L’intervento di Enrico Letta per la fiducia al Senato
Signor Presidente, onorevoli senatori, nella vita delle Nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile. Sono le parole di Luigi Einaudi quelle che richiamo qui oggi: le richiamo qui in Parlamento, davanti al Paese, davanti a tutti voi, per venire subito al cuore della questione. L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, irrimediabile. Sventare questo rischio, cogliere o non cogliere l’attimo, dipende da noi, dipende dalle scelte che assumeremo in quest’Aula, dipende da un sì o da un no.
C’è un monito, un monito più recente, ugualmente solenne, che voglio qui ricordare. Poco più di cinque mesi fa il Presidente, cui va una volta ancora la mia, la nostra, profonda gratitudine, per quanto ha fatto e sta facendo per l’Italia, il presidente Giorgio Napolitano invitava le Camere riunite ad offrire una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di volontà di dare risposte vere ai problemi del Paese. Invitava tutti coloro che lo avevano appena eletto una seconda volta alla Presidenza della Repubblica – fatto unico nella nostra storia – a uno scatto di dignità, di attaccamento alle istituzioni, di amore per l’Italia.
Quel monito fu accolto, anche allora, da un appassionato plauso della maggioranza dei presenti di queste Aule. Quel monito ha avuto come seguito nei mesi successivi l’impegno, con tutte le forze e la massima determinazione possibile, del Governo per costruire soluzioni tangibili ai problemi veri delle persone, per provare ad alimentare una rinnovata fiducia nella politica, nella sua capacità di riformare l’Italia e anche, problema più serio, di riformare se stessa, per restituire al mondo l’immagine di un Paese giovane, dinamico, affidabile.
I componenti del Governo hanno dato prova di lealtà. Tutti, pur consapevoli dello spazio ristretto nel quale ci si muoveva, si sono adoperati in Consiglio dei ministri e nell’attività da Ministri per costruire insieme politiche efficaci, senza certo rinunciare alla propria identità politica o ai propri convincimenti di parte, ma lavorando tutti con vero spirito costruttivo. Abbiamo fatto passi avanti, impensabili anche solo fino a pochi mesi fa, nella comprensione reciproca. Ci siamo confrontati su un orizzonte più alto, più nobile, quello dell’interesse generale degli italiani. E gli italiani, nella stragrande maggioranza, ci dicono, mi verrebbe da dire ci urlano, che non possono più delle messe in scena da «sangue e arena» e del «si scannano su tutto, ma poi non cambia niente». Cambia se vogliamo che cambi. Cambia se ci predisponiamo noi per primi al coraggio. Cambia se siamo solidi al punto da non temere che l’incontro con l’avversario sporchi o inquini la nostra reputazione: solo chi ha un’identità debole teme il confronto con le ragioni altrui.
Io stesso, lavorando gomito a gomito con i Ministri, con i parlamentari che militano in altri partiti rispetto quello nel quale milito io, sono in grado oggi di apprezzare e di testimoniare la passione che alberga in tutti i settori della politica italiana, settori che non sono il mio, settori che hanno dato esempio di vitalità complessiva del sistema, ai quali voglio quindi rendere testimonianza e che, voglio sottolineare, rappresentano uno dei punti nevralgici della discussione che stiamo svolgendo. Solo chi non ha le spalle larghe finisce ostaggio della paura del dialogo, perfino quando il dialogo è virtuoso e volto solo e soltanto al bene comune.
La prima sede deputata al confronto sono certamente le istituzioni. Per questo in ogni atto del Governo, in ogni iniziativa, nazionale e internazionale, in ogni passaggio, anche delicato o doloroso, ho doverosamente coinvolto il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati. Personalmente, con oggi, ho risposto dell’operato del Governo, io stesso, in Parlamento, 15 volte in poco più di 150 giorni. Ho ripristinato lo strumento del question time alla Camera dopo anni e anni di assenza; l’ho introdotto per la prima volta in quest’Aula al Senato. Perché questo è il luogo della sovranità popolare. Perché il rispetto e l’amore per le istituzioni sono intrinseci alla cultura, alla mia cultura, e costitutivi della mia storia personale e politica. Perché il Governo che guido è nato in Parlamento, e, se deve morire, deve farlo qui: in Parlamento, appunto, alla luce del sole, di fronte a tutti gli italiani.
Questa trasparenza, con la linearità dell’azione politica ad essa sottesa, è il modo migliore per affrontare anche le più complesse e apparentemente inestricabili commistioni tra questioni diverse e in conflitto tra di loro. È il caso – non intendo certamente girarci attorno – della vicenda giudiziaria che investe Silvio Berlusconi. La vita del Governo e la decisione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato sulla sua decadenza da senatore si sono sovrapposte in queste settimane in un crescendo di convulsioni che ha sempre più condizionato il dibattito pubblico. Un crescendo culminato mercoledì scorso nell’annuncio delle dimissioni da parte dei parlamentari del PdL, giunto proprio mentre intervenivo, a nome di tutta l’Italia, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Ebbene, esattamente una settimana fa si è creata una situazione insostenibile che mi ha portato qui oggi a tracciare davanti a voi la separazione tra quella questione giudiziaria e l’attività di un Esecutivo che è nato per servire l’Italia. I due piani non potevano né possono essere sovrapposti.
La nostra Repubblica democratica si fonda sullo Stato di diritto, sul principio di legalità, sulla separazione dei poteri. In uno Stato democratico le sentenze si rispettano, si applicano fermo restando il diritto intangibile a una difesa efficace, senza leggi o trattamenti né ad personam, né contra personam. Un diritto che va riconosciuto e concesso a un parlamentare come a qualsiasi altro cittadino italiano.
Onorevoli senatori, il Governo, questo Governo in particolare, può continuare a vivere e a fare bene solo se è convincente nella definizione del programma e nella sua attuazione, in un vero e proprio nuovo patto, giorno dopo giorno, con la prospettiva sempre focalizzata sui problemi veri delle persone, delle famiglie, delle imprese, della nostra comunità. Tutto il resto (le minacce quotidiane, le polemiche tossiche agitate strumentalmente) ingenera caos, disagio, smarrimento nei cittadini; di certo nulla di buono e sano porta alla gestione della cosa pubblica, tanto più in una stagione di gravissima complessità quale quella che stiamo vivendo.
Più e più volte in questi mesi mi avete ascoltato tessere in Italia e all’estero l’elogio della stabilità: stabilità intesa come valore assoluto, da perseguire e alimentare ora dopo ora, stabilità messa così clamorosamente a repentaglio.
Non è sempre stato così nella storia italiana. Nella primissima fase della Repubblica, dal 1946 al 1968, abbiamo avuto una stabilità politica impensabile oggi. In quegli anni, dal ’46 al ’68, tre Presidenti del Consiglio hanno governato la maggior parte di quel tempo. I benefici della stabilità di allora li conoscono tutti gli italiani; hanno avuto conseguenze: la ricostruzione dalle macerie della guerra, il boom economico, una crescita media del 5 per cento l’anno, un debito pubblico che a quel tempo era ben al di sotto del 50 per cento del PIL. Poi, tra il 1968 e il 1992 si sono succeduti ben 24 Governi; la crescita è rallentata, il consenso elettorale è stato acquisito allargando i cordoni della borsa dello Stato, facendo più che raddoppiare il debito pubblico. La fase successiva, quella attuale, avrebbe dovuto essere la stagione della democrazia compiuta e governante. Non lo è stata, ahinoi!
Dal 1992 ad oggi si sono avvicendati addirittura 14 Governi. Per un impietoso confronto, in Germania ci sono stati solo tre Cancellieri nello stesso periodo. Noi 14, loro tre in tutto! Un altro spread, a ben vedere, un altro spread che pesa eccome nel confronto con le grandi democrazie europee.
È evidente a chiunque che le politiche per la crescita, che necessitano di un lungo respiro perché chi le attua possa goderne frutti, sono possibili solo con una prospettiva temporale ragionevole e con Governi stabili. Nel breve orizzonte manca il coraggio perché ai primi costi – e le riforme sono costose, oltre che spesso dolorose in termini di consenso – il Governo viene mandato acasa. Avanti il prossimo, e poi il prossimo ancora, oppure tutti alle urne.
Questa è una delle ragioni – non certo l’unica – che spiega la mancanza di crescita e l’impennata del debito pubblico. Dietro, a ben vedere, c’è un’altra grande mancanza, quella della politica: c’è l’assenza di scelte forti, c’è l’ossessione del presente, del consenso a tutti i costi, qui e subito.
Oggi rischiamo di trovarci in una situazione analoga. Non sono le forze dell’opposizione, che legittimamente si oppongono a un Esecutivo che non condividono: sono le forze della maggioranza a trovarsi in una fibrillazione che potrebbe precipitare la crisi. E una crisi significherebbe, di nuovo, contrarre ancora gli orizzonti, posticipare ancora le misure a favore di imprese, lavoratori, disoccupati (disoccupati giovani e non) che aspettano solo di essere aiutati per uscire dalla crisi. Significherebbe di nuovo sedere sul banco degli imputati in Europa e nel mondo: l’Italia incorreggibile l’Italia che non impara mai dai propri errori, l’eterna incompiuta che manda nel panico i mercati e scatena la preoccupazione.
