Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Berlusconi tiene in ostaggio la governabilità

 di Arnaldo De Porti

Il titolo racchiude in maniera esaustiva ciò che voglio dire,  ma certe considerazioni, dette e ridette, trite e ritrite,  vanno ripetute ad un popolo, come gli Italiani, i quali, hanno dimostrato fin troppo spesso di dimenticare, vuoi perché la politica concepita appunto all’italiana li ha esasperati, vuoi perché problemi prioritari importanti come quello di assicurarsi la sopravvivenza li hanno distolti da questo importante aspetto civico, quale la partecipazione alle sorti del paese, trasformando la democrazia rappresentativa in una sorta di oligarchia di un padrone delle ferriere: il  recente comizio tenuto a Bari da parte di questo “padrone” ne è stato una delle più lapalissiane e miserabili conferme. Mi vien da pensare che i mass-media di opposizione, in particolare Rai News 24, abbiano voluto proporre in toto la diretta televisiva allo scopo di far vedere e soprattutto far esprimere agli Italiani uno sconcertante giudizio riveniente dalle elucubrazioni indecenti di Berlusconi, stile Mussolini all’Arengario di Milano, ove il Duce teneva le oceaniche adunanze fasciste. Insomma, sistemi da baraccone.  Nessuna differenza di stile a mio avviso, fatta eccezione per le moderne tecnologie di riproduzione dell’…adunata, i cui presenti pare siano stati anche pagati per partecipare. Gli Italiani si ricordano quando Mussolini faceva spostare gli aerei da una base all’altra per far vedere che la flotta era immensa…mentre gli aerei erano sempre quei pochi ?. Stessa cosa per Bari, in termini di persone.

Per Grillo, al di la della sua, se vuoi anche civilmente inaccettabile dialettica che lambisce e supera le modalità democratiche, propone cose serie e gradite agli Italiani che peraltro, pur votandolo, non sono in grado di recepire a sufficienza che i suoi “adepti” sono a livello…pubertà politica, quindi privi di esperienza e di capacità. Con la sola, non trascurabile differenza che, da parte Berlusconi, l’obiettivo primario è la salvaguardia dei suoi personali interessi, mentre per Grillo esiste davvero una finalità sociale, volta da ripristinare un minimo di dignità e di benessere a tutti, eliminando che la forbice fra ricchi e poveri abbia ad aprirsi ulteriormente. Oggi siamo arrivati al punto che persino alcuni esponenti clericali sono costretti ad affermare che rubare per la sopravvivenza è un diritto naturale… (V. quotidiano La NUOVA VENEZIA di aprile 2013)  Realtà che è stata bocciata anche di recente dagli inglesi, post-mortem della  Thatcher ? Che hanno fischiato al feretro ?

Quando mai avremmo immaginato che  persino la Chiesa si spingesse a tanto ? Di chi la colpa se non di una politica iperliberista che ha affondato il sociale fino ad aprire un possibile panorama di grave conflittualità socio-politica per il caso che il berlusconismo, vero cancro di questo ventennio, non abbia a sparire  definitivamente alla crosta terrestre ?

Siamo in un epoca difficile, di cui sembra che quasi tutto vada messo in discussione per sopravvivere ed i nostri politici stanno lì a cincischiare solo perché non sono capaci di una reazione forte, determinata, che estirpi il male dalla radice ?

Realtà che gli Italiani ancora non hanno afferrato per le corna. A cominciare, purtroppo, dal Presidente della Repubblica che, per eccesso di saggezza costituzionale, ha preferito passar la palla ai saggi che, a loro volta, ora la passeranno ad altri ?

 

Non avrei alcuna remora ad affermare che oggi una buona ricetta per l’Italia sarebbe Prodi come Capo dello Stato e Bersani come capo del governo. Del resto, lo dico agli Italiani “dimenticoni”, Prodi a suo tempo aveva dimostrato di saperci fare, diminuendo il debito pubblico, l’inflazione e stabilizzando il potere di acquisto: Oggi, è tutto al contrario.

Non ci resta che piangere

 
Forse a Roma l’aria condizionata non funzionava, fatto sta, che tra Luglio ed Agosto 2011, qualcuno ebbe il coraggio di nominare Einaudi. L’aria condizionata invece funzionava benissimo; quel barlume di ritorno alla ragione, di speranza, era causato dalla paura. La paura prendeva il nome di spread che veniva iconizzato come il boia alla ghigliottina con noi in ginocchio. Si, in ginocchio, perche’ in ginocchio lo era e lo e’ il paese.
Il tentativo di divincolarsi dalla morte fu affidato a Monti che, con pratiche medioevali, ha curato l’Italia per sanguinamento: lacerandola prima per poi lasciarla morire, sia economicamente sia fisicamente. Gli impiccati abbiamo smesso ormai di contarli, e Massimo Del Papa nel libro In Questo Stato, fa una descrizione cruda, quanto vera, di quello che e’ significato realmente per il paese la cura Monti. Un costo enorme, dettato non da un’ispirazione ideologica (quella sarebbe almeno comprensibile anche se non condivisibile) bensi’ da un’ispirazione preservatrice dello status quo che e’ ormai insostenibile.
 
Il trascorso anno e mezzo ha visto l’Italia annaspare nelle paludi delle politiche economiche nocive, mentre le istituzioni sono oggetto di contesa e/o distruzione da parte di chi dovrebbe garantirle. Questa ressa – io la chiamo teatrino della politica – provoca la deviazione dell’attenzione e la sua focalizzazione su problemi in realta’ inesistenti e/o secondari.
I dibattiti sono su argomenti piu’ disparati: Enrico Letta, il PD, evocavano gli Stati uniti d’Europa ed Eurobond quando lo spread era sopra 450, sotto quella soglia non se ne parla piu’; la legge elettorale andava cambiata senza che nessuno dicesse come; le liberalizzazioni, che in una sorta di orgia di numeri senza senso tutti le davano, prese singolarmente, come contributrici alla crescita del PIL del 2%, cosicche’ potevi fare come quando vai al supermercato: due liberalizzazioni al prezzo di una e il PIL fa il 5% in 5 anni.
 
Lo scopo, quello del vecchio parlamento, soprattutto quello del PD, era di arrivare alle elezioni. A votare ci siamo arrivati con di tanto in tanto qualcuno che ci ricordava del boia, costringendoci quindi a genufletterci a qualsiasi soppruso che prendeva il nome di politica economica.
Il PD voleva arrivare al voto con lo status quo preservato, davano Berlusconi morto e Grillo come uno spauracchio da 15%. Avrebbero dominato, nella loro testa a Natale stavano gia’ pensando ai ministri. Ad un mese dalle elezioni, incontrai a Londra, negli studi di un broker, Maurizio Cotta; spacciava per sicuro un Governo PD-Monti. C’erano Hedge Fund, Gestori, e in uno scambio abbastanza animato gli dissi che secondo me un’alleanza non avrebbe retto a lungo e che si sarebbe tornati a votare entro un anno e che veniva troppo sottostimato Grillo mentre non venivano fatti i conti con una legge elettorale che garantiva l’ingovernabilita’ cosi’ come la garantiva il Mattarellum. I fatti hanno dimostrato che avevo ragione: il malessere del paese, il cancro che lo sta uccidendo, hanno prodotto un parlamento ingestibile che fara’, giocoforza, affidamento su un governo PD che dovra’ pettinare Monti mentre smacchia Berlusconi.
 
