Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Un bit più di Google

bit_01di Michele Mezza

L’altro giorno , come con forse eccessiva petulanza vi ricordavo, ho presentato il mio libro Avevamo la Luna – vi ho mai fatto accenno che è  uscito?- alla fondazione Di Vittorio con interlocutori davvero particolari, come il vice ministro allo sviluppo economico Stefano Fassina, il presidente di Tiscali, ex presidente della Regione Sardegna Renato Soru, il presidente della stessa Fondazione Ghezzi, con il direttore Prof Pepe, e l’on. Walter Tocci.

Un parterre de Roix tutto politico per una discussione tutta politica. Finalmente. In questi mesi, trovandomi dinanzi a platee generaliste, ho dovuto camuffare il mio libro da un testo sul costume degli anni ’60. In realtà, almeno tale era l’intenzione, volevo scrivere un libro sulla sinistra di oggi.

E sono andato nella tana del lupo a discuterlo. La Fondazione Di vittorio è un organismo collaterale della CGIL. E il tema del lavoro, punto nevralgico del mio ragionamento, è un valore sacro. Così come per Fassina, che ha scritto un saggio  intitolato Per il Lavoro.

Ho affrontato il toro per le corna: oggi il baricentro economico  sta inesorabilmente uscendo dal campo del lavoro e saldamente radicandosi nel campo del sapere, anzi della circolarità del sapere. Chi controlla la mobilità dei pensieri controlla le relazioni sociali e dunque la politica. Questo in sintesi il mio ragionamento.

Devo dire che sia Fassina che Tocci hanno mostrato un atteggiamento estremamente aperto e comprensivo. Fassina ha ammesso che sul tema innovazione e politica le denunce del mio libro sui ritardi della sinistra sono fondate e che in quel triennio, 62/64 , si perse una grande occasione. Tocci  è andato più in là, parlando di un sano estremismo del libro che deve fare piazza pulita dei retaggi ideologici che ancora rimangono nel cuore della sinistra italiana.

meno sorridente il direttore della Fondazione Di Vittorio, che ha iscritto il mio libro in un filone che ha definito degli storiografi di Lotta Continua, affermando che la causa del declino della sinistra è che l’avversario non ci concede di condividere il suo potere in fabbrica.

Ma per tutti, sia i sorridenti che i digrignanti, il tema rimaneva la centralità del lavoro.

Voglio qui in tre righe spiegare finalmente cosa intendo io per centralità del sapere.

per farlo mi appello, secondo le vecchie procedure terzo internazionaliste, ad una citazione dei sacri testi:

capitolo 13 del 1° libro de Il capitale di tale Karlo Marx: Il Darwin, scrive il ragazzo, ha diretto l’interesse storia della tecnologia naturale, cio è sulla formazione degli organi vegetali ed animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni formazione sociale particolare?

E lo stesso autore, che di lavoro una qualche conoscenza aveva, così concludeva: occorre scrivere una storia critica della tecnologia.

Intendo dire che fino dalla metà del XIX° secolo, si coglieva il processo per cui il macchinismo stava trasferendo funzioni essenziali dall’attività umana alla fase di concepimento delle macchine. Era proprio quello il momento in cui il capitale sanciva il suo predominio: era il capitale a progettare le macchine e tramite quelle ha determinare le relazioni sociali.

oggi che il software sta automatizzando la maggioranza delle nostre attività cerebrali e neuronali, interferendo con il nostro modo di pensare a maggior ragione dovremmo organizzare tempi e modi per interferire con lo sviluppo delle intelligenze artificiali che stanno contribuendo a formare il 70% del valore prodotto dall’umanità.

In sostanza , la carica conflittuale del movimento operaio va riprogrammata per esprimersi nei luoghi e nei termini di una negoziazione dell’algoritmo.

Tanto più che, come spiegano gli scienziati, l’informatica non serve a produrre le app su facebook o su Apple ma ha riprogrammare la vita, attraverso le biotecnologie. Attività che non possiamo non presidiare politicamente.

