come quella del Lazio muove nella durata di una legislatura. La sensazione è che si sia deciso di sacrificare una ulteriore quota di una democrazia già estremamente malandata per i calcoli di bottega delle forze politiche.

La situazione della Regione Lazio, in particolare, esigerebbe un confronto ben più vigoroso di quello fornito da qualche cena elettorale sopravvissuta allo tsunami mediatico dei quattro leader che si contendono frazioni di punto di consenso a livello nazionale. Aldilà dello sdegno per la conclusione dell’avventura delle due ultime giunte, esistono nella Regione della Capitale problemi urgenti e, soprattutto, una vulnerabilità che rischia di far esplodere problemi ancora più grandi nei prossimi anni.

Un rapido confronto con le altre amministrazioni regionali italiane – molte delle quali hanno problemi di credibilità simili  – dice che il Lazio rappresenta uno dei casi dove sono più evidenti gli sprechi e le possibilità di riorganizzazione drastica: un sistema sanitario regionale che riesce, secondo ISTAT,  ad essere contemporaneamente uno di quelli più cari d’Italia – solo in Trentino, Liguria e Valle d’Aosta si spende per abitante tanto quanto nel Lazio – ma anche quello che fa registrare tempi di attesa più elevati in assoluto; i rifiuti con una rete di smaltimento vicina all’implosione e con una percentuale di raccolta differenziata (16,5% nel 2010) inferiore, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente,  a quella di quasi tutte le Regioni del Sud, inclusa la Campania; nel settore dei trasporti, stanziamenti per abitante pari al doppio di quelli della Lombardia non sembrano in grado minimamente di intaccare livelli di domanda di trasporto privato, talmente elevati da rendere il numero di autovetture in circolazione nel Lazio di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altra Regione.

Ancora maggiore è la vulnerabilità che il Lazio ed, in particolare, la Capitale presentano se si considera che la Regione è decisamente quella che rischia di più rispetto ad una revisione complessiva del ruolo dello Stato centrale che sarà inevitabile se lo Stato stesso vorrà conservare una qualche legittimità nei confronti dei cittadini e credibilità rispetto ai propri finanziatori: la relazione sulla regionalizzazione del bilancio statale della Ragioneria Generale dice che è concentrato nel Lazio – dove risiede il 9% della popolazione italiana –  quasi un quarto di tutta la spesa per polizia e carabinieri, il 20% di quella relativa all’esercito, il 16% di quella per il funzionamento della macchina della giustizia e, persino, un terzo di quanto spendiamo complessivamente in Italia per la tutela del patrimonio artistico. Certo, sono numeri in parte giustificati dalla presenza della Capitale, tuttavia il buon senso dice che una razionalizzazione della spesa pubblica più strutturale di quella tentata nei mesi scorsi dal Dottor Bondi,non può che partire da una ridistribuzione delle risorse e delle persone dalle attività di ufficio a quelle di contato con il territorio e con i cittadini, dal centro alla periferia.

Ciò non potrà che avere nell’immediato impatti negativi per i livelli occupazionali e di reddito per una società che è stata protetta dal proprio ruolo per decenni:  il prossimo Governatore deve subito contrapporre una strategia di sviluppo che dovrà avere come obiettivo quello di uno sviluppo meno dipendente dall’amministrazione pubblica e maggiormente fondato sulla innovazione.

Del resto che la Regione sia, da tempo, per dipendenza da spesa pubblica, quasi assente dai mercati internazionali è dimostrato dalla quantità di PIL regionale che è generato dalle esportazioni: una quota (del 10,1%) che è pari ad un terzo di quella fatta registrare dalle Regioni del Nord (30,8%) ed è inferiore, persino, alla percentuale per il Sud (11,6).  E se è vero che il Lazio investe in ricerca quanto il Piemonte, è altrettanto vero che questi investimenti sono quasi completamente pubblici.

E allora a venti giorni dalle elezioni emergono domande che dovrebbero essere fondamentali per convincere gli elettori del Lazio e che invece appaiono al momento quasi completamente eluse: quali le ragioni di una crisi che dura da troppo tempo per poter essere attribuita ad una sola parte politica? come possiamo ridurre la montagna di debito accumulato dal sistema sanitario e far fronte, allo stesso tempo, alla domanda crescente di una popolazione sempre più anziana? Attraverso quali meccanismi verranno individuati  gli ospedali migliori, come vogliamo sanzionare quelli peggiori, selezionarne i dirigenti? Quali strumenti possiamo adottare per incentivare un miglioramento dei livelli di efficienza delle strutture accreditate, considerando che esse assorbono quasi la metà della spesa? Quali obiettivi ci possiamo dare in termini di raccolta differenziata, che modello di smaltimento possiamo proporre e con quali strumenti? Come vogliamo ridurre i livelli di congestione delle strade e migliorare la qualità della vita di centinaia di migliaia di pendolari? Quale può essere, in un contesto istituzionale in trasformazione, il meccanismo di cooperazione tra chi governa la Regione e chi guida la città metropolitana? Come mai la Regione Lazio era riuscita – al Giugno dello scorso anno – a spendere meno del 30% delle risorse del Fondo Sociale Europeo destinate all’occupazione, meno di qualsiasi altra Regione del Centro Nord? Quali sono i vantaggi competitivi sui quali puntare e le scelte che il prossimo Governatore metterà nero su bianco nella strategia regionale per l’innovazione che l’amministrazionedovrà – entro pochissimi mesi – negoziare con la Commissione Europea per accedere ai fondi strutturali, che sono quota parte assai rilevante dei fondi disponibili per lo sviluppo economico della Regione?

