Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Il network come metodo. Francesco Nicodemo, voce del Pd

Originario  di Lauria superiore, ecco chi è l’uomo che organizza la comunicazione del Partito democratico.

di Sara Lorusso (Quotidiano della Basilicata)

Il network come metodo
Francesco Nicodemo, voce del Pd di Renzi(foto gonews.it)

POTENZA – Cominciamo dalle origini. «La mie? Orgogliosamente lucane», twittava qualche giorno fa.

Di Lauria superiore, per la precisione. Il papà di Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione del Pd, è arrivato a Napoli dalla Basilicata anni fa per studiare e poi ha messo su famiglia. Ma Francesco, classe ’78, a sua volta da Napoli a Roma con – racconta nella bio – il pallino per i Radiohead e la politica, in Basilicata torna spesso. Un’infanzia passata a lungo qui tra mare e montagna, a zonzo tra i luoghi di famiglia, le contrade dove erano cresciuti i nonni; oggi in estate tappa a Maratea. Ricordi densi di una terra che «accidenti quanto è bella». Uno per uno, cita tutti i paesi della costa tirrenica, gira a largo, poi approda mentalmente nell’entroterra. «Al Pollino, a quei paesaggi, sono legato. Molto».

Matteo Renzi ha chiamato Francesco in segreteria,  a organizzare il partito anche in rete, a costruire  la comunicazione democratica tra luoghi e digitale. «È che non c’è differenza tra l’abitare la rete e il paese reale. Cittadini. Perché dovremmo prediligere un luogo, o un canale, piuttosto che un altro?»

La capacità di Renzi, spiega, è anche lì. Non basta twitter, non basta il sito, né solo la tv. Comunicazione integrata perchè quello che conta è saper spiegare alle persone e poi ascoltarle. In uno scambio di messaggi, feedback, reazioni, informazioni che viaggia dal centro alla periferia, e poi tra nodi di periferia, e torna al centro. «Circolarità» restiuisce l’idea.

Francesco fa parte di una squadra giovane, il pragmatismo conta. «È un problema di coerenza: il metodo della velocità, la spinta a fare, non è un vezzo, solo l’urgenza del Paese».

Lo sforzo è restituire fiducia alla popolazione. La parte difficile è nel legame con i territori, dove le storie si mescolano, le comunità devono ricucire, superare disfatte e ripartire. «Con i congressi il partito deve anche ritrovare un ruolo, essere un po’ cinghia di trasmissione tra il governo e le comunità e ritorno. Se Renzi sceglie di andare nelle scuole è per stare dove la struttura del Paese si ricostruisce».

Fare network. «Perché il renzismo non funziona se è una corrente. Preferisco pensarlo come metodo di cambiamento». Che parte dalla disintermediazione a cui il premier sembra tenere molto. «Servono risposte, spetta a chiunque si candidi a essere classe dirigente».

Al sud, ripete spesso, vale persino doppio. «Dopo anni di lamentele sulle risorse tagliate, forse è il caso di ripensare al rapporto tra fondi erogati e risultati ottenuti».

La Basilicata è un po’ caso a sé. Premiata sempre per la spesa dei fondi comunitari, ricca di risorse naturali, petrolio da poter sostenere a livello energetico mezzo Paese, però povera da primato.

«La cosa che mi colpisce ogni volta che torno è l’assenza di sistema. Penso, per esempio, all’agroalimentare. Non c’è paese, contrada, angolo di questa regione dove non ci siano sapori o prodotti straordinari, spesso riconosciuti e molto richiesti. Manca, però, una rete, sono tutte esperienze isolate. Mi aspetto un po’ più iniziativa dall’impresa privata. Al pubblico, invece, il compito di costruire gli asset principali dello sviluppo locale».  Formazione, infrastrutture, superamento del digital divide. «In Basilicata ci sono alcuni temi forti, che mescolano necessità e opportunità. Vale per il green job, per il turismo e la cultura».

La direzione da seguire, giura, resta quella dello sguardo in Europa. Soprattutto ora che è già campagna elettorale. «Vorrei un Pd delle cento piazze», dice Francesco. E lo dice spiegando ancora «che la differenza online/offline non ha più senso, e la politica deve capirlo. Organizzare una comunità politica in rete, coinvolgerla, ascoltarla, significa affiancare quelle stesse persone anche nel porta a porta».

La lezione «dovremmo averla imparata. È già successo: mentre noi ci chiudevamo nei teatri, altri si prendevano piazza San Giovanni. Il Pd non stava capendo». Ora,  magari, «è la volta buona».

A Frosinone: Tavolo di progettazione provinciale per un Patto di solidarietà sociale

Campagna di sensibilizzazione “Diamoci la mano” contro discriminazioni e violenze di genere

Parte oggi, con una Marcia di solidarietà una importante iniziativa del Tavolo di progettazione provinciale per un Patto di solidarietà sociale:  la Campagna di sensibilizzazione “Diamoci la mano” contro discriminazioni e violenze di genere che vede la partecipazione di molti comuni  e scuole della provincia. L’ iniziativa, che si articolerà in Ciociaria per tutto l’anno 2014, vuole offrire una via di fuga dagli stereotipi intransigenti e deformanti ed uno sguardo positivo rivolto alla difesa delle differenze.  Quelle differenze che sono parte integrante dell’essere: normali, naturali e tutte rispettabili e apprezzabili. La battaglia è contro i luoghi comuni e gli atteggiamenti  di esclusione che minano i cardini delle società civili.

Le discriminazioni, di ogni ordine e tipo, sono un male diffuso e corrosivo, un nodo sociale che deve essere sciolto e risolto con consapevolezza.  Uno degli obiettivi principali della Campagna  è di continuare a promuovere la “cultura del rispetto”:  il rispetto della persona, dei diritti e delle differenze.  La paura del diverso, oggi, rischia di diventare un automatismo che, producendo atteggiamenti difensivi , sfocia in espressioni penalizzanti e selettive. Una raccomandazione della Commissione Europea già nel 2012 invitava tutti i Paesi dell’Europa ad armonizzare i loro ordinamenti e sanzionava i reati di omotransfobia perché una società democraticamente adulta deve essere  tollerante, armoniosa, attenta ai temi dei diritti e della dignità delle persone tutte. Non si può rimanere incuranti al tema dell’inclusione dei diritti come delle donne vittime di abusi, della uguaglianza di genere, delle pari opportunità, del coming out, dei migrantes e, per completezza  di intenti,  al rischio dell’appiattimento dei nostri territori più piccoli previsto silentemente nella riorganizzazione del federalismo tra centro e periferie, gravissima criticità dei tempi che cambiano.