Questo è il senso del mio ragionamento e il vero messaggio che Olivetti trasmetteva con il suo discorso esattamente di 54 anni fa, del 8 novembre del 1959, quando parlava dell’informatica come tecnologia di libertà che avrebbe emancipato l’uomo dal peso del lavoro manuale.

Dunque il cuore oggi del potere è il controllo dell’algoritmo. per questo rilancio una proposta concretissima: perchè il governo , o almeno la sinistra al suo interno, non chiede una norma che premi con una defiscalizzazione  tutte le aziende o le partite Iva che investono sul proprio software, ossia che non acquistano prodotti intelligenti già fatti ma che attivano ricerche e adeguamenti di software autonomo? Perchè non indirizzare la poyt6enza del sistema informatico italiano che  porta questo paese ad essere il primo produttore di app del mondo, a produrre software originali per il sistema produttivo nazionale? Non è questo un modo per non toglierci il cappello nemmeno dinanzi a Google?

Proprio come  Di vittorio ci ha insegnato , quando diceva che non dovevamo piegarci dinanzi al padrone e  che dovevamo sapere una parola più di lui. perchè dobbiamo toglierci il camice bianco dinanzi  al padrone che progetta e dobbiamo rassegnarci a sapere un bit meno di Google?

Sulla trasformazione delle province evitiamo amenità

di Giuseppina Bonaviri

Il 5 novembre, si è tenuta a Roma presso il Teatro Quirino l’assemblea nazionale delle Province italiane. Si è messa in evidenza l’urgenza di rileggere i territori per dare dignità e governo all’area vasta e per sconfiggere la consistente nuova centralizzazione dei poteri, da un lato verso lo Stato dall’altro verso Regioni e Città metropolitane. Emerge chiaramente che con l’abolizione delle Province si distruggeranno la rete diffusa e capillare dei piccoli comuni, che tesoro nella tenuta territoriale, si troveranno d’improvviso accorpati dalla riforma Delrio oltre una serie di servizi destinati al cittadino e previsti dalla nostra Costituzione,. Questa riforma porterà anche la riduzione delle componenti del salario accessorio e le mobilità forzose dei lavorati del settore con meccanismi di cassa integrazione preludio di ulteriori tagli.

La proposta del Ministro di trasformare le province in agenzie è fantasiosa, forse dettata dalla necessità di contrastare sul piano mediatico le molte incongruenze che contiene la proposta del Governo alla soppressione delle province. Al rebus di chi espleterà le funzioni fin qui esercitate dalle province il Ministro risponde che saranno assegnate ai comuni dimenticando completamente quale lo stato comatoso, sia sul piano finanziario che operativo, in cui versano la maggioranza dei comuni ed in particolare quelli del sud Italia di cui la provincia di Frosinone è propaggine.

La nota dominante delle dichiarazioni ministeriali appare quella della semplificazione di questioni complesse che riducono i livelli di democrazia esistenti nel nostro ordinamento e che, per impotenza verso le molte altre inefficienze (vedi enti e società strumentali pubbliche, dal livello locale a quello statale), appesantiscono con costi impropri la finanza pubblica ed i cittadini tutti.

Peraltro la Regione Lazio ha la peculiarità di avere nel suo territorio la Capitale che rivendica funzioni ulteriori rispetto a quelle che le verranno assegnate dall’istituzione delle città metropolitane: una ragione di più per dover disporre nel territorio di una rappresentanza funzionale che sia di riequilibrio rispetto al peso che avranno le politiche di area vasta. Senza questo bilanciamento assisteremo ad una regionalizzazione dell’area vasta non sufficientemente rappresentativa delle periferie piuttosto che ad un trasferimento ai comuni delle funzioni che fino ad oggi sono stati di competenza provinciale. Una deriva che viene anche dalla constatazione di quanta ritrosia la Regione abbia da sempre dimostrato nel ridurre il suo peso rispetto la gestione della moltitudine di attività accentrate invece di pensare a dedicare più spazi alla programmazione favorendo territori e interi settori di attività produttive.

