Saluto di Fabrizio Capobianco a Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre, 2013
Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre, Roma, Sala delle Conferenze, Partito Democratico
Collaborazione Europa-Russia per energia e innovazione
La Russia protagonista e la partita dell’energia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 26 novembre 2013
E’ un Putin in piena forma quello che è arrivato in Italia. Non solo perché i rapporti fra Italia e Russia non sono mai stati intensi come oggi ma soprattutto perché il leader russo ha conquistato in poche settimane il ruolo internazionale che il suo paese aveva perduto dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
Già da tempo era infatti tramontato il controllo sugli ex stati satelliti dell’Europa orientale, la maggiore parte dei quali ha trovato le porte aperte da parte dell’Unione Europea in quella che è stata l’ultima grande operazione di politica estera dell’Unione stessa.
Contemporaneamente era entrata in crisi la politica estera russa a livello globale, con una progressiva perdita di presenza anche nelle aree verso le quali l’influenza era stata maggiore fin dai tempi della guerra fredda, e cioè l’Africa e il Medio Oriente. La Russia sembrava essere fatalmente relegata al livello di potenza regionale di secondo grado.
Col colpo di fulmine della proposta di mediazione del caso siriano Putin si è improvvisamente reinserito nel grande gioco internazionale e lo ha fatto evitando gli aspetti conflittuali che avevano caratterizzato molte delle sue decisioni precedenti. E’ infatti rientrato attivamente al vertice della politica mondiale offrendo nello stesso tempo una via di uscita alla diplomazia americana che, da un lato, aveva posto un ultimatum a Bashar al-Assad riguardo all’uso delle armi chimiche ma, dall’altro, era riluttante ad aprire una nuova guerra, essendo gli Stati Uniti forti militarmente ma molto provati dai ripetuti conflitti nei quali l’America si era trovata coinvolta dalla guerra in Iraq in poi.
Una politica di ricostruzione del ruolo russo, ma senza aggiungere ulteriori tensioni rispetto a quelle, non certo secondarie, che esistevano con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Una fase di collaborazione attiva che si è ripetuta nella ricerca di un accordo sull’infinito problema iraniano che, dopo decenni di attesa, ha trovato finalmente l’inizio di una soluzione non attraverso le sanzioni ma sul tavolo delle trattative.
Reso fiducioso da questi successi Putin ha iniziato un braccio di ferro con l’Unione Europea sul problema ucraino, forzando il governo di quel paese a non firmare gli accordi che dovrebbero essere sottoscritti nei prossimi giorni a Vilnius, accordi che Putin ritiene essere in contrasto con un’unione doganale che egli sta costruendo attorno alla Russia.
Su questa decisione mi sento di dissentire non solo perché, anche se alcune clausole sono da adattare profondamente, non ritengo affatto che le proposte europee e quelle russe nei confronti dell’Ucraina siano tra di loro incompatibili nel lungo periodo. Sono invece profondamente convinto che sia interesse di tutti (e soprattutto del popolo ucraino) che questo glorioso paese non sia oggetto di conflitto ma sia un ponte su cui fare correre i futuri rapporti tra Russia e Unione Europea, tanto sono profondi i legami dell’Ucraina sia con la nuova Europa che con la madre Russia.
Certo per arrivare a mettere in pratica quest’elementare verità bisogna che Russia ed Unione Europea si convincano della loro crescente complementarietà.
Si tratta di una complementarità che emerge forte ed evidente da una semplice analisi della realtà. Non vi è certo bisogno di sottolineare quanto noi dipendiamo dalla Russia per le fonti di energia ma credo che in modo altrettanto profondo (o forse ancora più profondo) la Russia dipenda dall’Europa.
I progressi economici del nostro immenso vicino sono infatti indubbi ma la dipendenza dall’energia è ancora troppo elevata per un paese che ha grandi ambizioni di trasformazioni interne e vuole giocare stabilmente un ruolo di attore internazionale. La modernizzazione delle sue imprese, in modo da utilizzare economicamente il grande patrimonio scientifico del Paese, si può ottenere soltanto con un rapporto di collaborazione con i paesi europei, così come questo rapporto è indispensabile per portare a termine la necessaria apertura del sistema finanziario.
