Costruiamo la nuova “open community” di Innovatori Europei. Insieme
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Una strategia per il Fisco
di Francesco Grillo
Non si riduce, ovviamente, all’IMU la questione della riforma globale del fisco in Italia. Anzi, la cancellazione tout court dell’IMU costituirebbe un ulteriore passo indietro rispetto ad una ipotesi di normalizzazione del rapporto tra contribuenti e Stato.
L’approccio al problema delle tasse in Italia appare, però, dominato dagli slogan, da rivendicazioni che, spesso, appaiono di bandiera e dall’assenza di una strategia complessiva di ridisegno del sistema.
Possono, dunque, essere utili tre precisazioni.
La prima è che, seppure il peso del fisco sull’economia italiana (42,8% del PIL) è eccessivo, questa incidenza non è molto diversa da quella degli altri Paesi Europei laddove nell’Unione, secondo l’OCSE, ci sono almeno cinque paesi dove questa percentuale è superiore ed in Francia è quasi di due punti più elevata. Ciò non toglie che il costo del Leviatano è un problema per tutti in Europa: servirebbe un impegno solenne che traduca qualsiasi taglio di sprechi nella spesa pubblica complessiva e qualsiasi recupero dell’evasione fiscale in una diminuzione certa della pressione fiscale; tali automatismi sono fondamentali perché produrrebbero consenso sociale diffuso per la lotta ai privilegi e ad un contrasto – civile – di chi fa il furbo.
La seconda è che ancora più che di abbassamento complessivo del peso del fisco sull’economia italiana, bisognerebbe parlare di modifica della composizione delle entrate tributarie e della richiesta che lo Stato fa ai diversi fattori di produzione.
Ad essere penalizzato in Italia è, soprattutto, chi lavora. Basta osservare le statistiche che dicono che se è vero che rispetto agli altri Paese sviluppati (OCSE) i salari netti italiani sono significativamente più bassi (25,000 dollari contro 28,000 nella media OCSE nel 2012) é anche vero che il costo medio di un lavoratore è invece decisamente più alto in Italia rispetto alla media (48,000 contro 44,000): la differenza la fanno i 23,000 euro che il lavoratore e l’impresa devono pagare – in quote quasi uguali – allo Stato, con il risultato di rendere il costo del lavoro massimo per chi assume e minimo per chi è assunto.
Nel frattempo mentre in Inghilterra più dell’11% delle entrate tributarie provengono da quelle sulla proprietà, in Italia la percentuale è di poco superiore al 5%. Del resto nei Paesi più aperti si sono accorti da tempo di un piccolo, cruciale dettaglio: gli immobili sono gli unici indicatori di ricchezza che non si possono muovere, laddove in un’economia globalizzata un aumento di aliquote sul lavoro e sulle imprese può, paradossalmente, ridurre le entrate se spavento un numero sufficientemente elevato di imprese o professionisti. Certo l’IMU va rimodulata, resa più progressiva (cosa che vale per l’intero sistema tributario italiano), ma ridurre le tasse sul lavoro dovrebbe, con tutta evidenza, essere la priorità di un Paese che è al venticinquesimo posto su ventisette Paesi dell’Europa per tasso di occupazione (indice che conta di più di quello più citato di disoccupazione, perché tiene conto anche di chi un lavoro non lo sta più cercando).
La terza precisazione, infine, riguarda la complessità del sistema. Il confronto internazionale ci dice che se sulla pressione complessiva siamo messi male quanto le altre economie europee e sulla composizione delle entrate peggio, per ciò che concerne l’opacità ed il costo di adempimento per il contribuente l’Italia riesce a uscire completamente dagli standard europei. La Banca mondiale – che misura il tempo necessario ad un contribuente per adeguarsi alle richieste del Fisco – mette l’Italia alla posizione 133 subito dopo il Burundi e prima di Antigua.
È vero che normalmente le classifiche internazionali penalizzano l’Italia ma questo della fatica amministrativa di “pagare le tasse” è il parametro nel quale l’Italia registra la sua seconda peggiore prestazione in assoluto (subito dopo quella relativa ai tempi della giustizia).