Questo significherebbe, anche, oggi, rinunciare alla riforma indispensabile della politica e delle istituzioni. Riforma cui tutte le forze di maggioranza si sono solennemente impegnate ad aprile: mai più porcellum, mai più finanziamento pubblico ai partiti, mai più storture del bicameralismo paritario. Oggi, in poco tempo, possiamo riformare davvero la politica: i provvedimenti varati dal Governo in questi mesi sono ora all’esame del Parlamento. Se rapidamente discussi e approvati, possono costituire davvero una svolta nel rapporto con una pubblica opinione che, dobbiamo esserne tutti consapevoli, non dà più credito alle promesse, non attende più. Il tempo d’attesa è scaduto.
In caso di crisi rischiamo invece di scivolare verso elezioni che potranno sì, ma che – lo sappiamo – rischierebbero portare a un raggiustamento nelle percentuali tra un partito e l’altro, di consegnare per l’ennesima volta il Paese all’ingovernabilità. Probabilmente, ci troveremmo ancora, dopo le elezioni, per uscirne, le larghe intese, perché con questa legge elettorale, con questo assetto bicamerale, con questo sistema politico frazionato in quattro o cinque coalizioni, le prossime elezioni rischierebbero di non produrre una chiara maggioranza.
Sulle riforme oggi la direzione è tracciata. In questi cinque mesi, in anticipo sul cronoprogramma che ci eravamo imposti e che avevamo deciso insieme in Parlamento, il Comitato dei saggi ha completato un impianto di riforma delle istituzioni ambizioso e moderno, equilibrato. Nessun stravolgimento, nessun golpe, nessun attentato ai principi fondamentali della Carta costituzionale: indicazioni di rotta per cambiare in meglio e rendere finalmente funzionante la democrazia italiana.
D’altronde, come si fa a difendere il bicameralismo paritario? Come si fa a non ridurre il numero dei parlamentari? Come si fa a non vedere gli intralci e le storture generate dalla riforma del Titolo V del 2001? Oggi siamo, come dicevo, nelle condizioni di chiudere in anticipo, rispetto alle previsioni iniziali, e di completare, dunque, il percorso di riforma in 12 mesi da oggi. Questa volta ce la possiamo fare; possiamo costruire istituzioni funzionanti e, prima di ogni altra cosa, scrivere, come sta avvenendo qui in Senato, in la Commissione affari costituzionali, (è materia tipicamente parlamentare e il Governo è rispettoso dell’iniziativa del Parlamento), una legge elettorale in grado di restituire il diritto di scelta ai cittadini, di consegnare al Paese vincitori e sconfitti, di mettere chi vince nelle condizioni di governare davvero, fuori dalle polemiche per il bene dei cittadini e con il coinvolgimento di tutte le forze politiche dentro e fuori la maggioranza.
Il Governo, dunque, intende sostenere e accompagnare attivamente il percorso parlamentare (che oggi, con la procedura di urgenza in atto qui al Senato, è un procedimento concreto) di modifica dell’attuale legge elettorale sia in previsione di una possibile pronuncia della Corte costituzionale sia per evitare comunque il rischio che il Paese possa tornare al voto con l’attuale legge, che toglie ai cittadini il diritto di scegliersi gli eletti e che porta maggioranze diverse, come capita questa volta, nelle due Camere.
Un percorso di modifiche che non è in contrasto con la consapevolezza che la legge elettorale andrà poi rivista in base alle scelte di modifica costituzionali in materia di forme di Governo e bicameralismo.
Onorevoli senatori, che ce la possiamo fare l’ho detto e ridetto all’infinito a tutti coloro che ho incontrato nelle ultime settimane. Vale per la riforma delle istituzioni, vale a maggior ragione per l’economia e la società. Dopo otto trimestri di contrazione, l’economia italiana si è stabilizzata e avviata verso una graduale ripresa. Abbiamo alle spalle un incubo, abbiamo alle spalle un periodo di recessione senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale; una recessione che segue il decennio perduto. Con la crisi l’Italia ha perso più di otto punti percentuali di PIL, l’Italia ha perso oltre un milione di posti di lavoro; un cataclisma nell’economia, nella società, che porta e ha portato preoccupazione, disagio, disperazione nelle famiglie italiane.
È a loro, prima che a chiunque altro, che dobbiamo rendere conto delle nostre azioni; è su di loro che le conseguenze del voto di oggi potrebbero causare danni irreparabili. Per evitarlo, subito, tra pochi giorni, abbiamo l’occasione di fare una nuova politica economica e industriale che si concentri su tre grandi priorità: il rafforzamento della ripresa in atto, il taglio consistente delle tasse sul lavoro e sui lavoratori, un intervento drastico sui fattori che limitano la competitività dell’economia.
Dal suo insediamento il Governo ha investito oltre 12 miliardi di euro, quattro dei quali sul lavoro, la cassa integrazione, gli ammortizzatori sociali e la lotta alla povertà. Lo ha fatto in costante e proficuo dialogo con il sindacato e con tutte le parti sociali, ed è stata una buona notizia il documento comune sulla crescita presentato un mese fa imprenditori e sindacati, documento sul quale siamo pronti oggi al confronto.
Il nostro obiettivo, dichiarato da tempo, è un aumento del PIL pari all’1 per cento per il 2014 e superiore negli anni successivi. La legge di stabilità è l’occasione per raggiungere questi obiettivi e dimostrare al Paese che il cambiamento è in atto. Questo non significa naturalmente che abbiamo intenzione di arretrare di un millimetro nel processo di risanamento della finanza pubblica, anche perché ogni allentamento delle politiche si riflette pesantemente sui costi di finanziamento del nostro debito.
Il risanamento ci ha consentito, grazie ai sacrifici di tutti gli italiani e all’azione degli Esecutivi precedenti e di questo Governo, di uscire a fine giugno dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo dell’Unione europea; ci ha permesso finalmente di non essere più sotto esame. Per questo vogliamo e possiamo confermare, con la serietà che ci è richiesta e di cui certo disponiamo, che rispetteremo gli impegni con l’Europa per il 2014: l’indebitamento nominale deve restare e resterà entro la soglia del 3 per cento; l’indebitamento strutturale deve tendere e tenderà rapidamente verso il pareggio; il peso del debito deve ridursi e si ridurrà. Nell’immediato il Governo adotterà le misure necessarie per ricondurre l’indebitamento del 2013 entro il 3 per cento.
In questi cinque mesi, onorevoli senatori, abbiamo sostenuto l’economia in primo luogo attraverso la forte accelerazione impressa al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese; un percorso iniziato durante il Governo Monti, che ci eravamo impegnati a velocizzare. L’abbiamo fatto e documentato settimana dopo settimana; a oggi, 2 ottobre, alle imprese sono arrivati 12 miliardi di euro, con un’accelerazione di settimana in settimana. Completeremo il tutto nel 2014, e anche in questo caso non c’è certo bisogno di ricordare che l’eventualità di un Governo debole rallenterebbe o addirittura impedirebbe di portare a compimento il pagamento. Interverremo poi per ridurre i costi delle bollette elettriche e rilanceremo politiche industriali di settore; continueremo interventi specifici a favore delle piccole e medie imprese, cuore del nostro sistema economico e imprenditoriale.
In questi mesi, abbiamo inoltre varato leggi a sostegno dell’edilizia ecocompatibile, del mobile-arredo, dell’efficienza energetica, delle infrastrutture e iniziative per migliorare la qualità della spesa pubblica e dare sostegno alla domanda interna. Queste azioni proseguiranno nell’ultimo trimestre dell’anno e nel 2014.
Non intendo certo qui stilarne la lista: è troppo lunga, ma siamo stati tutt’altro che il Governo del rinvio. Lo dico perché voglio far presente che proprio oggi «Il Sole 24 Ore» ha un inserto tutto dedicato al tema dei lavori per la casa, per le infrastrutture, per gli interventi ecocompatibili, antisismici, per il contrasto d’interessi, che renda possibile che quando si chiede una fattura vi sia da una parte l’interesse ad ottenerla e dall’altra parte l’interesse di chi svolge una funzione effettivamente a farla e a fare tutto alla luce del sole.
È la dimostrazione, qui, che chi parla di Governo del rinvio mente, è la dimostrazione, qui, dei fatti concreti che in questi cinque mesi sono stati messi in campo per rilanciare l’economia, i posti di lavoro e le attività del nostro Paese.
A chi parla di Governi del rinvio invito a chiedere ai beneficiari delle centinaia di misure messe in cantiere da aprile in poi se condividono o meno questa percezione: ai precari della pubblica amministrazione, alle donne vittime di soprusi, agli esodati per licenziamento individuale, ai cassaintegrati, agli insegnanti di sostegno, agli assegnatari delle borse di studio, agli operatori della cultura, ai lavoratori delle fondazioni liriche, a chi sta ristrutturando casa, a quanti ieri stesso in tre ore hanno fatto un clic – (5.500 posti di lavoro nuovi che si sono creati per i giovani), ai piccoli imprenditori beneficiari della nuova legge Sabatini, ai ragazzi che fino a ieri erano figli legittimi, naturali, adottivi e oggi sono figli, figli e basta. E potrei continuare.
