Una Stanford del Mediterraneo a Bagnoli
di Massimo Preziuso
Siamo rimasti colpiti pesantemente dall’incendio che ha divorato gran parte della Città della Scienza di Bagnoli.
Per tutta Napoli e in particolare per chi ha studiato o vissuto nel quartiere Fuorigrotta, quella Città è stato un importante riferimento culturale e simbolo di uno slancio partenopeo verso il futuro.
Dopo stanotte tutto rischia di essere messo in discussione, con ripercussioni su tutta Napoli, ed indirettamente su tutto il Mezzogiorno.
Come Innovatori Europei vogliamo ragionare sui perché della solitudine in cui un progetto importantissimo come Città della Scienza ha vissuto in questi anni e partecipare al dibattito sul suo immediato futuro.
La scorsa notte abbiamo lanciato su Facebook un Forum di discussione sul futuro di Bagnoli, con il sogno di vedervi realizzata una “Stanford del Mediterraneo”, luogo di ricerca e di imprenditorialità di avanguardia.
Abbiamo avuto in poche ore l’adesione di tantissime persone normali e di molte autorità nazionali ed internazionali.
Continueremo a mettere in rete gli stakeholders della società civile e delle istituzioni per discutere del futuro di Città della Scienza, che è per noi legato al futuro del nostro Paese nel mediterraneo.
Speriamo nel contributo delle idee di tanti.
E adesso incontriamoci a Bagnoli
di Michele Mezza per Innovatori Europei
Non penso di poter scrivere cose particolari su Bagnoli.
So solo che quel pezzo di terra era stata una straordinaria spugna di sogni e speranze, dopo la dimissione del 1986.
Rileggiamoci il libro di Ermanno Rea: passione e mestizia, quasi un presentimento. Con la chiusura della fabbrica chiude il futuro, senza fabbrica non siamo niente.
Incredibilmente senza fabbrica sono stati niente proprio quel fior fiore di intellettuali e dirigenti politici che erano nati sul lavoro e la fatica altrui. Ora che c’era da inventare un nuovo futuro nulla.
Per venti anni un frustrante gioco di carte: autorizzazioni, società pubbliche, nomine, dimissioni, sostituzioni, convegni.
E Città della Scienza rimaneva sola. Doveva essere il primo germe di una straordinaria proliferazione.
Rimase una fortezza assediata e questa notte è caduta. Ora che accade?
Si spengono le fiamme e si ricomincia con le carte: ci vuole uno shock, un trauma.
Io propongo che il popolo del sapere a Napoli chieda l’intervento dell’Unione Europea, dei caschi blu, come a Kabul, per gestire a marce forzate un progetto di insediamento di campus della ricerca.
Convochiamoci a Napoli, a Città della Scienza, nel cortile e promuoviamo una conferenza dei servizi immateriali che incardini a Napoli un cantiere reale per Bagnoli.
Subito però, o perderemo faccia e futuro. Il secondo dopo la prima.
Raccogliamoci da qui.
La pagina dell’evento su Facebook: https://www.facebook.com/events/362821520500709/
Ecco i primi aderenti (per adesioni infoinnovatorieuropei@gmail.com):
Michele Mezza
Massimo Preziuso
Luisa Pezone
Anna Dauria
Marco Race
Alessandro Migliardi
Maurizio Imparato
Cetti Capuano
Alfonso Gentile
Emilia Vitale
Alessandro Santise
Sarah Scognamiglio
Stefania Arminio
Nico Cimino
Cristiano Orefice
Luigi Petrazzuoli
Maurizio Imparato
Marina Ravallese
Luca Lopez
Maria Grazia Biggiero
Alessio Viscardi
Annacarla Tredici
Alice Mandrone
Giuliana Ferraboli
Elvira Erman
Anna Paola Merone
Vincenzo Fiorillo
Verio Massari
Marina Cassese
Carmine D’Onofrio
Pasquale Luongo
Guido Visciano
Francesco Enrico Gentile
Giuseppe Spanto
Italia e U.E. nel bipolarismo mondiale
di Stefano Schembri
Washington contro Pechino. Sembra sempre di più questo l’assioma geopolitico moderno, in un mondo che dopo la caduta del muro di Berlino, torna per la prima volta a vedere un paese, la Cina, scalfire l’unipolarismo a stelle e strisce instauratosi a seguito dell’implosione Sovietica.
Ma possiamo veramente dire che i prossimi decenni saranno caratterizzati solamente da questi due attori? E quale ruolo potrà avere in tutto ciò il nostro paese?
Un’analisi più approfondita sui paesi in sviluppo ci mostra che oltre alla Cina, altri paesi si stanno affacciando sulla scena globale. Parlo degli ormai noti BRICS (Brasile, Russia, India, la Cina stessa e Sud Africa), ma anche di Indonesia, Viet Nam e Malesia, i quali grazie al bassissimo costo della mano d’opera possono ora attrare massicci investimenti esteri e raggiungere tassi di crescita dal 5 all’8%, che per paesi come il nostro rappresentano un miraggio.
A ben vedere, dunque, le prospettive per l’Italia, sono abbastanza tetre. A seguito delle politiche di austerity del governo Monti, il nostro tasso di crescita del PIL oscilla fra lo 0 e il -1%, al di sotto del già basso tasso di crescita medio dei paesi dell’euro-zona (un po’ meglio va per i paesi dell’Unione Europea che non hanno aderito all’euro). Ma non è finita qui: l’Italia, sesta potenza mondiale fino a un decennio fa, dopo esser stata scavalcata da Cina e Brasile negli anni passati, si appresta a finire in decima posizione a seguito dell’ininterrotta crescita di Russia e India. Secondo le previsioni, tuttavia, questo è un destino comune per i paesi europei, e non ci vorrà molto prima che Brasile, Russia e India, superino anche il PIL di Regno Unito, Francia e perfino di quello che viene considerato il ‘treno d’Europa’, la Germania.
C’è però un dato che può farci sorridere, e deve farci ragionare, ossia il considerare i paesi europei in maniera congiunta, e non singolarmente. L’Unione Europea, risulterebbe cosi la prima potenza mondiale, con un Prodotto Interno Lordo di 16 trilioni di dollari. Anche se calcolassimo la sola euro-zona, essa costituirebbe comunque la seconda potenza mondiale, ad un passo dagli Stati Uniti, e di gran lunga sopra la Cina. Una super potenza del genere, di certo stravolgerebbe gli equilibri mondiali, e mediante una maggiore integrazione (alludo in particolare ad una integrazione fiscale) potrebbe intraprendere politiche congiunte che le permettano di aumentare anche quel tasso di crescita che al momento oscilla fra il +3% della Germania e il -7% della Grecia.
