Il partito di Breivik non esiste e non ha vinto le elezioni in Norvegia
Nel paese scandinavo non ha vinto l’estrema destra come certi media italiani sostengono: le elezioni sono andate in maniera molto diversa
di Paolo Sinigaglia su Valigia Blu
Ascoltando quello che i media italiani dicono a proposito delle elezioni norvegesi dello scorso fine settimana potremmo essere sviati un poco dalla realtà. La Norvegia è un piccolo paese, solo 5 milioni di persone là in mezzo alle nevi a cavallo del circolo polare artico non meritano grande attenzione (si fa per dire), ma pare eccessivo giocare sul clamore della strage di Utøya e sul personaggio inquietante di Breivik. Succede così che i titoli di alcuni siti di informazione esagerino un pochino nella foga: “La Norvegia vira a destra. Alle urne vince partito Breivik” titola L’Unione Sarda, il Corriere della Sera non è da meno con “Norvegia, voto choc: il partito di Breivik verso il governo”, non parliamo poi di Giornalettismo per cui è già tutto deciso: “L’ex partito di Breivik al governo in Norvegia”. Ci si potrebbe quindi domandare, come fa Tommaso Ederoclite su Facebook, come mai dopo la strage brutale che spezzò 77 giovani vite due anni fa l’elettorato possa premiare il partito dell’autore della strage. In realtà quei titoli si rivelano quantomeno imprecisi e rischiano di dare un’immagine distorta della questione e del paese scandinavo. Il fatto è che non esiste il “partito di Breivik”, ma solamente un partito, quello del Progresso (FrP), che l’attentatore diceva di supportare nelle sue elucubrazioni diffuse dopo la strage. Si tratta di un partito di estrema destra, con accenti razzisti che predica una stretta alle politiche immigratorie e ha tentato di diffondere una cultura della purezza norvegese proponendo per esempio in Parlamento un piano per diffondere consigli agli immigrati di prima generazione che dovrebbero comportarsi nella maniera più norvegese possibile con i figli in modo di non ostacolare la loro naturalizzazione nel paese. Per queste posizioni, non condivise da nessun altro partito di centrodestra, l’FrP è rimasto sostanzialmente isolato dal sistema politico sin dalla sua fondazione nel 1973. Erna Solberg (Partito conservatore) e Jens Stoltenberg (Partito laburista norvegese). Sappiamo poi che il blocco di centrodestra (comprendendo anche l’FrP) era dato in vantaggio dai sondaggi da molti mesi con uno scarto sul blocco di centrosinistra che ha superato il 24% nell’ottobre 2012: le elezioni hanno fissato un divario che si è ridotto a poco più del 10%. Il Partito del progresso ha però subito una pesante sconfitta elettorale, passando da secondo partito col 22,9% dei voti nel 2009 a terzo partito col 16,4% dei voti di oggi, con un calo del 6.6% mentre il Partito laburista dell’attuale premier Jens Stoltenberg rimane primo partito nonostante un calo del 4,5%. Non è detto quindi che l’FrP vada al governo: la coalizione di centrodestra formata dal Partito conservatore, dal Partito cristiano-democratico e dal Partito liberale non dovrebbe ottenere la maggioranza dei seggi nello Storting (il Parlamento) e ha divergenze anche forti con il Partito del progresso: potrebbe quindi nascere un governo di minoranza con l’appoggio esterno dell’FrP, come successe per esempio nella legislatura 2001-2005. Non si tratta quindi di un’elezione vinta grazie ai gesti di Breivik o di una nazione persa nel vortice della paura e del razzismo: il vincitore vero delle elezioni è Erna Solberg col Partito conservatore (+9,6%) che ha costruito una campagna elettorale basata sui temi economici, sulla possibilità di andare ad intaccare il fondo sovrano che amministra i guadagni del petrolio garantendone con grande lungimiranza i benefici anche per le generazioni future.
Ricorda di citare la fonte: http://www.valigiablu.it/il-partito-di-breivik-non-esiste-e-non-ha-vinto-le-elezioni-in-norvegia/
22 Settembre: Evento su Femminicidio a Frosinone
Il 4 settembre si sono riunite a Frosinone in Vicolo Moccia la Rete La Fenice con Bonaviri e l’Associazione Collettivocinque con Maccotta che grazie al contributo delle tante realtà associative e civiche impegnate in provincia ed oltre (come Pari o Dispare e le Cooperative delle terre confiscate alla mafia del casertano), di intellettuali, artiste-i, delle donne dei sindacati unitari, del Telefono Rosa, della Fondazione del Giardino delle Rose Blu, del Conservatorio di Frosinone, dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale hanno organizzato una forma di mobilitazione dell’opinione pubblica in ciociara a garanzia delle pari opportunità e contro il femminicidio. L’evento “ L’arte contro il Femminicidio”, che occuperà l’intero arco della giornata di domenica 22 settembre presso la Villa Comunale di Frosinone prevede una mostra fotografica a tema, uno spazio espositivo delle scarpe rosse, spettacoli di arte varia, la proiezione di spezzoni di film storici attinenti, la presentazione di un volume scientifico, testimonianze attive, dibattiti sulle prospettive aperte dalla legge e sulle ragioni di così orribili ed intollerabili reati che sono il retaggio di problemi di parità fra i generi, non risolti. Atti, questi, che colpiscono quanto di più profondo c’è nel bisogno di relazione delle persone: la fiducia nel prossimo che è il cuore degli affetti e della convivenza umana minando all’origine ogni capacità di sentirsi corpo unico. La società civile non viene mai consultata e la politica non consente traduzioni di quel messaggio originario che vuole un cambio nell’approccio concettuale all’implementazione della legge e della prevenzione. Il gruppo di lavoro che si è costituito intende portare avanti un percorso itinerante -anche in tutti quei territori che stanno appoggiando l’iniziativa- che informando e formando diverrà base di sviluppo di buone pratiche a garanzia delle pari opportunità per la creazione di uno strumento a favore della rete fra donne e per il cambiamento dell’attuale paradigma imperante.
