L’attuale classe politica italiana
Un coacervo di chi, professionalmente, non ha avuto né arte né parte: di chi, attraverso la politica, ha intravisto la soluzione dei proprio interessi personali, ed infine di chi, in essa, ha trovato e trova il consolidamento di una comoda posizione già in essere da svariati anni.
(di Arnaldo De Porti)
Praticamente, il titolo potrebbe sostituire l’articolo che sto per scrivere, per cui basterebbe solo aggiungere che, alla luce di quanto sta accadendo in Italia ad opera di personaggi che si possono tout court inquadrare in detto titolo, l’Italia non pare avere alcuna via di uscita che non sia quella di un colpo di mano, dal quale c’è da sperare che il buon Dio ci salvi. Sappiamo infatti, come diceva anche Platone, “La Repubblica”, libro VIII, che quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati tiranni. Ed avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi, per non pare troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo ne rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una malapianta: la tirannia.”
Riportato il pensiero di Platone, ovviamente adattandolo con qualche modifica ai tempi nostri, in quanto da allora sono passati circa 2500 anni…(Platone nacque nel 427 a.C.), possiamo ritrovare nelle sue enunciazioni delle grandi verità che si attagliano perfettamente alla situazione nella quale si è dibattuta e tuttora si dibatte l’Italia.
A suo tempo infatti ci è stata data, anzi ci siamo presi, una grande libertà senza regole, nell’inconsapevolezza quasi totale che tutto ha un inizio ed avrebbe avuto anche una fine.. E ciò, senza porci la domanda relativa alla provenienza del tanto benessere degli anni 60-70 che, come invece ce ne accorgiamo fin troppo oggi, è stato una delle principali cause del nostro indebitamento, sul quale hanno attinto tutti, a partire dalle istituzioni, spesso per creare consensi. A ciò, si sono aggiunti poi troppi faccendieri della politica i quali, approfittandone, si sono arricchiti sfruttando le risorse pubbliche a fini privati. Ed infine, hanno avuto un ruolo i costi della politica, grazie anche ad una classe dirigente che, nel corso degli anni, ha voluto auto-conservare il posto alimentando costi stratosferici per la comunità, dando i natali a quella “malapianta” di cui parla Platone. Il discorso non si può sviluppare ovviamente in poche righe.
Tornando ai giorni nostri, ma anche semplicemente ad ieri sera, dopo aver guardato “Servizio Pubblico” condotto da Michele Santoro, vorrei dire che è davvero da sprovveduti se non si capisce che l’Italia è al collasso e che nessuna scialuppa può venirci in soccorso. A meno che, magari in chiave moderna (ma Dio ce ne scambi e liberi da ciò) , non si debba patire le conseguenze di un eccesso di quella libertà (di cui parla Platone), secondo la quale tutto è possibile, al punto da dimostrare agli italiani che la giustizia non esiste, che il Capo dello Stato non vale niente, che le istituzioni sono da cambiare e che le regole “civili” sono quelle della pancia. Esattamente come sta dimostrando in queste ore il signor B che, a mio avviso, ha dato il colpo di grazia alle sorti del nostro Paese.
Ed allora, quando Grillo, dice “fuori tutti”, debbo dargli ragione, pur non essendo ovviamente in linea con la sua mancanza di educazione, usata ad arte. verso un certo target a fini di consenso.
Il porto ed i nuovi progetti: quando valutare equivale a migliorare
di Diego Bevilacqua CSPS – Civitavecchia
Il porto di Civitavecchia sembra stia cercando di evolversi, portando avanti diversi progetti che prevedono modifiche sia a livello di struttura ed architettura portuale (come il dichiarato rinnovo del waterfront) che a livello ambientale.
Sorvolando sulla prima questione, che presenta un aspetto rilevante per parte tecnica e di struttura, ma che deve essere comprensiva di seria apertura verso la città, l’innovazione ambientale ha visto deviare dalla strada precedentemente battuta sul piano delle banchine elettrificate.
Nell’articolo di Civonline si parla di un progetto sostenuto dalla Royal Caribbean riguardo l’abbattimento delle polveri grazie all’utilizzo di “filtri umidi”; è un sistema di scrubbing.
Grazie ad esso, secondo quanto affermato dal Primo Cittadino, si andrebbe non soltanto a migliorare la condizione inquinante in cui verte oggi la città, ma si troverebbe un’alternativa alle banchine elettrificate, le quali hanno presentato dei problemi.
Dall’esperienza maturata grazie all’informazione diffusa nei riguardi del nostro territorio, però, il problema sembra non risiedere unicamente nella ricerca di approcci validi alla riduzione dei fattori inquinanti, che siano quindi scrubbing, banchine elettrificate od altre tecniche, ma anche e soprattutto nella mancanza di serie modalità di valutazione dei rischi inquinanti, come anche di valutazioni della progettazione.
L’importanza di poter rilevare quali siano i problemi ambientali a livello portuale e in riferimento proprio a questo tipo di inquinamento, non unico ma nemmeno da meno rispetto ad altre tipologie, è uno studio teso a produrre utile di conoscenza per il presente ed anche per il futuro.
In materia di controlli di questo tipo, con riferimento ad acque superficiali e costiere, la Direttiva Quadro 2000/60 CE è precisa, abbracciando non solo le emissioni atmosferiche derivanti dagli scarichi delle navi, ma anche le emissioni acquatiche.
