L’Italia paese dei balocchi
di Giuseppina Bonaviri
Ogni Natale ci ricorda la Nascita, la nascita per eccellenza. Natalis “relativo alla nascita” dal verbo “nasci” ovvero “nascere”.
Eppure, anche oggi, vicini al Natale dobbiamo ricordare con lucidità che della nostra Italia non rimane che un paese di balocchi, con i suoi tanti burattinai che non si fermano mai impegnati come sono ad intesserne fili di morte. Della nostra Nazione che invecchia, un tempo capofila di storia e arte, oggi rimane il ricordo. Un paese diventato parcheggio di classi dirigenti incapaci di decidere -forse perché troppo impegnate a “mangiare i panettoni”?- ma certamente attente a sottoscrivere leggi-inganno con l’aiuto di figuri lucidati a nuovo che fingono di essere il cambiamento, “una lunga corte di possidenti di pezzi di partiti o di mezzadri vissuti sempre a comando di cui le apparenze sopravanzano sulla realtà”.
Non può non alzarsi una voce critica, non si può continuare ad assistere in silenzio mentre più di 4 italiani su 10, sotto albero di Natale, sognano un cesto di prodotti alimentari che non avranno. Il fiscal compact impone all’Italia, già in recessione, il taglio alla spesa pubblica di 50 miliardi l’anno con un crollo dei consumi natalizi calati dal 2009 del 42,7%. Nel 2013 la spesa degli italiani nell’intero periodo natalizio non supererà la quota 10,3 miliardi di euro.
Il 12 per cento delle famiglie rispetto allo scorso anno taglierà per le festività sui generi alimentari, il 43 per cento sull’abbigliamento, il 47 per cento sui divertimenti e il 52 per cento sulle vacanze. Ci sarà solo un 37 per cento che si comporterà come nel passato (Coldiretti/Ixè, dicembre 2013) così come nel Mezzogiorno d’Italia sono 500 mila i bambini che vivono sotto il livello minimo di povertà vessati dalla crisi economica drammatica.
Anziani, stranieri, persone senza dimora, precari, disabili, pensionati, famiglie in difficoltà, malati senza potere contrattuale e sempre meno assistiti non potranno consentirsi la festa natalizia. Oggi, a questa larga schiera, si aggiungono i precari della scuola che non vedranno monetizzate le ferie non usufruite
Dopo anni di crisi, disoccupazione, malcostume, vecchie e nuove povertà la sofferenza di tanti è in crescita. Non sappiamo quanti dei nostri amministratori locali, consapevoli del degrado causato, hanno pensato -all’interno di una reale rete di solidarietà- ad organizzare un pasto caldo di Natale per i più bisognosi o, magari, hanno messo a disposizione dei più soli o di qualche scolaresca di periferia una navetta-bus gratuita per un tour della città vestita a festa, per una visita guidata presso un Museo.
Per Natale il Papa dona ai poveri di Roma carte telefoniche e biglietti per la metropolitana provando a regale un attimo di “quella gioia di vivere che frequentemente si spegne” mentre, la nostra casta governante, vile con i potenti è sempre più inesorabile con i deboli continua a colpire chi sta in basso e paga dignitosamente le tasse. E questa casta, cara, non può che continuare a pensare alla propria autoriproduzione: 23,2 miliardi di spese annuali spendono gli italiani per far si che sopravviva.
Palazzo Chigi costa 15 volte la Casa Bianca. Superata la stagione della sobrietà tecnica ha ripreso a spendere 458,6 milioni di euro nel 2013, più dello 11,6% rispetto al 2012 ( partecipate, incarichi ammontano a 2,2 miliardi di euro; le spese per i dirigenti e i nominati nelle Aziende Sanitarie e Ospedaliere oltre 390 milioni di euro. A questi va aggiunto il costo dei Consigli di Amministrazione e degli Ater/Aler che è di circa 45 milioni di euro. I costi, poi, per il personale contrattualizzato di nomina politica, secondo stime recentissime, si aggirano intorno a 2,8 miliardi di euro l’anno) e per concludere, è evaporata dietro la scia di false promesse e riforme mai avvenute, una evasione fiscale di 202 miliardi di euro, tasse non pagate nell’anno che sta per finire.