Europa, ultima sponda per un nuovo modello di sviluppo per l’ isola d’ Ischia
di Giuseppe Mazzella
Dal 2014 al 2020 l’ Italia potrà spendere 100 miliardi di euro, una cifra enorme, data dall’ Unione Europea per migliorare o costruire infrastrutture, servizi, attività turistiche. Secondo tutti gli osservatori questa è l’ ultima occasione che l’ Unione Europea ,attraverso i “ fondi strutturali”, concede all’ Italia. E’ una occasione da non perdere.
Dopo la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno nel 1992 i fondi europei sono stati la principale fonte per sostenere lo sviluppo nel Sud e molto spesso sono stati spesi male o addirittura non spesi perché o non si è trovato il “ cofinanziamento” dello Stato o della Regione o le Regioni ed i Comuni non hanno saputo approntare progetti finanziabili.
Ci sono ancora 30 miliardi di euro da impegnare entro il 2013 e da spendere entro il 2015 del precedente piano comunitario 2007-2013 ed il rischio che vadano perduti o impegnati in malo modo senza tener conto degli “ investimenti sociali” è stato sottolineato da Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud, in un intervento apparso domenica 1 settembre 2013 su “ Il Sole-24 Ore” ( “ Per i fondi EU definire le priorità”). Il Governo si sta attrezzando: già il Presidente del Consiglio sen. Mario Monti con il suo gabinetto “ tecnico” aveva istituito un apposito Ministero affidato ad un grande esperto dello “ sviluppo locale, Fabrizio Barca, dal nome significativo: “ Ministero per la Coesione Territoriale”. Il Ministero, con la stessa denominazione, è stato affidato dal neo Presidente del Consiglio, on. Enrico Letta, al prof. Carlo Trigilia, convinto sostenitore dello “ sviluppo locale” e dell’ “ autopropulsione dei sistemi locali di sviluppo”.
Il 26 agosto scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Ministro Trigilia, l’ istituzione dell’ Agenzia per la Coesione Territoriale per “ il monitoraggio sistematico e continuo dei programmi operativi e interventi della politica di coesione nonché per il sostegno e l’ assistenza alle amministrazioni che gestiscono programmi europei e nazionali sia con iniziative di formazione del personale delle amministrazioni interessate sia anche interventi per l’ accelerazione e la realizzazione dei programmi”.
L’ Agenzia, il cui statuto dovrà essere emanato entro il 1 marzo 2014 con decreto del Presidente della Repubblica, potrà in alcuni casi bene definiti – spiega lo stesso Ministero nel comunicato stampa ufficiale – e su indicazione del Ministro anche svolgere compiti diretti di autorità di gestione tanto per progetti sperimentali quanto nell’ ipotesi di “ gravi inadempienze e ritardi di alcune autorità di gestione dei programmi nei riguardi dei quali può assumere poteri sostitutivi”.
L’ Agenzia per la Coesione Territoriale si va a configurare da un lato, come necessario coordinamento fra i progetti delle Regioni italiane e delle centinaia di Comuni questo – mi pare di capire – ad evitare che il nuovo programma europeo di sostegno faccia la fine dei Patti Territoriali degli anni ‘ 90 che fallirono perché centinaia di Comuni presentarono progetti faraonici ed interamente finanziati dal danaro pubblico tali da configurare la nascita di un impossibile giardino dell’ Eden; dall’ altro l’ Agenzia deve essere chiamata al ruolo “ sostitutivo” nei confronti di quelle Regioni e di quei Comuni che per “ gravi inadempienze” non sono capaci di redigere progetti, pur avendone bisogno, per incapacità delle loro classi dirigenti e delle loro strutture amministrative.
Il prof. Mariano D’ Antonio, noto ed apprezzato meridionalista che ha maturato anche dirette esperienze di governo locale sia al Comune di Napoli, negli anni ‘ 70, sia alla Regione Campania, negli anni 2000, come assessore, ha commentato su “ La Repubblica-Napoli” di sabato 30 agosto 2013 l’ istituzione dell’ Agenzia vista con scetticismo alla luce degli ultimi 15 anni di politiche europee di sostegno in cui le Regioni hanno speso malissimo queste risorse.
D’ Antonio – che è già intervenuto molte volte sulla necessità per le Regioni ed i Comuni di allestire idonei “ Uffici Tecnici per i fondi europei” per redigere ed approvare buone iniziative con vaste proiezioni di buona redditività economica evitando i miniprogetti e concentrandosi invece sui grandi progetti – sostiene che l’ Agenzia deve effettivamente sostituirsi alle Regioni, completamente, se queste sono inadempienti e dovrà tener conto anche degli aspetti gestionali dell’ opera realizzata cioè “ chi pagherà per la sua successiva manutenzione e gestione”.
Qui nell’ isola d’ Ischia abbiamo esempi vistosi di opere pubbliche realizzate con fondi europei e che oggi sono chiuse o rischiano la chiusura proprio per i problemi di gestione ( chiusa la Biblioteca Antoniana di Ischia, chiuso l’ Osservatorio Geofisico di Casamicciola, in via di chiusura e comunque al centro di una polemica per lo spreco di risorse successive della Regione Campania e della Provincia di Napoli della Villa La Colombaia di Forio).
Il prof. D’ Antonio sottolinea anche che le Amministrazioni Locali del Mezzogiorno non avendo “ uffici tecnici attrezzati” “ sono diventate ostaggio di grandi imprese di costruzioni che con i loro tecnici hanno premuto per realizzare progetti smisurati, costosi e di dubbia utilità”. D’ Antonio propone quindi di “ cambiare l’ approccio perché i fondi scarseggiano o, come si dice a Napoli, l’ acqua è poca e la papera non galleggia”.