Invece che di rinvii, parliamo di serietà: serietà perché i problemi li abbiamo affrontati in questi mesi, con soluzioni immediate quando è stato possibile. Penso ancora alla cassa integrazione, alla riforma per rendere più rapida la giustizia civile, al piano casa per le giovani coppie e per i precari, alla legge contro il femminicidio, al diritto allo studio, alla cultura, all’edilizia scolastica che è ripartita, allo sblocco dei cantieri, ai primi interventi di lotta alla povertà, agli ecobonus, alla defiscalizzazione di tanto lavoro per i giovani.
Quando invece le soluzioni immediate non sono state oggettivamente percorribili, abbiamo scelto la via della costruzione paziente di riforme destinate a durare, certo oltre il nostro stesso mandato. È una scelta che rivendico, sì, è una scelta di serietà.
Questo stesso metodo ci guiderà nel prossimo futuro: selettività, attenzione, cura per la cosa pubblica senza alcuna ansia dettata dalle pressioni del dibattito pubblico. La legge di stabilità estenderà il campo d’azione degli interventi per la crescita, sposterà l’enfasi della politica di bilancio verso la riduzione della spesa e verso la riduzione delle tasse, in linea con quanto abbiamo fatto finora, confermando anche in materia fiscale e di fisco per la casa la rotta degli impegni assunti.
Proprio perché non vogliamo nuove tasse, intendiamo mettere il livello complessivo della spesa pubblica al centro dell’impostazione dell’azione di bilancio per il 2014. Al contenimento della spesa pubblica contribuirà il processo di revisione delle strutture pubbliche e delle loro procedure. Vorrei che questo passaggio fosse chiaro a tutti noi: non esistono tagli di spesa facili, a meno che non s’intenda, ma sono certo che nessuno in quest’Aula lo voglia, procedere a colpi di tagli lineari. La revisione va dunque fatta con accortezza, attenzione, competenza. Se otterremo la fiducia chiederemo al dottor Carlo Cottarelli di assumere il ruolo di commissario per la spending review.
Crediamo sia possibile fare un’efficace azione di revisione della spesa nella pubblica amministrazione, assicurandone le funzioni fondamentali e tutelando le fasce più deboli della popolazione.
E d’altronde – lo voglio dire rivendicandone tutta la forza – in questo 2013 abbiamo realizzato finora 1.700 milioni di euro di riduzione della spesa pubblica. Cifre, fatti, non annunci!
In questi cinque mesi, onorevoli senatori, ho rappresentato l’Italia in quattro Vertici internazionali, due Consigli europei, un G8 e G20. Ben tre di essi, tre su quattro, hanno avuto al centro la battaglia contro i paradisi fiscali nel mondo. Il nostro contributo è stato importante per l’assunzione di decisioni ormai vincolanti: il cerchio si sta stringendo attorno ai Paesi che alle banche che hanno consentito in questi anni l’esportazione illegale di capitali finanziari sottratti all’erario, dunque alla collettività.
Il tempo dei capitali esportati illegalmente all’estero sta dunque finendo, è in corso una svolta storica nel mondo che dobbiamo cogliere, affinché vinca la legalità e l’Italia possa riappropriarsi di risorse che consentiranno, già a partire dal prossimo esercizio finanziario, di far scendere il deficit e centrare il nostro obiettivo principale: abbassare le tasse a vantaggio dei cittadini onesti.
Chiederò per questo al procuratore Francesco Greco di riaggiornare rapidamente le conclusioni del lavoro svolto l’anno scorso, per consentirci di avviare un piano articolato sul tema della legalità e dei capitali all’estero.
La delega fiscale darà poi stabilità e certezza al regime impositivo, contribuirà a rendere più sistematica la lotta all’evasione e a migliorare i rapporti tra fisco e contribuenti, oltre che a consentire una revisione periodica dell’entità complessiva e delle motivazioni delle agevolazioni fiscali.
Vogliamo procedere ad una revisione della struttura delle aliquote dell’IVA e anche l’introduzione della service tax permetterà di accrescere la responsabilità fiscale dei Comuni, secondo un principio molto elementare di “vedo-pago-voto”.
Voglio peraltro porre in rilievo – e voglio insistere su questo punto al di là di tutte le cose dette, spesso a partire da informazioni sbagliate, in questi mesi e in questi ultimi giorni in particolare – che questi cinque mesi di Governo hanno già determinato un primo significativo sollievo fiscale per gli italiani.
A chi ancora oggi fa polemiche sul tema del fisco ricordo che grazie al nostro Governo gli italiani hanno pagato, in questi cinque mesi, meno tasse rispetto al previsto per oltre 3 miliardi di euro e anche questi sono fatti, non sono rinvii. Con la legge di stabilità e i provvedimenti collegati punteremo, come ho detto, ad una riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro in entrambe le componenti, quella a carico del datore di lavoro e quella a carico del lavoratore. Dunque (lo scandisco bene): più soldi in busta paga per il dipendente, più margini di competitività per le imprese, riattivazione della domanda interna. Più incentivi all’assunzione dei lavoratori a tempo indeterminato. E poi: sgravi fiscali per le start up innovative; rafforzamento dell’ACE (l’aiuto per la crescita economica messo in campo dal Governo Monti) così da incentivare la patrimonializzazione delle imprese e gli investimenti; avvio di un importante programma di dismissioni immobiliari e privatizzazioni e razionalizzazione delle società controllate, statali e locali.
Nessuna svendita, ma fondamentali immissioni di nuovi capitali per essere più competitivi ed evitare quelle delocalizzazioni che soprattutto nelle Regioni del Nord, con le vicine e competitive aree della Slovenia, dell’Austria e della Svizzera, rendono complesso il lavoro delle nostre piccole e medie imprese.
L’azione congiunturale e le riforme strutturali devono essere collegate strettamente, dobbiamo completare gli interventi già avviati nei campi della giustizia civile, della regolamentazione e della riforma della pubblica amministrazione. Su questa traccia muove il Piano destinazione Italia, presentato personalmente alla comunità finanziaria mondiale la scorsa settimana.
Si tratta di un pacchetto di certezze con tre priorità assolute: assicurare agli investitori stranieri e ai nostri imprenditori la certezza del fisco, essenziale per la pianificazione degli investimenti; la certezza dei tempi, appunto con la riforma della giustizia civile; la certezza delle regole, per esempio con la riforma della Conferenza dei servizi e con un Testo unico sulla normativa del lavoro.
Più in generale, proprio in tema di regole, sulla giustizia il nostro lavoro potrà basarsi sulle importanti indicazioni contenute nella relazione conclusiva del gruppo di lavoro nominato dal presidente Napolitano il 30 marzo 2013.
In questo quadro di opportune e urgenti riforme si collocano sia l’adempimento degli obblighi europei (a cominciare dal rispetto delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea) sia la necessità di ulteriori misure per affrontare la questione carceraria, oggetto di un annunciato messaggio del Capo dello Stato alle Camere e di un suo appassionato discorso nell’ultima visita al carcere napoletano di Poggioreale.
Tornando al piano di attrazione degli investimenti «Destinazione Italia», abbiamo iniziato a costruirlo fin d’ora perché il momento in cui il mondo farà rotta sull’Italia è dietro l’angolo. EXPO 2015 è dietro l’angolo, guai a considerarlo soltanto un evento: è la scossa di fiducia con cui ci scrolleremo di dosso una volta per tutte quella cappa di autolesionismo e minimalismo che troppo spesso ha accolto le nostre paure. È un’occasione per tutta l’Italia ed è, in particolare, una grande sfida per il Nord e per le aree più produttive del Paese.
Il tema dell’EXPO «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita» è straordinario, scritto proprio pensando a noi italiani, alla forza dell’ambiente, dell’agricoltura, dell’enogastronomia italiana, che anche nella crisi hanno trascinato il made in Italy nel mondo. Insieme possiamo nutrire l’Italia che fa crescere ogni giorno la ripresa.
In parallelo, occorre portare a compimento l’assetto del decentramento fiscale e completare gli atti, rimasti ancora in sospeso, che riguardano il federalismo fiscale. Le linee guida del Governo sono l’equilibrio di bilanci, la responsabilità fiscale, la semplificazione. Occorre muovere verso un vincolo di bilancio pienamente coerente con la riforma costituzionale, prima di tutto costruendo un Patto di stabilità interno più intelligente, strategico, industriale e non solo contabile, capace di stimolare gli investimenti anziché bloccarli sia con l’obiettivo di creare lavoro in questa fase di crisi sia perché, senza investimenti, non esistono innovazione, riforme e crescita.
Lo faremo nel rispetto del ruolo dei territori, nel rispetto del ruolo dei Comuni, che dobbiamo liberare, e nel rispetto del ruolo delle autonomie speciali.