Si è tanto discusso nelle settimane scorse di tagli dei costi della politica. Tuttavia, il costo – eccessivo – di funzionamento della giunta e del consiglio di un’amministrazione regionale come quella del Lazio non sono che la ciliegina di una torta fatta al contrario -visto che valgono lo 0,2% dei 28 miliardi che la Regione gestisce, e di cui sarebbe fondamentale parlare visto che la crisi impone di non sprecare più neppure un euro. Per il momento, a venti giorni dalle elezioni, Storace si è limitato a nominare la persona responsabile del programma, Zingaretti continua ad annunciare sul suo sito che sarà costruito sulla base delle idee raccolte attraverso la rete (anche se ha presentato nei giorni scorsi il suo piano per i giovani) e la Bongiorno ribadisce che è tutta questione di legalità. È urgente che i candidati forniscano una risposta a domande che riguardano il futuro di tutti, che i media spostino su di esse il confronto, che i cittadini si abituino a scegliere sulla base di impegni precisi e sulla capacità di rispettarli.

Del resto, episodi squallidi come quelli che hanno travolto le due amministrazioni regionali più importanti d’Italia non sono che la conseguenza della voragine di idee che si è aperta al posto dello spazio che una volta era occupato dalla Politica.

 

Interview to Prof Leonardo Maugeri, italian talent at Harvard

ENIby Massimo Preziuso on R-Innovamenti

Good morning, Professor. First of all, thanks for this opportunity. You are a clear example of an “exported” italian talent. After a brilliant career in the giant ENI, in 2011, yet in your forties, you decided to change and go back to the academy. Today you teach at the prestigious Harvard University, you are also an Advisor of the U.S. government on energy issues, and author of several books, including a best-selling book I read these days (“With all the energy possible”), and much more.

1) Why this so sudden and radical change?

I prefer that time sediments before answering this question.

2) Italy Vs United States: who wins?

There is no competition. For years, I agree with the judgment of Bill Emmott on Italy, and now unfortunately our country has reached a level of no return. Dominated by a pathological corruption and a ruling class completely inadequate, but self-sustaining with the mechanism of co-optation, no credible growth can be prospected. The country dropped out of research and high-level training, the first engines of development of each nation, and with no more than a handful of large industrial groups, it fails to produce technology or innovation, and on a small scale it is incapable of critical mass.

In the United States, with all the problems that do exist, there is a surprising vitality. Research, innovation, continuous transformation, are still factors supporting the country. Here it is still true that a total stranger, without family or possibility behind, can use all the great strength of his ideas or his talent. In addition, the country still manages to attract – especially thanks to its universities and its research centers – the best talent in the world.

3) How do you feel as an Italian talent in the United States, in these so turbulent years, while our country really needs skilled people like you to survive and “live”?

Mine it is certainly not a unique case. Simply put, those who have talent must find other ways away from Italy, because the talent is not within the selection criteria of our country. Acquaintances, memberships, willingness to accept the rules of a sick system are the only factors that count.

4) How to create real bridges of opportunity between Italy and United States? Which is the possible role for “ambassadors” like you?

If the country does not change radically, it is impossible for anyone to build real bridges of opportunity.
One has to wonder: why an American company should have an interest in investing in Italy, compared to all the other opportunities available in the world? What is our added value? Americans love Italy as a holiday place, not as a place of investment.

5) Competition Vs Equality: how to solve this “trade-off” of world views?

In my view, the coexistence of a competitive society and a society of equality is the main factor that made the West stronger than the rest of the world in the 20th century. A society has a need for equality of departure, because only in this way can bring out the best talent. The wealth generated by a society that feeds of competition, on the other hand, generates wealth and growth that – with fair and wise policies of redistribution – can support the most needs of the part of population which can be left behind and offer means for equality of departure. In poor societies this possibility does not exist.

6) Workers and Producers: what a way to make them work together to renew and rebuild this beautiful country?

There is a common interest: to focus the attention of the legislator in facilitating investment, reducing the bureaucracy that now prevents companies to invest and operate, cutting off the corruption that makes the game artificial, lowering over time taxes on companies. At the same time, the legislator should abandon the sterile question of scaling of workers’ rights. Try to ask why a foreign company does not invest in Italy, where it will close after a few years laying off all the workers ..

7) Energy policies: what a sustainable future? Do you believe to the opportunities, proposed by Monti government, that should come with the establishment of a gas hub in the Mediterranean, centred in Basilicata?

I believe that, for some decades to come, fossil fuels will constitute a large part of the energy needs of humanity, because their energy density has yet to find substitutes. At the same time, I think that the first decades of the century shall constitute the “workshop” that will produce the technologies needed to break down the role of fossil fuels in the future. For this scientific research is essential and, given what is happening in countries like the United States, I expect great technological breakthroughs – especially in solar energy – in the coming years.

As for Italy gas hub, It continues to feed many doubts to me for a number of reasons. First of all, I saw that the Antitrust now highlights a risk that I pointed out for years. For a gas hub (and a spot market) there must be an overabundance of infrastructure, functional to allow a high variability of flows of gas under different market conditions: who pays for this infrastructure (pipelines, pumping stations, storage)? Of course, the consumer pays the bill. May be fine, but the consumer is aware of? I doubt it. Furthermore, in a market characterized by a gas bubble (an excess of supply over demand, which I had already forecast years ago) as the European one, the pipelines in excess could go to a minimum capacity, but the consumer should pay the same the cost of their construction. With such advantages? And for who?

8 ) As Innovatori Europei, along with other environmental organizations, we are studying the theme “Sustainable Taranto” and the opportunity for the next Italian government to facilitate a smooth transition in the industrial production of “electric cars.” What do you think about that?