L’ occasione quindi del programma europeo di sostegno rappresenta l’ ultima sponda per progettare ed attuare un nuovo modello di sviluppo per l’ isola d’ Ischia che dia ordine e razionalità ad una economia turistica complessa che vuole massimizzare tutti i segmenti (termale,balneare,culturale,giovanile,congressuale,enogastronomico,agricolo etc.) dove sono presenti 3mila imprese private di tutti i settori- dall’ alberghiero al commercio ed ai servizi – con una forza sociale di almeno 13mila lavoratori stagionali di cui almeno 2mila extracomunitari ma circa 4mila in perenne “ disoccupazione giovanile e di donne di oltre 30 anni ) con una popolazione complessiva di circa 60mila abitanti ed una popolazione scolastica delle superiori di 3200 alunni, con sei Comuni, 6 sindaci, un centinaio di consiglieri comunali con 200-300 dipendenti comunali, 8 società pubbliche di servizi cosiddette “ partecipate” dei Comuni, una decina di concessionari regionali e comunali, pubblici e privati, gestori di “ approdi turistici” con – buon ultimo – un sistema dei trasporti pubblici , terrestri e marittimi, assolutamente inadeguato con macroscopiche carenze. Lo sviluppo urbanistico ed economico risulta “ squilibrato” fra le varie località “ spezzettate” in sei Comuni che hanno sei piani regolatori “ comunali adottati” ma non solo obsoleti – risalgono al 1973! – addirittura mai messi in esecuzione perché è sopraggiunto nel 1995 un Piano Urbanistico Territoriale ( PUT) del Ministero dei Beni Culturali “ sovraordinato” rispetto ai sei PRG. Nessuno dei sei Comuni ha redatto un Piano Comunale di Recupero per gli immobili dismessi e Casamicciola, che è l’ area in declino industriale, presenta almeno 100mila mc. da riutilizzare soprattutto con il fatiscente complesso monumentale del Pio Monte della Misericordia ed il bacino idro-termale di La Rita.
L’isola d’ Ischia appare esempio paradigmatico di tutte quelle deficienze illustrate con scienza ed esperienza dal prof. Mariano D’ Antonio.
Per la “ Coesione e lo sviluppo nell’ isola d’ Ischia” con l’ esame delle opportunità della programmazione comunitaria 20014-2020, l’ Osservatorio sui fenomeni socio-economici dell’ isola d’ Ischia ( OSIS), la Banca per le Risorse Immateriali ( BRI), il Magazine IschiaNews & Eventi ed il neonato Distretto Turistico Isola Verde hanno organizzato per martedì 17 settembre 2013 con inizio alle ore 18.30 nella casina Gingerò in Villa Arbusto a Lacco Ameno un convegno-seminario di riflessione intorno al libro di Carlo Borgomeo “ L’ equivoco del Sud” con la partecipazione dell’ autore, e dell’ assessore regionale al turismo della Campania, Pasquale Sommese.
Sono invitati i sindaci dell’ isola ed i rappresentanti delle forze politiche,sociali,economiche e culturali; gli amministratori pubblici ed i dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione.
Il libro di Borgomeo acquista un valore “ rivoluzionario” per un’analisi assolutamente fuori tendenza dei mali del Sud proponendo soluzioni concrete ed un radicale cambiamento di mentalità dei meridionali. Forse per estrema provocazione Borgomeo sceglie un tratto di uno scritto di Giorgio Ceriani Sebregondi ( 1916-1958), giovane meridionalista cattolico morto prematuramente a 41 anni ed ingiustamente dimenticato,per l’ epigrafe del suo libro:
“ … evitare di cadere nell’ errore di chi, trovandosi di fronte ad un albero che dà pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’ albero, provvedesse ad appendere dei frutti sui suoi rami”.
La novità di cui abbiamo bisogno sui fondi strutturali
E’ una sconfitta gravissima quella che Enrico Letta ammette per tutto il Paese quando concede che, con ogni probabilità, non riusciremo a spendere i fondi strutturali che l’Italia ha avuto a disposizione dal 2007 al 2013. Non solo ciò significa che stiamo continuando – quasi ininterrottamente da trent’anni – a sprecare quelle che sono diventate le uniche risorse pubbliche disponibili per quella crescita che tutti – a parole – vogliono. Ma anche che stiamo compromettendo la credibilità delle nostre richieste quando il Governo si dovesse lamentare che l’Europa dovrebbe allentare i vincoli che non consentono di investire.
La stessa idea del Ministro Trigilia di un’Agenzia che affronti il problema centralmente, rischia di non sciogliere il nodo vero che qualsiasi esecutivo ha rimandato a quello successivo: la creazione di meccanismi che rendano sistematicamente chiunque gestisca risorse pubbliche responsabile dei risultati che quelle risorse conseguono. In maniera che – esclusivamente sulla base dei risultati – venga scelto chi si occupa di usare i soldi dei contribuenti e che – dunque – venga allontanato chi, amministratore o consulente, abbia accompagnato un fallimento dietro l’altro.
Che sia fallimento lo dicono i numeri: su circa 60 miliardi di euro di dotazione finanziaria iniziale secondo i dati del ministero delle Politiche di Coesione la spesa certificata alla Commissione Europea era pari a circa 11 miliardi nel Maggio 2013. Nel 2007, del resto, la Commissione Europea e il Governo italiano decidevano di allocare su Campania, Puglia, Sicilia e Calabria 43 dei 60 miliardi disponibili, prevedendo di far uscire da una condizione di sotto sviluppo almeno tre delle quattro Regioni: dopo sette anni le Regioni italiane ancora bisognose del massimo aiuto possibile sono diventate cinque.
Tuttavia, il fallimento produce paradossalmente un’opportunità: nei prossimi sette anni saranno teoricamente ancora maggiori gli stanziamenti disponibili e la Commissione Europea chiede che la percentuale dei finanziamenti per investimenti in conoscenza – ricerca, tecnologie digitali – passi dal venti al sessanta per cento del totale. Ma la sfida diventa ancora più difficile, a partire dai documenti che – con ampia consultazione di innovatori e amministrazioni di diverso tipo – dovrebbero indicare entro la fine dell’anno quali sono le specializzazioni intelligenti sulle quali ciascuna Regione punta: programmare l’innovazione richiede, infatti, competenze molto diverse da quelle di molti dei funzionari e dei consulenti che presidiano il territorio dei fondi strutturali.
Quale può essere la soluzione?