E allora? E allora di tasse si deve parlare proponendo una strategia globale di cambiamento. Cambiamento che non può essere fermato dalla considerazione di chi si limita a ricordare che gli Italiani sono affezionati al mattone, perché se vogliamo sopravvivere in un contesto di competizione per l’attrazione dei fattori di produzione di maggiore valore, quel mattone rischia di essere quello legato al collo di una intera società che sta affondando.
Bisogna, quindi, rovesciare l’ordine delle priorità e vanno nell’ordine a) semplificati gli adempimenti – al punto di mettere chiunque nella possibilità di fare la dichiarazione senza il commercialista – e rese più legittime le attività di riscossione – o perlomeno compatibili con il trattamento che un cittadino creditore dello Stato riceve; b) ridotto subito il peso del fisco sulle imprese e sui lavoratori per incoraggiare la crescita; c) finanziarlo con una intelligente riduzione della spesa pubblica o con un recupero della zona di non evasione che un fisco più forte e più credibile può ottenere.
È una riforma globale indispensabile per ricostruire il patto tra cittadini e Stato che è attualmente lacerato. È una sfida che Enrico Letta può e deve lanciare ai due partiti che lo sostengono e di cui si deve assumere la responsabilità diretta perché è una delle partite decisive: non solo per la crescita, ma per superare le divisioni ideologiche che hanno tenuto l’Italia in coma per vent’anni.
Buon compleanno all’Europa e agli Innovatori Europei
La deriva politica genera mostriciattoli
di Giuseppina Bonaviri
Decenni di instabilità nella nostra Nazione hanno provocato devastazione psicologica, sentimenti di isolamento e di disperazione di intere fasce di popolazione. Questa condizione sembra, oggi, aggravarsi per l’utilizzo inappropriato che le Istituzioni fanno dello stigma- pregiudizio amplificandone la credenza cosicché il concetto di pericolosità della malattia mentale cresce e si potenzia nell’immaginario collettivo.
Carenti appaiono i servizi sanitari e di consulenza delle comunità quale supporto del nuovo disagio per cui appare ora ancor più complicato progettare e fronteggiare adeguatamente la “privazione sociale”. Sollecitare modelli di intervento sul territorio permetterebbe di ritrovare un livello di dignità e di integrazione di quella condizione che si identifica con i nuovi stili di vita quali la precarietà, stato mentale quest’ultimo, destinato ad apportare indignazione metafora dell’elaborazione di lutto.
Gli alti livelli di aggressività quotidiana sono un simbolo dell’umiliazione patita che denuncia lo stato di privazione di ogni residuo di identità e di autonomia che rimaneva e che, con la perdita di lavoro, di casa, di impossibilità a metter su famiglia non sarà più neanche consentito di evocare. Nel sentimento di disperazione sociale c’è l’ intento suicida. Parallelamente il dolore sociale, acuto e diffuso, crea una sorta di precondizione psicologica paragonabile alla depressione di massa.
Ricordiamo che il 25% delle famiglie è esposto all’indigenza (più del 2% rispetto al dato europeo) mentre il 7% è in condizione di povertà assoluta (le famiglie più a rischio sono quelle che abitano nel mezzogiorno, quelle numerose e quelle composte da una madre sola o da anziani soli).
E il governo che fa? Sostanzialmente rimane muto al problema mentre ogni giorno 615 nuovi poveri avanzano.
Alla fine del 2013 verrà ampiamente superata la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall’Istat per il 2011 pari a oltre il 6% della popolazione e difficilmente si potrà tornare ai livelli del Pil pre-crisi prima del 2019 se non si interverrà nell’immediato per aumentare la capacità di spesa delle famiglie italiane e del ceto medio.
Per tutto il 2013 il PIL continuerà a scendere di un -1,7% (una stima peggiore del 0,9% di quanto prospettato pochi mesi fa) e la domanda interna, ovvero i consumi, diminuiranno di oltre 140 miliardi. Secondo la Confcommercio questo calo continuerà entro l’anno con una ulteriore flessione prevista del -2,4% così come peggiorerà la crisi delle imprese con il rischio che altre 90.000 chiuderanno entro l’anno in corso.
La miseria morale imposta rimane, fatalmente, la piattaforma ideale che condurrà allo sfaldamento di intere generazioni.