La ripresa della attività produttiva attenuerà la disoccupazione e le diffuse condizioni di disagio economico. È, però, indispensabile potenziare sotto il profilo quantitativo e qualitativo gli strumenti di sostegno alle fasce deboli della popolazione: i centri per l’impiego, le misure per l’inclusione sociale, il contrasto alla povertà. Milioni di persone vivono oggi in Italia in una situazione di estrema vulnerabilità. Non c’è niente – davvero niente – di più urgente e indispensabile che continuare, come abbiamo iniziato a fare, a mettere in moto strumenti concreti per attenuare la loro disperazione, per evitare che essa si trasformi in rabbia e in conflitto. Nella legge di stabilità inseriremo il sostegno all’inclusione attiva, per aiutare le famiglie povere, specialmente quelle con figli minori, condizionato ovviamente alla prova dei mezzi, all’attivazione sul mercato del lavoro e ad altri impegni da parte dei beneficiari. L’aver già approvato in questi mesi la Carta per l’inclusione sociale dimostra che anche su questo terreno, altro che rinvii: le prime risposte sono arrivate, altre arriveranno.
Questo, onorevoli senatori, è valido per tutto il Paese, ma a maggior ragione è valido per il Sud. In questi primi cinque mesi abbiamo puntato per il Sud sugli investimenti, sulla scuola, sulla cultura, sulle infrastrutture.
Sulla cultura, insisto sulla portata del grande piano per Pompei, oggi finalmente in grado di farne uno dei simboli dell’Italia che torna ad investire sul suo migliore patrimonio.
Abbiamo inserito poi l’obiettivo Mezzogiorno nel nuovo piano industriale della Cassa depositi e prestiti che, complessivamente, prevede investimenti fino a 95 miliardi di euro nel periodo triennale.
Dobbiamo lavorare per garantire a costi accessibili la continuità territoriale, in particolare per la Sardegna. Lo sblocca cantieri ha fatto ripartire la metropolitana di Napoli, l’Alta Velocità Napoli-Bari, la progettazione dell’Alta Velocità fino a Reggio Calabria, le autostrade Agrigento-Caltanissetta e Ragusa-Catania.
Ancora, sul Sud vogliamo vincere la grande battaglia contro la dispersione scolastica. Abbiamo stanziato i primi 15 milioni per far sì che il reclutamento della scuola batta il reclutamento della strada; che tutti i nostri ragazzi abbiamo diritto al futuro con l’istruzione. Perché al Sud, lo sappiamo, l’intensità di ogni problema è moltiplicata all’ennesima potenza; perché al Sud peggiore perfino della rabbia rischia di essere la disillusione e lo scoramento di milioni di giovani, donne, innanzitutto; perché al Sud l’impatto devastante della crisi si accompagna all’effetto della rivoluzione perennemente annunciata e mai arrivata: quella fatta di secoli, di promesse mancate, di illusionisti, di scorciatoie, quella che allontana il Sud dall’Italia e rischia di allontanare l’Italia dall’Europa.
A proposito di Europa, le prossime settimane saranno decisive per i fondi strutturali europei. Gli atti di programmazione del nuovo ciclo 2014-2020 vanno definiti, negoziati ed approvati entro i primi mesi del 2014. Le risorse del vecchio ciclo vanno spese assolutamente entro il 2015, pena il disimpegno.
Abbiamo alle spalle un grande lavoro di ricognizione e razionalizzazione, culminato con la creazione dell’Agenzia per la coesione, proprio per impiegare al meglio i fondi europei di oggi e quelli che verranno. Non possiamo permetterci di buttare tanti soldi alle ortiche. Non siamo nelle condizioni di sprecare risorse, di sprecarle ancora.
Le risorse, tanto più in questa stagione, dobbiamo impiegarle bene e laddove davvero servono a costruire futuro. E insisto su questo punto. Per noi italiani cultura e educazione dovranno essere il cuore della nostra riscossa. Abbiamo già cominciato a dare il primo segnale di inversione di tendenza con i due decreti di agosto e di settembre: “Valore Cultura” e “L’istruzione riparte”.
Sono forse tra i risultati di cui vado più fiero. La strada anche qui è tracciata. Se ci darete la fiducia la percorreremo con maggiore convinzione e slancio ancora. Cultura ed educazione devono essere il centro della nostra ripartenza. Anche, e forse soprattutto da questo, dipende il nostro futuro in Europa e nel mondo.
Al G8 e al G20 abbiamo intensamente lavorato per supportare la risoluzione politica del dramma siriano; ciò a dispetto dello scetticismo iniziale con il quale sono stati commentati certi interventi. L’intesa raggiunta nei giorni scorsi a New York da conto del nostro contributo e riflette anche la posizione italiana, sulla quale, peraltro, hanno finito per convergere anche gli altri Paesi europei: centralità delle Nazioni Unite, condanna inequivocabile dell’utilizzo delle armi chimiche, massimo impegno nell’aiuto umanitario per il dramma senza precedenti di oltre 2 milioni di rifugiati.
Onorevoli senatori, nel 2014 l’Italia assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, per l’unica volta in questo decennio. Quella precedente era nel 2003, 10 anni fa. La prossima volta sarà tra 15 anni. Il 2014 è domani. È un anno decisivo; un anno in cui non possiamo permetterci di far tacere o mancare la voce dell’Italia.
Le parole crescita e lavoro saranno al centro del nostro semestre. Sarà il primo semestre della nuova legislatura 2014-2019. Dovremo fare, di quella legislatura europea, la legislatura della crescita dopo la legislatura dell’arretramento e della sola austerità che in Europa abbiamo vissuto dal 2009 ad oggi.
Porteremo al centro dell’attenzione continentale una gestione attenta e solidale del fenomeno delle migrazioni, partendo dall’appello di Papa Francesco a Lampedusa. L’Europa riparlerà finalmente di Mediterraneo.
Subito però scrolliamoci di dosso l’idea che stare in Europa voglia dire «fare i compiti a casa». L’Europa non è un compitino, è un cammino dei popoli, in cui l’Italia non deve mettersi da sola dietro la lavagna, ma agire da guida, perché l’Italia può farlo. In questi mesi abbiamo dimostrato, onorevoli senatori, che nei cambiamenti dell’Europa l’Italia può essere protagonista. Abbiamo portato l’Europa, con una iniziativa italiana, ad affrontare il grande dramma del nostro tempo: la disoccupazione giovanile. Oggi possiamo e dobbiamo fare di più, anzitutto su difesa e sicurezza e sulle politiche industriali, per raggiungere l’obiettivo di far arrivare il nostro manifatturiero al 20 per cento del PIL entro il 2020, per far sì che un’industria più forte sia volano dell’innovazione. Anche per questo, al Consiglio europeo di fine ottobre punteremo tutto sullo sviluppo dell’Agenda digitale, tema fondamentale proprio per la competitività dell’Italia ed il recupero dei tanti, troppi, divari Nord-Sud.
Onorevoli senatori, abbiamo il diritto di sognare gli Stati Uniti d’Europa, per noi e soprattutto per i nostri figli. Ma non è più tempo solo di sogni. La buona battaglia per l’Europa, che segnerà l’Europa dei prossimi 15 anni, si gioca ora, nel 2004: come si muore di austerità, si può morire di timidezza, di assenza di leadership.
Abbiamo un’agenda ambiziosa per il 2014, sulla rotta Italia-Europa, fatta di appuntamenti urgenti ed irrinunciabili: penso all’attuazione della Garanzia giovani a partire da gennaio, con il lavoro necessario sui centri per l’impiego, e al piano per l’edilizia scolastica con la Banca europea per gli investimenti. Sono politiche pubbliche italiane ed europee che valgono oltre 2 miliardi di euro per il nostro Paese.
L’Italia può arrivare forte e credibile al 2014 quando guideremo l’Europa per costruirla (e raccontarla) più unita, più solidale e più vicina ai cittadini. Ma non c’è influenza senza credibilità. Credibilità vuol dire conti in ordine, stabilità politica, obiettivi politici chiari.
Possiamo scegliere di chiuderci nel nostro cortile delle lotte di politica interna oppure possiamo giocare all’attacco, impegnando tutte le nostre carte su quell’unione sempre più stretta tra i popoli europei, in cui intendo impegnarmi nei prossimi mesi. La nostra prova arriva adesso: dimostriamo all’Europa intera, con il nostro ambizioso semestre, che non è un caso che il Trattato dal quale ha preso le mosse quella che poi sarebbe diventata l’Unione sia proprio il Trattato di Roma, il Trattato firmato a Roma, il Trattato firmato in Italia.
Signor Presidente, onorevoli senatori, il Paese – e vado a concludere – è stremato dai mille conflitti di una politica ridotta a cannoneggiamenti continui da un fronte all’altro, una politica tanto più rissosa quanto più immobile, ripiegata su se stessa, sorda ai veri interessi di chi dovrebbe rappresentare: gli italiani. Questa è l’occasione giusta per dire basta.
L’appello che rivolgo a tutti quanti siedono in quest’Aula lo rivolgo in primo luogo a me stesso: basta con la politica da trincea, concentriamoci finalmente solo su ciò che dobbiamo fare, sulle risposte concrete che il Paese si sta persino stancando di chiederci e che invece ha il pieno diritto di rivendicare: le risposte che si attendono le donne (e so bene che il nostro decreto contro il femminicidio è importante, ma è sul terreno delle pari opportunità, della vera applicazione delle pari opportunità, che dobbiamo muovere in maniera sempre più incisiva); le risposte che dobbiamo dare in materia di ambiente; le risposte che dobbiamo dare in materia di contrasto alle mafie, di quel presidio all’ordine pubblico e della legalità che in questi mesi è stato uno dei capisaldi della nostra azione; le risposte che passano per ulteriori investimenti seri nella scuola, nella ricerca, nella cultura e nell’università.