L’idea del Ministro delle Politiche di Coesione di un’agenzia non è nuova e può non bastare. Giusto centralizzare il monitoraggio; meno convincente è il teorema che l’assistenza tecnica fornita centralmente migliori le competenze disponibili. Anche se esistono amministrazioni regionali che hanno avuto prestazioni totalmente inadeguate (e la Campania guida probabilmente questa classifica al contrario), uno dei programmi con maggiore criticità è stato quello di 6,2 miliardi di euro affidato centralmente al Ministero della Ricerca e a quello dello Sviluppo Economico.
La realtà è che ci sono – a parità di contesto, di vincoli finanziari, di regole su appalti pubblici e rendicontazione della spesa – differenze nelle prestazioni tra amministrazioni diverse, tra diversi appaltatori, ma che nessuna conseguenza deriva dall’aver aggiunto valore o, al contrario, aver dissipato risorse pubbliche. E questo rischia di valere anche per la nuova Agenzia. Secondo quali criteri verranno scelti i duecento consulenti che – secondo il Ministro – ne assicureranno il funzionamento e il suo Direttore Generale? A quali obiettivi – in termini, ad esempio, di accelerazione o concentrazione della spesa rispetto ai livelli attuali -dovranno rispondere? In che misura la conferma, la remunerazione di chiunque si occupa – al centro o in periferia – di queste risorse preziosissime dovrà – da adesso in poi – dipendere dal raggiungimento degli obiettivi che avrà accettato al momento della nomina?
Nessuno – in questo tempo di vacche quasi morte – può più essere chiamato a disporre delle poche risorse pubbliche rimaste, se prima non decidiamo il sistema di indicatori e, soprattutto, di incentivi che assicurino che mai più un Presidente del Consiglio possa dichiarare persa la partita dello sviluppo senza sapere con chi prendersela. E se tale sistema non sarà reso completamente trasparente così che i contribuenti – italiani ed europei – possano chiedere conto.
È quella della responsabilità la rivoluzione copernicana di cui questo Paese ha assoluto bisogno. È una questione di sopravvivenza economica. Ma anche forse la vera questione morale di cui ci dovremmo occupare.
Articolo pubblicato su Il Mattino del 28 Agosto
Cosa ci dice l’evasione fiscale nel nostro territorio
di Giuseppina Bonaviri
“Il Sole” ha pubblicato la stima dell’evasione fiscale nelle 103 province italiane elaborata dal Centro Studi Sintesi. Il Centro ha incrociato i dati, relativi al 2011, del reddito disponibile pro-capite, con il benessere effettivo delle famiglie ed ha ricavato una graduatoria, in cui tanto più alta è la differenza fra i due dati, tanto maggiore è stimato l’ammontare del reddito che è sfuggito al fisco. La provincia di Milano è considerata con 152 punti quella con il minore tasso d’evasione; quella di Ragusa, con 52 punti, la meno virtuosa. Nel Lazio, la provincia di Roma occupa l’11° posto,con 123 punti; le altre quattro, sono nella parte finale della graduatoria: Frosinone è all’86° posto, Rieti e Latina all’94°, Viterbo al 98°.
Fanno riflettere le stime dell’evasione fiscale, nel 2011, nelle province italiane pubblicate dal quotidiano economico della Confindustria, sia per i livelli di evasione stimati paragonabili a quelli delle province meridionali maggiormente in ritardo nello sviluppo sia per l’arretramento della situazione socio-economica, nel 2012 e nel 2013, come più volte denunciato anche da Confcommercio, Confindustria Lazio e da Cgil, Cisl, e Uil.
Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che un maggiore benessere potesse essere conseguito allentando “lacci e lacciuoli”: liberare le risorse morali e culturali della società civile ed i vincoli della Pubblica Amministrazione, per inseguire le migliori opportunità, sperando che questo condizioni fossero sufficienti ad una crescita complessiva. Ciò non si è verificato e la crisi mondiale ha ulteriormente aumentato le disuguaglianze e gli squilibri esistenti nel nostro territorio e fra questo ed il resto della regione, in particolare con la Capitale.
Eppure per quanto grave dovremmo evitare di soffermarci sul riflesso economico ed osservare le conseguenze che un così elevato tasso di evasione fiscale produce nella sottostante situazione sociale e della convivenza civile.
Una prima considerazione è che le dimensioni dell’evasione nel nostro territorio è tipica di economie locali in cui situazioni di eccellenza sopravvivono in un contesto di sottosviluppo. Assumerne consapevolezza significa intervenire in quell’indispensabile potenziamento del territorio che l’accordo di programma di 80 milioni di euro, dovrebbe iniziare a rendere possibile, per invertire la tendenza. Il secondo elemento di questa strategia è recuperare un’autonomia fiscale a livello comunale in grado d’essere meno gravosa sulle attività produttive e con l’auspicio di far emergere, con accordi sugli oneri sociali ed i contratti, le attività economiche in nero. Un’esigenza questa di cui si dovrebbe farsi carico anche la Regione Lazio.
Una seconda considerazione che scaturisce dalla stima dell’evasione fiscale è che il reddito sottratto al fisco attraverso l’economia sommersa e il lavoro nero, chiama in causa un’emergenza economica e sociale più vasta: i finanziamenti al consumo e alla produzione al di fuori dei circuiti legali. Non è questa una novità per la provincia di Frosinone: la Rete La Fenice e Libera denunciarono già nel dibattito pubblico avvenuto a Frosinone nel dicembre 2012 -in occasione della prima conferenza tematica “ Per una Regione libera dalle mafie e dalla corruzione”- le dimensioni gigantesche del fenomeno e l’inquinamento che produce nella vita collettiva: Cassino e Frosinone- secondo le stime 2011/2012 dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della nostra Regione- si trovavano ai primi posti tra i comuni dell’intera Regione come il paradigma negativo di quello che succede in una regione amministrata male. Infatti il lavoro senza tutele e l’immissione illegale di capitali che non di rado sconfina nell’usura e nell’espropriazione di proprietà ed attività economiche per quanti non sono in grado di assolvere agli impegni assunti, sono forme di subalternità fisica e psicologica delle persone di cui occorre avere piena consapevolezza nell’interesse di tutti.