Look, I conceived and initiated the implementation of one of the most ambitious industrial reconversion of Italy, that of the petrochemical plant of Porto Torres in Sardinia, orienting it to green chemistry. When I did it, I first analyzed the economic prospects of a certain type of green chemistry, to be sure not to create another industrial illusion doomed to fail with time. Only once some of the economics came true, my company at that time called Polymers Europe, today Versalis – the Eni company in the chemistry,  started up the project.

That of electric cars is a good idea, but needs first of all a strict economic analysis. I believe in the future of the electric car, and I also think that this future will come from Asia, not the old world. In Italy, the fundamental problem is that there are not enough distribution networks, and build them would cost billions of euro. To foster the electric car market, it would take specific regulations, even at no cost, but very hard, for example, prohibit the movement of conventional cars with a certain age in the inner cities.

I should study more thoroughly the issue. Perhaps, at the stage where we are, it would be more feasible to offer a big producer – best if asian – special conditions to build plants for hybrid cars, which are starting to have a certain market and are really fantastic. Even many Americans are starting to change. For special conditions I mean radical fiscal conditions (for example, zero taxes in the first 5 years). It would always be less than the direct intervention of the state, and then the taxpayer.

9) Innovatori Europei wants to become a “bridge” for project opportunities and political relations between Italy, Europe and the World. Among others, we are twinned with an innovative political reality operating in North America. Is the idea of ​​putting together the Italian communities in the world around an intellectual and political project interesting for your opinion?

Yes, especially to the extent that he could reconnect many Italians of great value that have left Italy because there were no spaces and have then also experienced a great success. They are a heritage for the future Italy. But this is a project that takes time and a patient and focussed building process. There were already too many initiatives improvised and ephemeral in the recent past.

Thank you.

Thanks.

Intervista al Prof. Leonardo Maugeri, talento da esportazione ad Harvard

ENIdi Massimo Preziuso su R-Innovamenti

Buongiorno Professore. Grazie per l’opportunità, innanzitutto. Lei è un chiaro esempio di talento italiano da esportazione. Dopo una carriera folgorante nel colosso ENI, nel 2011, ancora quarantenne, ha deciso di cambiare e tornare all’accademia. Oggi insegna nella prestigiosa Harvard University, è consigliere del governo americano sui temi energetici, è autore di vari libri, tra cui un best-seller che ho letto in questi giorni (“Con tutta l’energia possibile”), e tanto altro.

1) Perché questo cambiamento così  improvviso e radicale?

Preferisco che il tempo si sedimenti prima di rispondere a questa domanda.

2) Italia Vs Stati Uniti: chi vince?

Non c’è competizione. Da anni, condivido il giudizio di Bill Emmott sull’Italia: purtroppo il nostro Paese è giunto a un livello di non ritorno. Sovrastato da una corruzione patologica e da una classe dirigente del tutto inadeguata, che però si autosostiene con il meccanismo della cooptazione, non ha credibili prospettive di crescita. Ha abbandonato la ricerca e la formazione di alto livello, primi motori di sviluppo di ogni paese, non ha più che un manipolo di grandi gruppi industriali, non riesce a produrre tecnologia né innovazione, se non su piccola scala incapace di fare massa critica.

Negli Stati Uniti, con tutti i problemi che pure esistono, c’è una vitalità sorprendente. Ricerca, innovazione, trasformazione continua, sono ancora i fattori portanti del paese. Qui è ancora vero che un totale sconosciuto, senza famiglia né possibilità alle spalle, può diventare tutto grande alla forza delle sue idee o del suo talento. Inoltre, il paese riesce ancora a attrarre – soprattutto grazie alle sue università e ai suoi centri di ricerca – i migliori talenti del mondo.

3) Come si sente un talento italiano negli Stati Uniti, in questi anni così turbolenti, in cui il nostro Paese ha proprio bisogno di personalità come la Sua per tornare a “vivere”?

Non sono certo un caso unico. Semplicemente, chi ha talento deve cercare altre strade lontane dall’Italia, perché il talento non rientra nei criteri di selezione del nostro Paese. Contano solo frequentazioni, appartenenze, disponibilità a accettare le regole di un sistema malato.

4) Come creare veri ponti di opportunità tra Italia a America? Quale appunto il ruolo possibile per “ambasciatori” come Lei?

Se il Paese non cambia radicalmente, è impossibile per chiunque costruire veri ponti di opportunità.
Bisogna chiedersi: perché una società americana dovrebbe avere interesse a investire in Italia, rispetto a tutte le altre opportunità disponibili nel mondo? Qual è il nostro valore aggiunto? Gli americani adorano l’Italia come posto per le vacanze, non come luogo d’investimento.

5) Competizione Vs Uguaglianza: come risolvere una volta per tutte questo ”trade off” di visioni del mondo?

A mio modo di vedere, la convivenza tra società del merito (competitiva) e società dell’uguaglianza e del bisogno è la sintesi che ha reso l’occidente superiore al resto del mondo, nel 20° secolo. La società del merito ha bisogno di uguaglianza di partenza, perché solo così possono emergere i migliori talenti. La ricchezza generata da una società che si alimenta di merito, d’altra parte, genera la ricchezza e la crescita che – con eque e sagge politiche di redistribuzione – possono sostenere la parte più bisognosa della popolazione, quella che può rimanere indietro e offrire i mezzi per l’uguaglianza di partenza. Nelle società povere questa possibilità non esiste.

6) Lavoratori e Produttori: quale il modo per metterli a lavoro insieme per rinnovare e ricostruire il Belpaese?