Eppure tra i tanti mediocri ed allucinati politici che continuano ad allungare le mani ubriachi come sono di potere, burocrazie asmatiche, casse vuote, ragazzi senza lavoro, ospedali in chiusura sta arrivando anche quest’anno il Natale. Un Natale di austerity che ci riserva, consapevolmente, poche speranze nell’imminente ma ci fa credere che ripartire con un progetto di largo respiro, risanante il paese, nella riscoperta della gratuità del rapporto, di equità, solidare sia ancora possibile.
Rimane forte l’orgoglio di essere italiani.
Con l’auspicio di un futuro impegnato e migliore per tutti noi.
I ribelli dei forconi e i luoghi della vita
di Barbara Spinelli ( La Repubblica)
Fin qui abbiamo visto come in uno specchio, in maniera confusa, l’impoverirsi italiano: lo leggevamo nella scienza triste delle statistiche, delle percentuali. Ora lo vediamo faccia a faccia: è l’insurrezione formidabile, generalizzata, di chi patisce ricette economiche che piagano invece di risanare. Non è insurrezione pura, anzi il contrario. Non è collera di operai ma dei più svariati mestieri, perché tutti precipitano, anche il ceto medio che s’immaginava scampato e tanto più si sgomenta. In molte regioni il movimento è agguantato dalle mani predatrici della destra estrema, o berlusconiana, o leghista. Già sei anni fa, il Censis avvertì governi e politici: attenzione – disse – l’Italia è una “poltiglia” che ha smesso di sperare nel futuro, non potete far finta di niente. Prima ancora, fra il 2003 e il 2004, nacque la canzone che divenne emblema del sito di Grillo ed è oggi parola ricorrente del movimento 9 dicembre: “Non ce la faccio più!”. Qualche mese fa sui muri di Atene comparve una scritta, contro l’Unione europea, che echeggia il nuovo antieuropeismo italiano: “Non salvateci più!”. È detta rivolta dei forconi, perché volutamente rimanda alle jacquerie contadine del ’300. Neppure questa è una novità. La crisi frantuma la società, il vecchio scontro fra chi nella scala sociale stava sopra e chi sotto è soppiantato dall’atroce separazione tra chi sta dentro i castelli signorili e chi è fuori: escluso, non visto, non più rappresentato, ignaro della vecchia contrattazione perché il sindacato protegge i protetti, non chi è allo sbando. Hilary Mantel, scrittrice inglese, sostiene che gli inglesi son ricaduti nel Medio Evo: “La povertà è di nuovo equiparata a fallimento morale e debolezza, e l’assistenza pubblica anziché un diritto è un privilegio”. C’è di tutto, nel tumulto degli impoveriti: i piccoli commercianti che non rientrano dallo scoperto bancario, gli artigiani senza soldi per pagare le tasse e puniti dai tassi usurai praticati da Equitalia, i proletari giovanili del precariato, gli autotrasportatori, e il popolo delle partite Iva che usava evadere, che votava Lega, ed è ora sul lastrico. Non stupisce che nel movimento si attivino destre eversive come Forza Nuova o CasaPound. La Casa della Legalità a Genova sospetta infiltrazioni mafiose a Torino, Imperia, Ventimiglia, Savona. Alcuni inneggiano a governi militari, come in Grecia. Andrea Zunino, agricoltore, rappresenta solo se stesso ma si proclama leader e confessa, a Vera Schiavazzi su Repubblica, la sua ammirazione per la dittatura nazionalista e xenofoba del premier ungherese Orbàn. Si domanda, anche, come mai “5 o 6 tra i più ricchi del mondo siano ebrei”. Lo sguardo lungo della storia è utile, per ascoltare e capire la storia mentre si fa. Forse più dello sguardo degli economisti, disabituati a pensare l’uomo quando dice, nel sottosuolo, “non ne posso più”. Jacques Le Goff, non a caso specialista del Medio Evo, denunciò già nel ’97 la nefasta smemoratezza storica degli economisti: “Una lacuna tanto più disdicevole se si pensa che la maggior parte degli stessi economisti, che hanno acquisito nelle nostre società e presso i governi europei e mondiali un’autorità spesso eccessiva e a volte ingiustificata, non hanno una buona conoscenza della storia economica e, cosa ancor più grave, si preoccupano poco della dimensione storica”. Anche l’apparire di un personaggio come Pierre Poujade, negli anni ’50 in Francia, sorprese le élite dominanti quando si mise alla testa di una vastissima rivolta di piccoli commercianti