Un grande paese come la Russia non può vedere condizionato il proprio futuro dai prezzi del petrolio e del gas che ora salgono e ora scendono e che potrebbero in futuro scendere anche per effetto del possibile rientro in gioco della produzione iraniana.
A questo si aggiunge il problema demografico che vede una prospettiva di forte diminuzione della popolazione russa, di fronte alla quale la modernizzazione del sistema produttivo diventa una necessità imprescindibile.
Ho già troppe volte ripetuto che Europa e Russia stanno insieme come la Vodka e il Caviale e che le tensioni come quelle create in questi giorni sull’Ucraina non giovano a nessuno, soprattutto se pesano sulle spalle di un popolo che ha già tanto sofferto in passato e che, non solo per le proprie tensioni interne ma anche a causa della partita internazionale che si gioca sulla sua testa, di sofferenze ne dovrà affrontare tante anche in futuro.
Proprio perché si sono aperte tante speranze e proprio perché vi sono ancora tanti problemi sul tavolo, l’incontro di oggi a Trieste tra Letta e Putin è molto importante, anche se probabilmente, dopo la colazione, la grappa prenderà il posto della Vodka.
Dall’Accordo di programma parte la sfida a tutta la nostra comunità
di Giuseppina Bonaviri
Il dibattito alla Luiss di Roma sull’economia del Lazio, di un paio di giorni fa, ha messo nella giusta luce le prospettive della nostra regione e delle realtà provinciali ridimensionando i contenuti ottimistici di un dossier pubblicato in precedenza. Gli effetti della crisi e le limitatissime possibilità di attingere alla finanza pubblica rendono estremamente critica la condizione della popolazione, in particolare nelle province. Da questa constatazione deve essere sollecitata la migliore riuscita di qualunque iniziativa imprenditoriale come di tutte quelle che riguardano percorsi di solidarietà sociale.
E’ questa la ragione per la quale bisogna, ora, guardare con estrema attenzione ed auspicare il più sollecito percorso all’Accordo di programma stipulato, diciotto mesi fa, a livello provinciale.
Ne ho parlato con il Commissario Straordinario della Provincia Giuseppe Patrizi che, seppur in modo più misurato rispetto a quanto divulgato nel dossier, ha confermato le prospettive che si aprono per il nostro territorio purché vengano fino in fondo colte le opportunità offerte dall’Accordo.
Emerge con chiarezza che l’Accordo di programma Frosinone- Anagni- Fiuggi, che utilizza gli strumenti riservati alle aree di crisi complessa per rilanciare la reindustrializzazione di molti comuni locali – siglato 2 agosto 2013-, sta procedendo finalmente come un progetto pilota dopo trent’anni di controverso sviluppo territoriale.
L’accordo di programma riguarda 31 comuni dell’area nord dove si trovano mille addetti d’imprese a rischio chiusura.
Il lusinghiero risultato raggiunto (il nostro territorio è uno dei tre soli vincitori di una selezione fra 148 domande presentate, dalle diverse amministrazioni locali ed imprese, al Governo) premia anche il metodo usato nella costruzione dell’Accordo. Esso è scaturito dopo un lungo lavoro di consultazione e coinvolgimento, guidato dalla Provincia, con le associazioni sindacali ed imprenditori tra cui non sono mancati confronti con i lavoratori della realtà da lungo tempo in crisi come dell’ex VDC.
Al termine di questo percorso ci sono state 160 manifestazioni di interesse- il 90% da parte delle aziende che producono già dalle nostre parti- e su queste manifestazioni è impegnata, al momento, una Commissione tecnico-operativa già riunitasi in cinque occasioni presieduta dalla Provincia, dal Comitato di sviluppo, da un rappresentante del Ministero dello Sviluppo Economico e da Invitalia ed in procinto di emettere l’avviso pubblico per l’inizio del nuovo anno. Un ulteriore motivo di speranza è dato dalla partecipazione di società multinazionali che si sono dichiarate interessate allo sviluppo di diversi settori produttivi ciociari.