C’è infine un aspetto nell’evasione fiscale che sembra essere divenuto retorico ma che, invece, non lo è affatto: il venir meno del rispetto della legalità. La trasgressione dell’obbligo fiscale è una insidia per il più generale rispetto delle leggi e dell’autorità dello Stato. Deve inquietare in pari misura i responsabili della cosa pubblica ed i cittadini: i primi per la delegittimazione del proprio operato, i cittadini per il venir meno della consapevolezza d’esser essi stessi parte di una unica comunità. L’intreccio sempre più stretto tra corruttela e criminalità e non soltanto quella organizzata, favorisce un clima opaco e lesivo del libero svolgimento delle attività istituzionali ed imprenditoriali, alimentando l’incertezza del diritto, minando la sensibilità e la coscienza morale del paese con un sentimento diffuso di sfiducia che, di per sé, è nocivo allo sviluppo dell’intera Nazione.
Regione e petrolio, ultima chiamata (per la Basilicata)
di MASSIMO PREZIUSO su Il Quotidiano della Basilicata
IN QUESTI giorni mi è capitato di leggere una serie di notizie che riguardano il tema del petrolio della Basilicata, terra da molto tempo paragonata ad una sorta di Arabia Saudita di cui ad oggi, forse, in pochissimi, hanno potuto constatare i tratti positivi. E’ di qualche giorno fa la bocciatura da parte del Consiglio di Stato del cosiddetto “bonus benzina”, con il rischio per i cittadini lucani del rimborso delle somme già percepite.
In molti ritennero quella iniziativa poco pertinente, in quanto sembrava voler risolvere la normale e forte tensione legata alla intensa estrazione petrolifera in una Regione – in questo caso poi riconosciuta per la sua formidabile qualità “ambientale” – con un contributo economico di qualche centinaia di euro per abitante, per di più vincolato all’acquisto di una benzina più cara che nel resto della penisola.
Aldilà della beffa per i cittadini, è bene che questa strana forma di compensazione ambientale termini e ceda il passo ad una visione strategica della royalty petrolifera quale moltiplicatrice di sviluppo (tema su cui ricercatori ed industria energetica studiano da tempo).
Nel contempo si legge di 2 miliardi di euro che il governo dovrebbe trasferire alla Basilicata, forse già a partire da settembre, tramite una cabina di regia nazionale, che accompagni finalmente all’operatività quel piano di sviluppo infrastrutturale ed occupazionale, di cui si parla da tempo, anche nel memorandum di intesa Stato – Regione del 2011.
Dal 2011, va poi detto, la Regione risulta ancora più centrale nei piani di sviluppo (energetici) nazionali ed euro – mediterranei (si legga la Strategia Energetica Nazionale approvata quest’anno).
Volendo allora essere ottimisti ed ipotizzando che queste risorse arriveranno davvero, si può affermare che questa sia l’ultima chiamata per il rilancio di una strategia di sviluppo legata alla attività estrattiva, in una Regione che esce fortemente provata (tra le altre, nell’ordine del 10% di ricchezza regionale prodotta), da una crisi iniziata nel 2007, oggi arrivata alla sua durissima coda finale, che ha colpito ancora maggiormente quel Mezzogiorno troppo poco presente, per limiti culturali e logistici, sui mercati internazionali.
Se a questi fatti si aggiunge che molti dei leaders politici lucani, soprattutto del centrosinistra, oggi ricoprono incarichi di primissimo piano nel governo e nelle istituzioni, vi è spazio affinché questa opportunità venga colta pienamente: cominciando da subito, con un lavoro da svolgere a Roma, per far sì che la Cabina di regia nazionale, che dovrebbe gestire la allocazione ottimale di queste importanti risorse aggiuntive (2 miliardi di euro equivalgono 20-25% del PIL regionale, per intendersi), e più in generale il tema delle royalties, sia composta da un mix perfetto di personalità e professionalità (europee, nazionali e locali) che possano lavorare insieme per segnare almeno un goal concreto in tempi accettabili.
Uno tra questi goal può riguardare la realizzazione di quella grande infrastruttura di alta velocità ferroviaria Taranto – Potenza – Salerno, su cui anche il sottoscritto e gli Innovatori Europei dibattono da tempo (anche partecipando alla Viggiano Sustainable Development School e su questo giornale, con un contributo dal titolo “L’alta velocità ferroviaria per il rilancio della Basilicata”, pubblicato ad ottobre 2012), che potrebbe finalmente dare il senso di una voglia di “futuro connesso” ad una Regione che da decenni vive culturalmente e fisicamente isolata, rischiando di scomparire, prima o poi, dalla mappa geografica.
Una infrastruttura ferroviaria, questa, che colleghi rapidamente tre regioni meridionali (la Puglia, la Basilicata e la Campania) così fortemente complementari, e che permetta a persone e cose di dialogare pienamente, finalmente, con l’Italia, con l’Europa e un domani molto prossimo con l’area mediterranea e asiatica (tramite le strategiche “porte” di Napoli e di Taranto).
Su questo tema, se si vuole cominciare con passo deciso, e viste le imminenti elezioni regionali, sarebbe altresì interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere.
Che sia quello ferroviario, aeroportuale o legato ad una piattaforma di rilancio industriale o turistico, alla fine, poco importa: basta che sia uno solo e sostanziale.
Sarà così la popolazione a scegliere, insieme alle istituzioni – locali, nazionali ed europee – in quale direzione vuole andare.
E’ finita la recessione?
di Francesco Grillo su Il Messaggero
Periodicamente ai malcapitati premier che provano a guidare l’Italia attraverso la crisi economica più lunga e brutale dalla seconda Guerra mondiale, capita di dover vedere segnali di ripresa per iniettare nel sistema le dosi di fiducia che sono necessarie per reagire. Esattamente un anno fa, a Monti parve di vedere la luce alla fine del tunnel. Dopo un altro anno di recessione, è il Ministro dell’Economia a invocare stabilità per consolidare l’inversione del ciclo economico che, secondo Saccomanni, dovrebbe consolidarsi subito dopo l’estate.