e artigiani fino allora trascurati. Anche quel movimento, effimero ma per alcuni anni possente, covava sporadici pensieri fascistoidi, antisemiti (il bersaglio era il premier Mendès France, “non autenticamente francese”). Gli intellettuali lo stigmatizzarono, da Roland Barthes a Maurice Duverger. Più fine e terribilmente attuale il giudizio che diede lo storico-geografo André Siegfried: figli reietti della deflazione, i poujadisti “si dibattono nel chiasso, con i gesti disordinati della gente che annega”. Qui si ferma tuttavia il paragone. Poujade spuntò nell’era della ricostruzione e del Piano Marshall, a partire dal 1953. Lottava contro le trasformazioni di una crescita forte: le prime catene di supermercati che bandivano i negozi tradizionali, e le tasse innanzitutto, che dopo la Liberazione misero fine a tanti vantaggi – penuria, prezzi alti, mercato nero – accumulati in guerra dal piccolo commercio. Ben altro clima oggi: c’è deflazione, ma senza trasformazioni e senza vere rappresentanze locali. È una discesa di tutti, tranne per i ricchissimi. Forse per questo viene meno il mito della Piazza, caro a Poujade. La piazza romana divide i capi dell’odierno movimento, e i più temono infiltrazioni neofasciste. La parola che usano di più è “presidio”. Importante non è sfilare davanti al centro del potere ma presidiare i propri territori, i “pochi metri quadrati di pavimento” di cui parla Kafka, su cui a malapena stanno diritti. Ma, soprattutto, quel che manca oggi alla rivolta è un’egemonia culturale e politica che la interpreti e non la sfrutti elettoralmente. Il poujadismo fu all’inizio egemonizzato dai comunisti, che presto si ritrassero. Poi fu De Gaulle ad assorbirlo. La partitocrazia esecrata dai poujadisti fu lui a spegnerla, creando una repubblica presidenziale; e poté farlo perché nella Resistenza era stato uomo senza macchia, capace di incarnare il meglio e non il peggio della nazione, di redimerla e non di inchiodarla ai suoi vizi. Non così da noi: specie nell’ultimo trentennio. Sono tante le colpe di chi ha lasciato gli impoveriti senza rappresentanza e senza futuro. “Troppo volgare è stato l’esodo della sinistra, di tutte le sinistre, dai luoghi della vita”, scrive Marco Revelli sul Manifesto del 12 dicembre, e pare di riascoltare l’economista Federico Caffè quando deprecava il “mito della deflazione risanatrice” e l’indifferenza dei politici, degli economisti, degli stessi sindacati, a chi questo mito lo pagava immiserendosi. Gli adoratori del mito fanno capire che non c’è niente da fare: altra medicina non esiste. Mario Monti quand’era premier invitò addirittura a rassegnarsi: una generazione è perduta. La realtà è ancora più cupa, se pensiamo che in Italia i Neet (le persone che non lavorano né studiano-Not in Education, Employment or Training) sono il 27% fra i 15 e i 35 anni, non fra i 16 e i 25 come si calcola in altre democrazie: vuol dire che stiamo parlando ormai di due generazioni perdute, non di una sola. C’è da fare invece, se si aprono gli occhi su quel che accade nei luoghi della vita (sono questi i “presìdi”), e non si trasforma la rivolta in mero affare di ordine pubblico. Se la sinistra non lascia alle destre il monopolio su una disperazione in parte poujadista e regressiva, in parte assetata di giustizia e uguaglianza di diritti. Se si tira la gente verso l’alto e non il basso; verso l’Europa da cambiare e non verso la bugia dell’assoluta sovranità nazionale. È un insulto al movimento bollarlo come fascista, ma anche abbracciarlo con euforica, ipocrita, e finta acquiescenza. Senza linguaggio di verità, inutile sperare in un’egemonia culturale che aiuti a pensare chi insorge. È quel che tenta Paolo Ferrero, quando adotta il parlar-vero e dice al movimento: in fondo la vostra è una battaglia subalterna al liberismo che combattete; è dal liberismo che attingete i vostri slogan anti-statalisti, anti-tasse, anti-sindacato. Non ha torto: molto accomuna i nuovi movimenti italiani al moderno tea party americano, oltre che al poujadismo di ieri. Meglio schiodarsi da simili modelli, se non si vuol restar prigionieri di un nazionalismo che vuol liquidare il Welfare, e che non aiuterà chi soffre la povertà e la perdita dei diritti.
