Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Burocrazia: la madre di tutte le battaglie

di Francesco Grillo

La lotta alla burocrazia come “madre di tutte le battaglie” di chi voglia davvero fissare negli occhi la bestia che tiene incatenata da vent’anni una società e un’economia che nei decenni precedenti era stata – anche se tra tante contraddizioni – una delle più dinamiche del mondo.

Fa bene Matteo Renzi a dichiarare guerra sul fronte della trasformazione radicale della pubblica amministrazione: questa è la sfida che deve assolutamente vincere chi – come lui – voglia sfuggire alla maledizione che ha visto chiunque abbia provato a governare l’Italia, destinato alla sconfitta elettorale. E fa bene a indentificare con chiarezza l’elemento decisivo del confronto nel rapporto tra dirigenti dello Stato e la politica: il concorrere dell’instabilità della politica e della inamovibilità dei dirigenti pubblici ha prodotto, infatti, nel tempo un avveramento in Italia della profezia di Max Weber con un colossale e permanente trasferimento di potere tra chi è eletto e chi gestisce la macchina pubblica. Al punto che, come dice il Presidente del Consiglio, vi sono settori della burocrazia nei quali da tempo è prevalsa l’idea che “i Governi passano, i dirigenti restano” e che sono questi ultimi ad avere in mano le leve del potere e, dunque, a dover autorizzare un qualsiasi cambiamento.

Gli adempimenti che ci strozzano nascono, in effetti, quasi sempre per iniziativa del Legislatore e come riflesso difensivo da parte dello Stato rispetto a fenomeni rischiosi che non capisce fino in fondo.

Fatto sta che se l’Italia è tradizionalmente indietro nelle classifiche internazionali sulla competitività (ad esempio quella del World Economic Forum) e sulla capacità di fornire a chi fa impresa un ambiente non ostile (la misurazione più nota è quella della Banca Mondiale) è, proprio, sul peso delle “regole” che il nostro Paese precipita: su 148 Paesi che vengono considerati siamo al terz’ultimo posto. La complessità delle procedure, tuttavia, non sembra scalfire la corruzione – siamo collocati da Transparency International al settantesimo posto insieme alla Romania – e lo spreco di denaro pubblico che per gli investitori internazionali in Italia è maggiore che in Egitto che ci precede immediatamente. Parte consistente delle richieste che la pubblica amministrazione produce sembrano, del resto, il riflesso di un apparato che cerca una giustificazione alla sua stessa esistenza nella richiesta di ulteriori documentazioni. Pur essendoci notevoli eccezioni, da tempo l’amministrazione pubblica sembra aver perso la capacità e gli strumenti per interpretare i bisogni dei cittadini e quanto essi si stiano rapidamente evolvendo.

Rispetto a questa situazione il nuovo Presidente del Consiglio propone una ricetta drastica: la contestualità tra l’espressione popolare del Governo del Paese e la struttura dirigente della macchina pubblica. Ciò equivarrebbe all’introduzione di un spoiling system che porterebbe l’Italia in un contesto più simile a quello americano che quello europeo. Una rivoluzione che fa accapponare la pelle a molti studiosi di Diritto Pubblico e che, tuttavia, per poter essere anche solo immaginata, ha bisogno di un’altra leva fondamentale: la valutazione di cui si parla da decenni e che, nessuno, tra tanti illustri predecessori di Marianna Madia è mai riuscito a realizzare fino in fondo.

Sono necessari, dunque, strumenti che costringano chiunque gestisce anche un solo euro dei contribuenti italiani a “dar di conto” (esiste, già, la traduzione in Italiano che Renzi chiede per la parola accountability) dei risultati (che è nozione ben più ampia e decisiva della pubblicazione on line di ogni spesa) ottenuti rispetto a obiettivi che vanno negoziati con il dirigente che accetti una determinata responsabilità: è questa la vera rivoluzione, il grimaldello verso quella meritocrazia che finora abbiamo evocato a parole e che diventa l’unica garanzia per poter effettuare nomine di qualità.

Ciò vale – anche se è un ambito parzialmente diverso – anche per le seicento nomine che lo stesso Governo si accinge a fare per le società partecipate dal Tesoro e che diventano, a questo punto, una verifica fondamentale per capire se le intenzioni del nuovo Presidente del Consiglio sono diventate metodo in grado di cambiare i processi stessi attraverso i quali in Italia si acquisisce e si distribuisce potere.

È la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno: valutazione semplice su indicatori che siano conosciuti ai cittadini; selezioni e carriere legate al raggiungimento degli obiettivi negoziati con chi ne risponde nei confronti degli elettori; possibilità di promuovere la mobilità verso servizi di maggiore valore aggiunto di chi è stato condannato dall’inerzia a diventare una zavorra per gli utenti e per le imprese; un ridisegno del bilancio dello Stato che, attualmente, rende difficilissima una revisione della spesa che non sia lineare.

Ciò è essenziale per vincere la sfida della crescita. Ma serve anche alla pubblica amministrazione che obbligata a dimagrire solo attraverso il blocco delle assunzioni è stata tecnicamente inchiodata ad un destino di progressiva obsolecenza. Per Matteo Renzi sarà, adesso, decisivo convincere persino i privilegiati della inevitabilità del cambiamento.

Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili

 di Giuseppina Bonaviri

Il 6 febbraio 2014 è stata la Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, istituita dall’OMS nel 2003. Queste pratiche, che ovviamente non comportano benefici per la salute, sono internazionalmente riconosciute come una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne bloccando le loro facoltà alla salute, alla sicurezza e alla integrità fisica. Riflettono disuguaglianze profonde di genere e rappresentano una forma estrema di discriminazione contro le donne. Essendo poi praticate sulle bambine costituiscono una grave violazione dei diritti dell’infanzia ed una forma di abuso sui minori. Si tratta di un fenomeno globale che lede lo stato più profondo dell’uomo.

Basti ricordare la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (Cedaw), la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, la Convenzione europea per la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali approvata dal Consiglio d’Europa nel 1950 entrata in vigore nel 1953 e la Carta sociale europea approvata dal Consiglio d’Europa nel 1961 entrata in vigore nel 1965 affinché ognuno di noi si possa sentire coinvolto, in prima persona, in una battaglia che oggi vede più di 140 milioni di bambine e di donne mutilate nelle parti più intime del loro corpo, di cui 500 000 nella sola UE. Anche in Italia, secondo l’ISTAT, ogni anno circa 35.000 donne e bambine immigrate sono vittime di mutilazioni genitali femminili.