La Direttiva, che prevede in via generale l’obbligo da parte degli Stati membri di attuare tutte le misure necessarie a ridurre in maniera progressiva l’inquinamento da sostanze pericolose (art. 4 c. 1 lettera a), parla anche di elaborazione di monitoraggi. L’Europa però non si limita ad introdurre studi di monitoraggio, ma va oltre, affermando come gli Stati membri debbano elaborare programmi finalizzati ad una visione coerente e globale di ciascun distretto idrografico (art. 8 c. 1), e dunque studi ampliati anche a diverse tipologie di risorse idriche.
È negli articoli seguenti della Direttiva che in maniera più indicativa si parla degli approcci tesi ai controlli, agli art. 10 c. 2 e 16 c. 2.
Il primo caso, che tratta di approccio combinato, vede la realizzazione di:
– controlli sulle emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili;
– controlli dei valori limite di emissione;
– controlli comprendenti le migliori prassi ambientali.
All’art. 16 si incontra la “valutazione dei rischi” che sia fondata su “principi scientifici”, e che tenga conto:
– del rischio intrinseco della sostanza interessata, fondato sull’ecotossicità acquatica e la tossicità per le persone attraverso esposizione acquatica;
– delle prove derivanti dal monitoraggio dei fenomeni di contaminazione ambientale;
– di altri fattori che possano indicare possibilità di contaminazione, quali il volume di produzione di una sostanza e le sue modalità d’uso.
L’inquinamento è un contesto di rilevante importanza e del quale con molta accortezza dovrebbe occuparsene la P. A.
La ragionevolezza scientifica che gli sta dietro e che è dettata anche da specifica normativa è anche valore che serve a porre dei limiti a determinate situazioni che prevedono perseguimenti finalizzati al profitto e all’economicità. Studi e valutazioni periodiche, che siano realizzate in maniera adeguata e dunque comparabili nel tempo e nello spazio, sono passi fondamentali finalizzati anche agli studi di tecniche e misure di tutela ambientale, cercando di evitare quindi approcci che si dimostrino inadeguati ed errati nel tempo, provocando soltanto perdite di denaro e non risolvendo di fatto il problema.
Allo studio del progetto di scrubbing della Royal Caribbean, come agli studi futuri, l’Amministrazione dovrebbe impegnarsi a trovare metodo e scientificità continuata nel tempo a livello ambientale, adottando studi che non siano finalizzati a sé stessi, ma anche al perfezionamento di piani futuri che tutelino la questione ambientale e perseguano al contempo la loro economicità.
In uno degli ultimi Consigli comunali, il consigliere Lungarini aveva parlato proprio di adottare alcune forme di analisi e studio delle sostanze inquinanti sostenute nel Nord Europa, come anche misure poste in atto nel Mar Baltico, ma quella proposta poi sembra essere morta proprio in quel Consiglio, mentre invece dovrebbe essere un trampolino di lancio per attuare misure migliori, finalizzate ad una società migliore.
Fonte: http://www.civonline.it/articolo/fumi-porto-si-studia-un-nuovo-progetto
Con Mario Polese, Innovatori Europei si candida al Consiglio Regionale di Basilicata
Gli Innovatori Europei sostengono il coordinatore potentino Mario Polese nella competizione elettorale per il rinnovo del consiglio regionale lucano del mese prossimo.
“Mario rappresenta la migliore espressione della nuova società civile lucana impegnata” aggiunge Massimo Preziuso, Presidente degli Innovatori Europei.
“Sostenendo questa candidatura, la nostra associazione entra ancora più pienamente nel dibattito politico regionale, con l’ambizione di orientarlo il più possibile verso la progettualità del futuro. La nostra primaria finalità è quella di immettere nel dibattito pubblico e nel sistema produttivo lucano le tante energie presenti nel territorio”.
In programma, per le prossime settimane, un dibattito aperto alla cittadinanza sui temi dello sviluppo sostenibile trainato dal know – how e dalle risorse economiche derivanti dal polo petrolifero regionale.
Candidatura a Coordinatore di Circolo PD Pistoia Centro Storico – Marco Frediani
“Tornare a esortare i giovani a costruire un futuro migliore, basato sullo sviluppo compatibile della Terra e dei popoli, su un’alternativa economica, più equa e più giusta, sul rilancio delle grandi istituzioni europee. A resistere con creatività, intelligenza, voglia di fare” (da ‘Impegnatevi’ di Stéphan Hessel).
Il Circolo PD Pistoia Centro Storico rappresenta ormai da tempo una realtà del nostro territorio che ha fatto della continuità di lavoro, dell’unità, del pluralismo, dell’inclusione, del dialogo e della partecipazione i propri punti di riferimento. Molte sono le persone che gravitano attorno a quello che non ho difficoltà a definire ‘uno straordinario punto di incontro’. E se la vita è l’arte dell’incontro, è dai buoni incontri che nascono le buone politiche. Perciò iscritti, non-iscritti, semplici passanti e assidui frequentatori, ognuno a suo modo ha lasciato una traccia importante nel nostro percorso. Un percorso intenso, a volte difficile ma quello che è più importante, un percorso prima di tutto ‘vivo’.
Personalmente sono convinto che il rinnovamento dell’Italia parta dal rinnovamento dei partiti. E in particolare dal rinnovamento del Partito Democratico, attualmente unico vero spazio politico e di confronto. L’Italia ha chiaramente dei limiti di funzionamento e questo è dovuto non tanto a un deficit di potere, come in troppi ancora pensano, anche nel Pd, ma a un deficit di partecipazione: per questo servono metodi nuovi. Per questo oggi in politica sempre più il ‘come fare’ diventa sostanza insieme al ‘cosa fare’. Fatto salvo il principio di democrazia rappresentativa occorre iniziare ad aprirsi a elementi di democrazia deliberativa.