Per la prima volta
di Michele Mezza
Ammetto ho diffidato.
Benchè avessi votato Renzi fin dalle precedenti primarie.
Da buon comunista , figlio di quella cultura e tradizione, che mi hanno insegnato a leggere e scrivere, diffidavo istintivamente. Capivo che bisognasse cambiare scena, archiviare l’eredità del PCI, ma quel ragazzino saputello, a cui il 21 gennaio non dice niente, mi turbava.
Era troppo diverso da me, figuratevi dagli altri. Ebbene questa mattina faccio ammenda. Il ragazzino si è guadagnato tutti i più di due milioni e mezzo che ha ricevuto alle primarie. Altro che sorpresina. Ha spiazzato tutti. A cominciare da me.
Per la prima volta un segretario del principale partito del centro sinistra ha mostrato di leggere la società in cui vive, ed ha annunciato di volerla cambiare, senza complessi di colpa, senza freudiano complesso rivoluzionario, ma con la determinazione, e la libertà intellettuale, di voler costruire un mondo migliore.
Per la prima volta un segretario del centro sinistra ha attaccato realmente gli avversari, ignorando Berlusconi, disprezzando la destra, prendendo di petto il populismo furbo di Grillo. E lo ha fatto in nome di valori non di retorica: eguaglianza, accoglienza, sostenibilità, partecipazione emancipazione.
Per la prima volta un segretario del centro sinistra critica la Agcom e parla di rete sapendo di cosa stia parlando. Per la prima volta un segretario del centro sinistra rigetta l’ideologia del lavoro, e promuove la politica per le occupazioni e la dignità dell’affermazione di ognuno.
Per la prima volta un segretario del centro sinistra si chiede perchè in 40 anni la California dal vino, sole e mare èì diventata la Silicon Valley mentre la toscana è rimasta al chianti e brunello.
Per la prima volta un segretario del centro sinistra materialmente privilegia la cultura come area di sviluppo economico e la scuola come apparato per la modernizzazione del paese, senza piangere sui cervelli in fuga.
Per la prima volta un segretario del centro sinistra fa politica, mette sul piatto forza e potenza di un pensiero, chiede una riforma elettorale subito, annunciando che si farà entro il prossimo mese, non anno, ma mese. Per la prima volta un segretario del centro sinistra, muove la scena, con una proposta irrinunciabile al fanfarone di Grillo:tu voti l’abolizione del senato io rinuncio all’ultimo finanziamento pubblico.
Infine, per la prima volta a chiedersi cosa significhi essere oggi di sinistra e come il lavoro può diventare risorsa e non elemosina sia stato un imprenditore informatico, come Renato Soru.
Ragazzi aria nuova in cucina. Buon appetito a tutti. Per la prima volta
Per un governo pubblico di governance
di Giuseppina Bonaviri
La 47settesima edizione del rapporto Censis, resa pubblica qualche giorno fa, ci descrive un paese che fa fatica a riprendersi, una società senza respiro, “sciapa, infelice dove circola troppa invidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale” e dove i consumi, tornati ai livelli di dieci anni fa, non ci consentono di stare al passo con tasse e bollette. Emerge con chiarezza che anche i bisogni primari sono stati impacchettati, basti pensare che i ticket sui farmaci sono aumentati in questi ultimi quattro anni del 114 per cento.