Il progetto ha una dotazione finanziaria di 100 milioni di euro, per due terzi finanziati dalla Regione Lazio, in gran parte già stanziati e in parte in programma nel 2014. La strada tracciata è buona anche perché parallela al piano “destinazione Italia” del Governo Letta.
Non tutto è compiuto: vi sono due questioni a cui dobbiamo però dare risposta.
Una prima riguarda cosa si prevedere per l’area sud della provincia, quella in cui insiste la Fiat e non solo.
La seconda questione, che coinvolge sia l’area nord che l’area sud, è la necessità di esplicitare il modello specialistico a cui si rifà il nostro territorio. In altri termini occorre ragionare su come favorire la realizzazione di filiere fra case madri e fornitori e da qui come creare quelle reti di imprese da estendere anche oltre. Per l’Italia questo appare, attualmente, il modello vincente in quanto capace di coinvolgere anche le più piccole imprese altrimenti a rischio. Non tutti i settori sono nella possibilità di creare filiere e reti che, tra l’altro, dipendono anche da quanto già c’è sul nostro territorio.
Ci pare che, a questo punto, la stampa locale potrà avere un ruolo importante potendo rappresentare il contenitore di qualificati pareri sull’attuale processo di sviluppo e per capacità di impresa ad accettare la sfida del mercato che va oltre i confini nazionali. Le forze sindacali lo stanno chiedendo da tempo dimostrandosi seriamente interessate allo sviluppo complessivo e non solo a quello di più ristretto interesse localistico.
Frosinone cantiere della ripartenza dell’Italia?
Ce lo auguriamo ed auspichiamo, per tutti noi, una seria innovazione che partendo dalle tecnologie verdi a basso impatto ambientale guardi alla città intelligente dove si concentreranno maggiormente le attività umane quelle che rimango al centro dell’interesse del nostro movimento indipendente.
Speranza: “Dopo l’8 basta divisioni. Senza di noi rischia il Paese”
Intervista a Roberto Speranza di Maria Zegarelli – L’Unità
«Spero proprio che chiunque vinca il congresso si ponga l`obiettivo di tenere insieme il Pd, di unire e non spaccare». Roberto Speranza, classe `79, capogruppo del Pd alla Camera, cerca di stemperare il clima, ammette che sì, la riunione dell`altra sera, quella dove è andato Enrico Letta a chiedere di non votare la mozione M5S perché sarebbe stata una sfiducia al governo e non soltanto alla ministra Annamaria Cancellieri, èstata animata ma «alla fine il gruppo ha votato compatto».
Giorni sciupati. Irresponsabilmente
di Umberto Ranieri su L’Unità, 21 novembre 2013
Il dibattito congressuale (come si diceva un tempo) dovrebbe consentire di capirne di più sul perché a febbraio gli elettori non hanno dato a Bersani la maggioranza per governare il Paese. Ricavo tuttavia dalle considerazioni di Letta e Bersani svolte alla presentazione di “Giorni bugiardi” che vi sia una sorta di inconsapevolezza della sconfitta. Colpisce si possa sostenere che la disperata ricerca da parte di Bersani di un aggancio con il M5S sia stata una operazione politica tesa a smascherare i grillini e a preparare il governo delle larghe intese. Operazione resa necessaria dal fatto, si sostiene, che “il popolo del Pd” doveva prima prendere atto che con il M5S non c’era alcuna possibilità di intesa, per poi bere il calice amaro dell’accordo con il Pdl. Ne discende da questa fantasiosa ricostruzione degli avvenimenti che Bersani si è immolato alla causa del governo con Berlusconi! Se questo è l’esito della riflessione dei principali dirigenti del Pd sulle recenti difficili vicende politiche del Paese siamo veramente nei pasticci. Le cose sono andate ben diversamente.