Il 20 dicembre del 2012 l’Assemblea Generale dell’Onu ha adottato una risoluzione per un bando universale delle mutilazioni genitali femminili, riconoscendo la pratica come violazioni dei diritti umani. Queste pratiche sono riconosciute come il modo più crudele, violento, umiliante, per avere il controllo totale sul corpo femminile e, proprio, su quell’organo da cui “scaturisce la vita”. La Commissione europea ha ribadito anche quest’anno, in un documento programmatico, la ferma intenzione dell’UE di lottare contro le mutilazioni genitali femminili (MGF) nell’Unione europea e oltre i suoi confini. In Italia per tutto l’anno 2014 si continueranno a promuovere iniziative di azione estrema per eliminare le MGF.

Per capire meglio il problema in collaborazione con l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) e con le istituzioni nazionali, si sono messe a punto indicatori che permetteranno stime più precise del numero di vittime reali e potenziali delle mutilazioni sulla popolazione di donne e ragazze. Anche l’Italia sta favorendo l’applicazione delle normative nazionali che vietano le mutilazioni per proteggere le donne a rischio sul territorio monitorandone il processo. Ne emerge un chiaro quadro sociale allarmante che sarà valutato da studiose e studiosi internazionali.

I migliori risultati finora riscontrati emergono tra quelli che hanno utilizzato forme di collaborazione-cooperazione  tra istituzioni nazionali e locali, società civile, apparati giuridici, mezzi di informazione che favoriscono la creazione di una rete ed una cultura favorevole all’eliminazione di queste terribile pratiche.

Al fine di realizzare uno strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di pari  opportunità previsti in Europa, Il Tavolo provinciale del Patto di solidarietà sociale sarà presente alla Tavola rotonda” Non chiamateci rose per infliggerci spine” che in settimana prossima si terrà presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma assieme a partner quali Amnesty International, Cuamm Medici con l’Africa, Sism-Ifmsa (Segretariato Italiano degli Studenti di Medicina membro della Federazione internazionale delle associazioni degli studenti di medicina) con la certezza che il nostro entroterra debba ripartire qualitativamente tramite progetti scientifici e protocolli innovativi che al centro vedano equità e stato di diritto, unici strumenti che ci consentiranno di andare oltre i limiti imposti dagli standard che politici locali e nazionali hanno voluto imporci in questo ultimo ventennio. Con la ferma certezza che anche la Ciociaria, tra le prime provincie della regione Lazio, possa finalmente diventare un posto ospitale per tutte quelle donne privilegiate perché eccellenti e, dunque, libere di pensare e di agire senza sottomissioni alcune.

Lavoriamo insieme contro la disgregazione democratica

di Fucsia Nissoli (deputato di Popolari per l’Italia)

Cari lettori, questi giorni nella mia mente tornano spesso alcuni episodi della settimana scorsa. Così mi rivedo che guardo ad occhi sgranati l’Emiciclo di Montecitorio che si trasforma in arena, un circo, uno spettacolo raccapricciante fatto di grida, spintoni, corse ad occupare gli scranni del Governo per bloccare il processo di lawmaking del Parlamento italiano. Sono allibita e mi chiedo in che direzione stia andando la democrazia, anzi vedo un manipolo di scalmanati che ne impediscono l’esercizio. Una pagina nera del Parlamento italiano, un momento che segna un punto nero nella storia della democrazia italiana che, nonostante tutto è viva, è forte, è insita nella coscienza sia dei cittadini che della maggior parte dei politici.

Vorrei gridare, richiamare al rispetto delle regole, di lasciarci lavorare per il bene del Paese: quello per cui siamo stati eletti, ma la confusione era tale che a nulla sarebbe valso. Nonostante questo, la Camera dei Deputati ha funzionato lo stesso. Ma che spettacolo ignobile per la democrazia ed il buon senso! Qualcosa di mortificante per l’Italia che portiamo nel cuore e che vogliamo servire.

Per fortuna quanto accaduto non rispecchia l’Italia. Il mio Paese non è così, è invece tollerante, accogliente, paziente, ha un volto umano che è scomparso in chi si è comportato in maniera indegna nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari.

Mi sento umiliata dall’accaduto ed a pensare solo a quanto noi italiani all’estero guardiamo con orgoglio al nostro Paese; ma non tutti sono così, anzi non lo è la maggior parte che lavora in silenzio, con educazione e dignità di persone.

Uno scenario preoccupante di degenerazione del tessuto democratico di cui si rendono responsabili addirittura alcuni esponenti politici e delle amministrazioni pubbliche. Gente che dovrà passare il giudizio del popolo che non può dimenticare un pezzo di storia nera della nostra Italia come lo abbiamo ricordato il 27 gennaio celebrando “Il Giorno della Memoria”, commemorazione della tragedia della Shoah. L’odio razziale e l’odio politico non possono e non devono attecchire in questo tessuto sociale, politico e civile dell’Italia di oggi che vuole essere esempio di umanità e di civiltà nel mondo lavorando per la concordia e la pace.

Di fronte a questo, un contesto in cui, addirittura, si rischia di superare i populismi per disgregare la società, credo che noi politici dobbiamo rimboccarci le maniche e compiere gesti che siano in grado di ridare fiducia nel futuro e nelle Istituzioni democratiche a partire dal nostro Parlamento e da quelle Istituzioni europee che sono sempre più indispensabili e che devono essere rafforzate per affrontare le sfide globali. I responsabili politici e sociali ed il mondo dell’educazione devono dare un contributo importante affinché la democrazia sia sempre alimentata dalla fiaccola dei valori che devono incarnarsi nella società in continuo cambiamento: una sfida importante, ma vale la pena affrontarla per il futuro della qualità del nostro vivere civile.

Il Governo Renzi – Lanzetta – D’Alema

governo renzidi Michele Mezza

E’ davvero la prima volta in vita mia, vi prego di credermi, che sputo sentenze con il tremore di avere ragione. I pierini di solito presuppongo di averla come dato naturale.