Lo scopo principale della giornata è quello di far riflettere su tanto delicato tema e di portare, all’attenzione dell’opinione pubblica, quanto finora sommerso. Promuovere un piano annuale, in sintonia con i comuni e le scuole nell’ambito delle rispettive competenze, nella cultura del cambiamento e dell’inclusione sarà il prossimo livello di intervento. La prevenzione ed il contrasto di ogni tipo di violenza e discriminazione va supportata con iniziative di studio e di approfondimento come l’avvio di corsi nelle scuole all’educazione sentimentale e alle relazioni, di confronto  e riflessioni, con il coinvolgimento della società civile, di alunni e genitori, docenti  e paritariamente di tutti gli amministratori, fuori dalle stretture gestionali.

Nasce l’esigenza di un protocollo di intesa volto a tematizzare le criticità del contrasto, della violenza  e della legalità all’interno di una Rete integrata reale quale network tra istituzioni, società civile ed istituti scolastici per cogliere al meglio sinergie di azioni e scambi di esperienza. La Campagna intende, infine, lanciare un concorso di idee rivolto agli studenti di ogni ordine e grado e al mondo della Cultura affinché si possa dare vita ad una banca dati che consapevolizzi  sulle necessità di adozione di buone pratiche e dove il singolo cittadino possa attingere liberamente creando quel substrato necessario al riscatto e alla legittimazione di una “svolta”.

Vogliamo affermare quel cambiamento capace di superare gli stereotipi che hanno fin ora ostacolato la democrazia paritaria. Il contrasto alle azioni di violenza sulle donne come del bullismo necessita di un percorso di approfondimento del fenomeno tale che  i fattori culturali e sociali, in cui la violenza trova espressione, siano estirpati alle radici. In considerazione dell’alto valore civile ed educativo dell’iniziativa ci auguriamo  un’ ampia collaborazione anche nel proseguo della iniziativa. Si continuino ad assicurare, alla collettività dei piccoli comuni, tutele e legittimazioni tramite la futura e condivisa pianificazione di una macroarea visionaria ed innovativa. Puntare sulla forza virale del massaggio, sulla libera circolazione in Rete consentirà ai pregiudizi di lasciare il posto ad un pensiero  razionale proiettato all’inclusione, con una maggiore attenzione ai diritti umani  tale che lo svantaggio sociale possa diventare una eccellenza della nostra terra.

Resta ancora molto cammino da fare per raggiungere l’obiettivo che era stato fissato e bramato dai nostri costituenti: pari dignità, giustizia e diritti per tutti i cittadini, inclusione sociale. Noi ci crediamo. Andremo avanti  reputando che un paese equilibrato avrà un futuro migliore.

Tante diversità, si, ma uguali diritti per tutti.

                                                                                          

                                                                                       La Presidente

                                                                                                              Giuseppina Bonaviri

 

Palazzo della Provincia di Frosinone, 08 marzo 2014.

Frosinone – L’8 marzo sarà commemorato con una marcia contro le discriminazioni e le violenze di genere

L’8 marzo avrà luogo a Frosinone una marcia di solidarietà che si articolerà parallelamente ai Comuni della Provincia che hanno aderito a simboleggiare una catena umana solidale. Alle ore 10 presso il Salone dell’Amministrazione provinciale le scolaresche incontreranno le autorità locali per il saluto istituzionale per poi mettersi in marcia raggiungendo Largo Turriziani dove le-gli allieve-i del Conservatorio di Musica L. Refice si esibiranno con un concerto.

Ciò nell’ambito delle attività che si sono attivate nel Tavolo di Progettazione Provinciale per un Patto di Solidarietà Sociale. L’8 marzo è, dunque, una Giornata di mobilitazione per la Campagna di sensibilizzazione ”Diamoci la mano” contro le discriminazioni e le violenze di genere che proseguirà per tutto l’anno 2014, con iniziative e dibattiti che toccheranno tutti i comuni della ciociaria.

Il Commissario Patrizi e la Presidente del Tavolo Dott.ssa Giuseppina Bonaviri ritengono doveroso un impegno a 360 gradi sostenendo che “ valori e metodi sono prassi da consolidare per un impegno futuro unitario ed equo dell’ intero territorio. Si è attivato un percorso di consapevolezza e responsabilizzazione che tra le priorità vede l’ aggregazione di un network di scuole e comuni della provincia per sviluppare incontri, seminari, dibattiti assieme alle realtà locali di settore, gli assessorati alle pari opportunità, gli assessorati alla cultura, gli assessorati alla formazione e Alta Istruzione, i servizi sociali, associazioni di volontariato e cittadinanza attiva. Collaborare per innovare.

Dobbiamo cambiare nel profondo lavorando all’unisono – aggiungono Patrizi e Bonaviri – per modificare modelli culturali inadeguati e rendendo socialmente approvabili tutti i comportamenti di rispetto reale delle differenze. Ripartire chiamando ad una vitale responsabilità i soggetti istituzionali e i privati. Così, certamente, solleciteremo quel senso di responsabilità sociale diffusa necessario al rinnovamento delle nostre coscienze e delle nostre Istituzioni”.

8 MARZO 2014 #Rompiamolecode – Pari o Dispare

Il bel video delle amiche di Pari o Dispare.

E a Frosinone domani, 8 marzo, dalle ore 10 presso il salone dell’Amministrazione provinciale di Frosinone, partirà una marcia di solidarietà contro le violenze di genere e discriminazioni promossa dalla Rete La Fenice.

Il programma elettorale dopo la caduta delle ideologie di partito

CIVITAVECCHIA – Proseguono le riflessioni del Centro di Sviluppo Politico e Sociale cittadino sulle amministrative, sui candidati sindaci e candidati al consiglio comunale e più in generale sulla vita politica che anima la nostra città. Questa volta nel mirino il programma elettorale.

“Dopo aver trattato della situazione politica locale e dei valori di cui i nuovi politici dovrebbero essere i portabandiera, il think tank CSPS passerà alla disamina di come sembra venga interpretata la campagna elettorale da un po’ di anni a questa parte: un’arena per la conquista dei consensi.

Con la caduta delle vere ideologie di partito e l’ibridizzazione dei partiti, riteniamo che il programma politico, soprattutto a livello locale, debba essere parte fondante della campagna elettorale dei candidati. Tuttavia, ciò che si sta vedendo in questi mesi, è la lotta tra gruppi della società civile, individuati nei partiti e nel porto. La macchina del fango instauratasi tra i vari interessi rischia di avere sempre più il sopravvento sulle problematiche e i problemi della città. Ciò – secondo il CSPS – mette in mostra quanto la politica sembra travisare i bisogni concreti dei cittadini per cercare di affossare il proprio avversario attraverso metodi personalistici piuttosto che collettivistici.