Nelle settimane successive al voto gli stessi responsabili della sconfitta hanno cacciato il Pd nel vicolo cieco della avventurosa ricerca di un accordo con il M5S nella speranza che, alla fine, almeno una pattuglia di grillini avrebbe dato il via libera al governo Bersani. Sconcertante che nessuno si sia opposto ad una simile follia. Anzi: l’incoraggiamento a Bersani a procedere in questa direzione è stato quasi unanime. Una linea di condotta dissennata. Il Pd è giunto al voto per il Quirinale estenuato politicamente e frastornato, dopo 55 “giorni irresponsabilmente sciupati”. La sfiducia nel gruppo dirigente era ormai tale che tanti hanno temuto che il voto sul presidente fosse l’anticamera di un cedimento a Berlusconi. Qui è crollato Marini. Il passaggio su Prodi è stato improvvisato da un gruppo dirigente preda della disperazione. Con Marini si è tentato l’accordo con la destra, con Prodi in meno di 12 ore ci si è spostati su una linea del tutto opposta. Prodi è stato mandato all’avventura. Il ricorso a Napolitano è diventato inevitabile. Inevitabile è diventato anche l’accordo di governo tra Pd e Pdl. Sarebbe stato possibile evitarlo se ci fosse stata la presa d’atto da parte di Bersani che, non avendo convinto come candidato premier gli elettori, non era riproponibile per quell’incarico . Questo avrebbe comportato il passaggio nelle mani del presidente della Repubblica della soluzione della crisi. Sarebbero state maggiori probabilmente, in quel caso, le possibilità di giungere ad un governo dal forte profilo istituzionale, in grado di adottare alcune misure urgenti nel campo economico, di lavorare per una nuova legge elettorale in modo tale da ridare la parola ai cittadini. Si è scelto un’altra strada per responsabilità degli stessi che avevano condotto alla batosta di febbraio.
Un’ultima considerazione. L’affermazione di Renzi nel voto dei circoli è indiscutibile. Forse è il caso che D’Alema riduca le invettive e rifletta sulle ragioni del successo del sindaco di Firenze. Le ritroverà negli errori politici, nello stile di direzione, e nei comportamenti del gruppo dirigente del Pd di questi ultimi anni. Renzi ha raccolto una domanda di cambiamento diffusa nel partito e negli elettori. Non riesco tuttavia a capacitarmi come si schierino con Renzi tanti che non tre anni fa ma tre mesi fa la loro fedeltà non l’avevano fatta mancare a Bersani né alle primarie né successivamente. Una fedeltà che si accompagnava a vere e proprie rampogne verso Renzi. E’ impressionante come tra i protagonisti di questa disinvolta operazione non si manifesti alcuna riflessione critica sulle scelte che hanno condotto il Pd alla sconfitta. Non vorrei che il sostegno a Renzi da parte di alcuni non sia altro che il tentativo di puntare sul cavallo dato vincente per restare a galla. Mi auguro che Renzi sia consapevole dei rischi di questa situazione. La sua forza è consistita nella chiarezza di un indirizzo politico alternativo e nella volontà di non identificarsi né con la nomenclatura correntizia né con una classe dirigente usurata da una troppo lunga permanenza al potere. Egli ha assunto l’impegno di ricostruire il futuro intorno ad un progetto di partito aperto, oltre la forma tradizionale. Un partito di individui e non di truppe cammellate. Un partito cui si aderisca consapevolmente e pagando di tasca propria la quota tessera non come accade oggi in tante parti del mezzogiorno dove, in una misura insopportabile, la iscrizione al partito è pagata dai notabili e dai capi corrente che utilizzano iscritti ridotti ad anime morte per le loro avventure di potere. Insomma, Renzi deve rivolgersi agli iscritti liberi da condizionamenti di gruppi di potere e agli elettori del Pd. Questa è la strada maestra da seguire.