Onorevoli senatori, coraggio e fiducia è quello che torno a chiedervi. Mi appello oggi al Parlamento, mi appello al Parlamento tutto. Dateci fiducia per realizzare questi obiettivi; dateci fiducia per tutto ciò che si è fatto e si è impostato in questi pochi mesi, una fiducia che non è contro qualcuno. È una fiducia per l’Italia, una fiducia per le italiane e per gli italiani, una fiducia per tutti coloro che aspettano dal Parlamento, dalle istituzioni, dalla politica comportamenti, parole in base ai quali orientare le proprie scelte e su cui fondare ciò che abbiamo il dovere di restituire ai nostri figli: la speranza.
L’11 marzo del 1947 un grande liberale, Benedette Croce, si rivolse in Parlamento ai suoi colleghi costituenti, nell’Assemblea costituente, con le stesse parole che io vorrei oggi qui sommessamente rivolgere ad ognuno di voi, personalmente prima che decidiate se votare il si o il no alla fiducia. Diceva Benedetto Croce: «Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, con il suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso».
Giovedì a Milano parte il tour di “Sapere abilita l’uomo”
Giovedì avviamo il tour di Innovatori Europei verso gli Stati Generali del 9 novembre (che si terranno a Roma e che stiamo cominciando ad organizzare).
Discuteremo (in varie città, tra cui Milano, Roma, Napoli e Pistoia) attorno al documento Sapere abilita l’Uomo, che sarà la base della giornata nazionale.
Cominciamo da Milano dove incontriamo gli amici lombardi.
Ci vediamo alle 19 al Bar Motta Milano Stazione Centrale.
Speriamo di incontrare nuovi innovatori europei.
Piange Il telefono
di Michele Mezza
Diritto all’Oblio, si blatera per criticare la rete. Ma anche dignità della memoria, grazie alla rete.
Vogliamo fare un po’ di storia per il caso Telecom? Vogliamo vedere chi la privatizzò e soprattutto chi volle privatizzarla in quel modo miserabile ? Dico subito che sulla questione accuso un conflitto d’interessi. Coincide con una parte della mia misera vita politica particolarmente tesa ed esposta, che si giocò proprio sulla vicenda Telecom, o Stet, come allora si chiamava.
Pronti? via..
Siamo al primo governo Prodi. Ancora ebbri per la vittoria, grazie alla scissione della Lega che si mise momentaneamente in proprio, il centro sinistra sconfisse il puzzone alle elezioni del 1996. Il governo veleggia speditamente verso Maastrich.
Ma qualche pegno bisogna pagarlo agli gnomi , che ancora arricciano il naso.
Bisogna non solo sbaraccare le partecipazioni statali, che Prodi ben conosce, ma soprattutto impedire che ritorni alcuna tentazione di elaborare vere strategie industriali autonome.
Il paese deve arrivare nudo alla meta. E si comincia di gran carriera: Sme, Alfa Romeo, l’intera siderurgia. Tutto svenduto come paccottiglia, come vediamo oggi a Taranto.
Ma non basta, bisogna puntare al cuore dello Stato. Bisogna stroncare ogni ambizione di competitività tecnologica. Questo paese è troppo effervescente, ha alle spalle ancora il vago ricordo della vicenda Olivetti, e qualche velleità tipo Eni di Mattei è rimasta. Bisogna asfaltarlo, come si dice oggi, definitivamente.
Il bersaglio è la Stet, un grande impero, gonfio di denaro liquido per le bollette telefoniche che incassa, soprattutto titolare di una ragnatela di doppini in rame che potrebbe essere una miniera d’oro. Tanto più che i due boiardi che lo governano, Biagio Agnes e Luciano Pascale, hanno scarpe grosse ma cervello fino. Hanno capito che il futuro è quella nebulosa galassia di interconnessioni digitali.
Non hanno ancora in mente Internet, ma sicuramente un sistema di connessioni veloci. Propongono e, come imperdonabile, avviano il cosiddetto Piano Socrate, un progetto per cablare tutte le città italiane, l’85% della popolazione. Francia e Germania sono ancora a caro amico.
Bisogna stroncare le ambizioni, e forse anche regolare qualche conto fra vecchi boiardi. Si monta la campagna: tutti meglio di Agnes e Pascale, delenda Cartago: privatizziamo la Stet. Il gran can è aizzato ovviamente da banche e centro destra.
Ma è soprattutto la sinistra che si distingue: andate a vedere chi e come si scalmanò? D’Alema, Prodi, Nerio Nesi, Repubblica, Espresso, gli stessi sindacati non si tirarono indietro, perfino la CGIL si agitava per assestare qualche calcione al cadavere della Stet. Solo una misera pattuglia, di infima minoranza che transitava in Rifondazione Comunista, ma ne era già in dissenso, raccolta attorno all’on Gianfranco Nappi, teneva alta la bandiera di un controllo pubblico sui segmenti sensibili, esattamente come facevano i francesi a France Telecom e i tedeschi a Deutsch Telekom, dove per altro sono ancora insediati i rappresentanti pubblici.
Sbeffeggiati e derisi. Chi vi parla , allora modestissimo inviato Rai, venne criminalizzato perfino da quell’allegra brigata dell’Usigrai di Beppe Giulietti che difendeva il carattere pubblico della Rai ma erano disposti a chiudere un occhio su Telecom per convenienze politiche.
E tutto accadde: via, via vendere, svendere, regalare. Prima l’Olivetti , poi la Fiat di Rossignol, poi quel bell’imbusto di Tronchetti Provera. Tutti dilettanti allo sbaraglio, ma soprattutto straccioni con il cappello in mano. Non hanno messo una lira. Solo contratti di consulenza hanno strappato. Ma il punto non è questo. La vera tragedia si consuma nell’ombra.
Perché insieme alla privatizzazione dell’unico centro di governance del futuro tecnologico italiano, esattamente come accadde nel 1964, con la svendita della divisione elettronica dell’Olivetti alla General Elettric, si procede militarmente a dissodare il terreno.
Già qualche manina previdente aveva piazzato al ministero delle telecomunicazioni Antonio Maccanico, gran visir di Stato, con le stimmate di Pertini, ma soprattutto con il più bel grembiulone della repubblica.
E Maccanico si prodigò. Mentre giocava in maniera inconcludente a guardie e ladri con Berlusconi, senza mutare minimamente la situazione di monopolio dell’altro grembiulone, si dedicava a smantellare ogni possibilità di controllo pubblico del settore delle telecomunicazioni, con quella straordinaria invenzione di cui tutt’ora le sinistre, in ogni versione – estrema, moderata, mollacciona, furtibonda – se ne beano: le authority.
Cosa sono, niente altro che un modo per cui la politica si spoglia delle sue responsabilità e sovranità delegandola ad alcuni signori in marsina e grembiule che decidono per tutti. Guardate chi sono stati i presidenti delle autority in questi 18 anni: uno peggio dell’altro. E perché un gruppo di tecnocrati deve avere più titolo per decidere dei valori pubblici di chi è delegato dal consenso elettorale?
E’ in questo gorgo di poteri riservati, di lobbies internazionali, ma soprattutto di velleità politiche e di debolezze culturali che nasce il disastro italiano: la sinistra si consuma come un qualsiasi parvenu, con il cappello in mano, dinanzi a poteri che nemmeno conosce.
L’estrema sinistra gioca a scacchi con il proprio carnefice e cerca di saperne una più del diavolo. Nel frattempo si perdono ambizioni e volontà. E soprattutto strumenti operativi. Non a caso di questo non si parla nel congresso del PD. Vendola fa il poeta.
Il sindacato chiede di seppellire meglio i propri morti.
Il tutto senza nemmeno la decenza di dire : io pensavo questo e mi sono sbagliato. Solo con l’arroganza di dire, il mondo non ha collaborato con il mio disegno, ma avevo ragione.
Basta, a casa comunque.
Nessuna occasione vada perduta!
di Giuseppina Bonaviri
Il 20 settembre è andato in onda presso l’auditorium diocesano di Frosinone l’incontro ”Costruire insieme il futuro della nostra terra”. Ero presente perché invitata. Poteva essere una occasione unica di condivisione per un percorso comune tra i rappresentanti della cultura, dell’associazionismo, del volontariato, dei lavoratori, delle imprese a favore di uno spazio innovativo di apertura e dibattito con la cittadinanza. Invece è apparsa solo come l’ennesima vetrina delle vanità dove i soliti noti, ad esclusione di qualche rappresentante della società civile, hanno sfoggiato l’abito usurato e sterile dell’autocompiacimento. Ci auguriamo, che quanto prima, da una serena riflessione a posteriori possa nascerne una proposta unitaria, prospettica e visionaria a sostegno del tanto disagio esistente in provincia.
Qui di seguito trovi la nostra idea- Rete La Fenice- per costruire insieme un Patto di solidarietà sociale nella nostra Provincia.