C’è un interesse comune: concentrare l’attenzione del legislatore nel facilitare gli investimenti, abbattendo la burocrazia che oggi impedisce alle imprese di investire e operare, stroncando la corruzione che rende il gioco economico artificioso, abbassando nel tempo le tasse sulle imprese stesse. Allo stesso tempo, il legislatore dovrebbe abbandonare la sterile questione del ridimensionamento dei diritti dei lavoratori. Provate a chiedere ad un’impresa straniera perché non investe in Italia, dove potrebbe chiudere dopo qualche anno licenziando tutti i lavoratori..

7) Politiche energetiche: quale il futuro sostenibile? Lei ci crede alla opportunità, proposta dal governo Monti, della costituzione di un hub del gas mediterraneo in Italia, con baricentro in Basilicata?

Io credo che, per alcuni decenni ancora, i combustibili fossili costituiranno gran parte del fabbisogno energetico dell’umanità, perché la loro densità di energia non ha ancora trovato sostituti. Al tempo stesso, credo che i primi decenni del secolo costituiranno “l’officina” che produrrà le tecnologie necessarie ad abbattere il ruolo dei combustibili fossili nel futuro. Per questo la ricerca scientifica è fondamentale e, visto quello che sta accadendo in paesi come gli Stati Uniti, mi aspetto grandi breakthrough tecnologici – soprattutto nell’energia solare – nei prossimi anni.

Quanto all’Italia hub del gas, continuo a nutrire molti dubbi per una serie di ragioni. Anzitutto, ho visto che anche l’Antitrust pone in evidenza un rischio che indico da anni. Per avere un hub del gas (e anche un mercato spot) occorre una sovrabbondanza di infrastrutture, funzionali a consentire una forte variabilità di flussi di gas in ragione delle condizioni di mercato: chi paga queste infrastrutture (gasdotti, stazioni di pompaggio, stoccaggio)? Naturalmente, le paga il consumatore in bolletta. Può andar bene, ma il consumatore ne è cosciente? Ne dubito. Inoltre, in un mercato del gas caratterizzato da una bolla (un eccesso di offerta rispetto alla domanda, che avevo già preconizzati anni fa) come quello europeo, i gasdotti in eccesso potrebbero andare al minimo di capacità, ma il consumatore dovrebbe lo stesso pagare i costi della loro costruzione. Con quali vantaggi? E per chi?

8 ) Come Innovatori Europei, insieme ad altre organizzazioni ambientaliste, stiamo studiando il tema “Taranto sostenibile” e l’ opportunità per il prossimo governo italiano di facilitare una transizione industriale nella produzione delle “auto elettriche”. Che ne pensa a riguardo?

Guardi, io ho concepito e avviato la realizzazione di una dei più importanti piani di riconversione industriale d’Italia, quello del sito petrolchimico di Porto Torres in Sardegna, orientandolo alla chimica verde. Quando lo feci, analizzai per prima cosa le prospettive economiche di un certo tipo di chimica verde, per essere certo di non creare un’altra illusione industriale destinata a fallire con il tempo. Solo una volta certo degli economics lanciai la mia società, al tempo Polimeri Europa, oggi Versalis – la società della chimica dell’Eni – nel progetto.

Quella delle auto elettriche è una bella idea, ma ha bisogno anzitutto di una rigida analisi economica. Io credo nel futuro dell’auto elettrica, e credo che questo futuro arriverà dall’Asia, non dal vecchio mondo. Da noi il problema fondamentale è che non esistono sufficienti reti di distribuzione, e costruirle costerebbe miliardi di euro. Per favorire un mercato dell’auto elettrica, ci vorrebbero delle normative specifiche, magari a costo zero, ma molto dure: per esempio, vietare la circolazione delle auto tradizionali con una certa età nei centri delle città.

Dovrei studiare in modo più approfondito la questione. Forse, nella fase in cui siamo, sarebbe più proponibile offrire a un grande produttore – meglio asiatico – condizioni speciali per costruire a Taranto stabilimenti di auto ibride, che cominciano ad avere un certo mercato e sono davvero fantastiche. Perfino tanti americani cominciano a convertirsi. Per condizioni speciali intendo condizioni fiscali radicali (per esempio, zero tasse nei primi 5 anni). Sarebbe sempre meno che un intervento diretto dello stato, e quindi dei contribuenti.

9) Innovatori Europei vuole sempre più diventare un “ponte” di opportunità progettuali e politiche tra Italia, Europa e Mondo. Tra le altre, siamo gemellati con una innovativa realtà politica operante in Nord America. Ritiene interessante l’idea di unire le comunità italiane nel mondo attorno ad un progetto intellettuale e politico come il nostro?

Si, soprattutto nella misura in cui riuscisse a riconnettere tanti italiani di grande valore che hanno abbandonato l’Italia perché non vi trovavano spazi e hanno poi avuto esperienze di grande successo. Sono un patrimonio possibile dell’Italia di domani. Ma è un progetto che richiede tempo e una costruzione mirata e paziente. Ci sono state già troppe iniziative improvvisate e effimere nel passato anche recente.

Grazie.

A Lei.