I dati parlano chiaro, non costituiscono una teoria economica, ed i nostri governi europei ne sono certamente a conoscenza. Una maggiore integrazione è dunque un auspicio di cui i vari leader dovrebbero tener conto, ma la storia ci insegna che sono più frequenti le spinte separatiste (Lega Nord in Italia, indipendentismi Catalani e Baschi in Spagna, ecc.) che quelle unitarie. Inoltre, nei confronti dell’Unione Europea molte critiche sono state fatte a seguito della crisi che ormai colpisce i nostri paesi da circa 5 anni. Non sono da sottovalutare la proposta di un referendum per l’uscita dall’U.E. del Primo Ministro inglese David Cameron, o del leader del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo, così come le politiche anti europeiste del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán.
Se si tratta di populismo o meno potremmo discuterne a lungo, quel che è certo è che nel contesto geopolitico mondiale, con un cospicuo numero di paesi in rapida crescita economica, il ruolo dell’Italia come singolo ha una rilevanza limitata, per giunta in diminuzione, mentre quello dell’Unione Europea in quanto blocco unito, è ben altro discorso. Del resto, senza richiamare citazioni storiche ed erudite, basta il celebre proverbio ‘l’unione fa la forza’ a rendere il concetto.
“Adultizzazione e infantilizzazione” queste le dinamiche socio psicologiche dell’attuale cambiamento politico in Italia
Si, certo, gli errori si pagano e la scelta minoritaria che un Pd pseudo-progressista ha fatto in un contesto italiota che cambia sempre più velocemente all’interno, però, di una forma istituzionale non revisionata ne ha ridotto i consensi. Un Pd che non ha scommesso sulla democrazia partecipativa e dunque seriamente competitiva ( primarie e parlamentarie introflesse non sono state segno di emancipazione ) ma che ha continuato a forgiare fotocopie di correntine appiattite con candidati clonati, fax-simili. Una vittoria non vittoria: il Pd perde 8% dunque 3 milioni e mezzo di elettori ma, d’altronde, come ci indicano recenti teorie economiste americane ogni tre generazioni c’è il “periodico impazzimento dell’Europa”.
Abbiamo assistito ad una democrazia senza democrazia in questo allucinato scenario politico italiano 2013. La sostanza della democrazia rimane il potere dei cittadini di decidere del proprio destino in modo consapevole mentre, nelle attuali società democratiche, con lo stabilizzarsi sempre più evidente di posizioni di potere inaccessibili al controllo e alle decisioni della maggioranza si sono costituite barriere che impediscono alla comunità di essere società aperta.
La risposta va ricercata subito e con dovizia in profondità, non invece nelle reazioni futuribili di verosimili attentati spettacolari cui tanto sussurra l’intelligentia. Sarebbe poi troppo tardi.
Nella società moderna si è verificato un fenomeno socio psicologico in cui gli adulti si identificano con i giovani mitizzandoli con una conseguente adultizzazione dei giovani ed infantilizzazione degli adulti. Il prolungamento della giovinezza unito all’esclusione dalle opportunità sociali, pur paradossalmente nell’ambito di una dilazione generalizzata delle stesse opportunità sociali, crea diseguaglianze. Questo fenomeno sociale che si riscontra per la prima volta nella rivolta giovanile studentesca americana nel 1965 nascendo dalla richiesta che emergeva da parte dei giovani di libertà e creatività provocò una “identificazione a rovescio” tanto che gli adulti si vollero immedesimare nelle giovani generazioni.
A questo, si aggiungano i ritardi di una società che stenta a riconoscere il mutato quadro di riferimento ponendosi in modo simmetrico rispetto al mutamento che stava avvenendo e causando come conseguenza immediata la caduta del “ruolo del padre” o meglio la “scomparsa dell’adulto autodiretto”. Quando un bambino diviene adolescente aspira ad una “identità adulta” ma nell’attualizzazione del modello su descritto non rinviene altro che un modello infantilizzato del padre/madre. Quindi si rispecchiain una copia di Sé di cui non sa che farsene col risultato che il giovane avrà a che fare con una socializzazione zoppicante, monca in un contesto sconosciuto ed incomprensibile per le proprie ancora limitate risorse conoscitive mentre il genitore dovrà fare i conti con la frustrazione di un ruolo mancato a cui rispondere con sempre maggiore infantilizzazione. Questo processo conduce ad un aumento della stesso fenomeno di infantilizzazione che a sua volta agirà come ovvio meccanismo di prolungamento dell’infantilità.
Si determina una giovinezza senza confini che si rispecchierà anche nei paradossi della società attuale. Si potrebbe ipotizzare che, venendo meno il processo di “cattura dei modelli”, si stabilizzi una adultizzazione della società che si concettualizza, in ultimo, nella visione di partito attuale che non c’è. In questa ultima competizione elettorale è emerso chiaramente un connotato di fondo: non ci sono più modelli da seguire.
La ricerca dei modelli, indispensabile per la costruzione di un Sé sano come di una società sana si trasforma, in questo particolare momento storico, in una grande delusione da parte di un cittadino-elettore che si sente abbandonato e dunque solo. L’avvio di nuovi movimenti che, per quanto finora illustrato, non possono che nascere già regrediti sul modello infantile fa si che l’elettore solo ma alla ricerca di una costruzione identitaria del modello giusto ed innovativo cercherà presenze significative che sono invece assenti in questo contesto istituzionale. Ciò pregiudica autostima, competenza sociale, sviluppo del singolo come del gruppo. Questa ipotesi , che descrive i partiti come protesi di una sub cultura ed i movimenti di una contro cultura, da origine all’uomo che vive alla giornata, che non guarda al passato per paura di essere sopraffatto dalla nostalgia e che allunga l’occhio al futuro solo per cercare di capire come scampare al disastro che sente incombente.
Qui si innesca la disfatta di quell’Io minimo che, unico sovrano, avrebbe lottato contro ogni avversità e qui nasce l’esigenza, per noi ora obbligo, ad una riflessione da imporre al Governo che verrà, fuori da conventicole di vinti o vincitori ma per la ricostruzione della nostra Nazione.