PER UN RISVEGLIO COLLETTIVO
di Giuseppina Bonaviri
Sono molti i segni di disagio che vive la popolazione della provincia di Frosinone e come spesso accade, più questo fenomeno risulta elevato, e più le persone e le famiglie si rinchiudono in se stesse per un senso di innata dignità, di fragilità, di vergogna.
Non è solo la povertà di coloro che stendono la mano per le strade che ci preoccupa ma anche quella di coloro che fino ad ieri vivevano una tranquilla esistenza e che oggi, purtroppo, non riescono più ad assicurarsela. Dobbiamo raggiungere quelle famiglie bisognose che per pudore non chiedono aiuto ma che sono in condizioni economiche gravissime. Finora il sostegno rimane frammentario, parziale e troppo spesso impossibile al momento della fase attuativa.
Nasce da qui il mio interesse e quello della Rete La Fenice per l’iniziativa “ Costruire insieme il futuro della nostra terra “. L’ avvento di un Patto di solidarietà sociale tra i diversi attori istituzionali, cittadinanza libera e volontariato che si impegni seriamente nel nostro entroterra diverrebbe lievito per l’attivazione delle coscienze e per la creazione di un movimento di pensiero sui valori ed equità al servizio dei cittadini. Tutti sappiamo che lavorare bene insieme, lasciando da parte le spinte regressive che porgono sempre il fianco al personalismo, alle invidie, alle ambiguità- sentimenti questi da ascriversi nella costellazione psicologica delle paure distruttive- produrrebbe forti sinergie a difesa dei più deboli, degli ultimi, tra l’altro, a costo zero. Anche Papa Francesco ci ricordava che la direzione giusta è quella della collegialità, del decentramento e delle donne.
In tempi di crisi non possiamo più accettare lo spreco di denaro pubblico ne del consumo del territorio rimanendo a guardare.
Che fare ?
Intanto dare vita ad un circuito di condivisione delle soluzioni del disagio a partire dallo scambio periodico di informazioni sulle zone e situazioni emergenziali e maggiormente a rischio sostenuti in questo dalle informazioni che gli Osservatori esistenti sul territorio ci forniscono periodicamente contemporaneamente attenzionando la proposta nazionale della Caritas e dell’Acli sull’inserimento nel nostro sistema di sicurezza sociale del Reddito di inclusione sociale che può diventare una concreta soluzione per le famiglie in povertà assoluta. Sappiamo bene che per concretizzare ciò serve, innanzitutto, la volontà del Governo ma appare altrettanto indispensabile sollecitare da subito un movimento d’opinione nelle periferie che permetta al progetto di fuoriuscire da quell’isolamento tipico di tutte le fasi di ricerca per divenire concreta espressione di accoglienza del bisogno. Lo studio di fattibilità di questo lavoro evidenzia che i fondi ci sono: concretizzarlo dipende solo dalla volontà politica e di tutti noi. Non dimentichiamo che l’Italia –assieme alla Grecia- destina alla povertà la quota più bassa tra i paesi aderenti all’eurozona.
Il valore aggiuntivo di questa proposta, che non riguarda solo la destinazione del sostegno economico sta nell’avere previsto il concorso di tutte quelle amministrazioni comunali, enti pubblici, associazione del Terzo settore come co-partecipi dalla fase progettuale. Ciò darebbe vita ad un modello unitario di nuovo welfare.
Evitiamo parole vane e da subito, con semplicità, quale incubatore di idee mattiamoci al lavoro insieme lasciandoci contaminare dalla buona pratica per un risveglio collettivo.
Frosinone, 20 settembre 2013
Gli Innovatori Europei per un’altra politica. “Sapere abilita l’Uomo”
Gli Innovatori Europei per un’altra politica
Innovatori Europei partecipa al dibattito politico italiano, a cominciare dal congresso del Partito Democratico, per contribuire all’azione riformatrice che serve nelle istituzioni, nell’economia e nella società italiana, nell’orizzonte della unificazione europea. Il tema centrale del nostro impegno sarà “Sapere abilita l’Uomo”. Attorno ad esso apporteremo contributi di innovazione su questioni interagenti e prioritarie come:
- Federazione europea dei popoli, traguardo non procrastinabile.
- Innovazione del sistema pubblico politico e amministrativo.
- Apertura della politica alle forze associative e alle competenze della società
- Protagonismo di giovani e donne, motori del rinnovamento italiano.
- Ricerca e Innovazione: metodo guida per la società e la politica.
- Smart cities e green economy per lo sviluppo sostenibile europeo.
- Politiche industriali ed infrastrutturali per il Sud nell’Euro Mediterraneo
- Pluralismo radiotelevisivo nell’era del digitale
- Politiche di rilancio industriale e sviluppo competitivo del Paese
- Incentivare e sostenere le aziende innovative
- Redistribuire risorse per produrre lavoro e crescita sostenibili
- Nuove politiche sanitarie nell’Italia del dopo crisi
- Nuovo protagonismo per le comunità di italiani all’estero
- Internazionalizzare il Paese per favorire una nuova crescita interna
Con questo documento avviamo una discussione aperta che ci porterà agli Stati Generali degli Innovatori Europei, che si terranno il prossimo 9 Novembre a Roma.
Il tutto nella direzione del rafforzamento del ruolo di Innovatori Europei quale piattaforma di sviluppo di progetti politici complessi, in Italia ed in Europa, a partire dalle città.
Per aderire e contribuire al dibattito: email infoinnovatorieuropei@gmail.com o Facebook
Roma, 24 Settembre 2013, Gli Innovatori Europei – www.innovatorieuropei.org
Massimo Preziuso, Giuseppina Bonaviri, Paolo Di Battista, Osvaldo Cammarota, Filippo Bruno Franco, Stefano Casati, Luisa Pezone, Antonio Diomede, Paolo Salerno, Gaetano Daniele La Nave, Michele Mezza, Mario Polese, Marco Frediani, Francesco Augurusa, Luigi Della Bora, Andrea Sabatino, Zaira Fusco, Daniele Preziuso, Ruggero Arico, Paolino Madotto, Francesco Zarrelli, Aldo Perotti, Nicola Pace, Domenico Varuzza, Paolo Cacciato, Anna De Ioris, Dario Mastrogiacomo, Antonio Giuseppe Preziuso, Diego Bevilacqua, Gianclaudio Oliva
CHI SIAMO
Dal 2005 Innovatori Europei (www.innovatorieuropei.org) mette insieme variegate esperienze di protagonismo associativo di matrice europeista. Oggi, IE è una realtà densa di iniziative innovative, che guardano ai territori italiani, con un orizzonte internazionale ed europeo. La nostra idealità è da sempre quella di costruire una rinnovata e migliore proposta politica riformista che guidi l’Italia verso i successi che merita e attende, ponendoci quale serbatoio di competenze e comunità di persone al servizio del bene comune.