Negli ultimi tre anni molto è stato fatto nel nostro Circolo. Le riunioni sono state tante, per quanto riguarda gli incontri pubblici è difficoltoso ricostruirne l’elenco completo (“Il vento del cambiamento” – Pistoia incontra Milano, “Verso Stati Uniti d’Europa”, i temi della sostenibilità ambientale ed energetica, alternativa economica, Ius Soli, la questione del Nord Africa, il bilancio del Comune di Pistoia, il piano del commercio, cene raccolta fondi, il percorso di ‘Terra Franca’ ecc.). E questo basandoci su semplice autofinanziamento e le entrate dal tesseramento. Tanto che il bilancio del Circolo si trova attualmente in uno stato di solido attivo.
Se molto è stato fatto, molto resta ancora da fare.
Ed è per questo che ho deciso di ricandidarmi come coordinatore di questo Circolo. Per proseguire un percorso di costruzione di un partito nuovo che sia sempre di più un’organizzazione partecipata di iscritti, di cittadini e di associazioni. Per un partito a supporto degli amministratori e non per un partito degli amministratori.
Una sfida di metodo ma anche culturale. Oggi al patrimonio storico dei temi “tradizionali” della sinistra (contrapposizione capitale – lavoro, giustizia, equità) occorre aggiungere quelli delle “nuove dimensioni” della politica e della costruzione di una nuova cultura democratica autenticamente ambientalista.
Nuove dimensioni che partono dalla consapevolezza dell’interdipendenza tra Stati da un punto di vista economico-finanziario, ambientale (acqua, cibo, energia, cambiamento climatico) e sociale in termine di fratellanza tra popoli.
Per la costruzione di una visione nella condivisione. Per valorizzare un’idea di insieme, di comunità, di unità nella diversità, per riscoprire l’empatia e il dialogo accanto alla dialettica politica. Il piacere del collaborare e del fare insieme, la diplomazia come vera forza della politica.
Di seguito, brevemente, alcuni punti per il programma di mandato da svolgere con il nostro Circolo. Un’idea di programma aperta naturalmente a eventuali contributi e integrazioni:
1) Maggior radicamento territoriale:
- Rafforzamento del ruolo politico del circolo quale elemento di connessione fra partito, amministrazione cittadina e società civile (di cui l’associazionismo è parte integrante), in una prospettiva ‘per’ e mai ‘contro’.
- La necessità di una sede e maggiore organizzazione dell’attività.
2) L’idea di Circolo come Laboratorio: uno spazio palestra di idee, proposte, azione ma sopratutto di collaborazione.
3) Riattivazione/modernizzazione del blog del Circolo e di altri spazi virtuali (facebook, twitter ecc.) come luoghi di discussione e trasparenza.
4) Tutela del pluralismo del partito e della libera circolazione di idee:
- Terzietà del ruolo di segretario
- Rispetto di ciascuna delle anime del partito, garanzia di rappresentatività e libertà di espressione.
Un programma naturalmente da costruire e svolgere insieme.
Marco Frediani
L’incontro tra gli Innovatori Europei e i candidati segretari della federazione romana del PD
Ieri – 22 ottobre – nella sede del PD Roma Centro Storico, si è svolto un breve incontro tra alcuni esponenti di Innovatori Europei (IE) Roma e il candidato alla segreteria della federazione romana Tobia Zevi.
Gli altri candidati invitati, pur ringraziando per l’invito, non sono riusciti ad essere presenti. Tommaso Giuntella ha inviato un documento politico. All’iniziativa erano presenti, tra gli altri, il Presidente Nazionale di IE Massimo Preziuso e gli esponenti del Lazio Paolo Di Battista e Giuseppina Bonaviri.
Con Zevi abbiamo condiviso la necessità di rinnovare nelle persone e nei metodi il partito romano. E gli abbiamo esposto brevemente due nostri progetti, da lui condivisi:
– Roma capitale culturale dell’euro mediterraneo, protagonista del nuovo dibattito verso la federazione europea (organizzazione convegno a Roma).
– Roma capitale “intelligente”, centro di una rete di città smart.
L’incontro si è concluso con il proposito di riaggiornarsi con la federazione romana, a congresso concluso.
Resoconto incontro tra Innovatori Europei Napoli e i Candidati alla Segreteria Provinciale del PD
Telecom-Telefonica può essere anche un’opportunità
Il dibattito intorno all’operazione Telefonica-Telecom Italia ha scatenato nel nostro paese alcune riflessioni ad ampio spettro. Molte delle motivazioni contro questa operazione tralasciano tuttavia aperti aspetti importanti che meriterebbero un maggiore approfondimento. In questo quadro è necessario provare a riassumerle per analizzarne le diverse implicazioni senza farsi guidare alcune volte da superficialità, altre da una mancanza di visione più generale. Provo a riassumere alcune argomentazioni per cercare di offrire un contributo di riflessione a favore di una operazione che solo apparentemente è sfavorevole alla Telecom Itala.
Progetto industriale
Anzitutto va detto che Telecom Italia non è più il vecchio gigante di una volta, soprattutto ha perso proprio i gioielli che ne facevano un asset strategico per il Paese (si veda più avanti). Almeno i gioielli industriali. Dunque la compagnia si presenta come un normale operatore di telecomunicazioni e in quanto tale va valutata.