Questa volta spero proprio di sbagliare sonoramente, come del resto mi capita spesso. So bene infatti che dopo la carta Renzi si va in prigione senza passare dal via, come al Monopoli.E chi mi conosce sa quanto ho sperato nel sindaco fiorentino.Almeno come scopa nuova per spazzare il vecchio.

Il fallimento di questo che non è un governo ma un puro stato d’animo, improntato alla speranza più irrazionale, comporterebbe non solo di bruciare con Renzi l’unica chance di una leva di nuovi quadri riformatori , ma anche di consumare ogni ambizione del PD (immaginate la revanche dei vecchi bersaniani se Renzi torna con le pive nel sacco) e anche di dare un colpo mortale all’invadenza del Quirinale, che rimane pur sempre l’unico appiglio in questa tempesta.

Detto questo il governo non mi piace proprio.

Non mi piace in assoluto per composizione e procedura, non mi piace in relazione alle suggestioni che Renzi aveva alimentato. Siamo molto più indietro che con Letta.

I nomi, presi uno per uno non valgono i precedenti: Padoan è un saccomanni più furbetto, con una vena di dalemismo tattico: ma dov’è lo scarto?

La Mogherini è una debuttante allo sbaraglio fresca di master brillantissimo in relazioni internazionali. Ma poco più di uno sherpa non il capo della diplomaria di un paese che deve ricostruire il modo in cui è percepito politicamente e commercialmente.

La Giustizia va il meno politico dei politici e il più etereo dei competenti.Con il marchio dell’inciucio con berlusca.

Le due vispe terese (Masdia e Boschi) sono tali.

Poletti è il peggio del protezionismo immobilistico dell’economia nazionale, oltr4e che rafforzare l’iupoteca dalemiana ( ma chi ha rottamato chi?)

Martina è promosso ministro dopo un’esperienza di nullismo come sottosegretario all’Expo ( e ci risiamo con il dalemismo-bersanismo)

Franceschini alla cu8ltura vale solo per il suo ristretto, ma molto ristretto inner circle, che si occupa di indotti culturali.

La Guidi è una confusa reazionaria figlia di papà.

Della delegazione NCD non ne parliamo.

La Lanzetta da la cifra al tutto: una brava donna, ma perchè ministro e non preside o commendatore?

Se poi volessimo addentrarci nella geografia delle funzioni: il comparto economico non è ne tecnico ne politico.Quyello degli apparati è disancorato da un’idea di gestione innovativa.Quello della spesa è casuale.

Manca poi ogni riferimento alla svolta digitale, o alla valorizzazione formativa, con l’ennesimo rettore che torna a bottega alla Pubblcia Istruzione.

Il tutto con il marchio delle tre ore di pasticci nella stanza del Presidente.

Il rischio vero è che Renzi pensi davvero di fare il sindaco d’Italia, governando tutto dal bunker di Palazzo Chigi, con del Rio. Una vera follia.Tanto più che la sua maggioranza è già logora prima di cominciare ed è escluso che con questa comnpagine possa attrarre apporti da altri versanti: i grillini dissenzienti sono gelati.

E’ la conferma che la politica è una scienza esatta, e la differenza fra un grande politico e un grande testimonial sonop i tempi e gli obbiettivi. renzi pare , purtroppo, averli mancati entrambi.

Speriamo che la Merkel si accontenti della Lanzetta.

Riforme Costituzionali: Un Senato delle Competenze

 di Massimo Veltri
Non è dato sapere ad oggi se il tentativo di Matteo Renzi andrà a buon fine. Sia per quanto riguarda la modifica della legge elettorale che quella del Titolo V della Costituzione, oltre che per mutare il Senato nella Camera delle autonomie. E’ operazione comunque utile rivisitare quanto i padri costituenti elaborarono in particolare nell’introduzione del bicameralismo, succintamente e per come è possibile fare in questa sede. E’ noto a tutti che la scelta era fortemente influenzata dall’appena trascorso ventennio fascista e dalla conseguente necessità ravvisata di rafforzare i meccanismi di controllo democratico grazie a un doppio, uguale, passaggio in due diverse ma funzionalmente sovrapponibili assemblee elettive. Eppure ci fu chi, e fra questi Costantino Mortati, voleva introdurre, specificatamente per il Senato, attribuzioni, composizioni, meccanismi d’elezione differenti: doveva, il Senato, farsi portatore delle forze vive del paese e della complessiva struttura sociale italiana. Per Mortati i membri del Senato dovevano essere per metà eletti a suffragio universale diretto, e per l’altra metà a suffragio di sola rappresentanza in speciali collegi formati in base all’appartenenza dei cittadini alle categorie produttive, scientifiche, industriali, culturali, scientifiche, commerciali, della scuola, della sanità, della pubblica amministrazione… L’ipotesi Mortati, palesemente elitaria, e anche riconducibile a una camera delle corporazioni, non fu portata avanti, ma val la pena riprenderla, come pure è stato fatto e si sta facendo, in ambiti non particolarmente frequentati dalla pubblica opinione ma che meritano riflessione e approfondimento. Partendo, ad esempio, dall’operazione portata avanti dal senatore a vita l’architetto Renzo Piano nel suo studio al Senato: lavorare per il suo progetto di ‘grande rammento delle periferie’, come lui stesso lo ha definito in un vera e propria sede di lavoro. L’idea più complessiva è quella di intrecciare o avvicinare la sfera delle conoscenze a quella delle decisioni. Di coniugare, nella inarrestabile entropia crescente, nella complessità del mondo in cui viviamo, nell’arduo, e sempre più arduo, compito delle scelte responsabili che i decisori politici devono compiere, il sapere con la politica. Così che, sia con un dibattito pubblico sulla stampa sia attraverso documenti redatti, se pur non immediatamente reperibili, si affaccia l’ipotesi di un Senato delle Competenze, come è stato definito. Un luogo, cioè, non solo fisico in cui trattare questioni di interessi nazionali e dei diritti. Camera delle Autonomie ma non solo: anche della cultura, dell’ambiente, della scienza, della tutela dei beni artistici e paesaggistici. Il ministro uscente dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Maria C. Carrozza, ha di recente riassunto efficacemente i lineamenti essenziali di questa proposta, parlando di una Camera differenziata oltre che regionalizzata, un Senato delle competenze, appunto: rappresentare le regioni e insieme proiettarsi istituzionalmente verso discipline specializzate in ambito culturale e scientifico. Una camera dei saperi nel campo energetico, economico, di particolare interesse sociale, della bioetica, espressione alta e specializzata di scienza e cultura: raccordo, come si diceva, fra risultati della elaborazione e della produzione scientifica e momento normativo. Sede, inoltre, di dibattito e approfondimento di grandi temi, superando i limiti, da tutti ormai riconosciuti, del bicameralismo paritario, senza duplicazioni di compiti e conseguenti lentezze funzionali.
Sembrerebbe utopia, parlare oggi di queste cose, stante l’attenzione rivolta quasi per intero alla difesa dei meccanismi di selezione per le assemblee elettive, tutta giocata dentro logiche di schieramento volte perlopiù a demonizzare concorrenti e finanche parti dello stesso schieramento. Ma accanto all’ineludibilità di dover sciogliere il nodo della governabilità non disgiungendolo completamente da quello della rappresentanza cui il gioco degli sbarramenti, delle preferenze, del collegio unico nazionale direttamente rimandano; accanto alla fuoriuscita dalla ‘leale concorrenza’ fra articolazioni dello stato (come eufemisticamente è stato definito il groviglio di competenze, responsabilità, attribuzioni spalmate e sovrapposte in maniera tale da rendere inoperativo il sistema paese) e dall’assurdità di assegnare a Regioni compiti che è indispensabile tornino sotto l’egida dello stato centrale (ambiente, energia, beni culturali… ), come si volle in una stagione di federalismo verificatosi assolutamente improponibile, semplicemente non praticabile, accanto a tutto ciò, il superamento del bicameralismo può avvenire non solo con una sottolineatura forte attribuita alle autonomie locali, ma con il riconoscimento  di compiti d’alto profilo da attribuire a una delle due Camere del sistema istituzionale. Se stagione costituente ha da essere, e non sembri troppo roboante l’aggettivo, l’occasione da cogliere è troppo ghiotta per non essere colta, per un vero e proprio salto di qualità verso il futuro.