E’ questa la ragione per la quale la classe politica locale, anziché attanagliarsi intorno al proprio potere riproponendo persino il miracolo della moltiplicazione dei pani, dovrebbe invece occuparsi seriamente delle tante criticità del cittadino magari chiedendo da subito alla Regione la preparazione di una Conferenza delle Autonomie locali regionale che imponga, sul delicato tema del riordino e del destino delle province, soluzioni urgenti, trasparenti ed efficienti. Senza tale provvedimento assisteremo ad una diminuzione dell’efficacia d’intervento su tutte le materie ad oggi ancora di competenza provinciale: viabilità, edilizia per l’istruzione secondaria, lavoro e formazione professionale, trasporti pubblici locali, gestione del ciclo dei rifiuti, protezione della natura e dell’ambiente non dimenticando quelle di coordinamento per la pianificazione delle scelte di localizzazione. “Un diluvio di finte innovazioni annegate dentro provvedimenti finanziari destinate ad avere vita breve senza una tenuta ordinamentale. Più una dichiarazione manifesto che norma di revisione costituzionale”.

 

Il vice ministro Catricalà interviene sui tagli all’emittenza locale

  antonio catricala

(la REA rilancia gli emendamenti per la riforma)

                                                            

La notizia è stata battuta dall’ANSA di oggi, 08 novembre 2013, alle ore 14.50, la quale riferisce l’intervento del Vice Ministro Catricalà su Saccomanni e Zanonato con una lettera allarme per il taglio dei fondi all’emittenza radio-tv locale contenuto nella legge di stabilità e in quella di bilancio che rispetto al 2013 è di circa la metà. Intanto una cordata tasversale di senatori (Pd, PDL, M5Stelle) hanno depositato i sei emendamenti della REA che, lo ricordiamo, mirano a salvare 350 imprese e 2800 posti di lavoro. Nella lettera inviata ai senatori, il Presidente, Antonio Diomede, ha fatto presente che gli emendamenti studiati dalla REA sono “concepiti per allegerire la spesa dello Stato e per battezzare l’inizio di una sana e credibile azione riformatrice del settore in direzione della perduta libertà d’impresa ai fini dello sviluppo tecnologico nella continuità produttiva delle aziende e dei relativi livelli occupazionali”. Ciò è possibile con il riconoscimento di “servizio pubblico” svolto dall’emittenza locale in favore dell’utenza e delle istituzioni territoriali attraverso un “contratto di servizio” a latere di quello RAI  che preveda l’aggancio al canone in attuazione della Legge 422/93. Con tale riforma, ha affermato Diomede, “lo Stato risparmia più di 100 milioni l’anno e  assicura definitivamente il sostegno all’emittenza locale senza essere costretti, ogni anno, a chiedere al Governo di turno “l’elemosina  con il cappello in mano”  per difendere il sacrosanto diritto costituzionale relativo al pluralismo d’informazione”.  

Domenica 10, ore 11, Potenza: Incontro con Innovatore Europeo Mario Polese, candidato al consiglio regionale di Basilicata

Innovatori-Europei-poleseDomenica mattina, 10 novembre, incontriamo a Potenza Mario Polese, innovatore europeo e candidato al consiglio regionale di Basilicata del 17 novembre. Parliamo di Basilicata, provando a declinare percorsi di sviluppo innovativi. Vi aspettiamo a Via del Gallitello 163.
Ecco il link della pagina evento a cui parteciperanno molti innovatori lucani.
Parleremo di innovazione tecnologia, di sviluppo sostenibile, di cultura e media, di una nuova visione euro mediterranea, per una Regione de facto baricentro del mezzogiorno.
Vi aspettiamo domenica, a Potenza.