Non c’è da sorprendersi se in un tempo di “lean” meglio conosciuto come vacche magre prosperino disaffezione alla cosa pubblica ( il 39% delle famiglie italiane non si interessa più di politica) e rivolte sociali fomentate dal crescente impoverimento delle popolazioni. E qui non c’entra l’ideologia, la questione si fa profonda, colpisce le parti più intime dei sentimenti umani: ingiustizia, frustrazione, disperazione, dolore che alimentano indignazione e violenza. Il malessere è generalizzato.
La congiuntura economica spietata, le tendenze demografiche, la marginalità delle innovazioni, il ristagno inevitabile che ne consegue non consentono assetti tali da consentire, a chi invece sarebbe deputato a farlo, di ascoltare l’urlo che arriva dal basso o il richiamo alle urne che non dovrebbe essere stigmatizzato come un vulnus in una fisiologia di democraticità. Non si può continuare ad aspettare una ripresa creata altrove, c’è bisogno che lo Stato italiano contratti direttamente in Europa quegli asset capaci di diventare incubatori di sviluppo economico e civile e non solamente di “ordinario galleggiamento”.
La crisi fa aggregare le energie che, buone, affiorano fuori dagli interessi predatori e parassitari -come attualmente appare la grande finanza- . Necessita chiedersi quale è la missione dell’Italia, dell’Europa. Diventare competitivi sul livello dell’internazionalizzazione, rilanciare la cultura collettiva come comparto, creare grandi eventi come nuovi quartieri di servizio al cittadino, orientare all’innovazione a all’informatica l’economia legata ai servizi del terziario, ripartire dalle donne, dai giovani e dagli immigrati, centralizzare le reti di relazioni per la ripresa di un sistema di welfare dove prevenzione complementare e sanità integrativa diventino consapevole bagaglio sociale, individuare nel settore dell’agricoltura un driver della crescita futura per noi, ora, diventa leva fondante.
Per valutare l’impatto territoriale del contenimento della spesa pubblica e per rilanciare l’economia d’impresa sarà necessario una fase di monitoraggio anche in provincia di Frosinone. Serve una analisi puntuale e regolare del funzionamento di enti e di sistema ma guardando introspettivamente all’entroterra, alla sua morfologia, ai processi socio-economici che lo intersecano per provare a scongiurare quelle riforme del sistema delle autonomie che, al momento, appaiono troppo estemporanee e poco organiche.
Oggi si fa tanto parlare di funzioni di presidio di area vasta senza un approfondimento di competenze e responsabilità mentre sarebbe doveroso partire proprio dall’informazione e dal confronto. Si fa tanto parlare di aree urbane ma non si accenna alla governance che alla base farà funzionare i partenariati. Si fa tanto parlare di aree marginali del paese ma non si racconta della loro centralità nella valorizzazione del patrimonio diffuso della nostra terra. Non ci pare che si intraveda, ancora, chi potrà essere capace di imporre un nuovo modello di crescita che poggi su equità, coesione, eguaglianza ma vogliamo continuare a sperare.
Ed è proprio su questa ultima traiettoria che nasce l’idea della creazione di un Tavolo di progettazione provinciale a Frosinone per la realizzazione di un “Patto di solidarietà sociale” tra i diversi attori istituzionali, cittadinanza libera e volontariato, associazioni, privato sociale. Tutti sappiamo che lavorare bene insieme, produce forti sinergie a difesa dei più deboli e degli emarginati, della discriminazione. La direzione giusta è quella della collegialità e del decentramento con il concorso della amministrazioni comunali e delle associazione del Terzo settore co-partecipi già dalla fase programmatica.
Si potrà dare, così, finalmente vita a quel modello unitario di nuovo welfare con la formalizzazione di una Rete integrata e sinergica su tutta la provincia frusinate, una provincia che deve rimanere in vita per il bene comune.