Lettera aperta ad un grillino da Ischia per Roma con un appello al buon senso
Di Giuseppe Mazzella
Ho conosciuto i militanti del Movimento delle 5 stelle di Beppe Grillo due anni fa in occasione del Referendum consultivo indetto dalla Regione Campania per unificare i sei Comuni dell’ isola d’ Ischia ( Ischia, Casamicciola Terme, Lacco Ameno, Forio, Barano e Serrara-Fontana).
L’ isola d’ Ischia – che ha oggi una popolazione di circa 65 mila abitanti ed una consistenza economica di circa 3mila imprese tanto da essere la prima località della Campania per ricettività turistica con circa 13mila iscritti al Centro per l’ Impiego e con circa 10mila lavoratori stagionali del turismo e dell’ indotto – è divisa amministrativamente in sei Comuni dal 1806 con la dominazione francese che addirittura ne costituì 7 con Testaccio poi accorpato con Barano nel 1873. La Storia di Ischia è interessantissima perché è un’ “ isola antica” dove l’ uomo civile è arrivato fin dallo VIII secolo a.C. con la colonizzazione greca e senza soluzione di continuità vi è rimasto nonostante dominazioni straniere, carestie,saccheggi e quanto altro così come sono molto forti ed antiche le comunità locali e le “ identità antropologiche” sono più di sei. Esistono,ancora oggi, dialetti diversi tanto che il “ foriano” autentico è una vera e propria lingua che ha avuto anche una “ grammatica” ed è praticamente incomprensibile per un toscano.
Ma l’ espansione turistica – iniziata negli anni ‘ 50 del ‘ 900 con i grandi alberghi termali del Cavaliere del Lavoro Angelo Rizzoli ( 1888-1970) a Lacco Ameno – ha dato all’ intera isola ( 46 Km2, la più grande delle Partenopee, 5 volte più grande di Capri) una sola economia tutta impostata sul turismo tanto che oggi si definisce Ischia “ ad economia turistica matura”.
Di una unificazione amministrativa per governare meglio un micro sistema economico diventato così complesso si parla ormai da oltre vent’anni anche perché restano sul tappeto i “ problemi perpetui” della pianificazione territoriale ( l’ isola non ha mai avuto un Piano Regolatore Generale in vigore e l’ abusivismo edilizio è esploso a dismisura negli anni ‘ 70 ed ‘ 80 ed è continuato anche ai giorni nostri tanto che viene chiesto un terzo condono edilizio), della depurazione delle acque reflue, del sistema unitario dei trasporti, dello smaltimento dei rifiuti, tanto per citarne alcuni.
La stessa offerta sui mercati turistici internazionali degli operatori è chiamata “ Ischia” nel suo complesso anche se vengono indicate le singole località.
Insomma sei Comuni proprio per avvicinare il sistema pubblico all’ “ efficienza, efficacia ed economicità” – le magiche parole che appaiono in tutte le premesse degli atti amministrativi della riforma Bassanini della Pubblica Amministrazione – sono troppi e sono diventati dannosi per consolidare lo sviluppo economico e sociale.
Dopo la proposta di legge regionale per unificare i sei Comuni nel 2011 c’è stato il Referendum consultivo che pur avendo avuto la maggioranza degli elettori è stato invalidato perché non si è raggiunto il quorum.
Questa campagna per il referendum del Comune Unico ha visto una partecipazione convinta dei militanti delle 5 stelle.
Lanciai un gruppo di Facebook per il Comune unico che si ingrandì enormemente tanto da raggiungere oltre mille adesioni e così mi trovai a “ moderare” un ampio dibattito, a promuovere incontri in piazza,ad inviare rappresentanti alla tv locale di quello che si trasformò in Movimento per il Comune Unico dell’ isola d’ Ischia. I “ grillini” furono i più attivi e li apprezzai moltissimo per il loro impegno e la loro disponibilità. Ricordo Mario Goffredo, Davide Iacono e soprattutto Antonello Iacono. Il dibattito sulle ragioni del Comune Unico attraverso il web ma anche sul giornale locale “ Il Golfo” e la tv “ Teleischia” fu di alto spessore ed estremamente contenutistico.
Politico ma non partitico e vi parteciparono anche affezionati turisti come Ornella Rocuzzo da Milano e fummo anche capaci di tagliare gli “ infiltrati” nel gruppo che volevano solo fare propaganda partitica.
Insomma fu una bella iniziativa resa cordiale anche dal piacere di mangiare insieme una pizza, di riscoprire il gusto dell’ elaborazione politica in un tempo di assoluta decadenza dell’ impegno civile.
Fra gli amici grillini ricordo con affetto e stima Antonello Iacono. E’ un musicista ed uomo di cultura la cui amicizia attraverso Facebook accettai subito perché sul suo profilo aveva scelto fra le frasi preferite un ammonimento di Baltasar Graciàn y Morales ( 1601-1658) che già conoscevo da almeno 40 anni e che avevo posto alle fondamenta dei miei rapporti sociali.
“ E’ regola dell’ uomo avveduto abbandonare le cose che lo abbandonano; cioè non aspettare di essere un astro al tramonto”. Deve essere tratto dall’ “ Oracolo manuale” del 1647 o da un altro dei libri di Graciàn che fu un gesuita perseguitato dal suo ordine e “ buona parte delle sue opere si occupano di fornire al lettore i mezzi e le risorse che gli permettono di districarsi nelle trappole della vita”, dice Wikipedia del filosofo spagnolo. Pensai che era un punto in comune essenziale con Antonello i cui interventi sul Comune Unico, sui problemi, erano sempre concreti, efficaci, colti e perfino estremamente educati.
Dopo quella indimenticabile campagna per il Comune Unico tenemmo con gli amici grillini altri due incontri conviviali con una pizza ed un buon bicchiere del vino d’ Ischia ai quali parteciparono anche i miei amici Franco Borgogna e Giovanni D’ Amici con i quali abbiamo dato vita all’ Osservatorio sui fenomeni Socio-Economici dell’ isola d’ Ischia e naturalmente senza essere grillini ma con le nostre idee politiche fermamente ancorate alla democrazia parlamentare. Si discusse di non far disperdere quel patrimonio di idee e di proposte che avevano lanciato con la campagna del Comune Unico. Bisognava continuare con un Movimento Civile più vasto capace di unificare il maggior numero di ischitani, in tempo di decadenza dei partiti, su un progetto di “ nuovo sviluppo” per l’ intera isola d’ Ischia e poiché ci sarebbero state le elezioni amministrative nel 2012 nel Comune capoluogo, Ischia, e nei Comuni di Casamicciola, Lacco Ameno , Barano e Serrara-Fontana si potevano costituire liste locali come “ Movimento del Comune Unico” cioè portare consiglieri comunali che già “ praticassero” un unico Comune come alternativa a quello che nel Comune di Ischia è stato chiamato il “ caularone” cioè un blocco di liste civiche costituite dal PD e dal PDL capeggiata dal sindaco Giosy Ferrandino, ex Forza Italia emigrato nel PD.