Lo stato di caos istituzionale in cui versa l’Italia e’ palpabile. Lo stallo ha prodotto un’anomalia del tutto Italiana con la nomina di 10 saggi che, nella pratica, hanno partorito quanto segue:
 
una riforma costituzionale: via una camera perche’ altrimenti non si governa;
una riforma di legge elettorale indicandone nel maggioritario corretto al proporzionale la soluzione (come il caffe’ con la Sambuca): forse il Mattarellum che tanto non funziona;
indicazioni sibilline come il miliardo per la CIG o rivedere il patto di stabilita’ interno;
che la principale emergenza e’ il lavoro: grazie dell’informazione, nessuno se ne era accorto.
 
Il caos istituzionale si riflette poi anche sui partiti dove vedi filosofi incartapecoriti teorizzare, un po’ come fanno i regimi totalitari democratici (Cina), una nuova forma di partito che dovrebbe soppiantare quelli  esistenti. Grazie ancora, abbiamo Grillo per quello, ci basta ed avanza.
 
La vera informazione e’ che questi 10 saggi sono di fatto una sorta di costituente che nessuno ha eletto, ma qualcuno ha nominato. Pero’ questa cosa passa inosservata, come se fosse irrilevante in una democrazia, quando invece non lo e’, soprattutto quando si tenta di manipolare la forma delle istituzioni. Ma veramente con due Camere non si puo’ governare? Se si, come fanno in America dove, al di la’ del presidenzialismo che riguarda l’esecutivo, c’e’ una sorta di bicameralismo perfetto come in Italia? In Italia sono 20 anni che la parola “riforme” ha una correlazione del 100% con la Costituzione: se qualcosa non va, bisogna cambiare la Costituzione. Perche’ poi bisogna sempre cambiare la Costituzione? Perche’ la Costituzione e non le leggi ordinarie che sono subordinate alla Costituzione? Veramente l’Italia non funziona per colpa della Costituzione? E’ la Costituzione da cambiare o i politici e la politica economica? E’ il cavallo che non e’ vincente o il fantino incompetente?
 
La volontaria deviazione dell’attenzione dal caos istituzionale ad altre questioni che in alcuni casi rasentano la farsa e’ sotto gli occhi di tutti, ma vengono fatte passare per vittorie e segno di civilta’. Pensate ai debiti dalla pubblica amministrazione e la restituzione di 40 miliardi alle imprese: ammesso e non concesso che glieli ridiano questi soldi, essi rappresentano solo il 40% dei debiti che sono circa 100 miliardi. La realta’ e’ che l’Italia e’ in default bello e buono in quanto restituisce il 40% (per di piu’ finanziato con ulteriore emissione di BTP) mentre ristruttura il rimanente 60%.
La disinformazione generale porta poi a dire bestemmie del tipo: ma lo spread e’ sceso grazie a Monti che ci fa risparmiare. In primis lo spread e’ sceso grazie a Draghi (Monti ha forse contribuito in misura marginale), in secondo luogo i titoli vengono emessi a tasso fisso e le variazioni dei tassi si riflettono sui prezzi e non sugli interessi per il debito emesso, mentre si riflette sugli interessi solo sul debito di nuova emissione. Anche qui, la vera informazione sta sul fatto che, per via dello spread, abbiamo rifinanziato il debito riducendone la scadenza media (come se rifinanziate un mutuo da 20 anni a 15 anni) rinviando un problema di liquidita’ ad una data da stabilirsi.
I numeri dei prossimi tre anni sono lievitati a cifre da capogiro secondo quanto riportato da Bloomberg:
 
Nel 2013 dovremo rifinanziare 257 miliardi e pagarne 37 di interessi
Nel 2014 dovremo rifinanziarne 222 di milardi e pagarne 52 di interessi
Nel 2015  dovremo rifinanziare 186 milardi e pagarne 48 di interessi
 
Il problema in Italia in realta’ e’ chi Monti rappresentava e rappresenta: una classe dirigente che e’ completamente incapace o cerca semplicemente di conservare lo stato di fatto delle cose. Una classe politica che, a fronte di uscite che saranno sempre piu’ impellenti, fara’ ricorso a nuove tasse e nuovo debito. La mia non e’ fantasia, basta leggere, cercare, ascoltare. Fassina (PD) sostiene che per quest’anno ci vuole una manovra da 8 miliardi, e siamo ancora ad Aprile. Il Ministero delle Finanze dice che ne serve una da 20 miliardi tra il 2015 e il 2017 (gia’ pensano a tartassarvi nel futuro rispolverando i piani quinquennali), aggiungendo che che se non lasciano l’IMU ne servono 60 di miliardi, cioe’ una manovra Amato maggiorata del 20% tanto per tenere conto dell’inflazione. Fatevi una risata sul “se non lasciano l’IMU” perche’ le tasse in italia sono perpetue, e che serviranno 60 miliardi, con o senza IMU, ce ne accorgeremo.
Ma tutti questi soldi a cosa servono? Le tasse e la spesa pubblica sono due facce della stessa medaglia. Se non riduco la spesa le tasse restano uguali o aumentano. Se non riduco le tasse perche’ la spesa resta uguale e ugualmente ripartita, che riforme ho fatto? Nessuna. Ed ecco che il capro espiatorio diventa la Costituzione
 
Ma tagliare la spesa per tagliare le tasse e rivisitare il sistema fiscale in Italia e’ un miraggio. A sinistra associano “spesa” alla sola voce “stato sociale” e quindi immodificabile per definizione, mentre eventuali risparmi da tagli di spese indicate come possibili (vedi F35) verrebbero immediatamente girati a qualcun’altro con gli interessi. A destra non fa tanta differenza perche’ spesa pubblica in Italia significa anche finanziamento pubblico a fondo perduto ad una serie di lobbies imprenditoriali (abbiamo rottamato anche gli spazzolini da denti in Italia) che ha consentito il proliferare di industrie inefficenti che hanno drenato l’economia da risorse. Della riduzione delle tasse ne hanno parlato, 5 minuti in campagna elettorale, poi finito lo spettacolo, i musicanti ci tornano a suonare. Perche’? Perche’ lo staus quo e’ ormai insostenibile senza ulteriori salassi. Se la pressione fiscale e’ sopra il 50% significa che la popolazione intera e’ narcotizzata, ci facciamo tutti, siamo tutti tossicodipendenti, tossicodipendenza dallo Stato. E’ tossicodipendente chi non capisce la domanda “si ridurrebbe la pensione di 32000 euro al mese?”. E’ tossicodipendente chi dice che 2 miliardi di euro l’anno spesi per la politica sono ragionevoli. Amato e Dini sono chiaramente da comunita’ di recupero non da nomina alla Presidenza dello Stato. Ma e’ tossicodipendente anche il sindacato che vive in simbiosi con l’impresa non piu’ efficente che viene finanziata in ogni modo: lo Stato, o chi per lui, compra quello che produce oppure si fa una rottamazione; cosi’ la droga Stato passa prima nell’impresa e poi sui lavoratori. Ovviamente a chi non ancora tossicodipendente si toglie l’ossigeno con le tasse al punto da metterli in condizioni di richiedere anch’essi una dose di Stato, ed ecco che tutti, chi piu’ chi meno, ci facciamo di Stato. 
 