L’Italia buona, fatta da terra-paesi-montagne (volatilizzatesi nel millennio attuale nella lotta tra classi di potere, lobby, clan, massonerie) non può rimanere sorda al Progetto Paese Reale che, oscurato ed invisibile, viene avvizzito consapevolmente dalla cattiva politica priva di sani politici.
La latitanza di una seria e affidabile gestione del Paese ha generato, nella retrospettiva mentale della massa informe, mostriciattoli che cresciuti all’ombra dei palazzi non vedono il danno spirituale e sociale inferto.
Sconfiggeremo la lingua del pensiero dominante solo se, in tanti, non ci lasceremo più ingannare.
Che il PD apra il congresso al “popolo delle primarie”
Nelle scorse settimane si è discusso molto sulla presidenza della repubblica e sul tipo di governo possibile (o meno) per il Paese, visti i risultati elettorali.
Ma sembra passato in secondo piano il fatto che in autunno si terrà il congresso del Partito Democratico.
Un congresso storico per il futuro del partito e del Paese.
Si parla soprattutto poco della necessità che ad esso partecipi tutto il Popolo delle Primarie, e non solo quello dei “pochi” tesserati.
Questo è a nostro avviso un tema cruciale.
Comprensibile che vi siano parti del PD che vogliano chiudersi nel recinto del partito per provare a conservare equilibri di forza sedimentati, anche se ormai non produttivi ed inefficaci.
Ma con questa scelta si cancellerebbe nei fatti il percorso di innovazione politica fatto negli anni passati e, in particolare, nell’ultimo anno. Quello che porta a un partito aperto, permeabile alla società civile.
Noi crediamo non sia proprio il caso di vanificare il lavoro fatto per un “nuovo” PD, aperto a contributi esterni, con le primarie per la leadership e per la scelta dei parlamentari.
Noi invece crediamo si debba andare oltre. Verso un Partito ancora più aperto alla cittadinanza diffusa, quella senza tessere né appartenenze. E crediamo che la base vada maggiormente coinvolta sulle scelte programmatiche e politiche, e non solo quando si tratta di votare la leadership.
E’ giusto allora che gli “innovatori” che vogliono un congresso aperto che avvii un ridisegno e una ricostruzione seria e sostenibile del Partito Democratico si uniscano e chiedano ad alta voce una discussione e un cambiamento in tal senso.
Cambiamento necessario se non si vuole vedere il PD scendere a livelli di consenso elettorale che lo porterebbero ad uscire dalla scena principale.
Questo il nostro auspicio.
Massimo Preziuso
Paolo Sinigaglia
Antonio Diomede
Francesca Dionisi
Valeria Dionisi
Per firmare o per informazioni: infoinnovatorieuropei@gmail.com
Nuovo governo Letta. Ho paura dell’elettricista
di Arnaldo De Porti
L’atteggiamento estremamente pacifico, quasi al limite del menefreghismo delle cose di casa nostra da parte dell’ex leader del Pdl mi suona quanto meno strano, dopo tutto ciò che egli ci aveva abituati a vedere e sentire.
Che cosa ci sarà mai dietro a questa metamorfosi che non siano l’età, il cambio dei fusi orari o, più verosimilmente, uno stand-by fittizio per creare un…corto circuito non appena gli verrà messo qualcosa di traverso da parte dell’attuale governo, appena formato ?
D’accordo, questo era ed è l’unico governo possibile stante il fatto che anche eventuali nuove elezioni, oltre a determinare forti danni, esse non avrebbero sicuramente chiarito il quadro, se non in termini peggiorativi nel senso che il M5S avrebbe potuto riservare delle forti sorprese al Paese.
Non vorrei, facendo appello ad una certa pregressa esperienza che, per poter dar vita al neonato-governo si fosse “sedato”, con barbiturici di opportunità, il prosieguo dei vari iter giudiziari dell’uomo di Arcore, per cui gli Italiani, ove le cose stessero davvero così, si troverebbero ad avere delle perplessità sulla stessa onestà istituzionale. Non per niente, tutte le conflittualità politiche, sia nello schieramento di centro sinistra che di centro destra, restano tutte e per intero, non nolo, ma l’uomo di Arcore ha ancora in qualsiasi momento la possibilità di staccare la spina al governo, da provetto elettricista, come da titolo. Del resto, Berlusconi stesso, questa volta da…sveglio e non da “dormiens”, continua a dire : “Noi siamo-saremo decisivi”.