In un sondaggio pre-elettorale da noi ultimamente realizzato e chiamato “Sindaco per un giorno” sono chiaramente emerse specifiche aree che necessitano, secondo i cittadini, di interventi urgenti sul territorio. Tra queste il 57% della cittadinanza sente il peso, la lentezza e la mancata efficacia della macchina amministrativa. In questa sezione i pareri negativi espressi sono ricaduti principalmente sui soggetti che finora hanno occupato posti a livello politico e amministrativo-gestionale. Una Pubblica Amministrazione che appare dunque lontana dai cittadini, – spiegano – una macchina farraginosa che altro non fa che peggiorare la disillusione nei confronti dell’istituzione, che dovrebbe occuparsi di risolvere i problemi dei cittadini e non di sviarli attraverso abili argomentazioni.

Oggi come oggi la pressante crisi economica allontana sempre più le persone dalla politica, le quali non riescono a comprendere la vera utilità sociale degli attuali rappresentanti. Utilità che non viene dall’aprire vasi di pandora, da propaganda elettorale fine al voto o da promesse elettorali, ma dai progetti che risiedono alle spalle di quegli stessi candidati. Il programma, lo ribadiamo, – proseguono dal Centro di Sviluppo Politico e Sociale – deve sostituire la morte dei valori politici, strozzati da accordi e negoziati che hanno portato le vecchie ideologie ad assumere colori neutri e distaccati dal passato. Ad oggi serve un politico preparato, lontano da poteri forti e da interessi personali, che sappia cosa fare già a partire dalla prima settimana, visti i problemi onnipresenti ormai da anni nelle trame della nostra organizzazione pubblica e della nostra società.

Un politico con un programma elettorale e con personale competente, – chiudono dal CSPS Civitavecchia – che riesca a gestire le complesse problematiche interne dell’amministrazione”.

Renzi sì, anzi no

di Aldo Perotti

Matteo Renzi a me dovrebbe piacere. E tanto. Ha un curriculum da bravo ragazzo. Pulito. Scuola. Università. Parrocchia. Scout. La moglie (una). I figli. Il lavoro nella ditta di famiglia. Come storia personale sembra aderire perfettamente alle mie idee.

Essenzialmente un cattolico di sinistra, quindi teoricamente con una base di Valori adeguata e solida (dal mio punto di vista).
Potrei, dovrei, essere un suo convinto elettore.
Aggiungo che è bravo. Molto bravo. A parlare è decisamente molto bravo. Direi televisivo. Un ottimo presentatore e quindi in grado di raggiungere tutti, proprio tutti, gli elettori; in grado di raggiungere e parlare alla “pancia” del paese. Capace, e non è affatto scontato, di tener testa a molti, pure a Berlusconi (Prodi per riuscirci, a quei tempi, si dovette sforzare non poco).
E’ pure fortunato. Una carriera politica rapidissima all’interno del PD e nelle amministrazioni. Provincia, Comune e ora Palazzo Chigi. Un cavallo (o un carro) vincente, ed infatti molti scommettitori si spostano su di lui (oppure salgono direttamente sopra).
Ma mi domando: in un paese come l’Italia in cui le barriere per l’accesso a determinati settori, la politica tra questi, sono altissime; dove la scala sociale è sostanzialmente congelata come nell’India delle caste e nella Cina dei mandarini; e dove la meritocrazia consiste essenzialmente nel merito di essersi scelto i genitori e gli amici giusti e nel dirsi disponibili ad accettare il loro aiuto; è mai possibile che a 39 anni qualcuno meriti veramente di essere il più giovane capo del governo europeo, tra l’altro bruciando tutte le tappe ?
La risposta è no, non è possibile.
Se scorriamo il curriculum del nuovo capo del governo, dimenticandoci dell’età, non troviamo nulla, veramente nulla di eclatante. Ci sono decine di amministratori pubblici che per titoli di studio, per esperienza, per preparazione, sono sicuramente – almeno sulla carta – molto più meritevoli. Letta ad esempio, già deputato, già Ministro, ma con il grave handicap di non aver mai vinto alla ruota della fortuna… sigh, si presentava forse meglio.
Sarei portato a pensare che l’ascesa rapidissima di Matteo Renzi sia riconducibile al combinato disposto di tre fondamentali fattori: capacità oratoria, fortuna (al posto giusto al momento giusto) ed italico “sostegno esterno”.
  • Capacità oratoria: serve per farsi eleggere e convincere gli altri. E tipica dei commercianti. Non c’è garanzia sulla qualità del prodotto che loro si limitano a promuovere e non a produrre. Si rischia la fregatura. Vent’anni di Berlusconi dovrebbero avere chiarito anche ad altri l’idea.
  • Fortuna: il problema delle persone fortunate è che non si sa mai se la fortuna si possa allargare anche a quello che toccano. Nel senso che una persona fortunata non è detto che “porti bene”. Potrebbe essere fortunato solo per se. Ovvero se imbarco Renzi che è fortunato non è detto che la nave non affondi, anzi. Lui si salverà perché è comunque fortunato, gli altri no.
  • Sostegno esterno:  in Italia tutte le posizioni di potere sono collegate alla volontà di qualcuno di farti accedere a quelle posizioni nella convinzione che tu possa risultare, prima o poi, utile. In questo Renzi (cresciuto all’interno di un Partito) è assolutamente uguale agli altri e quindi, come tale, pieno di “debiti” da onorare e di “vincoli” da rispettare.
Si tratta di tutti fattori che ritengo  assolutamente non fondamentali per un buon capo del governo, anzi, sono caratteristiche che per il mio carattere suscitano una certa antipatia.

Fonzie (vi ricordate Happy Days), che è stato facilmente associato a Renzi, oltre ad un certo atteggiamento, aveva quasi le stesse caratteristiche, gli stessi fattori di successo. Capacità oratoria: Fonzie era ascoltato da tutti. Era carismatico. Dava i consigli giusti. Fortuna: Fonzie era fortunato. Gli riusciva tutto. Dava una botta e il jukebox suonava la sua canzone.
Però Fonzie sul fattore “sostegno esterno” era decisamente carente (figlio di immigrati italiani – Fonzarelli), ed infatti faceva solo il meccanico. Un bravo meccanico. Forse per questo, nel confronto, mi rimane più simpatico Fonzie che Renzi(e).
Ma comunque, fra tutti, ho sempre preferito ed ancora preferisco Richie.