Parve a me – a Franco Borgogna ed a Giovanni d’ Amico – che un Movimento Civile che , di questi tempi bui per la Politica con la maiuscola ,richiamasse la società civile ad un impegno concreto per un unico progetto di sviluppo e di buon governo per l’ isola nella sua Unità oltre lo spezzettamento in sei municipi avrebbe potuto rappresentare un freno alla decadenza della politica ed una speranza concreta per il suo rinnovamento e la moralizzazione della vita pubblica.
La proposta non fu accettata dai grillini che dichiararono che volevano concorrere alle elezioni comunali con il simbolo del proprio Movimento. Ci lasciammo lì con molta tristezza. A ciascuno la sua strada.
Il Movimento a 5 stelle riuscì a presentare la propria lista soltanto nel Comune di Barano raccogliendo circa 200 voti e non riuscendo nemmeno a conquistare un seggio. Nel Comune di Ischia l’ accordo PD-PDL che uccideva la Politica raccolse circa il 90% dei voti.
Nelle ultime elezioni politiche del 25 febbraio 2013 il Movimento a 5 stelle ha raccolto nei sei Comuni 5.694 voti pari al 25, 5% dell’ elettorato più del PD che ha ottenuto il 25, 4%. Così il Movimento delle 5 classe si trova ad essere il primo partito o movimento dell’ intera isola d’ Ischia senza avere nemmeno un consigliere nei sei Comuni. E’ un Movimento che ha “ elettori” ma non ha “ eletti” nelle assemblee locali ma soprattutto ha voti “ nazionali” ma non “ locali”.
Personalmente ho votato SEL di Vendola e credo che l’ unico governo possibile è quello di Bersani e trovo disgustoso il linguaggio di Beppe Grillo perché sono abituato al dibattito educato, civile, colto e mi entusiasmo a leggere Altiero Spinelli o Carlo Rosselli e non accetto lezioni di democrazia, di progettualità, di moralità da Beppe Grillo e da chiunque altro perché ho sempre avuto una identità politica – mi definisco un “ liberalsocialista” – che crede nella democrazia e nella Repubblica. Sono in compagnia di milioni di italiani, onesti e per bene, che hanno votato il centro-sinistra e credono della Democrazia .
Il primo riformista nella storia della sinistra è stato il francese Jean Jaurés che agli inizi del ‘ 900 dichiarando l’ appoggio dei socialisti ad un governo liberale della III Repubblica affermò che “ se appoggiava un governo non lo faceva perché era il migliore ma per prevenirne dei peggiori”. I Governi nella democrazia italiana sono sempre stati di “ coalizione” e bisogna trovare la coalizione meno peggiore perché l’ alternativa è il caos e questo mi pare che sia l’ obiettivo di Beppe Grillo.
Non credo che gli appelli al buon senso servono a molto. Dopo il fallimento del Movimento per il Comune Unico dell’ isola d’ Ischia cancellai tutti gli amici grillini dal mio Facebook eccetto Antonello. Lui no se eravamo uniti e d’ accordo sul monito di Graciàn.
Ad Antonello voglio rilanciare l’ appello alla concretezza e vorrei ricordare che Graciàn diceva anche che “ la lingua è una belva, se una volta si scioglie è poi difficilissimo che si possa rimettere in catene” ed ancora che “ la cultura non sostenuta dal buon senso raddoppia la follia”.
I grillini cerchino il buon senso e partecipino al Governo del cambiamento di Bersani.
Casamicciola, 2 marzo 2013-03-02
Basta con gli imbrogli, è ora di giocare a carte scoperte
di Antonio Diomede (pubblicato su www.reasat.it)
Vedo, un po’ divertito, ma non tanto, tutti i giorni in tv e sulla stampa le varie tesi sull’analisi del voto degli italiani. Nei dibattiti radiotelevisivi e sui giornali si ascoltano e si leggono le più fantasiose motivazioni per giustificare il pauroso vuoto politico e di potere creatosi in un paese europeo, l’Italia, dopo quello del 1918-1922 per il quale Mussolini marciò su Roma, e quello tedesco della repubblica di Weimar del 1929-1933 a causa del quale un imbianchino, un certo Adolf Hitler, diede vita alla più spietata dittatura mai esistita dai giorni della Creazione. Giornalisti e politici, ognuno dice la sua in base alle proprie idee o posizioni del proprio partito, ma tutti sono d’accordo nell’affermare che “il risultato del voto, piaccia o non piaccia è l’espressione del popolo e come tale, in democrazia, va rispettato”. Tutto Ok, sembra non ci sia nulla da dire. Invece, per come si è svolta la campagna elettorale ci sarebbe tanto da dire. Infatti in una “vera democrazia”, quella sancita dalla Costituzione per capirci, l’elettore non va confuso e, soprattutto, durante la campagna elettorale non dovrebbe essere ammesso “il falso ideologico” che, oltre tutto, è punibile dal codice penale (artt. 476,477 e 478). Invece la campagna elettorale si è svolta con lo stile “del mercato delle vacche” dove tutto si compra a buon prezzo. Abbiamo assistito a leader politici e candidati che promettevano falsamente di tutto pur di carpire la buona fede dell’elettore per accaparrarsi il voto. Berlusconi ha promesso il rimborso dell’IMU sulla prima casa tant’è che alcuni pensionati sociali subito si sono presentati alle Agenzie delle Entrate per richiedere il modulo di rimborso. Così di voti ne ha presi un botto e c’è mancato poco che non vincesse ancora! Ma non è tutto; ha anche promesso un condono tombale senza specificare per chi e per cosa. Bersani ha promesso un po’ di tutto e un po’ di niente. Ha perfino, vagamente, detto che avrebbe rivisto la “Gasparri” e il “conflitto d’interessi”. Grillo, ha promesso di togliere tutti i privilegi alla classe politica. D’accordo, ma quando promette la riforma del Paese non sa di cosa parla. Non sa che, ad esempio, Berlusconi & C. anche se dovessero essere sbattuti fuori dal Parlamento, continueranno a governarci almeno per altri dieci anni attraverso i suoi uomini piazzati nei posti di comando dell’amministrazione pubblica. Ad esempio, nei Ministeri, i Capi di Dipartimento, i Direttori Generali e tutto lo staff dirigenziale è occupato dai suoi