Per far ripartire l’economia il peso del fisco andrebbe ridotto con la spesa, rivedendo sia il sistema fiscale sia quello redistributivo. Al sistema fiscale non basta togliere i cerotti messi dai vecchi governi, il fisco va razionalizzato, va reso semplice quanto certo e facilmente accertabile. La razionalizzazione della spesa dovrebbe avvenire con tagli e redistribuzione a favore della scuola, sanita’ e dello sviluppo di infrastrutture che dovevano essere gia’ in piedi piu’ di un decennio fa. Come dice la Costituzione, lo Stato deve essere sociale (non assistenziale) e deve esserlo in un’economia libera di cui ne e’ promotore. In Italia invece la libera economia l’hanno soppressa investendo sulla conservazione, sulle inefficenze, sulle logiche di rendite di posizione. Siamo un paese che non investe in niente da 30 anni. Non investiamo piu’ neanche sulla scuola e un paese che non investe sulla scuola e’ un paese che non investe sulle future generazioni e quindi sul futuro del paese. E’ come il padre di famiglia che piuttosto che sfamare i propri figli pensa alla propria pancia lasciando i figli affamati, ignoranti, impoveriti e condannati ad un tenore di vita inferiore a quello proprio. Quale figlio avrebbe rispetto di questi genitori? Quale popolo puo’ avere rispetto per questi governanti?
 
E noi, invece di licenziare questi padreterni, siamo qui a vederli come speranza per il paese. Violante, uno dei saggi, D’Alema che sembra ricucire gli strappi interni del PD come uno al capo del partito, Prodi, Bersani, Rodota’, Amato. Tutti papabili come Presidente della Repubblica e nessuno sembra ricordarsi che questa gente e’ dagli anni ‘90 che parla di riforme. La Bicamerale del ‘97 con gli accordi sottobanco e le spartizioni di torta che prendevano le forme di crostate sono storia, confessata da Violante ai cittadini con un intervento alla camera qualche anno dopo. Quando ripenso all’estate 2011 ripenso ad Einaudi e la sua strumentalizzazione, ma ripenso anche al FATE PRESTO scritto a caratteri cubitali, tanto di effetto che ancora oggi qualcuno lo usa per dare enfasi all’urgenza.
 
Oggi, Aprile 2013, se l’ugenza la si vuole risolvere con chi e’ dal ’97 che parla di urgenza, con Berlusconi o con Grillo, allora ogni volta che sento qualcuno che dice di fare presto o che non c’e’ piu’ tempo, mi viene in mente Troisi in Non ci resta che piangere: “mo’ me lo segno”.

Il ministro Barca di salvataggio

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Arriva in soccorso del Partito Democratico il ministro Barca.

Propone una nuova strada da percorrere nel rinnovamento e nell’innovazione dei partiti.

Su tutte aborra il catoblepismo neologismo usato per primo da Raffaele Mattioli nel 1962 che usato oggi vuol dire denunciare la commistione indegna tra lo Stato ed i partiti.

La cognizione di causa di cui è piena la sua relazione mette in risalto una dichiarazione che, su tutte, primeggia: “basta ipocrisie, siamo di sinistra”.

Sdogana, cioè in un colpo solo, elementi spuri che hanno assortito una invenzione ipocrita ed ignava confezionando ciò che il PD oggi è. Basta con emulsioni impossibili, egli vuole un partito che sia di sinistra e non di centrosinistra.

E’ una vera e propria Barca di salvataggio offerta al Partito democratico che affonda e con lui il suo elettorato.

Qualcosa di innovativo dunque bolle in pentola seriamente ed era ora.

La presa di posizione del ministro Barca sembra veramente una cosa seria e soprattutto nuova. Staremo a sentire e vedere con molta attenzione agli sviluppi.

Il Ministro Barca entra ufficialmente nel Partito Democratico. Un fatto importante

 di Massimo Preziuso
 
L’ingresso ufficiale del migliore ministro del governo Monti – Fabrizio Barca – nel Partito Democratico a guida Bersani è un fatto importante.
 
Dice – prima di tutto – che il PD è fin dalla nascita il luogo più completo di elaborazione politica del Paese.
 
Un Partito che deve rapidamente aprirsi – a cominciare da un congresso “aperto” – al confronto con la società tutta.
 
E’ l’ultima chance questa per fare del PD il motore della rinascita italiana. Prima della fine assoluta.

Innovazione “sociale”

 

di Giuseppina Bonaviri

L’Innovazione sociale passa da molti contesti: dalle condizioni di lavoro all’istruzione, dallo sviluppo della comunità alla salute ampliando e rafforzando la qualità di vita della gente comune. Si possono intendere, allora, quali processi sociali di innovazione (fatti dal lavoro di semplici persone in grado di creare valore diretto e indiretto) i metodi e le tecniche open source o le innovazioni che abbiano uno scopo sociale diffuso come il microcredito o la formazione a distanza. Il concetto espresso si incrocia con l’innovazione delle politiche e della governance pubblica ma riguarda essenzialmente ambiti di cui i governi non si fanno carico nascendo, invece, dalla comunità e ritornando alla comunità. In un contesto di crisi come l’attuale tutti i soggetti possono guardare all’innovazione sociale “per poter fare meglio e a un costo inferiore quello che facevano prima”.

La Social Innovation come anche un hub, che stanno vivacizzando il dibattito italiano, ne sono chiari esempi. Quando si presta attenzione alle persone oltre che ai processi si entra nella realtà e nel quotidiano restituendo alla comunità tutta la ricchezza di saperi e di esperienze che la hanno caratterizzata negli anni. Da qui la scelta di addentrarsi in quell’incubatore di sviluppo sociale rivolto ai giovani, ai disoccupati o a chi si trova in una situazione di instabilità lavorativa per sviluppare progetti di inclusione, di nuovo sviluppo imprenditoriale, tecnologico, occupazionale e di sostenibilità. Questo processo diviene metafora della grande comunità sociale in cui ciascuno, con le sue competenze e caratteristiche uniche, può trovare delle occasioni di esplorazione interna. Uno strumento di sviluppo di comunità, gruppi e organizzazioni.

Il governo ha inserito, recentemente, nel decreto sviluppo il pacchetto di misure “crescita 2.0” che apre la porte a varie possibilità ed opportunità per definire le startup ed incentivarle sulle piattaforme online di crowdfunding così come per gli incubatori certificati. L’ecosistema delle start up laziali si aggira attualmente intorno a 90: 2 a Monterotondo, 2 a Frosinone, 2 a Fondi, 1 a Latina, 1 a Cassino, 1 a Pomezia, 1 a Ceccano, 1 a Fiumicino,1 ad Anguillara, 1 a Sonnino e tutte le rimanenti a Roma che, al momento, risulta essere la città italiana più creativa in termini di idee.