Note sulla Crimea

di Gaetano La Nave
Per precisare qualcosa sulla questione della Crimea rispetto alla disinformazione in corso.
Innanzitutto questa cosa che scrivono i giornalacci di casa nostra che la popolazione della Crimea sia al 90% russa è assolutamente falsa. Ogni in Crimea, che ha meno di 2 milioni di abitanti, solo il 58% della popolazione è di origine etnica russa, ed è il frutto di una costruzione storica. Fino alla Rivoluzione d’Ottobre, infatti, la maggioranza della popolazione della Crimea era costituita dai Tatari (oggi sono una minoranza poco superiore del 12%), i quali per opporsi al processo di sovietizzazione in atto, decisero di proclamare la Repubblica Popolare di Crimea, protesa all’idea di costruire uno Stato autonomo e multietnico.
Ma questa ipotesi venne ben presto stroncata. Infatti, con la seguente Guerra Civile Russa,  la Crimea divenne uno degli avamposti  della resistenza contro l’Armata Rossa. Le carestie durante e successive al conflitto costarono  la morte della metà della popolazione; ed accanto a questo tragico aspetto, si aggiunse poi la politica di pulizia etnica staliniana, in perfetta continuità già con quella zarista iniziata nel ‘700, che si caratterizzò per la deportazione dei Tatari, le fucilazioni di massa di presunti oppositori, e  l’ulteriore russificazione del territorio.
Nel 1954, Krusciov, che era ucraino di nascita, in onore del 300° Anniversario del Trattato di Pereyaslav  decise che la giurisdizione della Crimea, che era divenuto nel frattempo un Oblast (una sorta di provincia), dovesse essere  – anche per prossimità geografica – dell’Ucraina. Questo passaggio non era mai piaciuto all’apparato moscovita. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Crimea decise di rimanere parte della nuova Ucraina indipendente, ma a causa della pressione del precedente ex-apparato filo sovietico le fu concesso lo status di repubblica autonoma all’interno della nuova Ucraina.
A Mosca, importava principalmente preservare la sua base navale di Sebastopoli, che le garantisce attraverso il Mar Nero e il Mediterraneo, la proiezione globale, e così nel 1997 fu varato un primo accordo per il mantenimento.
Nel 2010 quell’accordo è stato prolungato, i russi potevano mantenere le loro basi fino al 2042, in cambio però concedevano forti sconti (circa il 30%) all’Ucraina per l’acquisto di gas, tali sconti comporterebbero per Mosca una perdita stimata di 40 miliardi di dollari sui propri guadagni, considerata però necessaria per il valore delle proprie basi.
Oggi, in caso che la Crimea fosse annessa alla Russia, o ne diverrebbe Stato vassallo (non si sa con quali garanzie per le minoranze ucraine e tatare superiori complessivamente al 42%), i russi riuscirebbero dunque a preservare le loro basi, ma non garantirebbero più all’Ucraina gli sconti previsti per le indispensabili forniture energetiche, costringendo così Kiev a pagare il prezzo pieno.

Il mio nome è nessuno

  di Giuliana Cacciapuoti

Abstract

Le espressioni  per definire  le ragazze e i ragazzi nati o arrivati da piccoli in Italia sono molteplici; attraverso una panoramica delle differenti espressioni  e delle motivazioni  con le quali vengono catalogate/i -seconde generazioni, 2G, camaleonti ,sacrificati,  nuovi /e italiani/e-  si comprende che nessuna di queste descrive e definisce con chiarezza il loro status. Solo la riforma della legge di cittadinanza darà la giusta  definizione: di  nazionalità italiana.

Premessa.

E’  il momento, alla luce dei dati aggiornati dagli ultimi rilevamenti statistici e demografici (Istat Cnel Censis ISMU)[1]  di provare a conoscere da vicino, attraverso le  molteplici definizioni attribuite loro,  le nuove generazioni  dei figli e figlie di migranti. Trattando del  tema delle seconde generazioni  l’ assunto dal quale prendere le distanze all’inizio del 2014 è che l’immigrazione sia ancora materia relativamente nuova.  Ciò è vero se si paragona l’Italia a paesi quali Gran Bretagna o Francia[2] Canada o Stati Uniti. Il tema seconde generazioni  è per noi  recente ma da un decennio è un tema urgente nell’agenda politica  del paese. E’ bene poi ricordare  che la seconda generazione di cui parliamo non corrisponde ad una generazione temporale ”strictu sensu. Nel caso italiano”,  si  è seconda generazione in relazione ai propri genitori,  i migranti di prima generazione giunti in Italia  tra i primi anni 80 al 2006/7 del nuovo millennio. La particolarità e peculiarità della situazione italiana è stata  sempre in molti interventi da me sottolineata:  nel suo carattere di genere, più del 50% della popolazione immigrata è donna , per il saldo positivo che le nascite da madri straniere apportano alla crescita demografica del paese, per il modello culturale non scelto nel nostro paese[3]. L’Italia nella sua necessità di elaborazione del modello culturale in relazione alle migrazioni  ha saputo  produrre  solo un modello culturale  “oscillante” [4]in rapporto all’immigrazione, un pendolo incerto tra solidarismo e sicuritarismo, un’ambivalenza che si riverbera nella società e nelle risposte politiche e legislative della questione migrazione e generazioni. In realtà l’Italia ha perso “l’occasione unica” che le prime fasi delle presenze migratorie negli anno novanta offrivano;  in seguito alla indecisione cronica che ha determinato una NON scelta di un modello migratorio di riferimento, la non scelta ha addirittura prodotto fuori tempo massimo un Ministero dell’Integrazione ( Governo Letta aprile 2013-febbraio 2014)ha prodotto  una sistematica “problematizzazione” dell’immigrazione  in ambito accademico, una falsa contrapposizione di facciata tra schieramenti di sinistra e di destra, una distorta comunicazione nei media. A ciò si aggiunga la necessità tutta italiana di deviare risorse per sostenere progetti e situazioni transitorie, invece di fornire risorse per una  riforma strutturale coerente delle politiche migratorie, dotandosi anche di impianti legislativi solidi, includendovi una  riforma della Legge sulla cittadinanza.

Un malinteso concetto di autodefinizione  di Italia quale nazione accogliente, un generale autocompiacimento nella liberalità e magnanimità nazionale, hanno portato  a eludere l’infiltrarsi tra le crepe di una società in crisi,  dell’intolleranza e del  razzismo( aperto o strisciante )a ogni livello, alimentando la dialettica del NOI e LORO e del NON sono razzista MA…[5]  e impedendo un discorso diretto ma franco e realista nella sfera politica, accademica e nella società[6]. Gli sconcertanti fenomeni di violenza e aggressività sui campi sportivi e nelle strade ,le guerre tra bande tra i giovani maschi[7]( siano italiani immigrati o di seconda generazione in questo ambito la questione è di genere) le aggressioni  e pestaggi  a vittime inermi, ne sono spia. Il momento storico evidenzia  il declino della nazione. Il declino egemonico di una nazione è un fattore strutturale che incrementa la consapevolezza della ”differenza culturale”;  si preferisce conservare le proprie “tradizioni” locali anche in opposizione alle istanze positive e al cambiamento e affrontare così le istanze d’ integrazione nel migliore dei modi[8].