La politica non può limitarsi all’ordinaria amministrazione. Francia e Italia collaborino per realizzare una vera identità europea

prodiDiscorso del Presidente Romano Prodi in occasione del conferimento della massima onoreficienza francese: la “Gran Croce della Legion D’Onore” da parte di M. Alain Le Roy, ambasciatore francese in Italia.

Ambasciata di Francia – Roma, 13 febbraio 2014

Signor Ambasciatore, Cari amici

è con grande orgoglio e commozione che oggi ricevo questa onorificenza che la Repubblica Francese ha voluto riconoscermi. Ringrazio di questo il presidente Hollande e Lei ambasciatore che ha accolto con tanto calore me, i miei famigliari e i miei amici in questo palazzo che, personalmente, considero il più bello del mondo.

Se penso a tutto quello che la Francia ha rappresentato, e tuttora rappresenta per me, non posso che unire l’immagine di Parigi a quella di Roma e Bruxelles. Questo poiché, da europeista convinto che si è trovato a servire tanto il proprio paese che l’Unione Europea, ho sempre immaginato la Francia come la punta di diamante di una costruzione comune che deve ritornare ad essere protagonista della politica mondiale.

Il disegno europeo si fonda su forti motivazioni politiche, economiche e culturali. Solo all’interno di esso si può decidere il destino di Francia e Italia. Un destino che si fonda su un’identità comune.

Cerimonia per il conferimento della “Gran Croce della Legion D’Onore” – S. Exc. M.Alain Le Roy e Romano Prodi

Si nous pensons à la France et à l’Italie, il y a eu, au fil du temps, d’innombrables occasions où les élites nationales ont mis en oeuvre un processus de construction du soi collectif, c’est à dire d’un «nous» qui a caractérisé une communauté.

C’est le pas premier et fondamental vers la création d’une communauté politique aussi cohérente que possible. Les grands leaders qui ont pris en main la France et l’Italie dans l’après-guerre n’ont fait autre chose que renforcer un certain ensemble de valeurs, et rassembler une nation autour d’eux. Et ce n’est pas un hasard si justement de France et d’Italie sont venues de puissantes impulsions à la création du processus communautaire, sous les auspices de grands leaders et de grands penseurs qui, tout d’abord, se sont attelés à penser l’Europe et après à la renforcer.

C’est le cas de Robert Schuman et d’Alcide De Gasperi puis de François Mitterrand, Jacques Delors et Altiero Spinelli, Ce qui manque aujourd’hui à l’Europe politique, et je dis cela avec un profond regret, ce sont précisément la vision et le courage, en d’autres termes le leadership, et plus encore la curiosité mutuelle, cette conscience de ce que nous pouvons faire et accomplir ensemble qui, par contre, avait si longtemps marqué nos relations.

Premièrement, nous n’arrivons pas à expliquer ce qu’est l’Europe, trop occupés que nous sommes à mettre l’accent sur ce qui nous sépare par rapport à ce qui nous unit. Nous avons peu de dirigeants politiques décidés à prendre des risques, à défier l’opinion publique pour poursuivre un but, celui de l’intégration européenne, trop longtemps rêvé pour pouvoir être oublié, comme si de rien n’était.

Voilà où la France et l’Italie peuvent trouver un terrain fertile pour la coopération : dans la construction, étape par étape, d’un sentiment européen commun.

À mon avis, il est nécessaire de travailler dans deux directions: à renforcer l’engagement envers l’identité européenne, et à lutter contre ces forces qui cherchent à casser et à briser là où, par contre, on avait laborieusement atteint un point d’entente.

En effet, grande est la tradition européiste de la France et de l’Italie.

Un engagement qui ne serait pas en première ligne dans la défense des institutions et de leur fonctionnement serait inconcevable, pour la simple raison que c’est dans l’Europe que les deux pays peuvent s’épanouir complètement.

Cerimonia per il conferimento della “Gran Croce della Legion D’Onore” – S. Exc. M.Alain Le Roy, Romano Prodi e Flavia Franzoni

Chi, se non Francia e Italia, ha il dovere di lavorare per migliorare la gracile identità europea che la crisi economica ha messo a dura prova?