Il progetto Indigeni Digitali, assieme ad altri partner, sta lanciando in questa direzione un progetto pensato per dare la possibilità agli startupper italiani di condividere esperienze e ampliare relazioni sociali che ci fa intravedere la nascita di un vero e proprio modello italiano di startup.Allevare giovani talenti, sperando che, per contaminazione, ringiovaniscano anche le storiche grandi aziende italiane, oggi, non è un optional tanto che si susseguono, in molte città, iniziative di creazioni di spazi fisici dove ospitare gli startupper che finora avevano avuto solo occasioni per vedersi, presentarsi e fare rete (il primo ad intuire l’importanza di creare spazi reali è stato Riccardo Donadon che nella campagna alle spalle di Venezia avviò la trasformazione di casali agricoli abbandonati in moderni uffici per giovani innovatori. Una piccola Silicon Valley di Roncade).

L’esperienza del Silicon Valley e di InnovAction Lab è stata presentata dal Think-Tank di Innovatori Europei il 27 marzo scorso nella Sala delle Bandiere dell’Ufficio di Rappresentanza del Parlamento Europeo in Roma per discutere, con esperti internazionali, delle opportunità per le imprese italiane innovative di fare rete in USA e all’estero.

 

 

Gianni Pittella, innovatore europeo, forte candidato alla Segreteria del Partito Democratico

 di Massimo Preziuso
 
La candidatura di Gianni Pittella alla segreteria del Partito Democratico è una bella notizia anche per Innovatori Europei.
 
Gianni è un nostro amico da anni, oltre ad essere il massimo esponente italiano nel Parlamento Europeo e oggi forse il più apprezzato politico “meridionalista”, in Italia e nel Mondo.
 
Porterà con sé da Brussels forti competenze trasversali e passione politica in Italia e nel Partito Democratico.
 
In bocca al lupo da tutti noi per questa sua nuova bella esperienza!
 

L’Agcom e il telecomando TV

 

Scarica il ricorso  della REA

 Il Presidente della REA, Antonio Diomede, lo aveva detto “…le Autority nostrane sono da riformare profondamente o da abbattere. Sono di nomina partitica e difendono solo gli interessi delle grandi lobby. Sono incorreggibili”. E’ ancora successo ciò che si voleva dimostrare. Il Paese, le Isituzioni hanno bisogno di un grande cambiamento in senso democratico e di partecipazione dei cittadini alle scelte della vita politica e sociale. Con la delibera AGCOM 237/13/CONS, pianificazione della numerazione dei canali tv sul telecomando, Cardani e la sua squadra di commissari di nomina partitica, ha tradito le aspettative del pubblico televisivo e delle emittenti locali che si aspettavano una gestione democratica del telecomando così come aveva ordinato il Consiglio di Stato annullando la precedente delibera fondata su criteri a dir poco indecorosi come quello relativo all’assegnazione LCN in base alle graduatorie dei Corecom sui contributi di sostegno all’emittenza locale che, come sappiamo, hanno generato una gran quantità di abusi di carattere penale. Grazie alla REA, non c’è più traccia di tale criterio nella nuova delibera LCN, dunque sembra che giustizia sia stata fatta, ma così non è in quanto,  raggirando l’Ordinanza del Consiglio Stato e non tenendo in alcun conto delle  osservazioni della stragrande maggioranza dei partecipanti alla consultazione pubblica, l’AGCOM, appoggiata in fase di ricorso TAR da FRT e AERANTI, ha “cacciato” le emittenti locali storiche dalle prime posizioni del telecomando sottraendo 25 numerazioni del primo arco, dal 1 al 99, per favorire le reti nazionali e le musicali MTV e DeeJay e La7 notoriamente sostenute dalle lobby agganciate ai partiti. Dunque questa volta non si tratta più di intraprendere una nuova lotta giudiziaria, che ovviamente la REA farà, ma di un affondo anche nel campo politico per “demolire il palazzo AGOM” in tutte le sedi a cominciare dalle sedi istituzionali italiane fino alla sede Europea. Intanto proprio oggi, 5 aprile 2013, alle ore 12.12, è stato depositato il primo ricorso all’Antitrust a firma del Presidente Diomede, per capire come la pensa la sorellina di Piazza Verdi riguardo alle ricadute della delibera 237/13/CONS sul mercato. Dopo di che, la REA  proseguirà con il ricorso al TAR del Lazio per chiedere ai Magistrati un nuovo annullamento della vergognosa delibera emanata dalla società AGCOM di Cardani & C. Il testo integrale della istanza presentata dalla REA all’Antitrust su www.reasat.it

 