Final report from Projects for another Italy in Europe, 30 novembre 2013, Rome
National and international experts from academia , institutions , from industry and enterprise, many young people partecipated to “Projects for another Italy in Europe”.
After the messages received by the Minister Bonino, the President of the Chamber Boldrini , the Secretary of the Democratic Party Epifani , the Deputy Minister Catricalà, the Vice – Chairman of the European Parliament Pitella, a statement of support and appreciation to the initiative by the Mayor of Rome Marino, the video message from the leader of the House of Deputies Speranza opened the conference.
Massimo Preziuso , President of European Innovators , did a quick overview on the project , which started in 2006 as a place for development and design of indipendent policy, supporting the idea of the urgency of establishing a new political reformist and pro-European party , remains today an autonomous movement that operates in Europe and in the world .
The interventions , thanks to the distinguished speakers have pointed out – hoping for new directions of political and economic growth for Italy in Europe and in the world, in a context characterized by the difficulties of the United States , the complexity of the Chinese and Indian growth , the new opportunities from southeast Asia, and the natural but culturally difficult convergence with reality like Turkey or north Africa – the urgent need to strengthen the italian strategy and industrial policy.
It also became clear that Italy can be a leader in the software industry and know how based industries , and how the project European Innvoators , building collaborative networks for the promotion of Italian talents in the world is the lifeblood for the revival of a joint project to support Italy and Made in Italy in the world.
It has been so easy to go to the final session, remembering how European Innovators has already given way to political experiences with independent programs based on a new policy-making aimed at the transformation of smart cities and their governance in progressive optic .
From the conference, it is clear the need for a country that produces wealth and consumption in all the territories and put in a new network knowledge and production, in which medium towns and large cities, around a Smart Capital, remain the protagonists.
The need to give breath to a wider European movement , shared with many of the featured speakers, in a collaboration with the different pro-European organizations, based on the hot topics and more than actual 2014 european elections (during the 2014 first semester of Italian Presidency of Europe the real construction of a Euro-Mediterranean community , with a ”South of Italy” leadership, will be necessary), will see European Innovators as a protagonist of the Italian revival in Europe, starting with the next election campaign.
The construction of an Italian leadership in Europe and in the Mediterranean passes exactly by a renewed capacity to develop complex long-term projects. This will continue to be our goal and our commitment .
Resoconto di Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre, Roma
Progetti per un’altra Italia in Europa
30 novembre 2013, ore 10 – 14
Via Sant’Andrea delle Fratte 16, Roma – Sala delle Conferenze, Partito Democratico
Esperti nazionali ed internazionali provenienti dal mondo accademico, dalle istituzioni, dal mondo delle professioni e dell’impresa, molti giovani in una sala entusiasta ed interessata. Si parlava di progetti per un’altra Italia in Europa, quella che noi Innovatori Europei auspichiamo da anni.
Dopo i saluti istituzionali pervenuti dalla Ministra Bonino, dalla Presidente della Camera Boldrini, dal segretario del Partito Democratico Epifani, dal Vice Ministro Catricalà, dal Vice Presidente vicario del Parlamento Europeo Pittella e un comunicato di supporto e stima all’iniziativa da parte del Sindaco di Roma Marino, il video messaggio del capogruppo alla Camera dei Deputati Speranza ha aperto i lavori.
Massimo Preziuso, presidente IE, ha fatto un veloce excursus sul progetto che, nato nel 2006 quale luogo di elaborazione e di proposta politica progettuale indipendente, sostenendo l’idea della urgenza di fondare un nuovo soggetto politico riformista ed europeista, rimane oggi un movimento autonomo che spazia in Europa e nel mondo.
Gli interventi, grazie agli autorevoli relatori, hanno sottolineato – auspicando nuove direzioni di crescita politica ed economica per l’Italia in Europa e nel mondo in un contesto caratterizzato dalle difficoltà degli Stati Uniti, dalla complessità della crescita cinese ed indiana, delle nuove opportunità del sud est asiatico, e la naturale ma culturalmente difficile convergenza con realtà come la Turchia o il nord Africa – l’urgenza di un rafforzamento della strategia politica ed industriale.