Vediamo già troppi esempi di mancata lungimiranza, di assenza di progettualità, di incapacità di ragionare con cuore europeo, prima ancora che con la mente. Specialmente in un’ epoca in cui chi potrebbe esercitare la leadership non lo fa, o lo fa in maniera riluttante e discontinua.

E dalla crisi economica europea non vedo oggi una via di uscita se non in un’azione comune che, guidata da Francia e Italia, proponga a tutti i paesi membri dell’Unione una politica economica di sviluppo e di occupazione.

Proponga e imponga una alternativa credibile ad una politica europea che emargina proprio le giovani generazioni per le quali abbiamo costruito l’Europa.

Francia e Italia hanno non solo la possibilità, ma il dovere di lavorare insieme. È solo da una collaborazione fra Parigi e Roma che può arrivare una risposta alla domanda di futuro che tutti abbiamo dentro di noi. Come possiamo deludere una intera generazione di giovani europei che pensano a loro stessi come a cittadini di un continente? Che sono abituati a viaggiare, studiare e lavorare senza frontiere?

Cerimonia per il conferimento della “Gran Croce della Legion D’Onore” – S. Exc. M.Alain Le Roy, Romano Prodi e Flavia Franzoni

Nos deux pays doivent étre le moteur d’une nouvelle politique européenne, qui montre un visage commun en abordant les affaires internationales. L’Europe se fera vraiment quand nous nous présenterons au monde en tant qu’Europe. Ceci, bien sur, ne sera possible que si, derrière, on aura bàti une identité collective commune, parce que dans le cas contraire il s’agira toujours d’un géant aux pieds d’argile.

C’est l’actualité impitoyable qui nous impose cette réflexion, il suffit de songer à ce qui se passe à Kiev ou dans tous les lieux où les droits sont en danger, et où notre voix ne réussit pas à arriver comme il faudrait.

Il ruolo di una politica di collaborazione tra Francia e Italia è, anche sotto questo aspetto essenziale. Permettetemi, a questo punto, un ricordo personale.

Quando è scoppiata una tragica crisi sociale e politica in Albania e quando il Libano sembrava dissolversi in una tensione senza rimedio, solo la collaborazione tra Francia e Italia ha potuto risolvere due tragedie che potevano sconvolgere il Mediterraneo.

In entrambi i casi abbiamo agito insieme con rapidità ed efficenza, ma soprattutto con la condivisa fiducia che il nostro esempio sarebbe stato seguito da tutti gli altri paesi europei.

E tutti ci hanno seguito. Da allora l’Albania ha cominciato il cammino verso il progresso e la democrazia e il Libano trova nella regione da noi custodita l’unico punto di stabilità.

Il fatto che in Francia e Italia vi fossero governi di colore diverso non ha nemmeno sfiorato le nostre menti. Non erano due governi ma due popoli che operavano insieme per un grande obiettivo condiviso.

Cerimonia per il conferimento della “Gran Croce della Legion D’Onore”

Nous avons une grande histoire derrière nous en tant qu’États-nations, mais nous ne pouvons pas nous permettre le luxe de trop feuilleter l’album des souvenirs.

Les racines d’un arbre sont essentielles, mais si nous nous arretons à cela l’arbre meurt. C’est aux feuilles nouvelles que nous devons regarder.

Solo se saremo in grado di pensarci europei, potremo agire da europei. Il compito di invertire una rotta che negli ultimi tempi ci sta trascinando verso una pericolosa deriva spetta a noi. All’Italia, che deve recuperare lo spirito di tanti anni fa, e alla Francia, che proprio tramite l’Europa, può guidare un processo di cambiamento degno del suo rango.

Si tratta di una sfida difficile, non c’è dubbio… Ma la politica non può limitarsi all’ordinaria amministrazione. Deve riuscire a vedere strade dove non ce ne sono e deve costruire idee e valori tali da dare sostanza ai nostri obiettivi. Realizzare una vera e propria identità europea è quanto di più complesso possa esserci, ma non riesco a immaginare nulla di più importante per la nostra generazione.

Merci.

Renzi e i rinnovamenti necessari

renzidi Massimo Preziuso su L’Unità

Matteo Renzi ha deciso di accelerare e scalare il Paese, senza passare per le urne.

Forte di un consenso pressoché unanime (!?) nel Partito Democratico e in tanti stakeholders del Paese, dopo aver chiesto e ottenuto in maniera discutibile le dimissioni di Enrico Letta, presidente del consiglio del suo stesso partito, egli si propone come premier alla stessa compagine governativa (?).

Una operazione così rapida e ambiziosa è chiaramente rischiosa: lo si vedrà nelle prossime ore, fino alla richiesta di fiducia alle camere, e nei prossimi mesi, con tensioni nelle istituzioni parlamentari, dentro il Partito Democratico e nell’elettorato del centrosinistra.

Per attenuare questi rischi, Renzi allora eviti di proporre un governo di legislatura, fissando un termine per completare, migliorandole, le riforme istituzionali programmate nelle scorse settimane ed avviarne nuove sui gravosi temi del lavoro e dell’economia.

E soprattutto – per costruire un solido consenso in un Paese che sembra lentamente uscire (almeno formalmente, con un +0,1% di PIL nello scorso trimestre) da una dura recessione a “doppia V”, con una classe politica “rottamata” da dentro e da fuori – Matteo attui rapidamente una serie di ”rinnovamenti” (dal titolo di questa rubrica), ovvero cambiamenti di qualità (più che di quantità).

E allora Renzi diventi “rinnovatore” in Italia (a partire dalla composizione del governo che va a proporre a breve, per proseguire con le nomine di primavera nelle grandi aziende pubbliche) e in Europa (nel semestre europeo a guida italiana si faccia portatore delle istanze dei Paesi del Sud Europa, richiedendo a Brussels l’avvio di quei cantieri europei di crescita sostenuti dalla leva pubblica).

Contestualmente apra il governo e il Partito Democratico al contributo di variegate energie esterne presenti nel mondo dell’associazionismo e della piccola e media impresa. Lì risiede gran parte dell’energia vitale del Paese, soffocata in questi anni di austerità e di centralismo decisionale, che va adesso messa al centro della ripresa economica e sociale italiana.

Insomma, verificate nei prossimi giorni le condizioni politiche per un governo di riforme, si utilizzi questo forse irripetibile momento per “cambiare rotta” sul serio al Paese.