Tuttavia, stavolta c’è il rischio che la luce sia, davvero, quella di un Tir, di un ulteriore aggravamento della congiuntura che si sta avvicinando ad un Paese già fortemente debilitato: infatti, proprio nella stessa settimana nella quale in Italia si annuncia la fine della crisi, l’Economist dichiara, sulla base dei dati macro che arrivano da mesi da tutto il mondo, esaurita la grande spinta propulsiva che le economie di Cina, India, Brasile e Russia sono riuscite ad imprimere per vent’anni all’economia mondiale e iniziata la “grande decelerazione” che rischia di penalizzare ulteriormente chi per vent’anni è rimasto fermo.
Se così fosse entreremmo in una fase successiva a quella genericamente chiamata della “globalizzazione”: utilizzare i mercati emergenti come possibile sbocco delle esportazioni non basterà più e i margini di crescita del benessere di una qualsiasi società, e ancora di più per quella italiana, verranno interamente giocati nella partita della innovazione. E ancora di più risulterà indispensabile, sciogliere quei nodi strutturali che ancorano – aldilà di eventuali rimbalzi tecnici – l’economia italiana ad un trend di lungo periodo che continua ad essere fortemente negativo.
È comprensibile, quindi, invocare stabilità politica per poter trasformare un piccolo aumento di fiducia in aspettative; sarebbe un errore tragico incoraggiare l’idea che, forse, ce la potremmo fare – ancora una volta – senza completare quei cambiamenti che gli ultimi due governi hanno solo cominciato. Del resto è lo stesso Enrico Letta a ricordare che la stabilità stessa è un valore solo se serve ad affrontare le questioni sulle quali ci giochiamo il futuro.
In un contesto sempre più dominato dall’investimento in competenze e talento, come farà a sopravvivere un Paese che spende, dopo vent’anni di interventi marginali, in pensioni quattro volte di più di quello che spende in educazione, dagli asili alle università? Come possiamo sperare di ridurre e qualificare la spesa pubblica se non stabiliamo – aldilà della battaglia infinita sul tetto agli stipendi dei manager – criteri oggettivi per valutare le prestazioni di chi gestisce i soldi dei contribuenti e vi leghiamo la remunerazione e la conferma? Come si può pensare di attrarre investimenti esteri in Italia, se secondo le classifiche della Banca Mondiale ci collochiamo per la capacità di far rispettare i contratti nei tribunali, al centosessantesimo posto nel mondo, dopo il Madagascar e lontanissimi dalla Grecia? E con quali argomenti possiamo trattenere le imprese italiane che trasferiscono – una dopo l’altra – la sede all’estero, se non mettiamo mano ad un ridisegno globale dei meccanismi di distribuzione, definizione e accertamento delle imposte che vada aldilà del gioco a somma zero su IVA e IMU?
Sono queste le sfide da vincere per crescere davvero: avere il coraggio di discutere dei tabù dei diritti acquisiti e della intoccabilità del posto pubblico; proporre una vera strategia di cambiamento sulla giustizia e sul fisco che superi la logica delle guerre di posizione che hanno congelato tutto per decenni; trovare le parole per convincere anche i privilegiati che conviene mettersi in discussione.
All’ISTAT nelle stesse ore dell’annuncio di Saccomanni, è toccato certificare la serie negativa più lunga che l’Istituto abbia mai registrato nella sua storia di misurazioni: da ieri siamo all’ottavo trimestre consecutivo di contrazione del Prodotto Interno Lordo.
Per uscire dal tunnel è necessaria la fiducia nei nostri mezzi. Ma anche la consapevolezza che non può finire a tarallucci e vino. Che dalla crisi si esce cambiando. Spostando, cioè, risorse dalla conservazione di privilegi non più sostenibili a utilizzi che siano funzionali a farci trovare un ruolo in un contesto di competizione globale che è assai diverso da quello dal quale siamo praticamente usciti circa vent’anni fa.
Se gli italiani hanno dato il cervello all’ammasso, prepariamoci al peggio
di Arnaldo De Porti
Non riesco proprio a capire :
Primo: perché si parli ancora tanto di Berlusconi, quando il suo destino è pesantemente segnato;
Secondo: perché i giornalisti continuino ad invitare nei vari talk show personaggi squallidi che, a mio avviso, non meritano nemmeno di essere chiamati per nome ed appartenere a questa nostra, per quanto sindacabile, società;
Terzo : perché gli Italiani continuino a non capire, dopo essere stati ingannati per un lungo ventennio, che il berlusconismo è un cancro per il Paese, e non già la giustizia come dice il condannato dalla Cassazione in data primo agosto 2013;
Quarto: perché non interviene UE dicendo che un condannato che, per 20 anni, ha frodato il fisco ed ingannato l’Italia (ma anche l’Europa) possa stare ancora dentro ancora all’Unione, atteso che non ci sarebbero gli estremi della ingerenza degli affari di un altro paese, ma un fatto di delinquenza che contamina e far svergognare anche tutti i Paese dell’Unione Europea;
Quinto: perché, anziché adire alla giustizia europea come hanno pensato di fare i difensori di un delinquente, non è l’Italia a farlo nell’interesse proprio di UE ?
Sesto : perché qualcuno pensa di dare “agibilità politica” o peggio ancora, trovare un salvacondotto ? Solo pensando a questo, dovremmo dire che siamo tutti delinquenti e che pertanto cerchiamo di salvarci fra noi.
Settimo : perché, come si fa per i mafiosi, non si mettono sotto commissariamento i mezzi personali di questo soggetto di Arcore, in modo che non abbia a nuocere ulteriormente al Paese, comprando tutto e tutti ?
Ottavo : ma gli Italiani si rendono conto che da venti anni stiamo parlando solo di lui e delle sue vertenze giudiziarie senza fare un passo avanti, ma cento indietro a danno soprattutto delle fasce deboli ?
Nono : perché non si prendono provvedimenti verso coloro, mass-media in primis, che lo difendono dicendo che il nero è un colore bianco…? Non è consentito neanche alla stampa di dire menzogne !!!