Anche la stampa estera si esprime in questi termini dicendo che ha vinto Berlusconi.
Vorrei anche aggiungere qualcosa sul movimento di Grillo che costituisce una fetta non certo trascurabile dell’elettorato. Tacerà, si attiverà in qualche modo, che farà ? In fin dei conti, se il panorama politico italiano ha avuto un così grande, ma anche benefico scossone, lo si deve a lui, perché altrimenti saremmo forse al cimitero della politica.
Mentre scrivo, sono in attesa del giuramento dei ministri, e non vorrei che la consueta foto post-giuramento, fosse dello stesso valore delle tante altre.
Ma voglio essere ottimista, sia pur per necessità !
La versione di Giorgio
di Michele Mezza
La politica è una scienza esatta, i dilettanti e i comici non vanno lontano, tanto più quando sono dilettanti e comici.
Il governo Letta è una cosa seria, serissima. Devo dare atto al presidente della repubblica di essere l’unico dirigente del vecchio PCI rimasto un gigante anche senza il contesto del grande partito. Gli altri si sono rimpiccioliti tutti. Dopo Monti esce dal cilindro, un giovane politico, con grandi attitudini tecnocratiche, in grado di coniugare stato, poteri e governo: Un premier alla Rocard, per intenderci.
Attorno a Letta si raccolgono tanti lettiani, di entrambi i campi: Orlando, Del Rio, Brai, Di Girolamo, Zanonato, Lupi. Giovani rampanti, autonomi e attrezzati. Una leva di quadri che cambierà innanzitutto gli equilibri dei rispettivi partiti, seppellendo i dinosauri: D’Alema, Bersani, Schifani, Cicchitto: ma chi sono?
Un governo che sparpaglia il branco grillino: la Bonino agli esteri, la cancellieri alla Giustizia, saccomanni all’economia.
Dov’è la casta? dov’è il patto scellerato? E poi un ministro di colore, una grande atleta, i sindaci, gli economisti, nessuna cariatide. La partita cambia campo: nessuno da rottamare, nessuno da inseguire per la strada. Ora si parla di contenuti, è finita la ricreazione del metodo. Vale persino per Renzi che in due ore è invecchiato di 10 anni. nel bene e nel male si gioca tutto sull’economia: quale sviluppo, per quali ceti? questa è la domanda. Chi deve pagare la crisi ora? rendita op profitto? produttori o mediatori?
Letta, con Draghi può oggi parlare da pari a pari con la Germania, che deve ancora attendere le elezioni. Qualcuno la borsa la deve aprire. La ruota potrebbe ricominciare a girare, e il cavallo a bere. A quel punto di chiederà le elezioni? il sindacato che chiede di rifinanziare la cassa integrazione in deroga? la destra che deve seppellire Berlusconi? il PD che deve seppellire se stesso? O grillo che ancora sta pensando allo streaming per discutere delle diarie o Vendola che non sa chi è e con chi sta?
Da oggi il potere torna a logorare chi non lo ha. Ma forse ad oscurare il sole di una nuova politica non sarà la gobba di Andreotti.
Appello del Pd: aprire un cantiere politico e programmatico per rifondare il partito
Il Circolo PD Pistoia Centro, insieme all’associazione Innovatori Europei, ha lanciato questo appello sottoscritto già da oltre 40 persone
Le vicende degli ultimi giorni ci pongono di fronte a un bivio: quello tra il recupero di credibilità della politica di fronte ai cittadini e il definitivo collasso del sistema.
Questa volta sarà vietato sbagliare, saremo coinvolti tutti, necessariamente chiamati a dare una risposta a una richiesta fin troppo a lungo disattesa.
E in questo gioco per primo il Partito Democratico si trova di fronte a un scelta: quella del tentativo di sopravvivere a se stesso, nelle forme e nei contenuti visti fino ad ora, nel superamento di quella logica feudale fatta di cooptazione e capi-corrente, e il lancio di una sfida, la voglia crescere, di osare, di diventare finalmente quel contenitore di idee e di persone, quel laboratorio riformista che in tanti abbiamo auspicato fin dai tempi della sua nascita. Significa questo che tutto ciò che abbiamo fatto fin qui sia da buttare? Assolutamente no.