fedelissimi e fino a quando non andranno in pensione, con le laute liquidazioni che si ritrovano, sono inamovibili. Altro esempio. Le Autority italiane sono nominate dai capi dei Partiti. Pertanto l’AGCOM e l’Antitrust, fino a scadenza (ma sono state appena nominate) sono dominio di Monti e Berlusconi. In queste condizioni, qualsiasi riforma verrebbe uccisa prima di nascere e quand’anche nascesse verrebbe boicottata nella pratica attuazione. Poi, nel nostro settore, ci sono i Corecom di nomina partitica. Tutte bocche da sfamare che come uccellini appena nati vorrebbero prendere il volo per dominare lo spazio politico insieme alla mamma. Infine ci sono le lobby, sempre pilotate in maggioranza da Berlusconi, pronti a minacciare crisi di mercato se non si soddisfano le loro tasche. Allora che si fa? Preso atto che ci stiamo giocando la democrazia e se ciò non è ancora avvenuto lo dobbiamo proprio a Grillo che è riuscito ad ammortizzare la rabbia dei giovani e di larga parte dei lavoratori e del ceto medio attraverso la formazione del Movimento 5 Stelle; considerata l’inesperienza “governativa” dei singoli senatori e deputati eletti nel Movimento 5 Stelle; bisognerebbe aiutarli a capire come “gira il mondo della burocrazia ministeriale e delle lobby” in modo da non farsi abbindolare (circuire) da codesti abilissimi signori veri professionisti nel farsi i cazzi propri a scapito del Paese. Scusate lo sproloquio, non lo farò mai più, mi è venuto spontaneo nella penna e mi spiace cancellarlo. Per quanto ci riguarda noi siamo a disposizione nell’interesse generale del Paese.
ll Gelato di Viola
123 mila firme in poche ore raccolte sul web da una gelataia fiorentina che vive a Venezia -Viola Tesi- ha dimostrato che qualcosa di rilevante è accaduto anche in politica, nel secolo della rete. Dopo l’informazione, la formazione, le professioni, i servizi, la pubblica amministrazione, la ricerca, la finanza, anche la politica è investita dall’ondata di disintermediazione che disarciona i giganti e premia i nani.
Un fenomeno complesso e ingovernabile, che , a poche ore dal trionfo, porta persino il Gigante a 5 stelle ad inseguire la gelataia di Venezia, imprecando contro la nanetta che si è intrufolata nel suo giardino.
E’ la rete, bellezza, verrebbe da dirgli.
La pancia conta quando è alla pancia che si parla. Ed affiora ora il vecchio richiamo solidarista ed emancipatorio di una base sociale che viene da sinistra ma trascende la sinistra- non ha votato PD, ignora Vendola, non parla con Ingroia, perché da tempo non vi vede la potenza trasformatrice della realtà. Ma quando si trova in mano le chiavi di Palazzo Chigi il primo istinto è quello di guardare da dove si è venuti.
Ma chi sono e cosa è successo?
Loro sono quello che fanno, ed è accaduto quanto doveva accadere. Ne più ne meno.
Loro, i grillini, anzi il movimento 5 Stelle, votanti e votati, sono esattamente come appaiono. Giovani, ma non giovanissimi, precari ma non disoccupati, tecnici, ma non esecutivi, impiegati, ma non placati, cattolici, ma non subalterni, laici, ma non ideologici. Soprattutto digitali, ma non smanettoni.
E’ un movimento della rete, ma non sulla rete. Per certi versi i 5 Stelle non sono molto dissimili dalle primavere arabe.
In Algeria, Tunisia, Egitto è pure sorto un movimento di protesta, composto da giovani, professionisti ed emarginati. Si disse è la rivoluzione di Facebook. In realtà, questo è il nodo che la politica tende ad esorcizzare, quel movimento, e ancora di più Grillo, non cresce perché usa la rete per parlare, ma perché usa la rete per produrre. Abbiamo di fronte un movimento che si caratterizza per un nucleo di operai del web: informatici, mediatori, broker, insegnanti, amministratori, imprenditori.
Questa è l’aristocrazia operaia di Grillo. Attorno a questo nucleo si sta raccogliendo un mosaico di ceti e figure sociali convergenti: giovanissimi irridenti, giovani ambiziosi, famiglie silenziose, anziani ignorati, lavoratori in esubero.
Il movimento si è agglutinato per condensazione, come i fenomeni tipo Occupy, dove ci si aggrega per singole convergenze, per condivisione di isolate tematiche, senza la pretesa, ne l’ambizione, di costituire una visione organica. La frammentazione sociale non permetterebbe di ripercorrere la vecchia strada del partito forte, gramsciano, che dall’astronave all’ago, assume un’unica visione del mondo. Quell’approccio è stato del tutto rimosso, insieme alle macerie del Muro di Berlino. Qui è rintracciabile una prima rilevante contraddizione di Grillo come leader: ogni volta che tenta una stretta, di imporre un metodo leninista, perde pezzi e capacità di guida nei nuovi movimenti a rete la direzione è il punto finale di una lunga coda, non la testa iniziale.
Il linguaggio connettivo è il brusio della rete che prende tono per i lavori nella rete. L’elemento unificante è l’estraneità, prima, l’ostilità, poi, per le elites: tutte le elites. In particolari quei salottini, meglio ancora quei tinelli, dove gli staff dei decisori, le figure adiacenti ai leaders, i frequentatori degli amministratori. I sobborghi del potere, più che il vero potere. I riti delle terrazze, dello scambio di privilegi, di mance di prevaricazioni.
Questa è la cultura della rete. Forse , si dirà, la cultura di ogni opposizione che contrappone ai poteri costituiti, che se ne vuole liberare.
In realtà la rete produce distanza e indifferenza, più che ostilità. Gran parte dei grillini, soprattutto i nuclei storici, in Emilia e in Piemonte ad esempio, sono figure che vivono autonomamente in circuiti professionali o formativi che non hanno nulla da chiedere alla politica per se stessi. Si tratta di ceti che vivono di competenze, specializzazioni settoriali, flessibilità nell’uso del proprio tempo, controllo delle ambizioni di consumo, versatilità nel muoversi nel paese e fra paesi.