Decimo : se il problema non verrà risolto nel breve termine, ciò starà a significare che il cervello non c’è più e che gli Italiani si sono fatti fregare anche quello, dandolo all’ammasso, come si faceva una volta, e forse anche ora, con i Consorzi Agrari per le patate, il mais ed altre merci
Italiani svegliatevi perché siamo vicini ad una guerra civile, non già quella evocata da Bondi, operaio ben pagato (senza far niente) da Berlusconi, ma perché saranno le fasce serie ed oneste ad opporsi, dopo essere state massacrate per un ventennio ed ora ridotte alla fame.
Distretto Turistico dell’isola verde: una speranza per una rivoluzione culturale ed un rinnovamento politico
Organizzeremo a settembre come Osservatorio sui fenomeni socio-economici dell’ isola d’ Ischia presieduto da Franco Borgogna in collaborazione con la Banca per le Risorse Immateriali coordinata da Osvaldo Cammarota , del Distretto Turistico Isola Verde promosso da Benedetto Valentino e del Magazine Ischianews & Eventi, un seminario nazionale riservato agli amministratori comunali, agli operatori sociali ed agli imprenditori locali sul tema della “ Coesione e lo Sviluppo- le opportunità del Distretto Turistico dei fondi europei 2014-2002”.
L’ occasione ci è offerta dal libro di Carlo Borgomeo, meridionalista di lungo corso, già Presidente di Sviluppo Italia e promotore della legge 44 sull’ Imprenditoria Giovanile ed attualmente Presidente della Fondazione Con il Sud, “ L’ equivoco del Sud-sviluppo e coesione sociale”, che sarà presente al seminario.
Il libro di Borgomeo farà da apripista per un dibattito contenutistico sulle strategie che in questo tempo di drammatica crisi politica, a tutti i livelli, e di evidente recessione economica e finanziaria a livello nazionale e locale, bisogna mettere in atto qui nella nostra isola d’ Ischia, la più importante località turistica della Regione Campania per consistenza della sua ricettività ( almeno 40mila posti-letto) e del suo armamentario economico e sociale costituito da 3mila imprese e da 13mila iscritti al Centro per l’ Impiego ex-collocamento. Sarà necessaria una presenza al seminario di un autorevole esponente della Giunta Regionale della Campania, per il ruolo fondamentale al quale è chiamato l’ Istituto Regionale, per approvare formalmente con i sei sindaci e gli amministratori locali, per il ruolo imprescindibile che i Comuni hanno nel Governo dei Sistemi Locali di Sviluppo, un documento di indirizzo sul quale impostare una “ strada Maestra” per incamminarci, soprattutto nell’ interesse delle nuove generazioni, verso la ripresa economica, politica, culturale della nostra isola ancora divisa in sei Comuni nonostante ormai da anni sia evidente un unico sistema economico comprensoriale , impostato sui “ turismi” e non più sul solo “ turismo balneare e termale”.
Questi “ turismi” sono resi evidenti dal nostro Magazine “ Ischianews” con la nostra cartina topografica della “ strada del vino e dei prodotti tipici” con 22 aziende agricole aderenti, con l’ indicazione di 24 sentieri arricchita con la carta nautica dell’area marina protetta del “ Regno di Notturno” per presentare in estrema sintesi ed evidenza un’isola da vivere e godere da terra e da mare. Questi “ turismi” sono presentati negli aspetti “ commerciali” delle segnalazioni delle nostre eccellenze della nostra industria alberghiera e termale e della ristorazione e dei servizi.
Insomma presentiamo ogni mese – con l’ indicazione degli Eventi non solo di colore locale ma anche di rilievo internazionale e con alcuni reportage – un’ isola di straordinario interesse che è viva nella sua consapevolezza del suo patrimonio ambientale e nella sua espansione economica e sociale.
Logicamente quest’isola NON è il “ Paradiso dell’ Eden”, che non esiste sul pianeta terreste, né è l’ “ isola di Utopia” di Tommaso Moro. Ci sono “ ferite” nella sua difesa naturale e nella sua organizzazione civile. Ed è su come vogliamo curare queste “ ferite” che intendiamo avviare un dibattito per agire non per fare accademia.
A 60 anni esatti dalla grande trasformazione urbana di Lacco Ameno avviata nel 1953 dagli investimenti di Angelo Rizzoli ( 1888-1970) sui progetti dell’ arch. Ignazio Gardella l’ isola d’ Ischia ci appare come un caso paradigmatico dell’ opportuno “ sviluppo sostenibile” avviato in un’ area del Mezzogiorno. Così ci pare scritta per noi ischitani l’ epigrafe scelta da Borgomeo per il suo libro tratta da un lavoro di Giorgio Ceriani Sebregondi ( 1916-1958): “… evitare di cadere nell’ errore di chi, trovandosi di fronte ad un albero che da pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’ albero, provvedesse ad appendere dei frutti sui suoi rami”.
Noi dobbiamo consolidare i “ turismi” dell’ isola d’ Ischia e “ curare” la malattia dell’ albero.
Per curare le ferite del nostro sistema economico ci pare necessaria una “ Legge Speciale” che superi il vetusto e non applicato “ vincolismo” delle leggi del 1939 e del piano urbanistico territoriale ministeriale del 1995 e che unifichi amministrativamente l’ isola in una sola unità amministrativa nel quadro del sistema dei poteri locali che dovrà essere determinato con l’ abolizione della Provincia e l’ istituzione della Città Metropolitana di Napoli alla quale, in qualche modo, l’ isola dovrà rimanere legata per geografia e storia. L’ unità amministrativa ci pare indispensabile per una seria e praticabile Pianificazione Territoriale e per una realistica Programmazione Economica ambedue necessarie per una politica di Coesione.
Ma nelle more dei tempi lunghi ed imprecisati delle Riforme Costituzionali bisogna agire ed avviare con il consenso dei sei Comuni gli interventi strutturali ed infrastrutturali capaci di guarire le “ ferite”. Il caso di Casamicciola è significativo perché bisogna recuperare al sistema produttivo una superficie coperta di circa 100mila mc. fra i quali giganteggia il recupero del monumentale complesso del Pio Monte della Misericordia con un approdo turistico attrezzato ed il recupero del bacino idrotermale di La Rita.