Romano Prodi pone il tema della revisione del Fiscal Compact. Adesso, chi lo segue?

Romano-Prodi-300x177In una intervista di oggi al Quotidiano Nazionale, il presidente Prodi pone la questione della necessità della revisione del Fiscal Compact e della fine della politica di austerità.
Noi poniamo il tema della irrazionalità del Fiscal Compact – insieme a pochi altri gruppi associativi – fin dal suo voto “silenziato” alle Camere.
Ora è interessante verificare chi – a cominciare da PD e PDL – rilancerà questa “proposta” nel momento in cui la crisi dei mercati è al momento allentato e questa austerità non ha proprio più senso, quando ormai ha portato l’Europa alla deflazione.
Speriamo in tanti.

Il Pescatore digitale

gatesdi Michele Mezza

Il vecchio Bill proprio non riesce a mandarla giù.
A metà degli anni ’90 la sua Microsoft, che mentre vendeva sistemi operativi in tutto il mondo non mostrava di soffrire per la diarrea dei bambini africani, imperava sul 92% dei computer di tutto il pianeta.

Oggi, dopo l’esplosione della rete e soprattutto dopo essere maturata in rete una percezione anti monopolista, a Windows si affacciano meno del 60%. Non solo ma  per tutti i nuovi sistemi che si sono imposti nel frattempo, dagli smatphone ei tablet, Microsfot è uno dei tanti.

Non voglio cinicamente cancellare le motivazioni etiche che portano Gates a  mettere in evidenza l’emergenza povertà nel mondo. Voglio solo capire le ragioni di perchè per farlo ritiene essenziale contrapporre la lotta contro la mortalità infantile alla connettività on line.

le sue dichiarazioni mi sembrano del tutto gratuite, pretestuose e anche sospette.E le adesioni che riceve da digitali pentiti mi suonano ancora più frustranti.

Intanto sarebbe interessante capire come mai nei due mila anni precedenti, quando la rete non c’era, perchè non si è fatto nulla, o pochissimo, anzi si è fatto peggio con lo sfruttamento colonialista di due terzi del mondo, da parte della componente ricca dell’umanità? cosa ha impedito di intervenire? oggi, che le rete permette di trasformare in evidenza e senso comune l’emergenza povertà, facendo toccare con mano, ora per ora, fotogramnmo per fotogrammo, il consumarsi della tragedia si trova utile  usare quell’emergenza per frenare la diffusione della rete , ma sopratutto per deviare il tema dal cuore della questione: come lottare in rete per impedire che chi ha costruito potentati-Microsoft, Google, Facebook, Twitter – possano continuare a dominare la scena?

Siamo sempre alla vecchia metafora dell’affamato e il pescatore:regalrgli un pesce o insegnargli a pescare ? gates ritiene utile distribuire scatolette di tonno, io penso che la rete permetta a molti di imparare a pescare.Come già ha fatto, permettendo ad intere regione del mondo, dalla Cina all’India al Ghana al Brasile, di diventare protagonisti dell’economia mondiale e non assistiti della carità occidentale come erano prima della rete.

E’ evidente che quando si parla di rete non si intende l’accesso puro e semplice ad un meccanismo, ma, almeno per me è così, si intende una pratica sociale che vede  uomini e donne collegarsi, connettersi, relazionarsi fra di loro per acquisire saperi e competenze e diventare competitivi. Questa è la rete che paventa Gates.

Il suo richiamo  a più vaccini e meno terminali, suona davvero singolare. Sarebbe stato come se Dickens nella Londra del 19° secolo avere chiesto meno vapore e meno luce a gas per bonificare le fogne che spargevano il tifo. La città è stata bonificata quando con il maturarsi di nuovi rapporti sociali , grazie all’innovazione scientifica, classi e ceti sociali hanno lottato per imporre una civilizzazione delle condizioni di vita. Nessun mecenate ha risolto i problemi dei poveri, solo i pèoveri che diventano coscienti, insegnano all’università della vita, si emancipano.