Ragazzi che per il proprio equilibrismo fra saperi e fra condizioni, trovano mercato. La rete è la scorciatoia, che trasforma l’idea o la disponibilità in opportunità. Un ceto non reattivo alla politico, ma insofferente, proprio perché non chiede, per l’etica, e le competenze. Di fronte al combinato disposto di un degrado morale e di una palese incapacità scatta la contrapposizione: si può fare meglio, si deve fare bene.
Qui si crea un cuneo che scompone la base sociale delle due forze tradizionali: che scava nel mondo del lavoro, e distoglie il mondo delle proprietà. Si crea un popolo della comunicazione, che conscio del proprio isolamento , ma anche della propria abilità, e del proprio tempo, investe in relazioni: si clicca per condividere la propria riprovazione che diventa rabbia e poi sfida.
Proviamoci è lo slogan. La grande prova , non a caso, è nei feudi: l’Emilia rossa, il Veneto verde, la Sicilia azzurra.
Il territorio produce il salto di qualità, ma comporta anche le prime contraddizioni. Come spiega il saggio della direttrice dell’istituto Cattaneo, Elisa Gualmini, Il Partito di Grillo, sono state le elezioni amministrative del 2010 ha dare la consapevolezza che la sfida era vincente: Parma, ma soprattutto Budrio.
Nel paese rosso al 70%, i grillini , mail dopo mail, forum dopo forum, “I like” dopo “I like”, censiscono le forze e mettono in rete i mestieri che non corrispondono alla rappresentatività della sinistra: informatici, consulenti, cottimisti delle filiere di arredamento e ceramiche. Arriviamo per la prima volta a voti in doppia cifra.
Reddito di cittadinanza, connettività, energie rinnovabili, KmZero, diffidenza per l’Europa. E’ il programma di una community da maso digitale. Il lavoro è ormai un dato anagrafico da risarcire, non da organizzare: non il conflitto ma l’indennità per la disoccupazione.
L’unico incaglio al momento sono proprio le amministrazioni locali. Le prime esperienze segnano alti e bassi. E trovano, sul territorio un’unica resistenza, la Lega di Maroni. I dati elettorali, soprattutto in Lombardia vedono, straordinariamente, la Lega non solo sopravvivere dopo il bombardamento dei mesi scorsi, ma addirittura trovare una via per un nuovo radicamento. Nelle regionali Lombarde, fra lista ufficiale della Lega e Lista civica Marroni vediamo che il bottino elettorale dei lombardi è incrementato addirittura, spalmandosi sul territorio, in maniera proporzionale al tessuto produttivo.
La debolezza nelle grandi città- la lega è sopravanzata dal PD in tutti i capoluoghi provinciali della Lombardia, e vince in tutte le provincie- indicherebbe un carattere arretrato del voto leghista. In realtà nelle città ormai risiedono elites e ceti amministrativi e commerciali, mentre si snodano nel territorio extra urbano le filiere produttive e della ricerca applicata.
La lega si è nutrita di un tessuto sociale straordinariamente americano. Grillo invece si è aperto un varco nella giungla metropolitana, insidiando per la Lega anche nelle campagne industriali.
Andremo ad un conflitto finale o si ipotizza un colpo di scena fra i barbari sognati e i sognatori cittadini? Questo è il vero interrogativo che la sinistra dovrebbe porsi: impedire la convergenza di una Lega senza Berlusconi e un grillismo amministrativo.
In questo quadro la televisione è usata da grillo come carica al contrario: meno la vedi meglio stai, meno ci sei più comunichi, meno ti fai coinvolgere , più sei popolare. Grillo cavalca un trend storico: la TV come disvalore, così come ogni consumo di massa, tanto più se legato alla spesa pubblica, come la TV, è un disvalore.
Il trionfo arriva quando la lontananza dalla TV diventa incubo per la TV, che comincia a cercarti ossessivamente, parlando di te, senza te. Tanto più che avendo solo una bandiera popolare, il rifiuto dei politici, e tanti programmi settoriali, non declinabili in TV- energie, agricoltura, lavori digitali, No Tav, ambiente- la rete e’ il catalogo ideale per dare ad ognuno il programma on demand.
Anzi la TV diventa l’uniforme della politica, l’emblema del regime: Vespa, ma anche Santoro, con il loro sovraesporsi ai partiti diventano i bersagli più facili da inquadrare: non ci vengo perché sei il nemico.
In questo quadro da catalizzatore dei movimenti, che trovano un provider che li porta alle soglie del potere, si aggiunge l’effetto Monti. Con il Governo tecnico, Grillo estende il suo marketing: diritti e qualità della vita, ma anche fisco e sviluppo. Dobbiamo parlare alla pancia di una maggioranza silenziosa orfana e disgustata da Berlusconi.
In poche settimane Grillo diventa “neo cons” : assume un carattere da anarco – conservatore, all’americana. La rete in questo lo aiuta ancora: la natura individualista, competitiva, anti statalista, comunitaria, cooperativa, ma non solidarista, diventa un ambiente coerente per ibridare la cultura di una movimento nato a sinistra ma diventato digitalmente populista, tout court.
Si verifica in politica quanto è già in atto in altri segmenti sociali. Nell’informazione i grillini sono l’enorme proletariato digitale dell’informazione senza contratti né testate, che chiedono connettività, copy-left e ricerca. Lo stesso vale nelle professioni, nei saperi, nell’assistenza, nel commercio: un’ondata di auto-imprenditori che incalzano i titolari di ogni funzione chiedendo di condividerla. Il grillisom è la fase supresa del networking, per parafrasare Lenin.
Non si aggredisce, ne comprende il fenomeno, se non si decifra il processo di riconfigurazione di ogni verticalità fordista in una nuova orizzontalità a rete.
Il combinato disposto di un’anima di equo sostenibilità di sinistra, con un’aggressività di individualismo competitivo di destra porta grillo ad un nuovo interclassismo digitale, che gli permette , unico sul mercato politico, di parlare i nativi digitali, e tramite loro, di trainare l’attenzione delle generazioni emancipate. E di dettare l’agenda politica.
La dinamica della campagna elettorale lo ha dimostrato.