Dobbiamo tenerci stretto il processo costituente che nel 2006-7 favorì l’avvicinamento alla politica di tanta e sana società civile e la voglia di costruire programmi condivisi. Un processo però che dovrà essere basato su primarie aperte svolte in tempi adeguati, regolamenti chiari, e non più sulla base dell’emergenze e della straordinarietà. E lo stesso valga per i programmi, da costruire e dibattere, anche in rete.
L’utilizzo delle rete, perciò, come motore di democrazia partecipativa e di trasparenza nell’Italia del nuovo millennio. Oggi siamo chiamati a rimettere in moto quell’idea di riformismo, di partecipazione, di coinvolgimento, di presenza, di ascolto che da sempre ci appartiene ma che da molto tempo sembriamo esserci dimenticati.
Per questo occorre una ripartenza, una rifondazione.
Un Anno Zero del PD: l’apertura di un Cantiere Politico e Programmatico organizzato per tesi, un laboratorio di idee, aperto alla cittadinanza, in un’ottica di rinnovamento generale e profondo, con scelte radicali, che rimetta al centro i cittadini, che veda la rete Internet come mezzo di partecipazione e garanzia di trasparenza, i nuovi linguaggi comunicativi come una risorsa e non come un limite, il pluralismo nei fatti e non nelle parole come arricchimento per tutto il Paese.
Un cantiere che porti alla costruzione di una nuova coscienza identitaria e di una classe dirigente diffusa che ci guidi verso la riaffermazione della dignità del popolo italiano, in una prospettiva europea, per la ripresa del cammino verso gli Stati Uniti d’Europa. Questo appello è stato sottoscritto da oltre 40 persone.
Per aderire è possibile contattare il Circolo PD Pistoia Centro (e-mail: circolocentrostorico.pd@gmail.com; SMS al. 328 0420650) e Innovatori Europei (infoinnovatorieuropei@gmail.com)
I primi fimatari:
1. Marco Frediani
2. Massimo Preziuso
3. Simona Selene Scatizzi
4. Riccardo Fagioli
5. Andrea Massai
6. Elena Sinimberghi
7. Simone Gori
8. Carla Contini
9. Massimo Alby
10. Giuseppe Rotondo
11. Massimo Baldi
12. Chiara Innocenti
13. Alessandro Cenerini
14. Ecodemvaldinievole Valdinievole
15. Giuseppina Bonaviri
16. Floriano Cecchini
17. Romano Fedi
18. Maurizio Bozzaotre
19. Deborah Lo Conti
20. Lisa Frasca
21. Rosalba Bonacchi
22. Luciano Mazzieri
23. Guido Sinimbergh
i24. Franca Baglioni
25. Salvatore Scarola
26. Simo Capecchi
27. Franco Buono
28. Roberto Bartoli
29. Carlo Bartolini
30. Toscana Per Bersani
31. Lorenzo Gregoriani
32. Marie Paul Ngo Ndjeng
33. Luca Fantini
34. Becky Cooper
35. Cristina Bianchi
36. Giacomo Sguazzoni
37. Antonella Gramigna
38. Daniela Cioni
39. Stefano Nardi
Appello pubblicato anche su La Voce di Pistoia
Il dovere della proposta
di Giuseppina Bonaviri
Il dovere della proposta spetta a chi ancora crede che il cambiamento possa esistere.
Spetta a chi, come noi, da anni sta lottando per lo stato di diritto, l’equità sociale, la cancellazione dello stigma verso le minoranze e le disuguaglianze, perché la precarietà non diventi uno stile di vita, per una democrazia partecipativa che abbia voce, per una cittadinanza attiva quale luogo di decisione condivisa, per il Bene Comune nel ricordo di un popolo e di una paese unito che nacque dal sacrificio di tanti.
Il dovere della proposta spetta a chi sa, senza rimanerne attonito, che non esistono fallimenti di lotta se non ipotecati all’interno di un fuorviante nucleo di potere: quello delle classi politiche ed amministrative corrotte, autoreplicate, clonate per egoismo tattico e per derive individualistiche che mollemente dilaniano la nostra Nazione. La civiltà del dialogo, la capacità di ascolto, il rigore intellettuale farà la differenza nell’attuale processo di decomposizione in atto che vuole sudditi ed isolamento. Essere una coscienza critica diviene, allora, obbligo morale nel rispetto di quello Stato che ora, delegittimato ed umiliato perfino nella sua laicità, si fa centrale di controllo.