La Questione Val d’Agri: tra Ambiente e Petrolio

 Pozzo di petrolio dell'Eni davanti a Viggiano

di Prof. Romualdo Coviello

 La questione della tutela dell’ambiente e dello sviluppo della Val d’Agri è riemersa con forza agli onori del dibattito nazionale a seguito della contestazione dei Cittadini contro  la perforazione di nuovi pozzi di petrolio  nei pressi dell’Ospedale, o prossimi al centro urbano  (di Viggiano ); ma anche  a seguito del persistente inquinamento delle acque della diga che accumula molte migliaia di metri cubi di acqua per dissetare abitanti di vasti territori del Mezzogiorno ( Diga del Pertusillo ) ; sono state  in queste  occasioni evocate le responsabilità  delle istituzioni pubbliche regionali e nazionali    e rischia di assumere il valore di una rissa locale se non si fa una riflessione più approfondita e meno localistica.      Per questo va inquadrata in una dimensione più generale (alla pari delle altre zone socialmente calde come la TAV in Piemonte) perchè anche questa attiene agli investimenti e al comportamento di una Società a partecipazione pubblica, l”Eni , attenta e impegnata primariamente a sfruttare le risorse del territorio, con un approccio esclusivamente economico, ma con progetti che incidono sul futuro di un territorio ritenuto da organismi europei , “area di alto valore ambientale”, paesistico e culturale ,trascurando del tutto i diritti delle popolazioni locali che chiedono discutere sul proprio futuro, di considerare le questioni che toccano la vita delle comunità locali, bisognose di confrontarsi con le Istituzioni, con la Società e con il Governo.    Si tratta di affrontare anche la questione ambientale assegnata ad un Ente Pubblico Nazionale competente nella tutela ambientale e per lo sviluppo sostenibile: il Parco Nazionale dell’Appenino Lucano, il suo funzionamento è sottovalutato dai cittadini, ancora sconosciuto ai più, o tuttora pessimisti sulla qualità del suo impegno per la complessa vicenda legata alla defaticante procedura per il suo avvio.    L’allungamento dei tempi per il varo dell’Ente , va imputata ai contrasti tra Istituzioni chiamate alla delimitazione dell’area, ai conflitti tra i favorevoli al Parco che ne caldeggiavano l’approvazione , i contrari che lo ostacolavano per i pericolosi vincoli all’attività venatoria, (i cacciatori),e/o ai temuti vincoli alla urbanizzazione abusiva dei centri storici (i costruttori). Più tardi al accanito dibattito degli ambientalisti  sulla questione del conflitto tra Parco ed estrazioni petrolifere; infine per i freni degli innovatori timorosi dei limiti ai progetti per gli insediamenti i industriali (l’Agip).       Dal 1991, anno dell’approvazione della legge quadro nazionale L. n° 394, il decreto di attuazione e stato pubblicato solo nel 2007; in questo lungo periodo si è tentato invano di far decollare il nuovo Ente, condizionato fra l’altro dalla coincidenza con il periodo di crisi economica e finanziaria del Paese, ai i tagli alla spesa pubblica e alle risorse per la tutela del patrimonio ambientale, anche di quelle accantonate e poi assorbite da altre priorità dello Stato.       Invano alcuni amministratori locali e Parlamentari si battevano per dar spazio alle  scelte per uno “ sviluppo sostenibile”, e  per varare una istituzione idonea per sottoporre a verifica la compatibilità tra tutela dell’Ambiente ed estrazioni petrolifere; accreditando la Istituzione Parco quale strumento per eccellenza dotato di competenze specifiche per controllare, prevenire, limitare e sanzionare gli atti abusivi, gli inquinamenti procurati dalle nuove attività estrattive.       Erano favorevoli ed insistevano per la adozione di uno strumento a servizio dell’area e dell’ambiente lucano proprio in connessione con l’attività di lavorazione del petrolio: “tutelare gli interessi Comunitari “ sollecitandone l’avvio congiuntamente alle estrazioni petrolifere.       Quel confronto non dissipò dubbi e perplessità ideologiche; venne meno cosi nella fase di programmazione degli impianti uno strumento, dei più adeguati, a tutela degli interessi generali, sul modello del Parco del Pollino efficace nella della iniziativa congiunta  ai Comuni per contrastare la ripresa produttiva della Centrale del Mercure dell’Enel nel cuore di quell’area.       Il Parco, nato con ritardo, non ha coperto l’intero territorio dell’Alto Agri, perché la delimitazione ha tenuto specificamente fuori i pozzi per l’estrazione e le aree limitrofe; per  la pressione dell’Agip, ma anche per la debole contrattualità esercitata dalle istituzioni locali disattente nel consentire l’inserimento di alcuni siti di pregio tra le località in cui sarebbe avvenuta l’ attività estrattiva.       Il nuovo Ente, avviato in condizioni non ottimali, anche per il conflitto di interessi tra le competenze dello Stato e della Regione, ha evidenziato difficoltà politiche e organizzative, anche per il potrarsi  per più di tre anni delll’insediamento degli organi democratici di gestione.       Si trova  ancor oggi all’inizio dell’attività e sente il bisogno di perfezionare l’organizzazione per il controllo del territorio specie nel campo dell’inquinamento atmosferico, dell’acqua e del suolo, e le attività ascrivibili appunto all’estrazione e/o alla lavorazione del petrolio; e richiede l’estensione non solo alle aree limitrofe agli impianti di estrazione, ma anche alle “Aree Contigue”, per le attività inquinanti presenti sull’intero territorio.       Il tema dunque è quello di rimuovere le responsabilità e gli ostacoli posti da coloro che ritardano le autorizzazioni, rallentano ancora il funzionamento degli enti preposti alla tutela  , dell’ Osservatorio Ambientale e della rete di controllo ambientale, programmati fin dall’avvio dell’attività estrattiva.   Per la gravità della situazione, e pe le limitate realizzazioni conseguite in dieci anni di “Estrazione”, alla luce dei comportamenti e dei tempi lunghi per il funzionamento degli  Enti e degli organismi di controllo a garanzia della Comunità e della salute delle persone, le Istituzioni Locali si chiedono se sia possibile dare il consenso all’allargamento dell’estrazione petrolifera,  e se ci sono le condizioni per approvare i programmi e le proposte di ampliamento delle attività estrattive dell’Agip e di altre Società che hanno fatto richiesta di estendere la ricerca nelle aree di possibile estrazione.   Non vanno tralasciate le verifiche degli impegni assunti, della congruità delle offerte di sviluppo espresse al tempo delle prime concessioni in cui apparivano precisi impegni , né le delusioni per i limitati interventi realizzati per promuovere lo sviluppo a beneficio delle Comunità della Zona ; per allargare le opportunità occupazionali, realizzare “interventi per accompagnare lo sviluppo locale”, e le attività innovative sul territorio.       Su tale questioni sono ancora poche le conquiste per il terriorio della Val d’Agri- Lagonegrese, considerato area di eccellenza, e tutt’ora con un livello economico che ne fanno  il cuore debole della Regione.       Proprio facendo riferimento alle condizioni della Basilicata, si identificano quattro aree che costituiscono il tessuto economico : a) la Regione delle Città (Potenza e Matera); b) quella industriale (Melfese, direttrice Basentana, Tito Pisticci Ferrandina); c) quella dell’agricoltura intensiva e del turismo in sviluppo accelerato (il Metapontino); d) residuano le aree interne, vale a dire il cuore debole della regione tra cui la Val d’Agri-Lagonegrese che presenta tutt’ora notevoli arretratezze, pur essendo area di eccellenza per l’ambiente;  area dotata di preziose risorse petrolifere e di vaste risorse idriche. Quest’ultimo patrimonio si trasforma ,per la crescente domanda interna , in potenziali  risorse finanziarie aggiuntive, utili per  avviare iniziative, programmi ed attività locali per lo sviluppo, che fomano una parte delle royalties introitate dai Comuni per animare l’economia , stimolare iniziative produttive e nuovi percorsi per suscitare interesse e lavoro per i giovani.       