L’operazione Vodafone-Verizon ha messo in evidenza al grande pubblico che nel mondo è in atto una fase di consolidamento di operatori di telecomunicazione. L’AT&T e Carlo Slim, i cinesi e i russi sono anni che hanno avviato questa operazione. D’altra parte il business delle telecomunicazioni non è più così profittevole come dieci anni fa e tenderà ad avere margini decrescenti, in queste condizioni solo una efficiente economia di scala e un buona innovazione di prodotto e di servizio può garantire il mantenimento di margini adeguati.
A livello internazionale i mercati più profittevoli sono quelli in via di sviluppo, sia per la prolungata crisi della domanda che vive l’eurozona (anche dove la fibra è presente la domanda di abbonamenti rimane spesso inadeguata a giustificare gli investimenti) sia perché in alcuni casi i mercati sono vicini alla saturazione e la concorrenza è più forte.
In questo quadro Telecom Italia avrebbe già dovuto mettere in cantiere da tempo una alleanza-fusione con qualche operatore di telecomunicazione almeno europeo che ne aprisse maggiormente i confini e consolidasse le sue posizioni. Da questo punto di vista è molto meglio una fusione con Telefonica che con i tedeschi o i francesi, il governo italiano può meglio gestire una alleanza di questa natura.
Telefonica ha dimostrato di essere una struttura efficiente dal punto organizzativo e di sapersi muovere con capacità, ha un Paese che la supporta e capacità di penetrare in mercati interessanti. Dal punto industriale è stata capace di affermarsi in mercati emergenti e in quelli europei. Attualmente opera con O2 in UK, germania, slovacchia, Irlanda e in molti mercati europei, in tutto il latinoamerica dove è leader in molti paesi.
Telefonica e Telecom Italia possono costituire un operatore in grado di concentrarsi sia in America Latina (contrapponendosi meglio alla concorrenza dei messicani) sia fare un progetto di sviluppo nel bacino del mediterraneo dove le buone relazioni che i due governi hanno, in particolare quello italiano, possono facilitare. Telecom italia ha già una presenza nel bacino del mediteraneo dalla Turchia alla Grecia a molti paesi del maghreb.
Chi pensasse che la vendita di Telecom sia evitabile non ha chiaro come si stanno muovendo le dinamiche di mercato a livello globale. In questa fase di consolidamento mondiale degli operatori è importantissimo acquisire velocemente posizioni di mercato nei mercati con maggiore crescita o di maggiore valore perché tra qualche anno o si è tra i leader o si è morti.
Dal punto di vista dei costi la fusione consentirebbe di fare economie di scala notevoli negli acquisti o nella gestione dei servizi, questo consentirebbe di ridurre i costi liberando risorse sugli investimenti. I due gruppi si muovo su mercati fortemente geolocalizzati e solo parzialmente in sovrapposizione per cui potrebbero facilmente integrare le strutture.
Infine i commentatori e la politica farebbero bene a non perdere di vista il fatto che molto del traffico voce si è spostato sul traffico dati, ormai sempre più “telefonate” sono fatte attraverso internet. Questo nei prossimi anni sarà un disastro per le compagnie telefoniche che non sapranno rinnovarsi, consolidarsi, accorparsi. Telecom Italia è troppo piccola e troppo mal ridotta per andare da sola, può mettere sul piatto capacità professionale e tecnologica ma non può andare da sola.
Asset Strategico Industriale
Telecom Italia negli anni di Tronchetti-Provera ha perso una buona parte della sua valenza industriale. Il valore strategico era per esempio legato allo CSELT in grado di produrre tecnologie e ricerca che poi divenivano standard internazionali o a Telespazio e il suo ruolo di driver del settore spaziale italiano. Per la verità nemmeno a quel tempo Telecom Italia è stata in grado di trasformare l’innovazione in prodotti e servizi innovativi, troppo legata alla struttura di operatore ex monopolista. Proprio questo retaggio da ex-monopolista gli ha creato danno insieme alla gestione di un capitalismo rapace che dalla privatizzazione in poi ne ha drenato risorse senza metterci nessun capitale di rischio.
Dal punto di vista della domanda di tecnologia va detto che ormai da diversi anni Telecom italia ha tra i suoi principali fornitori ad esempio apparati cinesi (cosa che in USA è fortemente ostacolato per difendere l’industria nazionale). Dunque Telecom non riesce nemmeno ad essere più un driver di tecnologia e prodotti italiani (es. Italtel). La vendita di Telecom non comprometterà in alcun modo l’industria italiana, anzi per alcuni versi può evitare che qualcuno si senta “giustificato dal nazionalismo” per sostenere una azienda piuttosto che altre(magari più strategiche). Telecom Italia dovrà essere in grado di confrontarsi con il mercato tirando fuori il meglio delle professionalità già presenti che in questi anni sono state mortificate da scandali come quello del traffico telefonico, della vendita di intercettazioni, di “trucchi” ai danni dei clienti o di altri operatori per recuperare guadagni facili.
Gli unici asset strategici che varrebbe la pena conservare in mano italiana ormai sono il marchio Olivetti, che rappresenta il made in Italy tecnologico ma che è stato mortificato all’interno del gruppo Telecom.
Infrastruttura per la PA
Una delle obiezioni che più sono state utilizzate riguarda la strategicità della rete per le informazioni della PA e la necessità che essa non possa finire in mano ad operatori stranieri.
Anzitutto va detto che Fastweb (in mano svizzera) ha diversi contratti con la PA (è uno dei partner principali del Sistema Pubblico di Connettività –SPC-), così come WIND e dunque, qualora l’obiezione fosse giusta, avrebbe dovuto esserci più di un allarme da tempo. Va anche detto che spesso gli apparati sulla rete Telecom sono statunitensi o cinesi, questo significa che le informazioni potrebbero essere “dirottate” di nascosto.