E’ altresì apparso evidente come oggi l’Italia può essere leader nel software e nell’industria ad alto contenuto di intelligenza, e come il progetto IE, calatosi nel vivo della costruzione di reti di collaborazione per la valorizzazione della italianità nel mondo è linfa vitale per il rilancio di un progetto comune a supporto dell’Italia e italianità nel mondo.
E’ stato così facile avviare i lavori alla conclusione, ricordando come IE in alcuni comuni italiani ha già dato il via ad esperienze politiche indipendenti con programmi basati su un nuovo policy making rivolto alla trasformazione delle città intelligenti e della loro governance in ottica progressista. Dai lavori emerge con chiarezza la necessità di un Paese che produca e consumi ricchezza in maniera diffusa e metta in una nuova rete saperi e produzioni in cui città medie e grandi, attorno ad una Capitale intelligente, rimangano protagonisti.
La necessità di dare fiato ad un largo movimento europeo, condiviso con molti dei relatori presenti, in un percorso congiunto tra le diverse realtà europeiste sui temi caldi e più che attuali delle prossime elezioni europee (nel semestre di presidenza italiana in Europa sarà necessario l’avvio della costruzione di una comunità euromediterranea, che includa e renda protagonista il nostro mezzogiorno) ci vedrà protagonisti del rilancio italiano in Europa a partire dalla prossima campagna elettorale .
La costruzione in itinere di una leadership italiana in Europa e nel Mediterraneo passa proprio da una rinnovata capacità di elaborazione di progetti complessi e di lungo periodo. Questo continuerà ad essere il nostro intento ed il nostro impegno.
Saluto del Vice Presidente vicario del Parlamento Europeo, Gianni Pittella, a Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre 2013, Roma
Gianni PITTELLA Vice President of the European Parliament
Bruxelles, 30 novembre 2013
Cari amici,
caro Massimo,
mi spiace non potere essere presente quest’oggi alla vostra importante iniziativa, ma impegni istituzionali mi impediscono di essere con voi.
Le forze democratiche del nostro Paese sono di fronte ad un passaggio cruciale. Una grande fase di cambiamento si sta aprendo e la grande battaglia del futuro non riguarderà organigrammi e incarichi, ma sarà una sfida di e tra idee.
In questa fase di ricomposizione, in cui si stanno tratteggiando i contorni della sinistra che sarà, Innovatori Europei dovrà contare con tutto il peso delle sue idee e l´iniziativa di oggi s’iscrive perfettamente in questa logica. I temi che affrontate sono decisivi per il Paese e per la sinistra: l’Europa innanzitutto perché il futuro dell’Italia dipende dal legame che sapremo consolidare tra il nostro paese e un’Europa che cambia, che non si limita a rigide politiche di austerità. La battaglia per il Talento e quella per il Mezzogiorno devono anch’esse essere il cuore del dibattito sul futuro della sinistra e dell’Italia.
Sono certo che l’appuntamento di oggi sarà solo un passaggio di un percorso che Innovatori Europei ha cominciato ormai da qualche anno e che l’ha portata a diventare uno degli attori più promettenti del dibattito culturale e politico.
Un caro saluto,
Gianni Pittella
Saluto del Sindaco di Roma, Ignazio Marino, a Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre 2013, Roma
Il Sindaco
Dal Campidoglio 29 novembre
Gentile Presidente,
Illustri Ospiti,
sono molto dispiaciuto di non poter partecipare alla conferenza “Progetti per un’altra Italia in Europa”, ma come saprete l’impegno in Assemblea Capitolina, non mi consente di essere con Voi.
Desidero comunque portare il mio saluto e quello della Città di Roma a tutti i partecipanti, riuniti per approfondire le tematiche che più da vicino riguardano l’Europa e il nostro Paese.
“Progetti per un’altra Italia in Europa” è un momento importante di riflessione e di confronto per promuovere nuove idee e una migliore proposta politica riformista, che possa spingere Roma e l’Italia verso i successi che meritano.