Dunque è possibile assumere  un rapporto positivo utile  da destinare alla crescita , a condizione tuttavia che sia sottoposto a controllo misurando costantemente i benefici e i danni che possono derivarne  alla Comunità e all’ambiente.       Per tale consapevolezza e  per i disomogenei comportamenti di istituzioni e Società,   prevalgono le preoccupazioni , montano  le polemiche, proteste , dimissioni e contestazioni degli Amministratori dei Comuni Lucani non beneficiari di entrare petrolifere. Il disagio  si accresce per il divario  tra la permanente crisi occupazionale giovanile e  la limitata offerta occupazionale  delle  attivita dell’Eni , e per i limiti imposti agli  Enti locali di usare la spesa pubblica, a causa del patto di stabilità ; le limitazioni accendono rivendicazioni  verso l’Agip sia verso la Regione per l’uso delle Royalties sia contro i Comuni beneficiari di entrate fiscali, favoriti dalle compensazioni ambientali.       Si da forza ad  una polemica miope e di corto respiro, priva di cultura e di conoscenza sui condizionamenti economici e sociali delle aree già definite, e ancora oggi, arretrate , che sono in piena regressione e restano ancora le più povere e che hanno bisogno di quei sostegni per dare slancio allo sviluppo e recuperare lo svantaggio nel confronto con le altre realtà. Alimentare la conflittualità tra zone non può che indebolire la capacità complessiva di costruire lo sviluppo equilibrato della Basilicata.       Altre dispute si accendono sull’uso delle entrate petrolifere, tra spinte per il sostegno alla spesa sociale e pretese di interventi esclusivi per investimenti produttivi. Tali posizioni trascurano il fatto che, per decisione comune, quei fondi sono necessari al  sostegno sociale delle persone più debole e per il riequilibrio della spesa sanitaria regionale,  ma ancche sostengono l’Università e ai  programmi di sviluppo in settori  innovativi.
“La via e la ricchezza del petrolio fin’ora ha deluso le aspettative di crescita, e ha fatto cadere il mito di possedere una ricchezza abbondante e gratuita in tempi di carestia, perché i soggetti che danno le carte e tengono il mazzo, facendo leva sulle attese dei giocatori, spesso abusano della loro debolezza ( nel nostro caso della Comunità locale) per conseguire con più facilità i loro profitti”.   In questa fase l’AGIP (estrattore-erogatore) ha chiesto di riprendere la trattativa sui quantitativi di prelevamento di petrolio e sulla dimensione del Centro Oli. La società ha interesse ad ampliare le quantità estratte e ad accelerare tempi e modi per lo sfruttamento delle riserve, pensando solo ad aumentare i profitti, e omette gli impegni, trascura le tensioni della popolazione e il deterioramento dell’ambiente.       La Regione è in fase di dibattito su questi temi; il Governo Nazionale a sua volta preme per l’ampliamento della estrazione per la necessità di far fronte alla volatilità del mercato petrolifero e alla situazione di restrizioni procurate dalla speculazione internazionale.  È stato sottoscritto un Memorandum che fissa le linee guida per arrivare ad un intesa anche con le aziende estrattrici; si è posta la questione del crescente malessere lucano, della scarsa induzione dello sviluppo locale, del coinvolgimento delle Industrie petrolifere sul tema delle energie rinnovabili, e della crescita delle attività produttive anche a fini occupazionali, dell’impegno politico nazionale sulla realizzazione delle infrastrutture largamente insufficienti, dell’apertura del territorio lucano alle grandi direttrici nazionali, della difesa ed il rilancio dei grandi investimenti industriali realizzati nel decennio e oggi in crisi; della sollecitazione di sostegni produttivi ed occupazionali anche in nuove attività economiche, della selezione di iniziative collegate al settore delle nuove energie a dimensione internazionale con la localizzazione di un distretto energetico in Basilicata, della realizzazione di un Centro studi europeo per l’energia e la sicurezza energetica collegata ad una scuola superiore di formazione; dell’attivazione di programmi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio e di crescita della qualità della vita collettiva e sociale.    Gli amministratori della Val d’Agri, elevando forti proteste, hanno chiesto di essere coinvolti direttamente nel negoziato con l’Eni; hanno denunciato le carenze di informazione, la partecipazione alle decisioni sui progetti Eni, sostengono la negoziazione di compensazioni per superare il malessere delle famiglie che vivono nelle aree limitrofe al centro Olio sottoposte più direttamente il pericolo sanitario.       Di nuovo in questa fase vi è il protagonismo delle istituzioni locali, che sono attente alla trattativa, pongono in essere una strategia ed una capacità innovativa, senza farsi allettare dai soldi del petrolio nel breve termine; si impegnano ad usare bene e con accortezza le risorse erogate con il PIOT; e sono sollecitate ad essere capaci di armonizzare sfruttamento petrolifero, modalità, condizioni e giusti tempi per la messa in moto dello sviluppo; sono  avvertite del fatto che fra trent’anni il petrolio sarà esaurito e con esso le royalties; si pongono il problema di come e di cosa si lascia in questi posti: “Un territorio più produttivo o più povero?”; “Un’area economica sterile o una Comunità in crescita, capace di autosviluppo?” Gli amministratori e i protagonisti sociali si  organizzano per avere risposte equilibrate e rivolgono costantemente il pensiero sulla questione  della salute dei cittadini , della occupazionale , specie giovanile ,della qualita dell’ambiente e del territorio ; hanno coscienza che si dispone di risorse esauribili e/o deperibili ,  di possibilità ed opportunità: e tutavia devono essere consapevoli che ci si tova  in presenza di fattori deboli: essenzialmente la cultura imprenditoriale e una limitata adesione alla strategia  dello  sviluppo sostenibile.       Tra le nuove generazioni c’è una diffusa ricerca del posto fisso, e invece poco interesse alla conquista del lavoro soprattutto nei settori innovativi. L’impegno perciò va indirizzato per accrescere la propensione ad avviare imprese al servizio delle opportunità che stanno emergendo nel settore dell’ambiente, del turismo, delle nuove energie ;  è   necessario convertire i giovani alla cultura e alla ricerca del lavoro creativo, e allettarli con offerte del posto tranquillo e stabile, ma orientarli verso attività nuove, avviando unità economiche competitive, efficienti e remunerative.       Occorre sperimentare la via dell’utilizzo delle risorse per riconvertire i “curricula” professionali poco richiesti dal mercato del lavoro, verso nuove attività di servizio alla persona, al territorio, al turismo, all’ospitalità. Stanno crescendo anche in Basilicata nuove opportunità in questi settori.       Di questo approccio si sente l’importanza per innestare nuovi processi e più mature propensioni al lavoro utile all’economia e al territorio. Ci sono opportunità importanti per promuovere la crescita: Petrolio, Acqua, Ambiente, Giovani, sono vettori trainanti dello sviluppo.       La classe dirigente locale può fare un salto culturale e formare una filiera di azioni coordinate; Sindaci, Consiglieri comunali, Sindacati non possono aspettare che tutto venga dalla Regione e dal Governo. Ci sono risorse per molti anni, occorre trovare il modo per il migliore l’utilizzo a fini produttivi e per generare l’autosviluppo locale.       Vi è il tempo per operare bene, con nuove strategie e con una cultura economica avanzata in un arco temporale medio-lungo. Nessuna Regione del Sud ha queste opportunità . Se questo patrimonio lo si saprà impiegare bene e utilizzare al meglio, si possono trovare alternative positive per i giovani in via di emigrazione, creando con l’Università imprese mediante ricerca, spin-off e start-up.       In Basilicata ci sono giovani forti e capaci, alcuni scaricano sui politici le proprie pigrizie; se le Istituzioni più autorevoli riusciranno ad utilizzare bene le opportunità, con progetti credibili, ben studiati e sperimentati, i giovani saranno portati ad un nuovo impegno personale.