Se il problema è quello di avere una infrastruttura che in modo sicuro ed efficiente dia la rete alla PA allora, ed ha senso, si può trasformare la rete universitaria del GARR nella rete della PA. Avrebbe senso allora che la CDP entrasse nella operazione e si costituisse una società in grado di definire nuove integrazioni tecnologiche utilizzando il sistema universitario e le migliori imprese innovative(Finmeccanica, Telespazio, PMI innovative, ecc.) . Questa azienda potrebbe servire la PA e aiutare imprese italiane a “farsi le ossa” e referenze per vendere prodotti e servizi ad operatori internazionali. Un grande progetto industriale che abbia la domanda pubblica come driver di partenza senza creare concorrenza sul mercato aziendale e privato ma anzi che potrebbe rivendere parte della capacità di trasporto ad operatori che non arrivino nei centri più piccoli.
Il GARR (finanziato dal MIUR) sta già facendo notevoli investimenti in fibra ottica in tutto il Paese e mettendo a disposizione le proprie competenze per dare affidabilità alla rete, fornirla al sistema scolastico, universitario e della ricerca. Il salto non sarebbe impossibile e potrebbe giovare notevolmente poiché non è gravato dall’eredità del rame e dalla necessità di realizzare solo rete fissa, per molti comuni è possibile pensare alle tecnologie wireless o satellite di cui possiamo discrete competenze.
Debito
Il debito di Telecom Italia è abnorme, anche Telefonica ha un alto debito tuttavia essa gode di una politica industriale più solida che rassicura gli investitori sulla sua capacità di coprirlo. Mettere insieme le due aziende non graverebbe più di tanto sul debito anche perché in termini di abbonati, le due aziende sono leader internazionali.
Trovo del tutto inappropriato misurare una azienda di telecomunicazioni con il criterio contabile di una azienda di prodotti di salumeria o altro. Non perché le telecomunicazioni non siano una industria come le altre ma perché la tipologia di prodotto e servizio è necessariamente legata agli investimenti (fatti a debito) e consente di recuperare tali investimenti in base al numero di abbonati (si pensa che una volta che si raggiungono gli abbonati essi paghino il servizio per un certo numero di anni). Chi si abbona ad un operatore di telecomunicazioni tendenzialmente non cambia subito e questo può garantire ritorni consistenti e duraturi. Il criterio che andrebbe valutato con maggiore attenzione è dato dall’ARPU, che sta per “Average Revenue Per Unit” (ricavi medi per unità) il quale viene usato generalmente tra gli operatori della telefonia – e per estensione, nell’intero ambito delle ICT – per indicare i ricavi medi ottenuti mensilmente per ciascun utente.
Tenendo conto di questo valore, della dinamicità (tassi di crescita) dei mercati dove le due compagnie sono presenti e del numero di abbonati che raggiungerebbero insieme, il problema del debito sarebbe mitigato consentendo di programmare nuovi investimenti e rifinanziamenti. Anche in considerazione del fatto che la nuova Telefonica assumerebbe dimensioni tali da avere posizioni dominanti su molti mercati.
Italianità
Il tema dell’italianità è il tema dietro al quale si nascondono spesso affari di qualche famiglia dell’imprenditoria del salotto buono. La prima privatizzazione aveva dato in mano la Telecom ad Agnelli, la seconda ad un gruppo di finanziatori bresciani, la terza a Tronchetti-Provera nessuna delle tre fasi ha permesso a Telecom di fare il bene dell’Italia.
Dietro al tema dell’italianità si è coperta la vendita di Alfa Romeo e Lancia alla FIAT e oggi le automobili Lancia sono solo le Chrysler con il nome cambiato. E pensare che non l’abbiamo venduta alla FORD che produce auto in Germania. Per non parlare del bruciante caso Alitalia.
Insomma, dietro l’italianità, spesso sembra si nascondano i “buoni salotti” della finanza nostrana che sono sempre in prima fila quando c’è da prendere profitti e fuori posto quando c’è da mettere soldi per investire nelle aziende. E il caso della vendita a Telefonica da parte di Banca Intesa e Generali ne è l’ultimo esempio in ordine di tempo.
IPO
Una questione che è stata posta correttamente è quella della legge sull’IPO che consente di costituire dei pacchetti di controllo che si passano di mano le aziende lasciando fuori i piccoli azionisti. Mi sembra effettivamente necessario intervenire su questo meccanismo ma mi sembra alquanto bizzarro farlo solo per impedire a Telefonica di acquisire Telecom Italia a buon prezzo. Sarebbe molto più intelligente non caricare Telefonica nella acquisizione ponendo però alcuni “limiti” nella governance affinché sulle scelte più rilevanti non debbano subire ciecamente.
Tim Brasil
Una delle obiezioni posta sull’operazione è il fatto che Telefonica venderebbe TIM Brasil facendo cassa.
Anzitutto bisogna dire che questa opzione, rimanendo così le cose, rischia di essere quella più probabile se Telecom Italia non vuole arrivare al ranking spazzatura del suo debito. In più i concorrenti si fanno sempre più agguerriti (in particolare i messicani) e recentemente Tim Brasil è stata oggetto di sanzioni per operazioni scorrette nei confronti degli utenti. Quest’ultima cosa è un indice molto preoccupante di come viene gestita la sussidiaria brasiliana e può rappresentare un pericoloso rischio per Telecom Italia.