In ogni caso, conoscendo il quadro di riferimento,  elencare le parole per descrivere  ragazze e ragazzi nati nel nostro paese , ci permette di orientarci nel complicato mondo della generazione in cerca di un nome e  di una definizione giuridicamente valida, delineando allo stesso tempo attraverso il nome/nomen il destino/omen  di oltre un milione di persone.

Seconda Generazione

Esterni se non estranei alla società in cui crescono, studiano,  lavorano.  La definizione più utilizzata per catalogarli è “seconda generazione”  alla quale molte altre vengono aggiunte, cerchiamo di analizzare il perché di questi diversi appellativi.

La definizione di Seconda Generazione  secondo la Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1984 può essere  data ai  figli d’immigrati:

a) nati nel paese in cui sono emigrati i genitori;

b) emigrati insieme ai genitori;

c) minori che hanno raggiunto i genitori a seguito del ricongiungimento familiare,  e/o hanno raggiunto i genitori in un periodo  successivo a quello di emigrazione di uno o di entrambi i genitori.

La stessa Raccomandazione sottolinea che l’accezione di seconda generazione deve essere ristretta a quei figli che hanno compiuto nel paese di immigrazione una parte della loro scolarizzazione o della loro formazione professionale. Ciò che, quindi, sembra determinare il passaggio e lo scarto qualitativo dalla prima alla seconda generazione di immigrati è l’aver vissuto parte della socializzazione primaria e secondaria nel paese di accoglienza.

G2 e “Generazione del sacrificio”

Un termine molto usato per efficacia e brevità mediatica è G2.  Questa definizione illustra un’altra modalità di definizione delle seconde generazioni: i nati in Italia,  identificati in senso pieno come seconda generazione o  come G2 e i ricongiunti denominati  G1,5 ossia  generazione  1.5.[9]

Una definizione che cito spesso  perché ritengo definisca in modo molto chiaro la posizione  scomoda delle “seconde generazioni” è quella che diede l’attuale Segretario Generale della Fondazione ISMU Vincenzo Cesareo: (2004)”I minori immigrati sono la ‘generazione del sacrificio ‘ – afferma – in quanto generazione destinata a pagare gli alti costi del percorso migratorio familiare: essi sono migranti senza averlo voluto o deciso e devono adattarsi a una situazione in cui spesso i genitori sono logorati dal lavoro e dalla lontananza dal paese d’origine”. Una loro definizione potrebbe essere quella di  generazione del sacrificio: non hanno scelto un percorso migratorio e vivono sulla loro pelle le  scelte fatte dai loro genitori.” La vita dei bambini e delle bambine delle seconde generazioni  si dipana tra  aiuti e  affidi a parenti oppure  a estranei , senza i genitori si torna al paese d’origine,  oppure si vive in istituti,  strutture assistenziali anche religiose, molto spesso lontane dalla cultura della terra d’origine. L’arte di arrangiarsi e le relazioni  incentrare  sulla collaborazione” fai da te” per ragioni economiche stempera nell’affetto e la partecipazione umana come nel caso delle “mamme napoletane” che allevano  i bambini e le bambine cinesi al Lavinaio[10].

La definizione di questa generazione solo  nell’area del sacrificio rischia di essere fin troppo negativa, punitiva e rischia di falsare la realtà dei 2G.  Occorre certo considerare l’elemento della non scelta della realtà migratoria, a differenza della prima generazione, che questo processo di cambiamento l’ha voluto  e attuato in prima persona, con la prospettiva di un cambiamento positivo, ma non bisogna per questo porre l’attenzione solo al negativo.

La posizione della seconda generazione in Italia è certo  difficile. Questi  giovani sono sottoposti a una pressione notevole. La distanza con gli affetti  familiari nei primi anni di vita,  le difficoltà di  rincontrare i genitori dopo molti anni, nei casi di ricongiungimenti familiari, influiscono sulla formazione, sulla sfera affettiva ed emozionale, e la loro relazione e collocazione nella sfera pubblica ne subisce l’influenza. Le aspettative dei loro genitori sono molto alte e il successo scolastico è un altro elemento significativo nel loro background. Abbandoni e fallimenti scolastici sono altrettanti motivi di conflitti intergenerazionali, i successi soprattutto se in campi specifici della cultura italiana sono segno di piena integrazione ma a volte innesco di conflitti con le lealtà primordiali.

Una vera palestra per le prove tecniche d’interazione è  la scuola italiana, il reale luogo dove sperimentare le prove tecniche di interazione e cittadinanza. La definizione di “seconda generazione” citata del Consiglio d’Europa, è proprio quella  impegnata a vivere in Italia la socializzazione primaria e secondaria , che nella pratica , si svolge principalmente frequentando le scuole. Quando ciò non accade, le difficoltà e le incomprensioni possono aumentare.

Un fenomeno diffuso tra gli srilankesi è quello di far studiare i propri figli o nella madrepatria, quindi affidandoli a nonni o parenti prossimi, o a scuole private srilankesi in Italia perché la loro formazione possa essere prioritariamente in lingua inglese, necessario viatico a un inserimento di successo formativo e lavorativo in Sri-Lanka. Qualora i giovani di seconda generazione non scelgano di tornare al paese di origine ma di restare invece in Italia, li si sottrae  a un confronto con il contesto italiano.

I Camaleonti

Il conflitto con le lealtà secondarie, quelle del paese di  acquisizione dei genitori, dove poter praticare la dialettica e il confronto con la società della quale vogliono essere parte, diventa complesso e lacerante. La scelta deve esser  fatta ma con un travaglio interiore ed esteriore.  L’esempio precedente ci dimostra come le seconde generazioni molto spesso, loro malgrado, sono obbligate  a  districarsi tra conflitto di lealtà nei confronti dei genitori, che li vorrebbero nel solco delle tradizioni e della cultura di origine, e nei confronti della società alla quale sentono di appartenere. Questi giovani di seconda generazione vivono una doppia appartenenza culturale. Questo sottende, come è facile intuire, uno slancio affettivo verso entrambe le appartenenze, non senza contraddizioni. Ecco che essi sembrano voler compiacere tutti e due i mondi nei quali vivono: quello delle famiglie d’origine e quello che è al centro del loro presente, fino a sviluppare una doppia identità che si adatta a seconda delle circostanze al contesto in cui agiscono: camaleonti! Una definizione descrittiva  per le seconde generazioni  forse non pienamente gratificante ma di certo calzante oltre che stressante. La difficoltà non è tanto nell’essere a cavallo tra due mondi ,due culture, due lingue, due sfere di valori diverse, che caratterizza la dimensione di chi è una seconda generazione, quanto invece la richiesta pressante da un lato o dall’altra di effettuare una scelta di campo assoluta. Questo non è possibile, la ricchezza di ciascuna individualità sarà data dalla fusione dei diversi elementi delle contraddizioni. Le aspettative sia dei genitori sia della società italiana, l’ alternativa o con noi o contro di noi spinge  molti ragazzi e ragazze verso un limbo identitario, adattarsi alle circostanze e agli ambienti diversi secondo i casi. Meglio sarebbe invece dichiarare apertamente il proprio melting -pot come Sumaya Abdel Qader che già nel  titolo del suo romanzo dichiarava ”Porto il velo, adoro i Queen!”  [11]tanto da meritarsi il sottotitolo : nuove italiane crescono!