Non mi sono mai sottratta a questo e non temo. Viviamo in una storia dove violenza e profitto, colpevolizzazione del dissenso diventano corporativismo di pochi potenti contro i più deboli mentre il consenso rappresenta l’obbedienza opportunistica. L’attuale mistificato galateo politico seppellisce i modelli di convivenza democratica, si moltiplicano i luoghi della illegalità come anche il silenzio e la stupidità degli amministratori. L’arroganza del potere detiene le organizzazioni, l’opposizione si fa evanescente e la società civile, sempre più isolata, si ritira impaurita dalla sfera pubblica. E mentre la politica si traduce in investimento-consenso-profitto-nuovo investimento, l’uomo involve tra rifiuti e polveri sottili. Il vecchino va con le scarpe rotte ed il bambino non ha più scuole pubbliche. Un inno al caos e al disordine. La rabbia sale mentre appare sempre più sbarrata la strada ad un sano progetto politico innovativo.
L’Italia, rimasta afona e senza anima va protetta e difesa. Fuori dalle falsità, dall’affarismo, dagli atti di fede acritici esigiamo pesi e contropesi, controlli e limiti, regole e rispetto etico. Fondamentale stabilire un limite rispettando la persona che rimane il fulcro del nostro percorso e che ci consentirà di proseguire su quella via di virtù contro la deriva e le prevaricazione a vocazione antidemocratica.
Costruire le premesse per mettere in moto un progetto nuovo, per recuperare l’amor patrio termine in disuso o quasi ridicolo si può fare. Si, dove proprio l’ amor patrio torni a parlare. Perseguiamolo tenacemente. Non vogliamo più essere umiliati, pretendiamo rispetto e serietà, coesione ed equità, meritocrazia e lavoro. Servirà lo sforzo di tutti. Riappropriamoci della nostra quotidianità, fuori dal divulgare di metodi ed antidoti da seconda repubblica dove anche gesti semplici come annusare un fiore e stringere una mano tornino ad essere un sano valore.
Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per la Green Economy and Society in Italia (4 anni dopo)
Sono passati quasi 4 anni, la situazione economica e politica si è ulteriormente deteriorata. Ma il tema dello sviluppo sostenibile è oggi più attuale. La nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile ha fatto parte degli 8 punti della proposta politica di governo di Pierluigi Bersani. Un eventuale governo guidato da Enrico Letta dovrebbe farla sua. Lanciando un super ministero, il MISS, che ponga il tema della sostenibilità quale motore della rinascita culturale, economica ed industriale italiana. Riporto la proposta che feci nel 2009 nel dibattito congressuale del PD.
Se si vuole essere protagonisti nella nuova epoca della Sostenibilità, questo è il tempo delle grandi innovazioni, soprattutto in Italia.
Tante sono le cose da fare, nel settore pubblico ed in quello privato, nei mondi della scuola, della ricerca, dell’industria, dei media, della finanza ed altri ancora.
Ma la prima cosa di cui un Paese come il nostro ha bisogno oggi è la nascita di una struttura di Governo che attui e coordini tutto il complesso di “politiche pubbliche” necessarie all’avvio di un percorso che ci porti ad una Green Economy and Society.
Una soluzione in tal senso è la nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (MISS), che accorpi in sé il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).
In tal modo, il MISS si doterebbe della forte capacità di impatto sul mondo industriale dell’attuale MSE (che è l’amministrazione di riferimento per i settori portanti dell’economia italiana) e dell’esperienza e competenza in tema ambientale del MATTM (che è l’amministrazione preposta all’attuazione della politica ambientale), migliorando efficacia e efficienza della spesa pubblica.
Il Ministero per lo Sviluppo Sostenibile diverrebbe così, insieme al Ministero dell’Economia, il motore delle politiche di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni in Italia.
Una proposta come questa, oggi, è chiaramente una provocazione, ma un Paese moderno, perché possa cambiare davvero, ha il dovere di discutere anche di provocazioni.