Il sito http://www.twazzup.com/?q=giannino&l=it che misura le citazioni e la tracciabilità dell’attenzione della comunità di twitter per singoli soggetti, traducendoli in TPH ( tweets per ogni ora) il 18 febbraio dava questa classifica dei contendenti alle elezioni.
grillo 1128
giannino 898
berlusconi 811
monti 703
bersani 474
ingroia 94
vendola 53
Il dato risentiva, ovviamente, delle perturbazioni del giorno. E quel giorno Grillo aveva lanciato la sua ennesima provocatoria sfida al sistema e Giannino invece stava incubando la bomba Zingales.
Ma strisciando l’insieme dei dati nelle settimane precedenti, si notava come in quasi ogni giorno della campagna elettorale si era consumata una perturbazione che aveva fatto impennare i dati delle citazioni in rete per le liste dei grillini .
Un’attenzione che si gonfiava nelle piazze più che nelle arene televisive e si depositava nella rete. Un fenomeno di curiosità di tipo “serendipico”, ossia di ricerca di cose nuove senza sapere bene cosa che si concludeva sempre con il piacere di essere stupiti da quello che si trovava attorno a Grillo. Un’ansia di nuovo che addirittura tracimava oltre i confini dei 5 stelle, arrivando ad investire anche soggetti in qualche modo affini, nella loro eccentricità, come il movimento di Giannino.
Con alti e bassi, il pendolo “serendipico”, in una relazione di causa ed effetto veniva sempre attratto dalla capacità di Grillo, e in subordine di Giannino e ,infine, dello stesso Berlusconi, di determinare la cosi detta agenda – setting del dibattito elettorale. Mentre rimanevano inerti, sostanzialmente marginali, personaggi tutti da salotto televisivo, come Vendola e Ingroia, o schiacciati nel ruolo di bersaglio come Monti e, in mezzo come snodo fra le due realtà-quella dinamica di Grillo, innanzitutto, Giannino e Berlusconi e quella inerte di Vendola, Ingroia e Monti – la macchina da guerra di Bersani.
Nell’ultima settimana ha preso forma lo tsunami. E il gruppo si sgrana con un gerarchia che poi sarà , nei suoi trend premianti, riprodotta dal voto.
Bersani, che aveva registrato nell’arco del mese precedente una media TPH attorno a 300, con l’ultimo rush finale propagandistico non sfonda il muro delle 500 citazioni medie per ogni ora della giornata. Vendola e Ingroia, non si fuoriescono dalla gabbia di quota 100, e Monti, che pure aveva un valore doppio di Vendola , attorno a 230,non supera mai le 350 citazioni.
Grillo invece, che pure all’inizio della campagna elettorale aveva un valore non dissimile da Bersani- 300/350 TPH- si impenna prepotentemente ,e supera con forza, nel corso delle 24 ore di ogni giorno dell’ultima settimana preelettorale, quota 600, arrampicandosi, nelle ultime, decisive,36 ore sul tetto delle 2.000 citazioni per ora.
Il 23 febbraio, il giorno prima del voto, e dopo la manifestazione di Piazza S. Giovanni, è il momento di svolta, che tutti i sondaggisti concordano nel ritenere decisivo per orientare le due paludi che incombevano sul risultato: gli indecisi e i potenziali astenuti.
Grillo trova un canale forte di comunicazione con i due universi di voto inespresso. In particolare appare visibile la dinamica , nell’ultima settimana che porta a concentrarsi su Grillo l’attenzione dell’area di simpatizzanti ex PD , in maniera decisamente più marcata rispetto a quella di provenienza PDL, che pure all’inizio della campagna aveva costituito lo zoccolo duro del consenso alle liste 5 Stelle.
La tracciabilità di questo processo in rete conferma che ormai l’opinione pubblica reale non si discosta dall’opinione media della rete. Soprattutto l’indice di socialità, cioè di circolarità della relazione, calcolabile con i grafi che misurano l’interattività della comunicazione che si realizza negli spazi web. Più i flussi di comunicazione sono interattivi, producono cioè un dialogo multipolare, più le opinioni che vi si formano hanno un valore universale. Grillo ha raccolto vision, protesta e proposte, e le ha trasformate in un flusso circolare di reciprocità. Chi ha concepito questo disegno ha studiato molto da vicino il fenomeno Obama, arrivando ad applicare la regola David Axelrod, il consulente del presidente americano, che in Italia non si è ripetuto con il suo sodalizio con Monti, secondo il quale Obama vince non perché usa la rete per parlare con i suoi elettori, per questo c’è la TV, Obama vince perché fa parlare i suoi elettori fra di loro.
E questo lo ha scoperto anche la gelataia di Venezia.
E ora inizia un’altra storia, sulla rete.
Cara Viola di Firenze
di Vittorio Bertola (capogruppo del M5S al consiglio comunale di Torino)
Cara Viola di Firenze,
ti ringrazio per la tua petizione che il giornale di De Benedetti ha prontamente provveduto a rilanciare nel titolo di apertura in prima pagina, come fa regolarmente con tutte le petizioni di tutti i ventiquattrenni d’Italia.
Tu chiedi al Movimento 5 Stelle di sostenere un governo che faccia una decina di cose: la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, il reddito di cittadinanza, la cancellazione dei rimborsi elettorali… Noi le condividiamo, dunque se venissero presentate in Parlamento, seriamente e senza trucchi, le voteremmo; anzi le presenteremmo noi per primi.
Il problema, però, è che non le condivide Bersani. Ti ricordi quando gridava (vabbe’, dai: rantolava) che il reddito di cittadinanza era una promessa populista e insostenibile? E che i rimborsi elettorali sono essenziali per la democrazia? E la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, perché non le ha fatte quando governava?
Secondo te, veramente il PD dopo le elezioni ha avuto una crisi di coscienza ed è diventato buono, e ha deciso che improvvisamente voleva aiutare i “grillini” a realizzare il loro programma di stravolgimento dell’Italia, andando contro gli interessi che lo sostengono da anni? Per crederci, bisogna essere veramente ingenui o molto piddini.
Se per il Paese è necessario un governo che porti avanti il programma del M5S, una strada c’è: far fare il governo al M5S, e che siano gli altri a dargli fiducia. Ma se questa strada ti pare eccessiva, ce n’è ancora un’altra: un governo di persone super partes (ma veramente, non come Monti & c.) che si proponga con quel programma lì. Ma persino se dovessero fare il governo PD-PDL con relativa fiducia, basta che proponga quelle cose lì e noi le voteremo: non è che perché fanno il governo col PDL allora non possono più portare avanti questi punti, se veramente li vogliono fare.