E la rete ne è uno dei sistemi abilitanti  proprio perchè è la conseguenza e non la causa di un processo sociale che vede intere popolazioni disintermediare i poteri tradizionali, come Al Cairo o a Tunisi, o a Madrid o perfino a New York ben hanno imparato.

Così come appare triste la battutaccia dell’ex golden boy del software che dice , polemizzando con Thomas Freedman, che sosteneva come il mondo con l’innovazione stia appiattendosi, osservando come in India a Bangalore  la città avesse la stessa connettività di new York, che solo spostandosi di tre miglia fuori da Bangalore si vedono i bambini morire di inedia.

Quei bambini muoiono da secoli e nessuno alza un sopracciglia, solo grazie a fatto che da Bangalore si diffonde la capacità della rete di raccogliere il loro dolore ora sono un caso mondiale. Bisogna intervenire con urgenza ma sempre per insegnarli a pescare e non per farli mangiare occasionalmente alla mensa di Microsoft.

Alitalia apra l’Italia al futuro. Con Aeroflot, Air China o Emirates. Adesso

ALITALIA-AEROFLOTdi Massimo Preziuso su L’Unità
Nei prossimi giorni la vicenda Alitalia dovrebbe vivere il suo momentum finale.
Dalle notizie pubbliche si apprende che sono in corso trattative con la compagnia russa Aeroflot, mentre Air France gioca una partita tutt’altro che amichevole per comprare la compagnia italiana a valori da bancarotta.
In tutto questo, una cosa a me risulta evidente sempre di più (e lo risultava già nel 2008).
Nonostante anni di errori strategici e di gestione manageriale, oggi Alitalia rappresenta ancora, suo malgrado, il maggiore sexy asset per il posizionamento italiano nello scacchiere economico e geopolitico internazionale.
Ebbene non bisogna essere esperti di settore per capire che le sinergie operative maggiori Alitalia oggi le avrebbe con una realtà come Aeroflot, o in alternativa con Air China o Emirates.
La sinergia in questo caso è prima di tutto da un punto di vista di copertura delle rotte mondiali aeree.
In un matrimonio russo (o cinese o arabo) Alitalia infatti si troverebbe a gestire l’area europea, e a sviluppare quella africana e americana, mentre il partner si dedicherebbe all’Asia e all’Oceania.
In quel modo si arriverebbe a costruire un operatore mondiale del trasporto aereo, naturale e principale ambasciatore di sviluppo economico e di relazioni internazionali.
Un soggetto attorno a cui costruire programmi di attrattività Paese come Destinazione Italia, e nel contempo esportare il Made in Italy nel mondo intero.
Un attrattore naturale di investimenti verso un Paese che tornerebbe al centro della geografia delle relazioni economiche mondiali dei prossimi anni.
Esportando contemporaneamente talento italiano – persone, prodotti e servizi – nel mondo.
In un matrimonio con Air France invece si riuscirebbe al più a rafforzare la operatività sul continente europeo e mediterraneo, tralasciando naturalmente ed erroneamente l’importanza cruciale del continente asiatico e di quello americano (in particolare Sud America e Canada) per i prossimi decenni.
Il momento è adesso, per rilanciare il Paese nello scenario competitivo globale.
E proprio di questo parleremo nel nostro convegno del 30 novembre prossimo dal titolo “Progetti per un’altra Italia“. Vi aspettiamo.

Discriminazioni di genere

Superata l’idea di gestione sanitaria l’emergenza si fa culturale.