Per un piano di contrasto alla violenza di genere: Il Manifesto
MANIFESTO
Per un piano di contrasto alla violenza di genere
-Adottare una strategia formativa che prevede il sostegno per autodeterminare la consapevolezza ed autonomia della donna appare il primo momento del percorso di ripresa. Le donne vengono uccise in quanto donne. Le donne indipendenti sono meno ricattabili
-Chiediamo l’istituzione di una “Rete reale” interfacciabile tra le diverse tipologie di strutture esistenti sul territorio che sia il concreto supporto alle donne vittime di violenza e ai loro familiari dai primi momenti , che non le-li abbondoni fino alla conclusione del percorso di riabilitazione e di reinserimento
– Chiediamo che i soggetti ed i centri ritenuti per legge idonei al sostegno delle donne vittime collaborino tra di loro e che gli esperti ed i tecnici delle strutture si relazionano tra loro in ogni momento della presa in carico della vittima e dei suoi familiari, senza lasciare vuoti istituzionali che lacerano il tessuto sociale delle vittime
– Chiediamo una campagna di informazione e sensibilizzazione mirata ad un programma di educazione delle-dei giovanissime-i e della gente comune. Educare alla discriminazione di genere già dai primi livelli di scolarizzazione con percorsi psicoeducativi
– Chiediamo la partecipazione di tutte-tutti ad una petizione popolare affinché lo Stato si impegni concretamente, non solo adeguando leggi e formulando indirizzi strategici, ma con lo stanziamento di risorse economiche adeguate e fondamentali alla presa in carico delle vittime, dei maltrattanti e del loro reinserimento nel sociale
– E’ necessario creare le basi per la costituzione di centri di ascolto e riabilitativi dei maltrattanti
Mai più complici
Rete La Fenice con Bonaviri
Collettivocinque
Innovatori Europei
La discriminazione di genere non è solo questione di sicurezza
di Giuseppina Bonaviri
Il 22 settembre prossimo presso la Villa Comunale di Frosinone si manifesterà contro il femminicidio e la violenza di genere. Il dibattito che in questi mesi si è accesso sulle questioni in materia di violenza non può rimanere, per noi, solo una concertazione sulla sicurezza: stiamo parlando di un fenomeno che non è emergenziale ma squisitamente culturale. L’opinione pubblica ha percepito il dramma e se ne vuole fare carico. L’evento che vede artiste-i provenienti da molti punti d’Italia ha volutamente un carattere di pluralità quella pluralità che contraddistingue il nostro gruppo di lavoro e che, alla base del progetto, ha voluto privilegiare un piano di contrasto alla violenza riaffermando la priorità di una adeguata educazione alla differenza di genere nel prevenire il fenomeno tramite l’arte ed una serie di campagne di sensibilizzazione e di informazione che si susseguiranno dopo la manifestazione del 22 in moltissimi comuni ciociari aderenti. La strategia formativa sarà la seconda fase di intervento che adotteremo: autodeterminare la consapevolezza ed autonomia della donna, educazione alla discriminazione a partire dai primi livelli di scolarizzazione, istituzione di una rete reale tra le diverse tipologie di strutture esistenti sul territorio che sia dii supporto alle donne dai primi momenti e che non le abbondoni fino alla conclusione del percorso riabilitativo. Le donne vengono uccise in quanto donne e non per questioni passionali. Una campagna di informazione ed educazione parte dalla sensibilizzazione delle-i giovanissime-i e delle persone comuni , dall’idea che i soggetti ed i centri ritenuti per legge idonei al sostegno delle donne vittime debbano potere collaborare , dalla certezza che rendendo le donne più indipendenti anche con il potenziamento della occupazione queste saranno meno ricattabili. Noi donne, che lottiamo per la giustizia e per la pace, siamo in prima linea e ben sappiamo che è solo un atto di giustizia, che potrà renderci consapevoli dei nostri diritti e che potrà consentire di cambiare, nell’immediato, il pregiudizio. Oggi parlare di femminicidio è parlare d spose bambine, è parlare di omicidi religiosi come di omicidi di stato, è parlare dei fanatismi che generano morti e violenze sulle donne, è parlare di uomini maltrattanti che necessitano di centri di ascolto e di riabilitazione che non esistono, è parlare di reti di supporto reali dove lo Stato si impegni concretamente non solo adeguando leggi e formulando indirizzi ma con lo stanziamento di risorse economiche che sono fondamentali al proseguimento del percorso. Parlare di femminicidio, oggi, significa parlare di cyber bullismo ed delle sue tante giovanissime vittime bersaglio della harassment(molestie) in rete, dei troll( provocatori) della rete che seminano terrore tra le giovanissime. Chiediamo alle istituzioni, a partire da quelle locali e provinciali, che accolgano il nostro appello e non si ritirino su sentieri di omertà e silenzio. Lo sappiamo bene, l’Italia non è un paese per donne tanto meno per le donne del fare ma noi non vogliamo essere complici. Quando queste donne decidono, fuori dalle strumentalizzazioni , di fare rete il beneficio è di tutta la società .
Giuseppina bonaviri
Innovatori Europei con REA all’Italian Broadcast & Technologies show
I B T S
INTALIAN BROADCAST & TECHNOLOGIES SHOW
Bologna Centergross
27 – 28 – 29 settembre 2013
Venerdì 27 settembre 2013
(10.00 – 18.00)
Nell’ambito della prima edizione IBTS di Bologna, organizzata dalla ADCOM Srl, la REA – Radiotelevisioni Europee Associate,
PRESENTA
“il meeting nazionale della radiotelevisione locale”
(proposte al Governo e alle Istituzioni per rilanciare il settore)
Il meeting si svolgerà con riunioni seminariali formate da gruppi di lavoro il cui compito sarà di individuare le soluzioni più idonee da proporre al governo e alle istituzioni competenti per superare velocemente ed efficacemente la crisi del settore principalmente dovuta alla improvvida coincidenza del cambiamento tecnologico con la crisi economica del Paese. I gruppi di lavoro analizzeranno i più scottanti temi di sofferenza delle emittenti locali nella prospettiva ravvicinata di un rilancio del settore editoriale e del relativo indotto produttivo significativamente rappresentato, in uno sforzo comune, dalle imprese presenti alla prima edizione IBTS di Bologna. Ciascun gruppo di lavoro sarà stimolato alla discussione da qualificati esperti. I titolari delle emittenti, gli operatori del settore radio-tv, potranno partecipare ai gruppi di lavoro con interventi diretti o contributi scritti. La sintesi dei lavori di ciascun gruppo farà parte della Piattaforma Radiotelevisiva per il rilancio dell’emittenza locale che una delegazione di editori e di esperti presenterà al Governo, alle Commissioni parlamentari, alle Forze politiche e alle Istituzioni.
La partecipazione ai gruppi di lavoro, indipendentemente dall’associazione di appartenenza, è libera e gratuita. L’accesso all’IBTS prevede una preventiva registrazione. Pertanto,
Richiedi il badge di ingresso per Venerdi 27 Settembre 2013
Per far parte dei gruppi di lavoro, scrivere a ufficiostampa@reasat.it
Gruppi di lavoro costituiti e argomenti trattati
Gruppo TV – Coordinatore: Gabriele Betti
Relatori: Francesco Di Fazio – Francesco Mazzarella -Tiziano Tampellini –
1. proposte operative per salvare le imprese e i livelli occupazionali delle locali dalle conseguenze negative dello switc off televisivo:
a) ripianificare si può e si deve…..(Betti)
b) annullamento della delibera 237/LCN per riposizionare l’emittenza locale storica ai primi numeri del telecomando (Mazzarella);
c) chiusura del contenzioso giudiziario con una giusta riformulazione delle graduatorie di assegnazione delle frequenze conseguente a verifiche sull’effettivo possesso dei requisiti previsti dai bandi (Di Fazio)
d) ipotesi di equo indennizzo per il rilascio volontario delle frequenze (Tampellini);
e) Provvidenze editoria e sostegno economico legge 448/98 – il progetto di riforma della REA (Betti)
Gruppo Radio – Coordinatore: Luigi Conte
Relatori: Francesco Massara – Salvatore Riso – Nicola Zoppa
2. Il DAB è davvero obsoleto o è un’innovazione da non perdere? – La Radio digitale e le diverse piattaforme di diffusione (Conte);
3. Indagini di ascolto trasparenti per ridare fiducia al mercato della pubblicità. La proposta innovativa della REA (Riso);
4. Diritto d’autore e diritti connessi: adeguamento normativa europea (Zoppa);
5. Provvidenze editoria e sostegno economico legge 448/01 – il progetto di riforma della REA (Conte)
Gruppo normativo – Coordinatore: Antonio Diomede
Relatori: Sandra Govino – Roberto Fontana – Agostino Rabizzi – Alberto Benazzi – Filippo Cagalli –Nicola Zoppa – Riccardo Orsini – Franco Secci – Mauro Birocchi – Angelo Cirone – Francesco Massara – Michele Rapisarda – Francesco Di Fazio – Angelo Blasi – Salvatore Barbieri – Salvatore Riso – Luigi Conte – Carlo Bonarrigo – Angela Carretta – Roberto Brandolini – Paolo Lunghi – Gabriele Betti – Antonio Furia – Di Cosola Giuseppina
6. Il pluralismo radiotelevisivo italiano e il conflitto d’interessi: le tutele tradite – il progetto di riforma della REA
7. Il sostegno economico alle locali agganciato al canone RAI per il servizio pubblico svolto nel territorio
8. Compatibilizzare per pianificare la FM
CONFERENZE STAMPA
Ore 16.00 “La Milano Sanremo della Canzone Italiana” : programma delle manifestazioni itirenanti per l’Italia con partenza da Milano e arrivo a Sanremo con manifestazione collaterale al Festival della canzone 2014 con la partecipazione del gruppo Polymenes, già premiati con targa REA a Sanremo 2013. Conduce Paky Arcella
Ore 17.00 Presentazione del network televisivo nazionale “Le 100 TV” – conduce
Antonio Parisi
Inizio e termine dei lavori: venerdì 27 settembre ore 10,30 – 18.00
San Cesareo, 17 settembre 2013
Battaglia civile per contrastare la povertà dilagante anche nella provincia di Frosinone
di Giuseppina Bonaviri
La chiusura della Marangoni fa sembrare senza fine la crisi che investe il nostro territorio verificandosi a poca distanza dal recente accordo di programma che tenta di risolvere i casi aziendali locali da tempo in attesa di soluzione. L’ennesima perdita di posti di lavoro, punta dell’iceberg di un più diffuso disagio economico della popolazione, come possiamo rilevare nella vita quotidiana delle tante famiglie che riducono i loro consumi rinunciando persino ai beni di prima necessità come cure preventive e sanitarie. Una situazione che rende il nostro territorio simile alle provincie del sud italiano dove, attualmente, diventa persino difficile rilevare la gravità dello stato di disagio che si vede solo in occasione di luttuosi fatti di cronaca. Drammaticamente ci sono stati sottoposti in queste settimane due dati, dai quali non si può sfuggire.
Il primo è che la nostra regione è quella che fra il II trimestre del 2012 ed il corrispondente 2013 ha subito il più alto incremento di persone in cerca d’occupazione, quelli che chiamiamo disoccupati, fra tutte le regioni del centro-nord: + 2,4%, superata di pochi decimali dalle regioni del Mezzogiorno, mentre la crescita della media nazionale è stata dell’1,5%.