Questo sottotitolo introduce un altro termine e ambito che definisce  con una connotazione positiva e propositiva, la seconda generazione vista come  quella di  nuove e nuovi italiani, sebbene ancora  virtuale, aspettando appunto una riforma giuridica e legislativa, non ancora compiuta.

G2 a scuola

Il  luogo più significativo dove si gioca in pieno il percorso dell’inclusività e l’interazione , la riflessione e il confronto con le seconde generazioni,  è la scuola. La scuola fatta da persone che rappresentano al meglio la realtà  tangibile che ciascuno è formato da  identità multiple e le culture sono rappresentazioni di realtà complesse, nella loro costituzione  ibride e perennemente in evoluzione e movimento.  . L’utenza “di origine straniera” in Italia non è indifferenziata e il lavoro interculturale  di volta in volta fa riferimento  in ambito scolastico alla prima infanzia, alla scuola materna,  alla scuola elementare , alla scuola media o alla scuola superiore. Si deve occupare di  aspetti specifici quali  minori soli non accompagnati, minori rom,  bambine e bambini  che arrivano con il ricongiungimento familiare, oppure nate e nati  in Italia.  Un elemento da evidenziare  è  che quasi il 78% degli alunni stranieri  nella scuola superiore sceglie istituti tecnico – professionali, solo il 18% i licei, mentre tra gli italiani le percentuali sono del 55% e del 41%(Dati Miur). È una sproporzione che fa riflettere anche in considerazione del fatto che i genitori di questi alunni possiede  titoli di studio superiori. La popolazione  straniera adulta  in Italia per  21,1 %  è laureata a fronte del 7,1% della popolazione italiana(Dati Dossier Caritas).Osservando il grafico[12] si nota come ci sia stata l’annunciata e attesa  crescita esponenziale delle presenze di “nuova utenza” nelle nostre scuole statali e non statali.[13]

Sui banchi di scuola avviene il sorpasso delle seconde generazioni . Le nascite in Italia da genitori stranieri hanno subito un’accelerazione in seguito alla “grande regolarizzazione” Bossi-Fini del 2002-03.

La simultanea stabilizzazione (legale, lavorativa, previdenziale, abitativa, ) che ha interessato centinaia di migliaia di famiglie immigrate ha infatti provocato un’impennata di nascite, chiaramente osservabile a partire dal 2004. Quest’ anno scolastico 2013-14 vede nella scuola dell’obbligo i numerosi figli di quel baby boom.  Il loro ingresso nell’età scolastica ha due implicazioni: l’aumento degli studenti stranieri sui banchi della scuola italiana e, all’interno di questa popolazione, il progressivo sorpasso delle seconde generazioni in senso stretto (G2, per l’appunto i nati in Italia da genitori stranieri, oggi maggioritarie solo alla scuola dell’infanzia e nel primo biennio delle primarie) nei confronti delle “generazioni 1.5”, composte da ragazzi nati all’estero e arrivati in Italia dopo aver iniziato la scuola al paese di origine.   La ricerca pubblicata nel 2009 [14] di Rivellini e Terzera  oltre a sollecitare le Istituzioni ad afferrare l’attimo fuggente dell’ hic et nunc (speriamo non fuggito del tutto) di questi anni  cruciali per definire al meglio l’integrazione, ci offre altre definizioni per le seconde generazioni.  Le ricercatrici   individuano  quattro profili tipici e dunque altrettante definizioni per la categoria seconde generazioni individuati anche con una connotazione di genere: Gli integrati (24,6%): hanno amici sia italiani sia stranieri e li frequentano sia a scuola sia fuori. All’interno della classe sono popolari, ma soprattutto espansivi; hanno rendimenti scolastici in media, sebbene le ambizioni sul proprio futuro scolastico siano rivolte a scuole tecnico/professionali. Sono principalmente maschi e vi è un’accentuazione della presenza di adolescenti provenienti dall’Africa Sub-sahariana. Gli integrati “sportivamente” (21,1%): le amicizie italiane sono presenti ma legate esclusivamente alla squadra sportiva di cui fanno parte. In classe sono, infatti, ancora isolati poiché poco espansivi e popolari, e perché hanno rendimenti scolastici sotto la media. La percezione del “sentirsi italiani” è tuttavia paragonabile a quella manifestata dagli “integrati”. Anche in questo caso vi è una leggera prevalenza maschile, ma non vi è una specificità rispetto al paese d’origine. Gli integrati “scolasticamente” (31,7%): sono ben coinvolti nella vita scolastica sul fronte sia dei rendimenti (sopra la media) sia delle relazioni con i compagni. Sono il gruppo che più di altri si sente italiano e dove prevale l’aspirazione a proseguire gli studi anche nei licei. Tra di essi vi è equilibrio di genere, una presenza maggiore di figli di coppie miste (un genitore italiano e uno straniero) e una presenza in Italia più prolungata. Le  marginalizzate (22,6%): non hanno amici italiani fuori dalla scuola e la presenza di quelli stranieri è in media con gli altri profili. In classe sono isolati e non hanno altri ambiti di socializzazione, come ad esempio la pratica di un’attività sportiva. Questa volta sono principalmente ragazze, hanno performances scolastiche di basso profilo e sono incerte circa il loro futuro formativo. Prevalgono ragazzi con genitori asiatici o latino americani e da poco tempo in Italia. Altri studi in verità se si tratta di genere rilevano invece che sono le ragazze il punto forte del successo di integrazione nella società mentre i maschi sono l’anello debole, ma rimandiamo la questione a altri lavori e alla letteratura su questo tema. Quello che conta in questa sede, è che  nell’analizzare le diverse denominazioni e caratterizzazioni nell’ambito scolastico  si giunge al punto cruciale: qualsiasi sia la casella descrittiva e la denominazione data ai giovani di seconda generazione  a scuola o nella società   sarà sempre più evidente  la  frizione  tra l’enfasi sulla cittadinanza (in senso pedagogico) – sempre più diffusa nelle scuole – e le difficoltà di rispondere alla crescente domanda di cittadinanza italiana (in senso giuridico)[15]

Italiani con genitori stranieri.