Il Distretto Turistico può essere lo strumento di Coesione dell’ isola perché può essere visto come la stanza di compensazione dei sei campanili, come un ente nato dalla volontà dei sei Comuni, come strumento di concertazione tra interventi pubblici e privati. Non si tratta di creare l’ ennesimo nuovo ente sovra comunale o una specie di nuovo proclama della marina borbonica del “ facite ammuina” di cui accennava il prof. Mariano D’ Antonio nel suo intervento su “ La Repubblica” di domenica 4 agosto. Si tratta di un ente “ capace di far fare agli altri ciò che dovrebbero fare” e cioè utilizzare a pieno le grandi opportunità dei fondi europei del programma 2014-2020 con interventi giuridicamente agibili resi tali dai Comuni.
Questo Grande Progetto per il quale occorrono almeno 100milioni di euro può prevedere anche una Società di Trasformazione Urbana ai sensi dell’ art.120 del Testo Unico degli Enti Locali capace di espropriare gli immobili dismessi di proprietà privata e di ristrutturarli per le nuove esigenze e soprattutto di gestirli perché anche questo è una questione di estrema importanza che il prof. D’ Antonio ha rimarcato nel suo intervento.
Il seminario dovrà delineare un quadro opposto al “ facite ammuina” della marina borbonica capace di mettere ciascuno al suo posto, di far fare ad ognuno la sua parte, nell’ interesse dei Giovani che debbono riscoprire il gusto di progettare il futuro.
Se in democrazia la forma è sostanza
“Intrighi poco democratici: Pd impegnato a mantenere reami e facce immutabili”
di Giuseppina Bonaviri
Ho provato ad immaginare quale sarebbe l’esito dei congressi nei comuni della provincia di Frosinone se venissero confermate le proposte dell’ultima Direzione del Partito Democratico di far votare solo gli iscritti e mi riesce d…ifficile immaginare che, a livello provinciale, non si possa evitare un salto all’indietro rispetto al tentativo di rinnovamento avviato con l’esperimento dei giovani al governo dei territori locali del partito.
Nel nostro territorio ci si è ritrovati, infatti, davanti ad un partito che fa del “picchettaggio” delle nostre terre la sua prima e grande preoccupazione. Non si capisce come possa un congresso in provincia frusinate essere occasione di discontinuità se chi tenta di proporre una linea politica, che parte dai reali problemi, viene considerato un idealista e i tanti segnali di crisi che emergono vengono decodificati come eventi fra loro separati ed indipendenti dalla volontà dei partiti stessi.
Cambiare stile rimane una priorità anche per attrarre l’elettorato antistituzionale e che da tempo non vota. Inoltre si contribuirebbe a sostenere una sana linea innovativa rivitalizzante l’intera galassia della politica ( trait d’union tra progetti europeisti socio politici moderni) ma anche si aiuterebbe a superare la recessione con lo smottamento delle filiere d’interessi, non legittimando più spartizioni nella pubbliche amministrazioni e rendite di posizione del sistema.
Invece nulla si muove in un Pd che continua ad avere la pretesa di essere forza nuova ed organizzatrice, sede del dibattito propulsivo e dell’incontro politico democratico. Purtroppo esso stesso, e nella nostra provincia ancor più, si dimostra subalterno ad una concezione verticale-verticistica della politica aggregando maggiorenti anche dei partiti tutti sempre più in affanno e preoccupati solo di garantirsi assetti e stabilità personale. Personaggi, questi, che non riescono ad essere più credibili per nessuno. Se si considera poi l’impossibilità ad attestarsi su una linea orizzontale di superamento dei soli assi di potere si capisce come l’attuale crisi economica e sociale ci divori. Viene naturale chiedersi quali siano i confini, morali e politici, che distanziano il Pd dagli altri partiti se pur mai ve ne fossero rimasti.
Dire, allora, che siano le primarie il metodo di selezione del gruppo dirigente può essere condizione preliminare allo svecchiamento ma come non comprendere che esse, per quell’aggrovigliamento che attualizza gli assetti interni del partito, rischiano di portare al voto solo gli amici degli amici meglio, gli amici della “cucchiarella” svuotando il progetto dei buoni propositi e contenuti etici? Ci si domanda, così, come i prossimi consensi potranno essere intercettati dal partito, che tutto preso dal mantenere presidi e reami, non pratica quei valori che ne avevano motivato la nascita e che rimanevano prerogativa del rapporto con elettorato smarrito e disaffezionato.
Ne abbiamo avuto prova anche nelle scorse amministrative comunali locali che, a tutela di quei nominati che non trovarono posto nel partito, vennero candidati in fittizie liste civiche con il solo scopo di consentirne la loro elezione (anche a costo di un passaggio da uno schieramento all’altro) con buona pace della coalizione, cosa che ancor più ci fa sentire orfani della cosa pubblica.
Questa modalità rimane la prima causa della crisi identitaria del Pd: la sua disponibilità ad accogliere il trasformismo, mantenendo a galla una classe di politici immutabile ed immobile che ha dimostrato di non saperci rappresentare e di cui l’elettorato ormai conosce tutti i limiti, non può essere più tollerata.
Gli incarichi di sottogoverno che in queste ultime ore sono emersi e da noi precedentemente denunciate a mercimonio dei più recenti rimpasti di giunta non fanno che aumentare il distacco della politica dai cittadini. Ciò ci fa credere che sia vicina la fine di questa epoca, di quella lunga transizione dove partiti personali e mediatici hanno bandito la grande partecipazione di massa. Quella sorta di pensiero debole, che poi è tattica di sopravvivenza di tutte le istituzioni degenerate, non potrà farci sorvolare sulle nobili ragioni di partecipazione, di rappresentanza, forma partiti che rimangono i pilastri del processo sociale del cambiamento che auspichiamo.
E se in democrazia forma e contenuti sono inseparabili, il percorso alternativo che guardi alle concrete ragioni delle comunità, come noi della Rete La Fenice proponiamo, non potrà che essere l’orizzonte verso il quale approderanno le tante donne e i tanti uomini non rassegnati e non sottoposti alla malaffare ma in cerca di un avvenire migliore