Il secondo dato: l’Istat ha pubblicato i dati sulla povertà nel nostro Paese dai quali emerge che, nel 2012 erano 3.232.000 le famiglie in condizioni di povertà (assoluta e relativa), interessando il problema 9.563.000 persone -che equivale al 15,8% della popolazione-. E’ considerato povero un italiano su quattro con l’aggravante che nei paesi del sud la situazione è nettamente in crescita. Ovviamente la causa della condizione di povertà, in Italia, è per il 36% originata dalla perdita di lavoro.
Non vi sono dati provinciali ufficiali su queste statistiche ma non è difficile trarre conclusioni che appaiono assai preoccupanti per la nostra terra, ove parte della popolazione che ha perso il lavoro vive con dignità in uno stato d’indigenza.
E’ questa la ragione per la quale la Rete La Fenice vuole aderire alla “Proposta per un patto aperto contro la povertà” delle Acli e della Caritas Italiana che chiede l’inserimento, nella legislazione italiana, del Reddito d’inclusione sociale affinché nessuna famiglia viva al di sotto di un livello di vita “minimamente accettabile”.
Alla facile obiezione che in tempi di tagli alla spesa pubblica questa sarebbe un insostenibile aggravio bisogna opporre la forza di una battaglia di civiltà che giudica insopportabile una situazione che da ormai più di dieci anni vede l’Italia (unica nazione con la Grecia) destinare alle famiglie in povertà la più bassa percentuale di risorse: lo 0,1% del Pil mentre i quindici paesi che aderiscono all’euro vi destinano, in media, lo 0,4%.
Il percorso attuativo di questa politica ha preso in esame l’ammontare delle risorse che attualmente spende (male) il nostro Paese e, in riferimento a quanto speso nella media europea, prevede uno stanziamento addizionale di 6.062 milioni ripartiti in prestazioni monetarie: 4.982 mln per servizi alla persona e 1.078 mln, poco più di due milioni, per l’indispensabile monitoraggio e valutazione delle risorse destinate al progetto.
Va rilevato che nella modalità di attuazione di questa politica volta ai bisogni delle famiglie, tutto il sistema del welfare italiano ne trarrebbe vantaggio. Un primo risultato, è negli scopi della “Proposta”: realizzare l’“infrastruttura nazionale del welfare locale” ovvero dotare il territorio, attuando il principio di sussidiarietà orizzontale, di un sistema unitario che metta fine alla segmentazione attuale prevedendo la co-progettazione ed attuazione degli interventi fra enti locali, strutture pubbliche (i servizi socio-sanitari, i Centri per l’impiego, la scuola e la formazione professionale) e Terzo settore. Non di minore valore è poi la scelta di commisurare le soluzioni alle caratteristiche delle diverse aree per le molte differenze -per reddito ed opportunità di servizi e lavoro- esistenti sul territorio italiano. Ciò imporrà ai diversi attori di misurarsi con esse stimolandone la conoscenza e l’autonomia. Noi siamo pronti per questa ulteriore battaglia di civiltà da portare anche in ciociaria.
Torniamo a riscoprire la voglia sociale di futuro
di Paolino Madotto
Stiamo assistendo al più grande furto di futuro degli ultimi decenni. La discussione di fronte alla quale ci troviamo naviga nel presente e nel passato. Tutto il Paese è immerso nel passato e il futuro non riesce ad andare oltre il 2014.
Il governo prospetta al popolo magnifici scenari di crescita dello zero virgola qualcosa, l’imprenditoria sogna meno tasse sulla prossima legge di stabilità, la destra politica è abbarbicata al passato glorioso di forza Italia, i giornali sono pieni di narrazioni su qualche soldo da mettere in una partita di bilancio o di tunnel in cui in fondo si vede qualcosa. Anche le imprese sono occupate ad aumentare i profitti del prossimo trimestre e la borsa a portare a casa dividendi a breve.
Il futuro, quello che ci aiuta ad immaginarci tra venti o trenta anni, non c’è più. Una società sempre più individualizzata non ha più un futuro collettivo, una socializzazione dell’avvenire, degli obiettivi collettivi.
I programmi politici si limitano alla legislatura che verrà ( quando ci sono) pieni di piccole misure compensative del patimento del passato senza una visione per il futuro. Si ruota intorno ad un futuro che allevia il dolore del presente ma non riesce ad appassionare.
Il futuro è delegato all’individuo che già è assillato dal presente. Ognuno lo costruisce come vuole con i mezzi che ha, con la sua solitudine e con il suo smarrimento.
Eppure una società senza futuro cosa è?
Eppure non ci può essere idea di impresa senza una chiara visione del futuro, ogni investimento presuppone una spesa oggi nella speranza che in futuro sia ben remunerata. Come non ci può essere sistema formativo, perché uno studente di diciassette anni cosa sceglie se la società non gli prospetta una proposta di futuro che sta costruendo? E dunque mettere la scuola sempre più vicino all’impresa senza dare a tutti e due gli elementi per dirigersi è altrettanto poco utile malgrado la buona volontà.
E così abbiamo laureati in comunicazione che non trovano lavoro ma ai quali, quando si sono iscritti, si è prospettato un futuro luminoso. Abbiamo ingegneri edili in un territorio dove non si potrà costruire più come prima. Se costruisci il futuro guardano solo il presente difficilmente ci prendi.
Anche la discussione congressuale nel PD soffre di questa malattia. Da una parte la nostalgia per gli anni ’90 del liberismo anglosassone, la società liquida, l’individualismo. Una strada che basterebbe conoscere meglio per comprenderne fino in fondo i nefasti risultati (tra cui la più grave crisi economica dal 1939). Dall’altra il rischio di rimanere legati a una tradizione che va trasformata e non semplicemente venerata.
Il partito è lo strumento per costruire il futuro, il luogo in cui delle persone si ritrovano su valori e obiettivi comuni e si mettono in moto per realizzarli. Senza un disegno di futuro non si è in grado di scegliere l’arnese più adatto ad arrivarci.
Se il futuro è il “sol dell’avvenir” chiaro e preciso, dogmatico quanto indiscutibile sarà utile un partito massificante e disciplinato; se il futuro è un insieme di valori come la partecipazione, la democrazia, il benessere sociale, un welfare sociale e delle opportunità e la società della conoscenza è necessario prefigurare un partito organizzato e strutturato in modo diverso; se il futuro è l’individuo lasciato a se stesso non serve un partito ma un comitato elettorale.
Se in Italia non ricostruiamo un futuro collettivo non arriviamo da nessuna parte. Il primo compito che deve avere un partito progressista è questa missione. Il progresso può essere disegnato solo collettivamente, un “collettivo” che non è la massa spersonalizzante della tradizione peggiore della sinistra e non è la solitudine dell’individualismo della destra e del neoliberismo anni ’90 (anche se pitturato di sinistra liberal).
Il collettivo che può assumersi l’onere di disegnare il futuro è quello incentrato sulla persona, un soggetto sociale che esprime se stesso nella comunità con gli altri, in grado di essere valorizzato per il suo contributo da singolo al bene comune della collettività. Un concetto profondamente olivettiano che dobbiamo recuperare e far nostro.
Adriano Olivetti dovrebbe essere considerato uno dei riferimenti importanti del Partito Democratico, per la sua capacità di disegnare e interpretare il futuro, di innovare, di mettere al centro la persona.
Mi piacerebbe che la discussione congressuale potesse incentrarsi sul futuro sociale di questo paese. La Cina fa piani a venti anni, piani che si cambiano di anno in anno a seconda di quello che accade ma che danno ad ogni cinese la visione del suo paese a venti anni e ognuno può far qualcosa per costruirlo. Forse anche noi dovremmo cominciare a ragionare a venti anni.
Dovremmo costruire il futuro collettivo con l’idea che i piani sono fatti per essere cambiati se necessario,come una mappa è fatta per dare la direzione ma sta all’esploratore evitare gli ostacoli o comprendere il tracciato migliore sulla base del territorio in cui è immerso con i suoi piedi.
E allora sorge l’ultimo interrogativo: ma la mancanza di discussione sul futuro non sarà dovuta alla mancanza di “nostromi” in grado di farla? Non sarà che questi venti anni di lotta contro il pericolo illiberale sono stati anche gli anni nei quali è stata eliminata la possibilità di discutere sopraffatta dall’esigenza di combattere e ubbidire? se così fosse c’è fretta di immettere persone in grado di andare oltre perché gli “anziani” capaci ormai sono in zona ritiro e i “giovani combattenti” non sono funzionali alla sfida che lo schieramento progressista ha di fronte.
Dopo ogni guerra c’è sempre il problema dei “combattenti” che devono lasciare il posto a persone in grado di ricostruire, alla politica. La guerra tra antiberlusconismo e berlusconismo da noi ancora non ha lascia il posto alla ricostruzione, gli strascichi li vediamo in parlamento.
Abbiamo bisogno urgente di una classe dirigente che sia in grado di pensare e creare il futuro della nostra società, di intellettuali, politici, manager, quadri che si sappiano assumere questo onere. Abbiamo bisogno di luoghi di studio e riflessione per creare una visione di futuro collettivo, mi auspico che uno di questi luoghi possa essere il percorso congressuale del Partito Democratico.