Il nostro Paese, punto di contatto tra l’Europa e il Mediterraneo, come storicamente è sempre stato, può svolgere un ruolo decisivo nelle politiche euromediterranee. In questo orizzonte anche Roma vuole riacquistare autorevolezza nel suo ruolo nazionale e internazionale di crocevia di culture, di religioni, di rapporti diplomatici e di scambi.
Per questo ci stiamo impegnando a studiare nuove forme di collaborazione tra Capitali e Paesi per allacciare e coltivare collaborazioni significative dentro e oltre i nostri confini nazionali.
Roma vuole ritrovare la dimensione più vera del suo presente e del suo futuro, con la legittima ambizione di essere metropoli europea, aperta a tutte le contaminazioni, riscoprendo con fierezza quel modello di città inclusiva, accogliente e – al tempo stesso – autentica e fortemente identitaria, conosciuta in tutto il mondo.
Dobbiamo essere uniti per promuovere e realizzare programmi e iniziative tese a rafforzare nell’area euromediterranea i processi di pace e di sviluppo economico e sociale, di pari opportunità, dei diritti delle donne e dell’infanzia con uno sguardo, attento e solidale, al fenomeno dell’immigrazione la più grande sfida che non solo l’Italia, ma l’Europa intera e i Paesi da cui partono i flussi migratori, devono e dovranno far fronte.
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Gli argomenti che affronterete nel corso dei Vostri lavori porteranno riflessioni e nuovi spunti utili, per affrontare le sfide sempre più difficili che attendono tutti noi.
Nell’ augurarVi buon lavoro, giunga a tutti Voi un cordiale saluto con l’auspicio che la Conferenza abbia il successo che merita.
Prof. Ignazio R. Marino
Intervento scritto di Mario Polese, Innovatore Europeo e consigliere regionale di Basilicata, a Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre 2013
Discorso Mario Polese,
consigliere regionale della Basilicata
Saluto caramente il presidente degli IE e ottimo amico, Massimo Preziuso, e i presenti in sala che hanno accolto l’invito a partecipare a quest’importante iniziativa.
Improrogabili impegni istituzionali mi impediscono di prender parte oggi al dibattito in corso ma, in qualità di associato di IE, sono onorato di potervi dare un breve saluto e portare un contributo alla discussione.
Lo spirito che anima questa associazione rispecchia in toto quelle che sono le tematiche che da sempre porto avanti nel mio cammino professionale e politico: nuovo protagonismo di giovani e donne nella società civile, nuove politiche di internazionalizzazione per il made in Italy, rinnovamento nelle politiche energetiche ed infrastrutturali per il Sud.
Su quest’ultimo punto la Basilicata, regione che mi vede impegnato in prima linea in qualità di consigliere regionale, deve vincere la sfida del digitale investendo sulla banda ultra larga.
Dobbiamo guardare con più interesse alle opportunità che possono realizzarsi attraverso il web e la sua evoluzione democratica 2.0. E’ una possibilità per i nostri territori di giocare la partita da protagonisti in Italia, in Europa e nel mondo. In tal senso incentivare e sostenere l’industria creativa lucana e attrarre quella da fuori regione promuovendo un maggiore e migliore utilizzo delle risorse culturali-artistiche-ambientali regionali, ovvero sviluppare prodotti, servizi, eventi che le includano.
Infine il Mediterraneo, tema a me caro in quanto delegato regionale per l’Istituto Italiano per l’Asia ed il Mediterraneo, e di cui faccio parte del board che si occupa delle relazioni istituzionali nella ideazione, progettazione e gestione di progetti di promozione e cooperazione internazionale.
La Basilicata può diventare un centro d’eccellenza e avanguardia per il Mediterraneo facendo nascere e radicare un tessuto economico e professionale in grado di far svolgere al sistema regionale il ruolo di ponte per il nuovo mercato comune. L’impegno è quello di favorire lo sviluppo e la crescita di progetti innovativi di aziende private e pubbliche che guardino alla Basilicata e al Mediterraneo come una vera opportunità.
Con questo concludo sperando di poter partecipare personalmente al prossimo incontro e ringraziando il presidente Preziuso per l’impegno instancabile verso questa associazione e verso la nostra regione.