Sì al terzo condono edilizio in Campania, ma con la Programmazione

condono_ediliziodi Giuseppe Mazzella – IE Campania

Sono assolutamente convinto che il prossimo Governo della Repubblica che – secondo le previsioni – sarà una colazione di centro-sinistra o di sinistra-centro approverà per la Campania il terzo condono edilizio, quello del 2003,che la Regione Campania guidata dal centro-sinistra presieduto da Antonio Bassolino non volle estendere alle aree di interesse paesaggistico vincolate ai sensi della legge 1049 del 1939 come le isole di Ischia, Capri e Procida e la costiera Sorrentino-Amalfitana tutte aree ad economia turistica esclusiva e matura. E’ un provvedimento che in questa ultima legislatura proprio il centro-sinistra ha ostacolato con ogni mezzo parlamentare e con ogni mezzo parlamentare il centro-destra ha tentato di far approvare stante la situazione grave, soprattutto nel comparto del lavoro, in Campania. Vanno ricordate con obiettività di cronaca le iniziative per l’ estensione del condono alla Campania del senatore Sarro del PDL così come le dure risposte dell’on. De Seta del PD.

Poiché il nuovo Governo dovrà affrontare una drammatica situazione economica e sociale del Paese con una situazione tragica dell’ occupazionale soprattutto giovanile e soprattutto nel Mezzogiorno sono dell’ avviso che queste emergenze costituiranno la motivazione fondamentale per estendere il terzo condono e per fermare gli abbattimenti. Infatti proseguire sulla strada degli abbattimenti in un’ area dove la disoccupazione cresce ogni giorno di più e l’ economia turistica entra in crisi significherebbe ancora di più aggravare una situazione sociale che definire tragica costituisce un eufemismo.

In un importante convegno che si tenne a Lacco Ameno l’ 8 ottobre 2011 per iniziativa dell’ Unione Nazionale dei Tecnici degli Enti Locali ( UNITEL) sul tema: “ Problemi irrisolti del condono edilizio dopo la legge n. 47/85” il prof. Lucio Iannotta, ordinario di diritto amministrativo presso la Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli, che tenne una relazione magistrale, affermò che in Italia “ i condoni edilizi arrivano ogni 9 anni” e che la misura da “ straordinaria” è diventata di fatto “ ordinaria”.

Iannotta osservò che “ le leggi di condono hanno dato cattivi risultati ed hanno determinato un enorme contenzioso in sede giudiziaria tanto che forse andava meglio il precedente sistema della licenza edilizia che non ha prodotto gli orrori di oggi e che concedeva l’ autorizzazione a costruire caso per caso con attenzione al particolare piuttosto che al generale”. L’ affermazione fu fatta dopo un minuzioso esame di tutti i tentativi per avviare la Pianificazione Territoriale in Italia fin dal 1942 con il Testo Unico sull’ Urbanistica che restò inapplicato per venticinque anni e riscoperto solo nel 1967 dal Ministro dei Lavori Pubblici, Giacono Mancini, socialista, al quale si deve la famosa Legge-Ponte.

Dopo quarantaquattro anni dalla Legge-Ponte almeno qui nell’ isola d’ Ischia siamo al punto di partenza perché abbiamo un blocco totale dell’ edilizia, un vincolismo assoluto decretato dal Piano Urbanistico-Territoriale del Ministro Antonio Paolucci del 1995 tanto che nell’ ultimo blitz antiabusivismo dei Carabinieri del 19 gennaio 2013 è stato ritenuta abusiva perfino la “ realizzazione di una scala in ferro per un valore di 3mila euro” nel Comune di Barano.

E’ evidente che un’economia com’è quella dell’ isola d’ Ischia dove vi sono almeno 40mila posti-letto ed almeno 10mila lavoratori stagionali del turismo e dell’ indotto non può essere ingessata senza andare verso una crisi irreversibile e drammatica. Bisogna pur permettere qualcosa, avviare un recupero edilizio,insomma sbloccare una espansione.

Credo che le esigenze dell’ economia prevarranno e nonostante tutto bisognerà ricorrere alla misura del condono. Paradossalmente parlano di applicare un condono in questa campagna elettorale per le politiche i movimenti più estremi: il Movimento delle 5 stelle di Grillo e un esponente non di secondo piano della lista Rivoluzione Civile di Ingroia l’on. Nello Di Nardo che è capolista in Basilicata e che ha dichiarato a “ La Repubblica” del 30 gennaio 2013 di “ battersi per il condono edilizio” senza alcuna preoccupazione di trovarsi sulle stesse posizioni del centro-destra.

Credo quindi che sarà inevitabile per il nuovo Governo utilizzare un terzo condono edilizio ma credo anche che il nuovo Governo dovrà cominciare a rendere possibile e praticabile una seria Pianificazione Territoriale che è tale solo quando sceglie e non immobilizza il territorio.

Come si giustificherà il centro-sinistra? Questo in politica non è mai stato un problema.

Diceva Bernard Grasset che “ poiché in politica è più importante giustificarsi che fare, le parole hanno più importanza delle cose”.

 

Sempre meno laureati

UCSB Graduation Daydi Aldo Perotti

Notizia di questi giorni è il costante calo di laureati nel nostro paese. Ovviamente si registra nel contempo la diminuzione di professori ed il generale de-finanziamento delle università e della ricerca.
 
Se studenti e professori sono diminuiti del 20% probabilmente anche la spesa ha seguito un andamento simile, comunque l’evoluzione dei costi in generale sempre aver penalizzato gli investimenti con il risultato di avere università con sempre meno insegnanti, attrezzature, studenti.
 
Il primo grido che si è levato è stato: “più soldi per l’università” (qualsiasi cosa accada nel nostro paese la prima richiesta è sempre quella).
 
Altre statistiche ci dicono che nel nostro paese non c’è lavoro per i laureati (nemmeno per gli operai a dire il vero). C’è richiesta di tecnici specializzati, chiamiamoli “superdiplomati” ovvero di figure più che idonee a svolgere un certo lavoro ma che costino il meno possibile. Va da se che un laureato è un ottimo operatore di call center, la sua laurea viene declassata a “superdiploma”.
 