A questo punto  la definizione di Bjørn Thomassen[16] più che  di  seconda generazione di (immigrazione) non si tratta  di italiani con genitori stranieri? Se si tratta di persone nate qui che vivono studiano parlano l’italiano ,l’Italia è l’unico paese che conoscono , tanto da farli autodefinire  Italiane e italiani senza ulteriori aggiunte. Lo studioso  propone di usare l’espressione “Italiani/e di prima generazione” che potrebbe identificare con maggiore precisione la nuova generazione di quanto faccia il termine 2G.

In realtà la soluzione semplice ci sarebbe. Riconoscendo i diritti di cittadinanza e riformando la legge, si potrebbe evitare ai membri di tante associazioni come  Rete G2, agli “Anolfini “ giovani dell’Associazione nazionale Oltre le frontiere,   ai Giovani 2G , al Forum nazionale delle seconde generazioni, i  giovani cinesi “associnesi” di  Associna, ai Giovani Musulmani d’Italia,  a Yallah Italia con  gruppo vivacissimo che vede impegnate moltissime giovani donne, alle Banat al Ghad , Le ragazze di domani, ai tantissimi i  gruppi Facebook blog e siti, di andare a caccia di una definizione o nickname , di trovarsi un’ appellativo che li descriva con efficacia.  Con la riforma delle legge 91 del 1992, la legge sulla cittadinanza [17] si ovvierebbe a una faticosa ricerca , all’ esercizio linguistico e semantico,  nel  reperire nuovi termini ;il risultato oltre che migliorativo della espressione linguistica avrebbe quale risultato finale sul piano giuridico politico e sociale, di togliere dall’ indeterminatezza  oltre un milione di giovani. La conseguenza del lasciarli senza un nome, senza la definizione di cittadina e cittadino italiano, è lasciare in sospeso numerosissimi adolescenti stranieri nati in Italia, senza offrire loro quella certezza dell’approdo alla cittadinanza italiana, così importante nell’età in cui si costruiscono le identità e i sensi di appartenenza.[18] Ultimo aspetto della questione che vogliamo  solo citare per la sua rilevanza ma non analizzare per la vastità del tema, riguarda la relazione tra “seconde generazioni” e la loro identità mista e di transizione, divisa tra l’essere minoranza culturale etnica e/o nel caso dei musulmani in Italia, minoranza religiosa.  L’integrazione nella società italiana di questa minoranza di fatto  egualmente tocca l’ambito della costruzione dell’identità e delle lealtà primarie e secondarie, con implicazioni molto importanti.

 Conclusioni

Le persone non possono vivere le loro appartenenze multiple costrette a scegliere tra una posizione o l’altra,  obbligate a  rientrare sempre in un gruppo di appartenenza. Nell’epoca della globalizzazione, del flusso continuo di  informazioni nell’epoca del sempre  connessi, occorre  rendere stabile e riconoscibile il concetto di identità. Non si possono  lasciare in bilico nella scelta tra una definizione assertiva della propria identità o della sua perdita totale, tra fondamentalismo  o disgregazione completa,  tra una serie infinita di definizioni per descrivere la loro posizione, giuridica o non, nella società  a cui appartengono. Tanti nomi è nessun nome, nessuna identità. Le posizioni e le opinioni possono essere le più diverse, i meccanismi per la riforma della legge di cittadinanza i più diversi,  non potendo sostituirsi alle competenze del giurista, dal punto di vista della relazione e interazione   nel nostro Paese, a mio parere, ciò che occorre è avere una definizione unica e chiara di  giovani  alla cui cittadinanza sociale e pedagogica si aggiunga quella giuridica.  Potersi definire con valenza giuridica “ di cittadinanza italiana”  apre orizzonti  nuovi  per proiettare nel futuro il nostro Paese, che in un tempo non lontano, si dovrà misurare con l’alto tasso di invecchiamento della popolazione autoctona, la costituzione di future minoranze “nazionali” non da ultima la minoranza musulmana italiana, una nuova definizione dei rapporti di genere. Le  donne  con la capacità di ridefinire nuovi modelli culturali ponte tra le due culture appaiono  in prospettiva  per abilità e capacità una carta vincente e la vera nuova opportunità.[19]

Riferimenti bibliografici

Blangiardo G.C. (2013), Gli aspetti statistici, in: Fondazione Ismu, Diciannovesimo Rapporto sulle Migrazioni, Franco Angeli, Milano;

Blangiardo G.C., Barbiano E., Menonna A. e Forlani N. (2013), Household projection and welfare, in Atti del Convegno: Istat-Eurostat-UNECE, Work session on demographic projections, Roma 29-31 Ottobre 2013;

Cacciapuoti G., (2007)MEDIAZIONE CULTURALE: sperimentazioni e strumenti per l’interazione consapevole nelle esperienze progettuali della Regione Campania in campo interculturale, Interagendo, Spazi di confronto delle mediazioni, Università degli Studi di Napoli “S. Orsola Benincasa”. Napoli: Elio Sellino editore, : 169-182;

____________, (2011)Islam in Canada, una sfida al multiculturalismo, Ibridità Canadesi, Buono Angela Marina Zito (ed.) Napoli: Università degli studi di Napoli l’Orientale, 77-98;

Cassarino M.,  (2011)intervista Giuliana Cacciapuoti-“ Saperi Umanistici e flussi migratori”, i ,in  «Saperi umanistici oggi- Le Forme e La storia» n.s.IV,2011,1- a cura di 2Antonio Pioletti  Rubbettino editore, Catanzaro;

Crul M., Schneider J., and Lelie F.,(2012), The European Second Generation Compared.  Does the Integration Context Matter? Amsterdam: Amsterdam University Press;

Crul, M. (2008), ‘The Second generation in Europe’ in The Experience of Second Generation Canadians. Spring/printemps 2008, Vol. 6, No. 2, pp: 17-20  Association of Canadian Studies / Association d’études canadiennes, Montreal (Quebec);

Istat (2013), La popolazione straniera residente in Italia. Bilancio Demografico, Statistiche Report, 26 luglio 2013,: www.istat.it;

Thomassen B., (2010) Second Generation Immigrants’ or ‘Italians with Immigrant Parents’? Italian and European Perspectives on Immigrants and their Children, Bulletin of Italian Politics Vol. 2, No. 1, 2010,21-44,22.