Dunque la vendita di Tim Brasil è comunque all’ordine del giorno. Semmai se questa vendita avvenisse ora consentirebbe alla Telefonica-Telecom di recuperare denaro fresco da reinvestire in altre operazioni di investimento e di rimanere leader del mercato (Telefonica è il primo operatore mobile in Brasile e TIM il secondo). Dunque l’operazione avrebbe un danno parziale nella presenza sul mercato brasiliano ma consentirebbe di recuperare risorse per acquisire nuove posizioni in altri mercati emergenti (Medio Oriente, Asia)e, soprattutto, non sarebbe un danno visto che Telefonica è leader del mercato latinoamericano.
Occupazione
E’ strano che si faccia riferimento al tema occupazionale. E’ anche strana la posizione dei sindacati su questo.
Anzitutto va detto che Telecom, nel più assoluto silenzio, continua ad espellere persone. In questi ultimi anni i programmi per favorire l’uscita sono molto attivi per cui non sta garantendo occupazione. Molte delle attività che prima si facevano all’interno adesso vengono fatte all’esterno da piccole imprese di indotto. Tutto questo Telefonica non ha alcun interesse a smontarlo, forse razionalizzerebbe alcune aziende esterne che meritano di esserlo.
Il personale necessario a mantenere operativa la rete in Italia non subirebbe movimenti come nemmeno il personale di direzione, su questo il governo italiano potrebbe porre la questione di mettere in Italia il centro di una possibile espansione nel mediterraneo del gruppo.
In ogni caso l’occupazione non si protegge lasciando fuori Telefonica, sarebbe anzi un disastro annunciato. I sindacati di settore invece dovrebbero cercare di imporre a tutti gli operatori sul mercato italiano il contratto delle telecomunicazioni che spesso è sostituito da quello metalmeccanico o del commercio. Una delle bizzarrie italiane è che una impresa decide che contratto applicare senza alcun vincolo ma questo è un altro discorso.
Agenda Digitale
Il tema del ruolo di Telecom Italia nell’Agenda Digitale è un altro dei temi “forti” contro Telefonica.
Qui bisogna dire che in Italia solo Telecom Italia è italiana ed è l’azienda che fa più fatica ad investire nelle reti. Spesso lo Stato è intervenuto per esempio attraverso Infratel o le regioni per fare investimenti in fibra ottica a complemento della rete Telecom, mentre molte regioni hanno affidato a Telecom Italia i propri progetti di superamento del digital divide. Il ritorno non è stato sempre dei migliori e gli stessi investimenti potrebbero essere fatti verso altri operatori. Anzi, nell’ipotesi di rafforzare il GARR, sarebbe anche interessante trovare in esso un player a cui affidarsi.
Sul fronte del digital divide gli investimenti sono ancor più problematici poiché spesso la dispersione della popolazione italiana obbliga ad investimenti infrastrutturali in zone economicamente non convenienti per un operatore privato. Questo unito ai dati, che ci dicono che gli italiani preferiscono la connessione mobile a quella fissa, può essere un driver per politiche di incentivazione della banda larga con connessioni wireless di piccoli operatori di territorio che già oggi servono tantissime aree. In ogni caso l’operazione Telefonica non compromette gli investimenti nel nostro Paese.
L’Agenda Digitale non avrebbe gravi conseguenze, anzi con un operatore più solido e più capace di investire il tema non potrebbe che trarne benefici.
Sicurezza
Il tema della sicurezza come è stato posto appare abbastanza capzioso. Il tema della sicurezza non è legato alla rete dove passa e a chi appartiene. Su questo il COPASIR farebbe bene ha chiarire meglio i timori che l’hanno spinto a fare certe dichiarazioni.
Anzitutto, come è ormai noto non solo agli esperti di sicurezza, lo spionaggio delle informazioni si fa tramite “virus” che penetrano all’interno dei computer e trasmettono i dati fuori. Questo è il principale meccanismo consolidato di raccolta delle informazioni. I dati sulle reti sono trasferiti criptati ed esistono sistemi sufficientemente sicuri da scoraggiare lo spionaggio.
In alcuni casi le informazioni farebbero bene a viaggiare su reti protette ma, come dimostra il caso Tavaroli, Telecom Italia non è stato un baluardo di tale sicurezza.
Se vogliamo aumentare la sicurezza dei dati sarebbe il caso di investire di più sui temi della Cybersecurity e fare un piano di investimenti in tecnologia (e soprattutto in aspetti organizzitivi e sensibilizzazione del personale) per aumentare la sicurezza delle informazioni. Nelle iniziative istituzionali il nostro Paese è sempre abbastanza indietro in sensibilità su questi temi. Troppo spesso, per esempio, nella PA le password sono ancora scritte sui post-it attaccati agli schermi.
Infine va detto che attualmente, con il progetto SPC, la rete della PA è gestita da diversi fornitori di telecomunicazioni e dunque non solo da Telecom (per esempio Fastweb) per cui la premura di mantenere il controllo italiano di Telecom Italia risulta stonata.
Per quelle istituzioni che hanno bisogno di far circolare dati sensibili di valore strategico nazionale sarebbe invece più utile investire su reti tipo GARR (per esempio facendo una business unit specifica focalizzata nella fornitura di rete alle istituzioni sensibili o una struttura sotto la supervisione dello Stato Maggiore dell’Esercito).
Tutta una serie di dati della PA che si veicolano in rete sono tra l’altro anche presenti nei siti di Open Data già disponibili, per cui avere una rete come quella di Telecom Italia in mano ad una azienda italiana non da molti vantaggi in più per chi volesse realmente spiare informazioni.