Allo stesso tempo la laurea nel nostro paese è condizione spesso non necessaria per raggiungere posizioni elevate. All’estero invece i nostri laureati trovano lavoro e fanno carriera a conferma che le nostre università sono comunque in grado di produrre eccellenza, ovvero laureati eccellenti (merito anche delle qualità individuali, spesso sovrabbondanti nel nostro paese). 
 
Tentiamo una sintesi:
 
Il valore della laurea è molto scarso nel settore privato (non distingue, non discrimina). Amicizie, parentele, conoscenze, possono tranquillamente controbilanciare qualsiasi brillante curriculum accademico. Rimane un pezzo di carta il cui valore è variabile, una sorta di biglietto di invito, se ne sei in possesso spesso vale poco (vedi che fanno entrare pure chi non ce l’ha), se non ce l’hai vali poco tu, dipende dal buttafuori alla porta del locale.
 
Nel settore pubblico è solo un indispensabile titolo di accesso (una specie di biglietto di entrata al cinema.. si strappa all’’ingresso.. i posti sono numerati… è bene conoscere la bigliettaia per non trovarsi nelle ultime file). Una volta entrati altri meccanismi permettono di guadagnare i posti migliori.
 
Nelle professioni vale quanto detto nel settore pubblico con l’’aggravante che si tratta di lavoro privato e quindi il biglietto è senza numero e non da neanche diritto a sedersi (capace che entri, resti in piedi e non vedi nulla…; importantissimo conoscere qualcuno delle prime file e saper sgomitare).
 
La laurea pur costituendo effettivamente in molti casi una barriera all’’entrata (se uno ne è privo,… ma si sa.. i titoli, se proprio serve, in qualche modo si possono acquisire), non garantisce ne un lavoro, ne del lavoro, ne un carriera, ne un certo livello di reddito.
 
In concreto un investimento molto rischioso.
 
In generale quindi studiare non conviene…, o comunque conviene poco a molti e molto a pochi, ed essendo l’offerta di qualsiasi bene o fattore sempre elastica sul lungo periodo, ad un calo della domanda o comunque dei prezzi non può che seguire una diminuzione dell’offerta. Aggiungiamo che questa diminuzione dell’offerta è stata in qualche modo politicamente auspicata con l’innalzamento delle barriere all’accesso ai corsi di studi, questo attraverso l’aumento delle tasse universitarie senza il finanziamento di borse di studio (tagliamo fuori le fasce più povere, art. 34 della Costituzione… marameo); ma anche con l’introduzione del numero chiuso e di un sistema di selezione (quiz  per tutti) che ha già dimostrato di essere assolutamente inadatto, inadeguato e sbagliato visto che la percentuale di insuccesso (iscritti mai laureati) non è variata, per non parlare degli scandali e del “mercato” (corsi, testi, ecc.) che questo sistema ha messo in piedi.
 
Per concludere, la statistica conferma nonostante tutto che ancora esiste una proporzionalità tra il titolo di studio ed il reddito pro-capite. Mediamente i laureati guadagnano di più dei diplomati, ed i diplomati più del solo obbligo scolastico, ma allo stesso tempo si osserva che i titoli di studio si “tramandano” in genere da padre in figlio.
 
Viene da domandarsi se è laurea che permette un maggiore reddito e benessere o al contrario è il benessere che implica la laurea ? Se, come penso io, la condizione familiare è sempre più una importante premessa per il raggiungimento di titoli di studio superiori una certa responsabilità per la diminuzione dei laureati è certo attribuibile all’impoverimento delle famiglie italiane, che non possono più permettersi di far studiare i figli oppure preferiscono di non investire nello studio (visto il rischio di insuccesso, vedi call center) e preferiscono favorire altre iniziative come il commercio, il lavoro autonomo, l’artigianato e anche, come giornali e TV spesso sottolineano, un ritorno alle attività agricole.

Elezioni: sarà un risultato imprevedibile e, in ogni caso, non traducibile in concretezza, per il governo che sarà?

di Arnaldo De Porti

I sondaggi che cambiano da un momento all’altro mi stanno provocando la nausea; e ciò non soltanto per le percentuali altalenanti a destra o  sinistra, ma perché tutti, ripeto tutti, chi più chi meno, sembrano gettarsi reciprocamente fango in faccia,  se vuoi anche con un certo faire-play, ma senza andare al nocciolo della questione. Insomma, ogni pretesto è buono per mettere in cattiva luce l’avversario, costi quel costi, anche se si dovesse trattare di calpestare il cadavere di uno stretto familiare.

Le tv sono prese d’assalto da tutti e tutti dicono la loro in maniera da recepire, in certi interventi, il senso ed il significato della questua.

Di questo passo, e siamo a circa quattro settimane dal voto, io penso che fra qualche giorno tutti saranno senza voce, senza forze fisiche, al punto da dover  mettersi a letto: basta guardare in faccia i Bersani, i Berlusconi, i Monti, i Casini e gli ultimi arrivati, tipo Ingroia e Grillo, e si nota che di giorno in giorno essi perdono la loro verve dialettica tanto da non incuriosire chi dovrebbe ascoltarli.  Sarà un bene ? Sarà un male ? Chi lo sa ?

Non vorrei, ma questa è semplicemente una battuta, che a qualche giorno dal voto, tutti fossero a letto con diagnosi “esaurimento nervoso” e che venissero subito a galla coloro che sin qui  si sono risparmiati, come quella fascia di indecisi (che se non vado errato lambiscono il 40 %), i quali, insieme con Grillo e fors’anche Ingroia, potrebbero sconvolgere tutto.

E non è detto che, nel predetto 40 %, si ragioni a questo modo.