Italia, malato d’Europa

Italia, malato d’ Europa con la sua crisi del bicameralismo perfetto:

Per un Parlamento unicamerale o per la Repubblica semipresidenziale alla francese

di Giuseppe Mazzella

E’ evidente – dalle iniziative del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, costituite dal discorso del pre-incarico a Bersani, senza precedenti nella prassi repubblicana, e della nomina dei “ saggi” per sbrogliare la matassa della crisi politica – che quella italiana è una crisi del regime parlamentare impostato sul “ bicameralismo perfetto” cioè due Camere con identici poteri che in Europa è vigente solo nel piccolo Belgio e non a caso ma assolutamente fuori luogo la lunga crisi politica del Belgio viene richiamata dal Movimento delle 5 Stelle di Grillo per “ legiferare senza Governo” quasi a proporre un “ Governo del Parlamento” in una sorta di “ assemblearismo permanente” da contrapporre ad una novella “ repubblica dei soviet”. Proposta risibile ed irresponsabile.

Sono almeno 30 anni che si parla, si discute, e si alimenta il più sterile dei dibattiti sulla riforma costituzionale della Repubblica anche con Commissioni Bicamerali e interpartitiche di cui la prima fu quella del liberale Aldo Bozzi una quarantina di anni fa e l’ ultima quella del postcomunista Massimo D’Alema una decina di anni fa.

Pur di far nascere una Seconda Repubblica – senza una profonda revisione costituzionale – dopo il crollo dei partiti politici governativi ( DC,PSI,PLI,PSDI,PRI) avvenuto sulla scia di “ tangentopoli” oltre vent’anni fa e del “ comunismo reale” che ha imposto al PCI, il più grande partito comunista dell’ Occidente, nel 1989 il cambio del nome – da PDS a DS passando dal termine fortemente ideologico – “ comunista” – a quello indistinto di “ sinistra” – i nuovi partiti hanno cercato, in assenza di una concreta volontà di rinnovamento istituzionale, di cambiare il regime parlamentare con due leggi elettorali, di cui l’ ultima vigente è definita una “ porcata”, dopo circa 40 anni di proporzionale pura e con un nuovo “ cesarismo” o meglio con una “ personalizzazione” della politica con l’ indicazione del leader, approvata per legge ordinaria,nel simbolo elettorale e fino ad affermare con il leader di centrodestra, Silvio Berlusconi, che “ il Presidente del Consiglio dei Ministri è scelto dal popolo” quasi a realizzare una “ nuova Costituzione materiale”.

Il centrosinistra ha risposto al “ cesarismo”, stando al gioco, con la soluzione copiata dagli Stati Uniti d’ America delle “ primarie” per la scelta del leader di una coalizione dal partito più forte del centrosinistra che ha scelto per la nuova denominazione l’ indistinto aggettivo “ democratico” che per oltre 40 anni era pre-condizione per la partecipazione civile alla Repubblica e non identificativo tanto che il principale partito – la Democrazia Cristiana – lo faceva precedere all’ altro usato come sostantivo , “ cristiano”, così come per distinzione dai cugini-separati si chiamavano “ socialisti democratici” quelli del PSDI fondato sa Saragat. Queste NON sono osservazioni semantiche ma sono la descrizione sostanziale di una crisi dei nuovi partiti nati dalle ceneri di “ tangentopoli” che ha partorito anche il partito-azienda del cavaliere Silvio Berlusconi il quale con l’ indicazione Partito della Libertà ha occupato tutto lo spazio della destra e di vasti settori del centro ed addirittura acquistando dirigenti e militanti dal disciolto PSI di Craxi.

Questo ventennio – 1992-2012 – viene quindi impropriamente definito della “ Seconda Repubblica”. In realtà è sempre la Prima – se vogliamo mutuare dai cugini francesi la numerazione delle Repubbliche perché in Francia sono già alla Quinta istituita nel 1958 dal generale Charles de Gaulle con un “ sistema semipresidenziale” – perché non è cambiata la natura parlamentare con due Camere con identici mentre il sistema delle Autonomie Locali ( Comuni, Province e Regioni) ha avuto un Testo Unico nel 2000 con un nuovo sistema elettorale con l’ elezione diretta del sindaco del Comune, fin dal 1993, e del Presidente della Provincia e poi del Presidente della Regione istituendo un “ presidenzialismo” a livello locale senza istituirlo a livello nazionale così per diminuire la spessa pubblica il Governo ha ridotto il numero dei consiglieri comunali ma non dei deputati e senatori . Come dire: le riforme istituzionali in Italia cominciano dal basso e non dall’ alto, toccano i deboli e non i forti e soprattutto non si pone proprio l’ ipotesi di abolire una Camera istituendo un sistema parlamentare unicamerale perché come affermò Amintore Fanfani, presidente del Senato negli anni ‘ 70 del ‘ 900, “ nessuna Camera voterà mai l’ abolizione di se stessa”.

Proprio in pieno “ cesarismo” con le elezioni del 25 febbraio 2013 è emersa tutta l’ inadeguatezza del parlamentarismo italiano perché nonostante una “ porcata” di legge elettorale che non permette all’ elettore di scegliere il proprio deputato o senatore è uscita dal voto una profonda ingovernabilità poiché alla Camera c’è una maggioranza di centrosinistra ma non c’è al Senato e quindi l’on. Bersani, “ pre-incaricato” dal Presidente Napoletano, non ha potuto formare un Governo di coalizione per l’ indisponibilità del M5S di Grillo di partecipare o appoggiare il Governo pur ottenendo il 25% dell’ elettorato con un successo senza precedenti. Il Governo deve avere la fiducia sia della Camera sia del Senato.

Questa situazione di stallo ha fatto assumere un ruolo di primo piano al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale è però a fine mandato e non può sciogliere le Camere e quindi si è trovato l’ escamotage dei “ saggi” per “ prorogare” il governo già tecnico del senatore a vita Mario Monti con l’ obiettivo di arrivare fino al 15 maggio con l’ elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Non credo che questa soluzione venga accettata dal centrodestra, il PDL, maggiore partito di minoranza che in questo contesto aspira ad un “ governassimo” con il centrosinistra e che ,a mio parere, è l’ unica strada per riformare il regime parlamentare con una profonda modifica della Costituzione non nella prima ma nella seconda parte ed avviare quindi una vera e forte Seconda Repubblica e mi pare anche che tanto si possa rilevare dalle osservazioni finali del costituzionalista Andrea Manzella del suo intervento su “ La Repubblica” di martedì 2 aprile 2013 ( “ La prorogatio e la costituzione”): “ La realtà effettuale spinge ora a una lettura della Costituzione e delle sue logiche di revisione assai diversa rispetto al passato”.

Ci sono molte analogie di straordinario interesse della situazione italiana con quella francese sia del 1945-46 sia del 1958.

Basta leggere con attenzione il capitolo nono – la caduta della Repubblica – della “ Storia di Francia” dal 1715 al 1965 di Alfred Cobban ( Garzanti ) per trovare queste analogie anche tenendo conto che la Costituzione italiana ricalca fortemente quella della IV Repubblica francese approvata con un Referendum popolare nell’ ottobre 1946 dopo che con un altro Referendum dell’ ottobre 1945 era stata respinta “ l’ idea di continuare o far rivivere la Terza Repubblica” anch’essa di tipo parlamentare ed ancora con un altro Referendum del maggio 1946 era stato “ respinto un progetto costituzionale che prevedeva una sola Camera legislativa onnicompetente”.

Per approvare quindi la Costituzione della IV Repubblica i francesi votarono tre volte in un anno.

Il regime parlamentare della IV Repubblica durò 12 anni con continue crisi di governo ed una permanente instabilità alla quale si cercò di porre rimedio con una nuova legge elettorale tanto da far affermare a Paul Reynaud ( 1878-1966), parlamentare e ministro liberale sia della Terza che della Quarta Repubblica, nel 1952 che “ la Francia era il malato d’ Europa”.