Se riuscirà nel 2014 su questi temi, Renzi potrà tornare alle urne da “costruttore” per vincere la vera “missione impossibile” italiana: quella di portare il centrosinistra al governo pieno del Paese, attraverso i voti degli elettori, e non ad accordi di “larghe o medie intese”.

 

Renzi e l’elogio della follia

di Francesco Grillo

Forse non è la meno battuta delle strade, ma certamente è strettissimo il cammino che Matteo Renzi ha scelto per riuscire in un’impresa che sfugge a chiunque da vent’anni: fare uscire l’Italia dalla palude. Il leader del Partito Democratico, infatti, deve riuscire in tre imprese titaniche: riavviare un’economia in recessione da nove trimestri; realizzare una nuova legge elettorale, portare a compimento le riforme costituzionali senza le quali la stessa legge elettorale non può entrare in vigore. Perdere anche solo una delle tre partite comprometterebbe il risultato finale e la complicazione è che in tutti e tre i casi condizione necessaria per riuscire è il supporto continuo di quelli che, in teoria, sono suoi avversari politici (la minoranza del PD,  il Nuovo Centro Destra, Forza Italia). I rischi politici sono elevati quanto quelli che corre un soldato che arrivato in trincea decide di uscirne andando all’assalto con la baionetta provando a trascinarsi dietro un esercito stanco.

Tuttavia, se fu un principio di razionalità cartesiana tipico di certi grandi burocrati quello che ha guidato e frenato Enrico Letta, sembra invece l’”elogio della follia” di Erasmo, lo stesso citato spesso da Berlusconi, ad ispirare Matteo Renzi. L’intuizione potrebbe, in effetti, essere giusta: trasformare in forza quella che sembra a tutti un’evidente debolezza.

In effetti, il tentativo del leader del PD è anche l’ultima spiaggia per un intero Paese arrivato al capolinea. Se la politica italiana fallisse, l’Italia si troverà ad aver esaurito tutte le sue “riserve della Repubblica” e la società italiana avrà, forse, perso la sua ultima speranza. La disperazione è, peraltro, una forma di assicurazione sulla vita per Matteo: nessuno dei suoi concorrenti (incluso Berlusconi) ha davvero voglia di sostituirlo perché nessuno di quelli che hanno provato negli ultimi vent’anni a governare una crisi difficilissima è riuscito a trovare soluzioni e tutti – anche quelli arrivati con maggioranze e aspettative ben superiori – sono stati regolarmente sconfitti appena si è tornati alle elezioni. Inoltre, i costi di un fallimento risulterebbero enormi anche oltre i confini nazionali riportando sull’orlo del baratro l’unione monetaria che ancora gode di salute malferma: ciò è un’ulteriore opportunità, a patto che Renzi la usi per costruirsi una rete di alleanze e protezioni di cui è quasi completamente sprovvisto.

Se dunque la forza di Renzi è l’inevitabilità del cambiamento, vale la pena usarla per imporre – subito – una road map per uscire dalla depressione. Il metodo è proprio quello suggerito dal più improbabile degli alleati del Sindaco, Angelino Alfano, secondo il quale sul famoso file excel devono esserci: il nome delle quattro, cinque cose indispensabili per rianimare un Paese bastonato; la definizione dei tempi e, soprattutto, delle responsabilità di ciascuno di tali compiti. Del resto, il titolo della sfida e i nomi dei capitoli sono chiari. La montagna da scalare si chiama una drastica riduzione della spesa pubblica che consente di ridurre e semplificare le tasse, condizione indispensabile per ricominciare ad avere impresa, e spostamento della spesa stessa da utilizzi improduttivi ad investimenti sul futuro.

Più in particolare.

Non ha futuro un Paese che, tuttora, spende in pensioni – il passato, cioè – – tre volte e mezzo quello che spende in educazione – dunque nel suo futuro – dagli asili nido all’università: occorre che un Governo che prenda le questioni di petto, aggredisca la questione dello stock delle pensioni esistenti usando i risparmi (che possono essere ingenti) in un drastico aumento di competenze a tutti i livelli.

Non ci si può più permettere la convocazione di un altro esperto di revisione della spesa per poi fargli partorire topolini ridicoli, dopo aver smosso montagne di negoziazioni con i sindacati. È il tempo di Renzi ed è il momento che qualcuno dica finalmente la verità – e cioè che nessuna revisione può essere intelligente se non e’ possibile toccare gli impiegati pubblici – e cominci a realizzare a casa propria (magari tra le società partecipate dal Ministero dell’Economia) qualche robusta razionalizzazione sulla base della valutazione dei risultati.

Non si può più blaterare di attrarre investimenti esteri o rimproverare alla FIAT di “scappare”, se non ci dotiamo – in non più di due anni – di una giustizia e di un fisco che funzionino in maniera normale (altro che perdere mesi nella rimodulazione dell’IMU), dando a tutti la certezza dei propri obblighi e dei propri diritti nei confronti dello Stato e degli altri cittadini.

E si dovrebbe vietare l’ennesima lamentela sulla mancanza di risorse per la cultura e per il turismo, se uno che per mestiere ha fatto il Sindaco di Firenze non ricorda il primo giorno da Premier che è uno scandalo senza fine che il primo museo italiano – quello degli Uffizi – secondo la classifica dei musei più visitati del mondo è solo al ventisettesimo posto. Saremmo di fronte all’ennesimo appello retorico se non riuscissimo a portare ad un livello almeno paragonabile a quello della Spagna la spesa per la valorizzazione dei beni culturali (spostandovi risorse dalla difesa, ad esempio, che costa all’Italia venti volte più della cultura) e se qualcuno non stabilisse – una volta e per tutte – che i singoli musei non sono più monopolio dello Stato concedendone la gestione a fondazioni autonome, come accade negli altri Paesi europei.

Infine l’Italia non potrà dire di aver superato i vent’anni di letargo, senza una legge elettorale ed un assetto istituzionale che consenta ai cittadini di contare e alla politica di decidere.

Un’Italia che mettesse finalmente in ordine la sua casa, avrebbe, finalmente, le carte in regole per dare un contributo ad un progetto europeo di cui è socio fondatore. La sconfitta, al contrario, rischia di far esplodere quel progetto. Tutto è possibile ma tutto si gioca in pochi mesi, settimane.