Chi vivrà, vedrà…

Bersani – Monti. Innovatori Europei li sta a guardare

di Salvatore Viglia

Il meglio possibile è ciò che sta oltre.

Oltre le rassegnazioni, oltre le presunzioni, oltre le palle di vetro bugiarde che promettono magie.

Il connubio Monti-Bersani non sarebbe mai auspicabile per postulato e storie, per tragitti e reputazioni per quanto i due rappresentano per tesi e programmi.

Ma oggi, si sa, abbiamo la scusa della crisi forse neanche tanto scusa ma realtà, con la quale fare i conti ed allora il meno peggio ce lo facciamo diventare buono ed accettabilbersani montie.

Gli Innovatori Europei hanno incassato una disattenzione gravissima dalle ultime programmazioni elettorali.

Una spavalda quanto colpevole indifferenza dei leaders politici blasonati nell’approfondimento della scelta degli uomini e della opportunità innovativa che avrebbe portato pezzi della società civile VERA nel suo seno.

Invece, a bocce ferme, prendiamo atto che dicono che sia cambiato tutto per non aver cambiato neanche una virgola.

Il piatto cucinato, bello e pronto è l’insalata Monti-Bersani dove il secondo vive uno stato di prostrazione psicofisica nel riguardi del professore, assai imbarazzante.

Manca la postazione.

Ciò significa che piuttosto che stare dentro occorreva essere posizionati fuori ad ogni costo.

A costo di fare e rifare le elezioni due e più volte. Non è possibile immaginare, per chi vive una speranza progressista, una sola speranza progressista, stop a soluzioni di continuità irresponsabili.

Innovatori Europei è e sarà “significativamente oltre” appollaiato in una postazione panoramica dalla quale le sue componenti migliori trarranno conclusioni e redigeranno progetti politici.

Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi

di Massimo Preziuso su L’Unitàelezioni

 

Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.

Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.

Dopo i primi giorni di “calma piatta”,  nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.

Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.

Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.

A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.

Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.

Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.

E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.

Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.

E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.

Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.

Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.

Monti, Bersani e i veri nemici del cambiamento

bersani montidi Francesco Grillo su Il Mattino e Il Messaggero

Ha ragione il Financial Times quando correggendo la stroncatura nella quale era incappato il giorno prima il nostro Presidente del Consiglio, ha identificato nelle qualità personali di Bersani e nella credibilità internazionale di Monti l’unica, concreta speranza per un “nuovo inizio”. E, tuttavia, anche nell’ipotesi – tutt’altro che scontata – che tra trenta giorni un’alleanza tra Centro e Centro Sinistra risulti necessaria e sufficiente per governare, permarrebbero due straordinarie complicazioni per poter davvero far ripartire l’Italia: la prima è determinata dalla distanza tra i due leader che, in questi giorni, si sta allargando fino a raggiungere i caratteri di una diversità ideologica che può rappresentare un punto di non ritorno; la seconda è che se anche i due riuscissero a mettersi d’accordo, si troverebbero successivamente a fare i conti con vincoli che sono molto più diffusi di quelli rappresentati da qualche ala estrema, come sembra credere il Professor Monti.

Sono pesantissimi, in effetti, gli attacchi che Monti ha, in questi ultimi giorni, sferrato contro le posizioni che Bersani dovrebbe “silenziare”. Ed è solo ovvio che sia stato lo stesso Bersani a incaricarsi di ribadire alleanze ratificate attraverso un processo comunque democratico. E forse ha ragione Vendola quando, nonostante qualche precedente apertura, rileva che ormai lo scontro sia di profonda differenza nelle stesse categorie semantiche che si utilizzano per osservare la realtà e costruire un’idea di futuro.

Gli effetti finali sono chiari: il Centro si allontana dal Centro Sinistra e, probabilmente, dallo scontro guadagnano voti gli altri che stanno probabilmente rientrando in gioco.

Ma c’è un elemento ulteriore che lascia perplesso della logica del “taglio delle posizioni” che Monti (e lo stesso Financial Times) continua ad invocare: i blocchi sociali che si oppongono alle “riforme radicali” di cui l’Italia ha urgente bisogno non vengono solo dalla CGIL o dalla sinistra radicale.

Lo dimostra la vicenda – assolutamente centrale per il suo valore non solo effettivo ma anche simbolico – della riforma del mercato del lavoro che anche nella sua forma finale, molto smussata nei suoi aspetti più innovativi, è stata contrastata praticamente da tutti. Ma lo dimostrano anche le due questioni che, pur essendo assai poco discusse, sono forse le più importanti per arrivare ad una revisione della spesa pubblica più intelligente di quella provata da precedenti Governi e, in definitiva, ridurre le tasse e tornare a crescere: le pensioni ed, in particolar modo, la possibilità di toccare il totem dei “diritti acquisiti” che pesano come un macigno sulla quantità e qualità della spesa dello Stato; la riforma del pubblico impiego e, nello specifico, la capacità di mettere in discussione l’inamovibilità dei dipendenti pubblici che costringe le pubbliche amministrazioni ad usare la sola leva del blocco delle assunzioni per poter dimagrire e, dunque, ad una spirale di sempre maggiore obsolescenza e ulteriori richieste di tagli.