Scorporo
Il tema dello scorporo della rete merita di essere approfondito in un articolo a parte per cui non lo affronto. Credo che nella situazione attuale e guardando il futuro delle telecomunicazioni non abbia senso che lo Stato si accolli una rete in rame che è stata gestita spesso male, poco efficiente e incapace di instradare il traffico dei prossimi anni. Oltre a spendere molti soldi per comprarla, lo Stato, dovrebbe spendere molti altri per rimetterla a posto e poi ammodernarla. Il tutto mentre le telecomunicazioni diventano sempre più mobili. Non è un caso che gli altri operatori non abbiano grande interesse a far parte della partita o ad investire sul fisso fuori dai centri urbani.
Conclusione
L’operazione Telefonica Telecom Italia è una buona operazione industriale e rafforza il ruolo di Telecom. Il fatto di essere acquisita da una società spagnola non deve metterci in imbarazzo o offendere il nostro senso patriottico, deve invece darci sprono a concentrarci dove siamo più forti e dove abbiamo maggiori possibilità di riprendere un ruolo industriale.
Anziché farci spaventare dalle aziende straniere che acquistano quelle italiane dovremmo valutare quali sono i settori strategici e quali no, cosa vogliamo fare per rivitalizzare l’industria nazionale e imporgli di cambiare per innovare e crescere. Su questo la politica dovrebbe ascoltare il sindacato ma averne anche autonomia poiché la perdita dei posti di lavoro va combattuta con iniziative sul fronte del consolidamento societario e della crescita industriale e non con la paura.
Dovremmo concentrarci sui settori industriali più innovativi utilizzando la leva pubblica dove serve (in sostituzione di un capitalismo industriale che non abbiamo quasi più) e ricostruire filiere attraverso investimenti in conoscenza e capacità manageriali. Dovremo sentirci offesi invece di come certo capitalismo nostrano ha trattato e tratta il nostro patrimonio industriale facendone scempio per portare a casa la cassa e poi lasciandolo svuotato e pieno di debiti alla deriva.
Un centro di ricerca euromediterraneo sulle tecnologie e risorse energetiche del futuro. In Basilicata
di Massimo Preziuso (su L’Unità)
La Lucania è terra di risorse naturali preziose, che la dovrebbero rendere tra le più ricche di Italia.
Eppure, da sempre, e ancora oggi, le statistiche economiche dicono incredibilmente il contrario.
Secondo dati pubblicati dalla Banca di Italia, la regione Basilicata risulta sempre più arretrata nel contesto nazionale. PIL 2012 al -3% , disoccupazione attorno al 15% e accentuata caduta della produzione industriale, del 9,5% rispetto al 2011.
Senza una forte presenza di piccola e media impresa diffusa, capace di competere sui mercati internazionali (anche e soprattutto per carenza di infrastrutture), la Regione in questi anni è sopravvissuta al tornado della crisi soprattutto grazie alle imponenti attività estrattive di petrolio e gas. Le compagnie petrolifere infatti estraggono enorme ricchezza dal territorio in cambio delle cosiddette “royalties” compensative.
Con risorse davvero ingenti – solo 2011 erano pari a 120 milioni di euro (di cui 100 milioni destinati all’ente Regione) – al netto di alcune interessanti ed iniziative in ambiti “nuovi” per la Basilicata (come il cinema, la cultura), non si è riusciti finora a disegnare alcun vero cammino di sviluppo sistemico. A livello regionale le royalties sono infatti servite al finanziamento di voci di bilancio (università, sanità), al finanziamento di “buoni benzina” (!), mentre a livello locale al più all’avvio di piccoli progetti occupazionali.
E proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea certifica la retrocessione della Regione Basilicata, che torna tra le regioni “Ex – Obiettivo 1”.
E allora, passati vari anni dall’inizio di questo ciclo estrattivo intensivo – che non durerà all’infinito e che impatterà pesantemente l’ambiente – in tanti si chiedono se e come esso potrà ancora determinare un impatto positivo sullo sviluppo di lungo periodo della Regione.
E’ evidente infatti che la rendita assicurata da risorse naturali – postulata nella staple theory – non è un fenomeno naturale, soprattutto in una Regione povera e piccola come la Basilicata, carente di un sistema di imprese diffuso.
Ed è proprio quella – l’imprenditorialità diffusa – la condizione necessaria allo sviluppo territoriale legato allo sfruttamento di risorse naturali, come quelle petrolifere. L’impresa quale moltiplicatore di sviluppo.
Ma è anche evidente che – per essere competitive e quindi insediarsi – le imprese necessitano di un milieu adatto.
Ebbene, oggi ci sono proprio tutte le condizioni al contorno per crearlo questo contesto “imprenditivo”:
– La Strategia Energetica Nazionale pone su un piano di forte centralità la Basilicata nel futuro dello sviluppo energetico ed economico del Paese.
Si parla infatti della realizzazione di un hub energetico dell’euro mediterraneo e si indica nella Basilicata il baricentro di una piattaforma di servizi di alto livello nel settore della distribuzione, attraverso imponenti attività di stoccaggio e lo sviluppo di una rete “smart” su scala europea e mediterranea.
– Il memorandum Stato – Regione sul petrolio lucano approvato nel mese scorso continua ad andare in questo senso, anche se va assolutamente “rinforzato” nella qualità e nella quantità della progettualità ipotizzata, ed equilibrato nella sua visione “centralistica” di governance di risorse che sono “locali”.