Sono queste le sfide e ad esse va fatto corrispondere – proprio come nell’esempio di un progetto di turn around – compiti specifici, tempi, responsabilità. A viso aperto, facendo seguire all’orgia dei simboli, una successione efficiente di interventi.

Se anche solo uno dei tasselli necessari per vincere la missione impossibile venisse meno, l’unico piano B per Matteo a quel punto diventa andare alle elezioni,indicando per nome e cognome la responsabilità di chi ha fatto venir meno il suo contributo al piano di salvataggio dell’Italia. L’alternativa è farsi bruciare a fuoco lento e, purtroppo, su quella graticola finirebbe un’intera società e persino categorie privilegiate che non possono non sapere che non ci sono più soldi per sostenere quei privilegi.

Democrazia e disuguaglianza

di Giuseppina Bonaviri

In Italia, dagli ultimi dati aggiornati CGIA, una famiglia su quattro versa in condizioni di disagio sociale. Nel 2012 1 famiglia su 4 ha presentato tre tra le difficoltà che si contemplano nell’indice sintetico di deprivazione – deprivation index- e che corrisponde alla misura dello svantaggio socio-economico, espressione dell’impossibilità al possesso di almeno una delle seguenti classi di risorse predittive dello stato di salute e dell’accesso ai beni di servizi: materiali, culturali, di potere, di sostegno sociale. Il 2,4% delle famiglie non si può permettere l’acquisto di una tv, di un telefono o di un’auto; il 50,5% non può permettersi una settima di vacanza fuori da casa; il 17,5% non accede ad un pasto adeguato se non solo ogni due giorni e il 22% non riesce a riscaldare la propria abitazione. Sono in condizioni di povertà assoluta il 6,8% dei nuclei familiari, meglio dire, più di 4,8 milioni di persone. Gli studi sull’origine delle disuguaglianze ci porta a decodificare la salute in termini di mortalità, morbilità e di bisogni sanitari che rientrano nelle misure della qualità di vita. Ciò ci lascia prevedere che se si continuasse con l’abdicazione dal pubblico necessiterebbero con urgenza nuove strategie di welfare del Paese. E paradossalmente, mentre con un decreto di qualche giorno fa la Casa Bianca riduce la diseguaglianza economica aumentando il salario minimo ed introducendo una sorta di scala mobile capace di indicizzare la cifra oraria pattuita all’inflazione, in Italia si intravede il furto persino sull’8% che non sarà destinato più ad azioni sociali ma utilizzato come salvadanaio dal governo.

La rappresentazione della società che, nei giorni scorsi, è emersa poi dai dati resi noti da Bankitalia conferma lo stato della diseguaglianza socio-economica che rallenta il passo all’economia e ai processi di democrazia e di inclusività. Crescita della diseguaglianza, povertà, restringimento della partecipazione elettorale, appaiono le regole del gioco perverso che “viaggia parallelo alla indifferenza verso la politica e alle sue attuali procedure verticistiche” scenario, quest’ultimo, che ben si coniuga con l’immagine di una società sempre più diseguale e divisa. I dati di Bankitalia confermano, anche, il “progressivo peggioramento del reddito familiare medio e di un allargamento della forbice tra chi può e chi non può come i poveri relativi, gli impoveriti e a rischio di povertà”.

Si assiste da un lato alla crescita della concentrazione dei redditi e dall’altro alla aumentata povertà di chi già non ha essendosi raddoppiata, negli ultimi quattro anni, la fascia di coloro che sono caduti in povertà. La ricchezza si è così concentrata nel 64% della popolazione: poco più di due terzi dentro, tutti  gli altri fuori. E’ evidente che l’andamento della forbice sociale abbia ricadute, allora, anche sulla politica. Avendo, così, la partecipazione subito un declino progressivo negli ultimi 20 anni alle ultime consultazioni politiche hanno votato circa il 75% alla Camera e 70% al Senato “cifre che rispecchiano quelle relative al numero delle persone nelle mani delle quali sta la ricchezza”. A conferma rimare un dato: la politica è praticata da chi meglio si posiziona nella società perché, non avere la propria voce rappresentata non comporta migliorie in termini di diritti e uguaglianza. “ Il divario che nasce tra classi sociali, elettori, cittadini e politici corrisponde ad una società sempre più divisa, con pesi sociali sempre meno proporzionati e sempre più ineguali”.

Per quanto ci riguarda, poi, il nostro entroterra sta anche facendo i conti con un alto tasso di dispersione scolastica –epifenomeno che stiamo studiando- mentre appare sempre più chiaro che non si può continuare a ragionare solo in termini di emergenza compromettendo servizi essenziali come scuola, sanità, lavoro. Restituire trama e protagonismo alla nostra Provincia ci pare l’atto più alto e generoso che si possa fare. Le nostre istituzioni locali possono lavorare meglio di quanto possa fare lo Stato centrale.

E, in questa direzione, va il Patto di Solidarietà Sociale istituito dalla Provincia di Frosinone. Si sta lavorando ad interrompere le accresciute disuguaglianze e l’indebolimento del tessuto sociale. Il nostro percorso intende favorire la valorizzazione dei talenti di ognuno, rilevarne le competenze mettendo a frutto progetti equi a garanzia di giovani, donne, aree svantaggiate, rilanciando in condizioni di pari opportunità coesione sociale, competenze aggiornate, capitale umano. Il lavoro provinciale che abbiamo avviato è a garanzia di quel benessere che, passando dall’istruzione, rappresenta il vero investimento per le giovani generazioni. Stiamo rimettendo in moto speranze individuali e collettive a vocazione territoriale.

Il ritorno di un principe

 di Rocco Pellegrini

Parlo di principe in questo contesto nell’intenzione con cui ne parlava Machiavelli. Il principe è un progetto di potere per governare, sviluppare e dirigere un popolo e chiedo al mio lettore di non lasciarsi forviare dall’aspetto aristocratico della parola stessa che, anche Gramsci, per stare a sinistra, considerava il progetto di fondazione del PCI come il principe della sua epoca.

Dunque oggi Matteo Renzi si gioca la carta del principe.

L’ultimo altro grande progetto analogo, pur nelle profonde differenze programmatiche e di idea stessa di civiltà e di stato, è stato fatto da Silvio Berlusconi che non ha caso è stato il politico di riferimento dell’ultimo ventennio sia nei fatti che nell’immaginario collettivo del paese.