Sulle pensioni ha ragione Bersani quando dice che sono solo le pensioni “vecchie” (e gli interessi sul debito pubblico) ad essere disallineate rispetto agli altri Paesi. Non tutti, però, hanno un’idea dell’ampiezza del disallineamento. L’Italia spende in pensioni, secondo l’INPS, quattro punti e mezzo di PIL (17,1%) più della Germania (12,8) e se ci riallineassimo ai livelli di spesa del Paese con il welfare più sviluppato del mondo (del resto in Germania ci sono molti meno anziani che vivono sotto la soglia di povertà rispetto all’Italia) potremmo risparmiare circa 80 miliardi di euro: da destinare al taglio delle tasse o, magari, all’educazione, visto che se sommiamo scuola, università e ricerca arriviamo a risorse pari a poco più di un quinto di quelle che eroghiamo ai pensionati. Spostare risorse dal passato al futuro è ovviamente una misura per la crescita. E, tuttavia, quello delle pensioni è il primo esempio di quanto siano più vaste delle ali estreme le resistenze al buon senso. Alla costruzione di un sistema iniquo hanno collaborato tutti, datori di lavoro e sindacati e del resto, basta vedere i numeri della rappresentanza per rendersi conto che negli ultimi trent’anni è diminuita la presenza delle confederazioni nelle fabbriche ed è aumentata di molto tra i pensionati.

Il pubblico impiego è l’altro nodo decisivo per far ripartire l’economia italiana ed è evidente quanto le resistenze siano trasversali. È vero quanto afferma, ad esempio, Bersani quando dice che la revisione della spesa ha portato a non avere più la benzina nelle macchine della Polizia. Ma è altrettanto vero che il confronto internazionale dice che nel Regno Unito – a parità di popolazione e crimini – ci sono la metà dei poliziotti che ci sono in Italia (e molta più tecnologia). Che da anni è evidente – soprattutto ai poliziotti e ai carabinieri – che non ha senso avere due organizzazioni che fanno le stesse cose negli stessi territori e che, però, una riorganizzazione senza poter, almeno, spostare le persone sarebbe l’ennesima montagna destinata a partorire un topolino. Che il 90% della spesa delle pubbliche amministrazioni è spesa in personale al quale mai si potrà applicare la mobilità del settore privato e che in questa condizione, anche la riduzione delle province – se anche mai andasse in porto – rischierebbe di avere effetti del tutto marginali. Così come pure è vero che se mai riusciremo a metterci nella condizione di poter rimuovere un dirigente incapace o di premiarne uno meritevole, rischieranno di essere vani persino gli sforzi di Fabrizio Barca di non sprecare le uniche risorse pubbliche che questo Paese ha a disposizione per lo sviluppo.

Eppure, di nuovo, una questione così importante è dimostrazione che gli ostacoli alle riforme radicali possono prescindere dalle ali estreme e dagli idealisti: capita, infatti, che la resistenza può venire persino dallo stesso Governo Monti, dal suo ministro della Funzione Pubblica che si affrettò qualche mese fa a chiarire che la travagliata riforma dell’articolo diciotto mai avrebbe, comunque, toccato quel totem che costringe le stesse pubbliche amministrazioni all’inefficienza.

Resistenze diffuse, dunque. L’antidoto, l’unico possibile, è rinunciare a parlare di luoghi estremi dove si anniderebbe la conservazione e ammettere, come Monti dimostra di sapere quando invoca una ristrutturazione dell’offerta politica, che le resistenze al cambiamento esistono ovunque. Bisognerebbe parlare fino in fondo il linguaggio della verità. Ammettere che il costo di avere troppi pensionati o troppi poliziotti lo pagano anche i poliziotti senza benzina, gli studenti senza più assegni di ricerca, le piccole imprese con troppe tasse e i percettori di pensioni più basse – che pure sono tra gli elettori che Monti e Bersani rappresentano. Parlare il linguaggio della verità: facendolo fino in fondo, in maniera chiara, è possibile persino convincere i privilegiati che un sistema non più sostenibile si troverà presto – se continuiamo così – senza nessuno rimasto a pagare i loro privilegi.

 

 

Monti: sarà onesto, sarà falso, sarà credibile?

 mariomontidi Arnaldo De Porti

Tre righe per esprimere una mia impressione su Mario Monti, maturata osservandolo da alcune angolazioni.

Agli inizi, quand’era al governo, non lo nego, mi ha offerto una buona impressione al punto da credergli quasi in toto, capendo che,  da parte sua, per non inimicarsi con coloro che l’hanno sostenuto e lo dovevano sostenere, deve aver fatto di necessità virtù, evitando di urtare la suscettibilità per non venir privato appunto  del predetto sostegno,  peraltro facilitato dal fatto che ciò faceva comodo a tutti, compreso  al Pdl, pena lo sfacelo politico;

Verso la metà del suo governo, la mia fiducia è venuta un po’ meno in quanto egli ha privilegiato le fasce forti a danno dei meno abbienti, con la terribile conseguenze che le fasce deboli e meno protette, ora sono state e sono attualmente costrette a soffrire, se non a morire di fame, con il pericolo imminente di una rivoluzione civile, non quella di Ingroia che, a mio avviso, malgrado le buone intenzioni, sta combinando guai, come e più di Grillo;

Alla fine, costretto a dimettersi in quanto il Pdl gli ha tolto il sostegno, egli ha mostrato una faccia molto diversa: egli ferisce a morte gli avversari con l’arte  di una diplomazia che, malcelata, evidenzia aspetti dittatoriali, più di Berlusconi, come si è visto ieri sera a Ballarò: egli infatti non va d’accordo con nessuno e si  auto-etichetta come “il migliore”.

Domanda legittima che mi pongo: “Ci si trova di fronte ad una persona a due facce, ad un attore perfetto, oppure ad un diplomatico che obbedisce freddamente alla seguente esigenza machiavellica secondo cui il fine giustifica i mezzi ? : “

Se così fosse, mi permetterei di aver dei dubbi sull’onestà intellettuale.

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