– La prossima programmazione dei fondi europei 2014-2020 prevede la necessità di un approccio “strategico” e di “originale” allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo.
Dunque, se al futuro davvero si vuole arrivare, e non ci si vuole ritrovare invece con un territorio semplicemente depauperato di risorse naturali e di ricchezza ambientale, è bene cominciare a parlare di una strategia di sviluppo, che sia “sostenibile” sia da un punto ambientale che da un punto di vista economico, che sia “strategico”, e che sia “originale”.
E’ per questo necessario partire dalla messa a rete del sistema dei saperi universitari e dell’industria energetica attorno allo sviluppo di un distretto delle tecnologie e risorse energetiche del futuro. Un progetto che veda protagonisti per primi i colossi petroliferi “lucani”– ENI, TOTAL e SHELL – e la Regione Basilicata, insieme nel promuovere un nuovo utilizzo delle royalties petrolifere nel rapido disegno e successiva implementazione di una strategia che guardi al futuro.
Un progetto, questo, di chiara valenza internazionale, in quanto centrale per lo sviluppo delle politiche energetiche dell’area euro – mediterranea, che quindi deve vedere coinvolta la Commissione Europea e i fondi strutturali 2014-20, oltre alle risorse derivanti dall’estrazione petrolifera.
Di un polo energetico internazionale si parla da tempo nel documento Strategia Regionale per la Ricerca, l’Innovazione e la Società dell’Informazione della Regione Basilicata.
E la realizzazione di un distretto dell’energia è presente tra i progetti presenti nel “Memorandum petrolifero” tra Stato e Regione da poco pubblicato in Gazzetta ufficiale.
La Basilicata può oggi ambire a diventare il principale hub di ricerca e sviluppo di base e applicata (all’impresa) nei settori della manifattura legata all’energia del futuro (rinnovabile e fossile).
E così porsi come attrattore di nuove imprese, investimenti e professionalità internazionali.
Questa è la Lucania che si deve osare ad immaginare da adesso. Ed oggi ci sono proprio tutte le condizioni politiche al contorno per farlo.
Etica e Sapere abilitano l’Uomo. Al Circolo PD Roma Centro Storico. 22 ottobre, ore 18
PD in Campania. Basta manfrine.
Osvaldo Cammarota* (su Repubblica Napoli 15/10/2013)
Con l’approssimarsi del congresso, puntuale si verifica la “corsa agli armamenti” dei numerosi partiti personali in cui è frammentato il PD in Campania.
Sotto le bandiere dei candidati alla segreteria nazionale, si raggruppano persone, storie, profili assai diversi. Forse per sostenere i candidati o forse per condizionarli. Si prospetta una battaglia tutta interna che, ancora una volta, è destinata a deludere le aspettative di una più ampia platea di simpatizzanti ed elettori che vorrebbero riconoscersi in una moderna forza riformatrice. Il PD in Campania non riesce ancora ad essere il partito nuovo promesso nella sua fase costituente, né ad assolvere alla funzione costituzionale di “servizio” affidata ai partiti.
Da almeno vent’anni prevalgono dinamiche di conflitto personale. Non c’è tema su cui si registri un pensiero condiviso o un’azione convergente. Tutti sembrano volere le stesse cose (rinnovamento, partecipazione, apertura alla società, ….) ma gran parte delle energie sociali che pur vorrebbero partecipare alla formazione delle decisioni pubbliche, restano escluse.
Prevalgono meccanismi di appartenenza, non a idee diverse, ma a gruppi inspiegabilmente contrapposti. Questi meccanismi impoveriscono e rendono mediocre il dibattito pubblico. Tutti se ne rendono conto, ma ancora non si vedono misure efficaci per superare questo disservizio della Politica che, in verità, non interessa solo il campo del Centrosinistra.
C’è un planetario di Associazioni che rappresenta interessi e saperi diffusi, potrebbe essere linfa vitale per il rinnovamento della Politica e delle Istituzioni, ma non trova accoglienza. Si stenta a dare corpo, sostanza, forma organizzativa alla parola, troppo abusata, “partecipazione”.
La nostra Associazione di Innovatori Europei, ad esempio, è composta da persone che si sforzano di operare innovazione, ciascuno nel suo campo, ciascuno per quel che può. Abbiamo volontà di contribuire anche al rinnovamento della politica e riteniamo che una prima occasione per discuterne possa essere il Congresso del Partito Democratico.
Per questa ragione, in preparazione degli Stati Generali di IE che si terrà a Roma il 9 novembre, abbiamo promosso un incontro con l’organizzazione regionale del PD (il 17 ottobre p.v.). Vogliamo verificare in quali luoghi e con quali modalità ci si possa confrontare su temi che ci sembrano cruciali per l’innovazione della Politica e dell’Amministrazione pubblica in Italia, nell’orizzonte dell’unificazione europea.
Siamo ostinatamente determinati a ricercare un confronto su contenuti, su obiettivi che possano produrre concreti risultati di innovazione politica, economica e sociale. Più che alla ricerca di un “leader da seguire”, vorremmo contribuire ad una strategia politica “operativa di coesione” in cui si possano riconoscere i riformatori-innovatori di diversa matrice culturale.
D’altra parte, nel caso del PD a Napoli e in Campania, chiunque dovesse vincere il Congresso, in assenza di obiettivi e strategia largamente condivisi, sarà costretto a dover fare l’equilibrista con burocratiche operazioni di mediazione interna, non dissimili dal vecchio manuale Cencelli. Che cosa c’è di nuovo in questo?
* Associazione Innovatori Europei