Furono i moti di Algeri per l’ “ Algerie francaise” che nel maggio 1958 riportarono al potere il generale de Gaulle che fece redigere da una commissione ristretta una nuova carta costituzionale approvata direttamente con un Referendum popolare il 28 settembre 1958 senza passare per l’ approvazione da parte dell’ Assemblea Nazionale. La Quinta Repubblica – un sistema “ semipresidenziale” – nasce in meno di 4 mesi.

Credo che siamo arrivati in Italia ad una svolta obbligata ed irreversibile per il consolidamento della Repubblica e l’ avanzamento della Democrazia Politica ed anche da noi la “ Nuova Repubblica” – o bicameralismo imperfetto con una sola Camera pienamente legislativa alla quale spetta dare la fiducia o la sfiducia al Governo o semipresidenzialismo alla francese – nascerà da una crisi forse ancora più drammatica di quella francese del 1958 perché è economica e sociale ma oggi, 2013, abbiamo un contesto europeo profondamente diverso determinato dalle regole e dai vincoli dell’ Unione Europea della quale siamo il più grave dei malati perché non siamo il piccolo Belgio o la piccola Olanda.

Come in ogni malato se il medico non interviene con immediatezza, capacità e terapia adeguata, il pericolo è mortale.

Roberto Kauffmann: A Rio de Janeiro un vero boom edilizio

Nella foto il plastico del nuovo porto di Rio de Janeiro, nel riquadro Roberto Kauffmann

di Rainero Schembri

E’ conosciuta nel mondo come la Città meravigliosa, soprattutto per le sue splendide spiagge, per il suo clima, per la sua natura e la sua allegra popolazione: oggi l’ex capitale del Brasile, Rio de Janeiro, è diventata anche un ‘meraviglioso centro d’investimenti e d’affari’, che nel 2014 ospiterà, insieme ad altre grandi città brasiliane, la Coppa del mondo di calcio, mentre nel 2016 sarà la sede dei giochi Olimpici.  Due avvenimenti che hanno messo in moto un giro impressionante di progetti e investimenti, illustrati da Roberto Kauffmann (Presidente del Sinduscon-Rio, che rappresenta le industrie delle costruzioni civili dello Stato di Rio de Janeiro) agli imprenditori italiani in occasione di un incontro organizzato all’Ambasciata del Brasile a Roma. In margine ai lavori abbiamo avuto modo di intervistarlo.

Nell’immaginario collettivo Rio de Janeiro è sempre stata vista come la città del piacere, delle belle spiagge, della gente simpatica e amichevole, mentre San Paolo, dove vivono milioni di italiani e oriundi italiani, viene considerata la città degli affari. Possiamo dire che la situazione non è più così? La città di Rio de Janeiro sotto l’amministrazione del Sindaco Eduardo Paes, che è stato rieletto per un secondo mandato, è cambiata molto grazie anche alla politica congiunta del Comune con il Governatore dello Stato Sergio Cabral e con il Governo federale. Si tratta di una politica intesa a sviluppare le infrastrutture, in particolare per quanto riguarda la mobilità cittadina, la rivitalizzazione dell’area portuale (5 milioni di metri quadrati), il programma ‘Mia casa, mia vita’, nonché tutti i settori connessi alle costruzioni civili. L’anno scorso lo Stato di Rio de Janeiro ha creato più posti di lavoro nelle costruzioni civili che San Paolo.  

In previsione del prossimo campionato mondiale di calcio e delle Olimpiadi sono stati messi in cantiere notevoli investimenti pubblici e privati. A suo parere in quali settori si presentano le migliori opportunità per gli imprenditori italiani che rappresentano soprattutto le piccole e medie imprese? Le opere riguardanti i giochi olimpici e la Coppa del mondo già sono in fase di esecuzione. Per gli imprenditori italiani ci sono comunque diverse opportunità: penso, in particolare, al programma ‘Mia casa, mia vita’, il cui deficit è di 600 mila abitazioni, nonché la rivitalizzazione dell’area portuale per quanto riguarda gli edifici, i centri commerciali, gli alberghi e il restauro delle vecchie abitazioni.  

Per molti anni si è parlato di due Rio de Janeiro: una identificabile con la splendida zona sud della città (Copcabana, Ipanema, Leblon e Barra da Tijuca); l’altra con la zona nord, molto più povere e arretrata. Com’è la situazione oggi? Oggi l’area occidentale di Rio a seguito della nascita dei distretti industriali ha una grande bisogno di abitazioni, negozi popolari, alberghi da tre stelle, per soddisfare le richieste eccezionali provenienti dai lavoratori delle industrie di Santa Cruz, Campo Grande, Queimados, Nova Iguaçu e Seropédica.  

E’ vero che Rio de Janeiro punta ad avere il più importante porto del Paese, superiore, ad esempio, a quello di Santos? Indubbiamente il porto di Itaguaì, al termine dei lavori dell’Arco Metropolitano (previsto entro dieci mesi) che collegherà le autostrade provenienti da San Paolo, Minas Gerais, Bahia ed Espirito Santo, diventerà il principale porto del Paese, grazie anche alle nuove industrie che si stanno installando a Rio de Janeiro.  

Per molto tempo Rio de Janeiro è stata considerata una città molto pericolosa e ciò non agevola certamente gli investimenti esteri. Come è stato affrontato il problema? La questione è stata risolta con le UPP’s (le unità di polizia pacificatrici) che sono state attivate nelle località più pericolose e che hanno registrato un grande successo, nonché un esempio per il resto del Paese.  

Lei è Presidente dell’Associazione delle imprese edili dello Stato di Rio de Janeiro. Che tipo di sostegno siete in grado di dare alle imprese italiane? Il Sinduscon-Rio, insieme al Firjan (la Federazione delle Industrie dello Stato di Rio de Janeiro) e la Codin (l’ente per lo sviluppo dello Stato di Rio de Janeiro) sono in grado di dare tutto l’appoggio tecnico e giuridico necessario alle imprese italiane. Nell’ambito, poi, della Firjan si trova anche la Camera di commercio italiana di Rio de Janeiro.

NOTA: Nel libro ‘L’Economia del Brasile’ di Andrea Goldstein e Giorgio Trebeschi (edito dalla Universal Paperbacks) si può leggere che ‘Secondo il ministero dello Sport il mondiale di calcio, includendo anche gli effetti indiretti legati all’aumento del turismo, produrrà benefici per oltre 180 miliardi di real ( 1 euro sono circa 2,5 real, n.d.r.) fino al 2019, di cui 23 miliardi legati agli investimenti in infrastrutture (5,7  miliardi per gli stadi, 12 miliardi per la mobilità urbana  e 6 miliardi per gli aeroporti. Gli investimenti per i giochi olimpici, conccentrati soprattutto nell’ammodernamento di porti, aeroporti strade e ferrovie (oltre il 50% del budget) dovrebbero essere di circa 20 miliardi di real, di cui solo il 5% per gli impianti sportivi.

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