Mi raccomando, piaccia o meno è del tutto secondario.

Per capire quel che succede bisogna, almeno per qualche minuto meglio per qualche ora, sollevare la testa dal chiacchiericcio che ci avvolge e ci condiziona e provare a pensare in grande. In fondo la politica svolge un ruolo così importante nella vita sociale perché organizza la nostra vita stessa come specie e, dunque, è bene ogni tanto ricordarsi di ciò, di questa sua funzione centrale piuttosto che pensarla, come purtroppo troppo spesso essa è, soltanto imbroglio, mercato delle vacche, corruzione e disgusto.

Insomma cerchiamo di volare alto per quanto possibile per ognuno di noi.

 

Renzi ha scalato il partito democratico, rinnovandone completamente la classe di prima fila. Non descrivo come che tutti lo ricorderanno ma ricordo che nessuno credeva possibile quel che lui si era ripromesso di fare.

Il PD, per quanto sfasciato e ridotto male dall’incuria e la debolezza culturale del gruppo dirigente che lo  ha governato negli ultimi 20 anni, resta ancora l’unica forza democratica che c’è in Italia.

Tutti gli altri, nessuno escluso, sono partiti padronali, cordate di potere pure, insomma strapuntino per la mangiatoia.

Dunque Renzi ha scalato l’unico partito che c’è in Italia degno di questo nome, dove esistono sezioni, federazioni, gruppi regionali, circoli culturali, insomma un insediamento popolare e diffuso.

Ha vinto nettamente congresso e primarie superando la primitiva debolezza del rottamatore, che pure era stata importante per scassare le vecchie  fragili certezze, ed oggi che il PD è saldamente nelle sue mani ha preso l’iniziativa a tutto campo sparigliando completamente i suoi avversari e cambiando drasticamente il quadro politico italiano.

La prima mossa è stata il cambiamento delle istituzioni coinvolgendo le opposizioni.

La seconda mossa, proprio in queste ore, la proposta di un governo di legislatura.

Sul primo punto non parlerò perché, alla luce del secondo, è solo una mossa preliminare.

Quanto al secondo, invece, spendo volentieri qualche parola di riflessione.

 

C’è una crisi delle istituzioni e del rapporto tra la politica ed i cittadini.

E’ sotto gli occhi di tutti e basta ricordarla.

Questa crisi di consenso è fortemente aggravata dalla crisi della società che vuol dire mancanza di lavoro, difficoltà di funzionamento della macchina pubblica, stagnazione della vita nelle città… Insomma quella tragedia che viviamo tutti i giorni e che ormai ci terrorizza tutti perché non si vede via d’uscita e perchè la risposta delle istituzioni che sono abilitate a farlo, soprattutto il governo, è senz’altro debolissima.

 

Chi mi segue sa che io spesso chiamo Enrico Letta, Barzel Letta.

Sia chiaro Letta è un uomo serio, stimabile, efficiente ma starebbe bene nel dipartimento di stato americano a rappresentare corazzate spaventose e poteri sublimi.

Qui in questo traballante fortino esposto a tutti i venti, in questo mare in tempesta che è la repubblica italiana sotto l’attacco continuo dei mercati finanziari e della competitività darwiniana della nostra epoca, il governo di Letta è rassicurante quanto sapere che l’esercito che ci difende è sotto il comando della principessa sul pisello.

Letta è del tutto inadeguato a fronteggiare questi marosi mentre, probabilmente, sarebbe un ottimo manager per qualcosa di forte e di compiuto.

Renzi è un ruspante, è più italiano, in tutti i sensi, meno zen e più bulimico, insomma uno di noi e soprattutto è uno che non vuole rassegnarsi a sorridere sulle macerie, a spiegare i suoi compitini mentre la crisi strozza le famiglie e distrugge la ricchezza della nazione.

Qui non ci si può rassegnare a questo andazzo, non si può più vedere una classe dirigente che sorride sulle macerie e che si fa buddhista, col tutto il rispetto che merita quella grande regione, trovando il Nirvana lei ma lasciando noi negli inferni.

Qui ci vuole qualcuno che provi a buttarsi nella mischia, nella tragedia della vita quotidiana di tanti per portar sollievo, con norme concrete, con fatti e non col pareggio di bilancio del cavolo che fa star tranquilla la burocrazia di stato ma fa suicidare gli imprenditori veneti e siciliani e dannare i vecchi minacciati da Equitalia.

E’ chiaro che Renzi stesso, e tutti quelli tra di noi me compreso che sono lineari, avrebbero preferito che il PD si sottoponesse al giudizio elettorale per arrivare al potere ma il tempo per questo processo adesso non c’è.

Nessuno lo può negare se è ragionevole. La crisi è troppo forte per il rispetto delle forme.

E quando dico forme, lo dico sul serio, perché per il governo ci vuole innanzitutto la legittimità.

Le istituzioni repubblicane sono state rinnovate circa un anno fa e dunque quelle che ci sono oggi sono del tutto legittime.

Non v’è, dunque, alcuna forzatura nell’evitare l’ennesima conta elettorale perché questo è un regime parlamentare e non esiste alcun governo eletto dal popolo nella costituzione italiana.

Queste sono menzogne berlusconiane, ne abbiamo già parlato e per me, su questo punto, finisce qui.

Si può parlare, certamente, di maggiore opportunità in una nuova tornata elettorale, questo si.

Ma dopo il giochetto della corte costituzionale e la risposta Renzi Berlusconi questo paese dovrebbe stare ancora per 8-10 mesi a bagno Maria, in mezzo al guado dell’inazione e del barzellettismo leninismo.

A Renzi sembra non giovare fare quello che fa ma lo fa.

Oggi mi ricredo: ha ragione lui. Meglio l’impegno diretto che l’inerzia.

Non c’è il tempo per tanta filosofia e tanta carineria istituzionale.

Il PD ha già la forza ed i numeri coi suoi alleati per cambiare verso e cambiare politica e mettere le mani nella merda che ce ne è davvero tanta.

Riuscirà a farlo?

E’ difficile lo so ma è l’unica cosa possibile e ragionevole.

E ci vuole un coraggio grande come una casa.

Ed è per questo motivo che io gli auguro ogni successo.

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