Quello che non puoi pensare, invece, è che il Movimento 5 Stelle possa promuovere la nascita di un governo di Bersani e di Monti (son già talmente alleati che manco c’è bisogno di dirlo), con ministri tipo Enrico Letta e Rosy Bindi, per poi magari vedere questo governo far passare ogni genere di porcata senza nemmeno transitare dal Parlamento, a botte di decreti e di sottogoverno, costringendoci nel frattempo a tenerlo vivo per completare riforme che “casualmente” si impantanerebbero esattamente come si sono impantanati il taglio degli stipendi dei parlamentari e l’abolizione delle province durante il precedente governo Monti-Bersani.
Quindi ti ringrazio per la tua proposta e ti rassicuro che noi la porteremo avanti senz’altro, ma che non siamo così ingenui da pensare che improvvisamente gli stessi che hanno rovinato l’Italia muoiano dalla voglia di cambiarla. E per favore, dì a Pierlu Smacchiagiaguari che la smetta di dire “venite a dirmelo in Parlamento” e di rivolgersi direttamente ai nostri neoparlamentari cercando di convincerli a votare la fiducia (magari in cambio di un ministero), che magari il pirla che ci casca lo trova pure, ma in generale come tentativo di spaccarci è piuttosto patetico.
Con stima,
Vittorio
Grillo non tiri troppo la corda, anche se ha fatto bene a tirarla sin qui
di Arnaldo De Porti
Beppe Grillo ha vinto una grande battaglia: ha rotto una forma-mentis politica che gli Italiani non digerivano più.
Lo scossone elettorale ne è la prova più provata; e di questo, senza dubbio, è necessario riconoscergli il merito, indipendentemente dalla metodologia, non sempre democratica, da lui adottata per arrivare a detto risultato.
Ma di questa metodologia non c’è da incolparlo più di tanto se si considera che altri, a mio avviso in maniera disonesta e dolosa, hanno messo in atto una sorta di voto di scambio promettendo la restituzione dell’IMU.
Ma se quest’ultimo fatto ha tolto, quasi per punizione, oltre sei milioni di voti a chi l’ha messa in atto, io suggerirei oggi a Grillo di non tirare oltre la corda se non vuole che essa si trasformi in un cappio al collo. Con le conseguenze che ne deriverebbero.
Gli Italiani infatti hanno capito che egli è democratico in maniera contraddittoria: da una parte lo è quando dialoga con l’elettorato col supporto web, dall’altra è antidemocratico quando non consente ai suoi di adoperare il simbolo. Ergo,. democratico “ad libitum”.
Ora Grillo sembra scagliarsi contro Bersani e quest’ultimo gli risponde di dire ciò che vuole, ma in parlamento.
Stando così le cose, e cioè ove nessuno parli con nessuno, e Grillo pensi di entrare in parlamento per fare la bella statuina, allora non v’è dubbio alcuno che l’Italia sprofonderebbe nel caos. Con conseguenze ben immaginabili, ivi compresa l’ipotesi che detta corda non debba necessariamente stringersi strettamente al collo dell’ex-comico. E questa volta senza rompersi davvero.
Il fatto che, pochi minuti fa, la Germania abbia detto che oggi l’Italia è nelle mani di due clown, non promette bene.
La vittoria di Grillo
È certamente il vincitore assoluto delle elezioni politiche 2013. Anche se è Grillo quello che più di tutti dovrà cambiare pelle nei prossimi mesi per non far evaporare il proprio successo.
Una lista che neppure esisteva nel 2008 è il primo partito del Paese: lo tsunami capace di portare un’intera classe dirigente, un sistema di potere al capolinea. Si salva Silvio Berlusconi, anche se, però, anche per lui si pone da tempo il problema difficile di come uscire da un gioco logorante senza pagarne le conseguenze.
Un successo straordinario che potrebbe cambiare la faccia della politica in Italia. E in Europa.
I motivi del successo sono evidenti: la fiducia in chi ha governato questo Paese negli ultimi vent’anni (per dieci il centro destra, sette il centro sinistra e tre di governi tecnici) è bassissima. Del resto l’Italia in questo periodo si è completamente fermata, come stabiliscono i dati sulla crescita economica che vedono il nostro Paese al penultimo posto nel Mondo. Ma soprattutto negli ultimi mesi, Bersani e Monti hanno ignorato la questione decisiva: quella di unpatto tra Stato e cittadino che non funziona più da tempo e che Grillo e Berlusconi hanno cavalcato, in assenza di una proposta complessiva da parte dei concorrenti più accreditati
L’accusa più frequente, quella di non possedere competenze si è poi trasformata in un micidiale boomerang per chi sul piano della conoscenza dei problemi ha spesso miseramente fallito.
Bisogna, infine, riconoscere a Grillo una formidabile strategia comunicativa: la campagna elettorale ha premiato o chi utilizza solo la televisione (Berlusconi) oppure chi la evita totalmente e usa solo la rete e le piazze.
In questo vuoto di idee, comprensibilità e credibilità, il Movimento 5 Stelle ha costruito il suo successo. A questo punto esiste persino una base sociale costituita – come dimostra un recente studio del think tank britannico Demos che ha valutato la possibilità che il fenomeno si ripeta altrove – da persone con livelli di scolarità più elevata della media e che, però, sono più frequentemente colpiti dalla disoccupazione. Educati ed esclusi: il prototipo di quello che potrebbe essere non solo un elettorato ma una classe rivoluzionaria, come direbbe, forse, Casaleggio.
I rischi e i limiti del movimento sono chiari: un leader geniale (proprio come lo è stato Berlusconi) e nessuna classe dirigente (come dimostravano gli interventi del comizio finale a Piazza San Giovanni). Nel vuoto di governabilità, il movimento dovrà adesso rimanere compatto, diventare squadra, dimostrare di poter anche risolvere problemi giganteschi. Governerà per i prossimi vent’anni chi unirà conoscenza e capacità di coinvolgere; chi sarà capace di portare l’agenda del cambiamento profondo anche in Europa.
Non è detto che sarà Beppe Grillo il leader capace di vincere la sfida finale. Certamente lui innesca da oggi una trasformazione che nessuno potrà fermare con qualche aggiustamento marginale.
Articolo pubblicato su Il Messaggero del 26 Febbraio