Di Giuseppina Bonaviri

Ripartire dal processo preventivo, capitolo fino ad oggi troppo sottovalutato rispetto alla questione discriminatoria di genere, dando slancio adeguato al percorso formativo di educazione sentimentale della famiglia e nelle scuole, diventa fondamentale per un intervento primigenio contro la lotta alla discriminazione. Per sostenere questo nuovo modello culturale e sociale di donna si deve oltrepassare il concetto di medicalizzazione, di intervento e di trattamento sanitario delle donne vittime. Occorre  aprire una nuova frontiera che vede nella formazione della coscienza sociale (e, dunque, non solo a colpi di legge o di linee guida per gli operatori del sistema socio-sanitario e per i gestori dell’ordine pubblico) una dimensione innovativa che va assai oltre i paradigmi attuali.

Studi internazionali di settore ci insegnano che l’atto di offesa nei riguardi di una donna, dal più banale al più lesivo, risponde a un livello qualitativamente diverso che lo scontro tra due persone, attenendo a profonde motivazioni culturali e a vecchi schemi di rapporto tra i sessi  all’interno di quei modelli che la nostra società non può più permettersi di riconoscere come idonei. La violenza sulle donne non deve intendersi solo come il frutto di un’aggressione individuale. Esiste una dimensione sociale della violenza che per superficialità non si è ritenuto di considerare neanche all’interno della legge, da poco varata, sul femminicidio.

La violenza non è altro che l’aspetto più drammatico di una violazione dei diritti umani e di una riduzione delle opportunità di vita delle donne. La violenza nega i più fondamentali diritti: la vita, la libertà, l’integrità corporea, in una parola la dignità della persona offesa. Come ci dimostrano molti dati scientifici le azioni punitive contro la violenza non contrastano e non prevengono il reiterarsi di atti di violenza o di discriminazione così come la presa in carico sanitaria della donna maltratta, che è stata certamente un passaggio importante in un passato recente, continua a rimanere  un intervento a garanzia parziale. Puntare esclusivamente sulla pena significa, inoltre, non precedere la violenza dando origine ad una distorsione culturale che farà lievitare l’idea che uomini e donne siano nemici o, per meglio precisare, dove la donna continuerà ad essere vissuta come l’ anello debole della catena tanto che per sentirsi sicura dovrà necessariamente essere allontanata dal maschio violento, violento in quanto forte.

Bisogna, allora, partire da molto prima.  Non basta agire sugli “esiti” ritenendo di avere attivato il cambiamento ma andare a monte della distruzione e della negazione dell’altro. Una prima azione riguarderà non “la cura, l’assistenza e la riabilitazione” delle donne e dei maltrattanti ma il tipo di educazione e di riferimento storico con indirizzi di programma per scuole e famiglie, sensibilizzando insieme educatori,  genitori, insegnanti.

Che dire, ad esempio, se il Codice Polite, di antisessismo entrasse in tutti i libri di testo scolastici? O se, come promosso dal dibattito parlamentare recentemente avvenuto sulla convenzione di Istanbul per una politica innovativa ed efficace si patrocinassero azioni economiche reali  per favorire il lavoro retribuito alle donne maltrattate tale che esse possano ricostruire una loro vera indipendenza e recuperare diritti negati e dignità lesa? Se a tutto ciò, poi,  si aggiungesse un atto di indirizzo nazionale strutturale sugli attori territoriali occupati in questo ambito (obiettivo sperimentato con efficacia in altri paesi come ad esempio nel Regno Unito) per la unificazione di una rete territoriale efficace ed efficiente, che diventi il contrasto sociale al fenomeno, si riempirebbe un vuoto istituzionale. Le tutele da sole, non essendo risolutive, se non precedute da seri processi educativi rischiano di attivare meccanismi generalizzati di paura, diffidenza o allarme sociale non trasformandosi in modelli di riconoscimento per una sana identità di genere.

Questo è l’obiettivo che La Rete la Fenice e Colletivocinque, con i tanti partner aderenti, hanno condiviso nell’organizzare la manifestazione provinciale  itinerante “L’arte contro il femminicido” che, partita il 22 settembre da Frosinone, sta arrivando in molti comuni ciociari e oltre.

News da Twitter

News da Facebook