Umberto Ranieri
Projects for another Italy in Europe – 30 november, Rome
Ebbene sì, il PD ha tenuto ma la scelta sul Ministro Cancellieri non mi ha convinto
di Marco Frediani
Ebbene no, la scelta sul Ministro Cancellieri personalmente non mi ha convinto. Perché è vero che occorre sempre avere un forte senso di responsabilità nelle scelte. Ma esistono molti piani che si vanno a sovrapporre in questa vicenda.
1) Il piano giuridico: di competenza della magistratura, seguirà il proprio percorso.
2) Il piano politico: che coinvolge la credibilità della politica e la progressiva scomparsa della fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini.
E’ il secondo punto quello che mi interessa perché è questo che coinvolge tutti, a partire dai partiti. Se da una parte è vero che il Ministro non risulta aver commesso alcun atto contro la legge, dall’altra il danno di immagine istituzionale, soprattutto per il senso di totale fiducia nella persona che un ruolo di così alta responsabilità richiede, appare inevitabilmente intaccato.
Se da una parte si ricerca un rigore ferreo, spesso eccessivo, per quanto riguarda conti e i bilanci dello Stato, non si capisce perché si cerchi di far passare in secondo piano la necessità di un rigore analogo anche quando si affrontano questioni più di tipo valoriale. Con questa scelta il rischio è quello di mortificare il senso stesso delle Istituzioni.
Quelle stesse istituzioni che sono (o dovrebbero essere) il punto più alto di sintesi democratica del nostro Paese.
Con quella telefonata è stato intaccato il ruolo di imparzialità e equidistanza che un Ministro rappresenta di fronte ai cittadini. E’ stato intaccato quel ruolo di buon esempio che le istituzioni e i loro rappresentanti per primi devono riuscire a dare per poterlo poi pretendere dai cittadini.
Il Primo Ministro, Enrico Letta, ha deciso di motivare la richiesta come un atto di responsabilità, ponendo la questioni in termini di tenuta del Governo. Un qualcosa di difficile da comprendere se posto di fronte al rigore espresso a suo tempo nei confronti di un altro Ministro, Josefa Idem. Rigore che a qualcuno parve quasi eccessivo ma che esprimeva la necessità della riscoperta di un credibilità della politica.
Il PD anche questa volta ha tenuto. Ed è qualcosa di positivo. Ha sostenuto compatto la richiesta avanzata dal proprio premier. D’altronde, come mettere in dubbio la parola del proprio Presidente del Consiglio? E’ stato così chiesto un ulteriore atto di responsabilità. L’ennesimo di una lunga serie che rischia di allontanare sempre di più la politica dai cittadini.
E se in politica la forma è anche sostanza, resta l’amarezza per aver perso un’occasione importante per dimostrare che qualcosa stia veramente cambiando, per ricominciare a dare un briciolo di fiducia alle persone. Un danno di immagine che si tramuta in un’occasione persa per affermare in modo forte che le Istituzioni e il loro rispetto contano più delle persone che le rappresentano.
L’incontro di Potenza con Mario Polese, innovatore europeo e candidato consigliere regionale di Basilicata
Ieri mattina, 10 novembre, in una frizzante domenica potentina, abbiamo incontrato Mario Polese, Innovatore Europeo e candidato al consiglio regionale di Basilicata (elezioni del 17-18 novembre). Alla presenza di numerosi giovani e donne, ed esponenti della società civile di Basilicata, abbiamo provato a declinare insieme percorsi di sviluppo innovativi.
Dopo il caloroso saluto agli Innovatori Europei del candidato governatore Marcello Pittella, uno scambio di punti di vista sulla Regione tra Massimo Preziuso e Mario Polese ha dato il via ad una serie di interessanti contributi dei presenti.
A concludere, un aperitivo con concerto di jazz in terrazza.
Con Mario Polese (qui il suo programma elettorale) gli Innovatori Europei auspicano di entrare nel consiglio regionale di Basilicata!