 

[1] http://www.istat.it/it/immigrati e gli altri  siti di riferimento

[2] In Francia la norma del doppio ius soli (“chi nasce in Francia da un genitore a sua volta nato in Francia è automaticamente francese”) è in vigore dal XIX secolo. La Gran Bretagna si è adeguata nel 1981, la Spagna nel 1990;  la Germania l’ha adottata, con la nuova legge sulla cittadinanza del 2000

[3] Cfr Università degli Studi di Napoli l’Orientale C.I.L.A” a.a.2010-11” Modelli culturali in relazione all’Islam”. Si rimanda alla bibliografia di questo articolo e  per i temi generali ai  materialipubblicati sul sito www.giulianacacciapuoti.it

[4] Cfr Cacciapuoti idem

[5] Bjørn Thomassen (The American University of Rome )‘Second Generation Immigrants’ or ‘Italians with Immigrant Parents’? Italian and European Perspectives on Immigrants and their Children, Bulletin of Italian Politics Vol. 2, No. 1, 2010,21-44,22.

[6] Thomassen art.cit. 38-41

[7] Mi è stato chiesto spesso perché eviti di parlare nel ritratto delle seconde generazioni di Mario Balotelli. A mio parere il campione della nostra nazionale di calcio è un elemento fuorviante, estraneo all’argomento in esame. La vicenda umana e sportiva di Supermario è unica anche per la sua eccezionalità sportiva e mediatica e per l’intreccio di “topoi”, rappresentazioni simboliche, sentimenti passioni  e conflitti che solleva. Unicum che distrae di nuovo dal tema centrale seconde generazioni, un metaforico rimettere la testa sotto la sabbia e rimandare la soluzione dei problemi per l’attribuzione della cittadinanza a una generazione che in tutti i contesti, anche sportivi, reclama.

[8] Thomassen ,art.cit., 33

[9] http://www.yallaitalia.it/2013/04/generazione-1-5-c

[10] S. Manna, Segni dei tempi, Caritas diocesana Pozzuoli, 2003

[11] Sumaya Abdel Kader ,Porto il velo, adoro i Queen. Nuove italiane crescono, Sonzogno 2008

[12] http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=365 ©www.neodemos.it Lo schema si ferma al 2009 mail trend è in ascesa, a.s. 2011/2012, gli alunni stranieri nati sono il  334.284 .Le previsioni del MIUR per a.s.2013-14 diffuse il 10 settembre 2013 parlano di736 mila stranieri nelle scuole di ogni ordine e grado.

[13] cfr Gian Carlo Blangiardo” Stranieri in Italia: guardando al presente e immaginando il futuro” gennaio 2014

http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=766 06/10/2010

Stefano Molina – Rita Fornari, I figli dell’immigrazione sui banchi di scuola: una previsione e tre congetture http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=443

[14] Giulia Rivellini* & Laura Terzera , Oltre la scuola … nuovi ingredienti nella ricetta dell’integrazione, http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=365

[15] Rivellini-Terzera, art. cit.

[16] Tohmassen, art.cit., 29

[17] La legge vigente (91 del 1992) prevede l’acquisizione automatica – dunque non discrezionale – della cittadinanza italiana per gli stranieri nati in Italia che a 18 anni ne facciano domanda. Il problema è che la domanda deve essere accompagnata dalla dimostrazione di una residenza legale ininterrotta sul territorio italiano, cosa che in molti casi risulta difficile, se non impossibile: si tratta infatti di una probatio diabolica per le centinaia di migliaia di famiglie immigrate che in passato hanno beneficiato di una delle tante operazioni di regolarizzazione. A seguito di un rinfiammarsi del dibattito sul tema della cittadinanza ci sono altre proposte che giudico fantasiose oppure ancora una volta attendiste. cfr Molina S., Stallo in tre mosse(2013) http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=700, ma in realtà il problema deve essere risolto al più presto dal punto di vista giuridico.

[18] Thomassen, art.cit.,41

[19] Idem,37-38

 

Domani è davvero un altro giorno

di Michele Mezza

Siamo alla fine di questo gioco degli specchi della fiducia. Renzi continua a distribuire segnali di discontinuità. L’opposizione chiede verifiche concrete. Ora vedremo. Vi propongo un criterio di valutazione per capire strutturalmente a chi e a cosa serve questo governo.

Siamo infatti in una fase di ripresa economica globale, europea e perfino nazionale. Non si tratta di risolvere l’emergenza e la disperazione. Quella è alle spalle. Si tratta di ricollocare il paese  sul mercato  mondiale, assicurandogli  potenza, autonomia e sovranità. Questa è la partita. Chi parla di arrivare alla fine del mese distrae o abbaglia.

Allora qual è il tema e la materia in cui l’Italia si gioca il prima: è il sistema innovativo della comunicazione e della narrazione. O il made in Italy diventa senso comune della qualità e si conquista primati in settori portanti, come i linguaggi digitali, le infrastrutture relazionali e la suggestione dei marchi, oppure anche il mercato interno sprofonderà.

Allora vediamo cosa potrà accadere, a cominciare dai sottosegretari: a chi la responsabilità dell’innovazione? sarà unop capace, ne sono sicuro. Ma capace di fare che? di dare all’ Italia potere negoziale e controllo dei propri linguaggi o capace a subordinare il paese a logiche e culture esterne?

In tutti i lunghi interventi di Renzi non sono rintracciabili accenni alla politica dell’innovazione multimediale: che fare con Rai, Telecom, Finmeccanica, e sistemi di digitalizzazione? Si apre una partita autonoma o si consegna tutto a Google?

Noi abbiamo alle spalle già 3 esempi di internazionalizzazione passiva del paese: 62/64 con la vendita della divisione  elettronica dell’Olivetti alla general Elettric82/86 con la strategia del costo contatto di Berlusconi che inflazionò il mercato pubblicitario consegnando i settori dei generi di consumo ai centri media esteri ( con lo spossessamento del 70% dell’industria dell’alimentazione, abbigliamento di massa, e arredamento)

96/2004 con l’abdicazione di ogni ambizione a governare il sistema delle telecomunicazioni, con le privatizzazioni  senza liberalizzazioni di Telecom e del sistema della telefonia mobile.

In quei tre frangenti l’Italia viene svenduta al mercato globale. Il primo centro sinistra, Il Caf, e Berlusconi ne sono i responsabili

Oggi siamo al nuovo tornante: linguaggi digitali, con il primato delle app e il ruolo di paese beta testing del mercato social; il know how del gusto dell’ individualizzazione dei consumi, con moda ed enogastronomia; le trasformazioni di materiali e applicazioni biomedicali. Sono i tre settori prioritari del Sistema Italia. Il motore non è più la grande industria ma il pulviscolo artigianale.

Più inafferrabile da parte degli oligopoli. Qualcuno oggi mira a sfibrare l’artigianato italiano, mascherando con le nuove forme di produzione, la sostituzione dei Faber con i Makers. Questa è la partita.

Qui Renzi deve confermarsi  statista di Firenze, figlio di Machiavelli e dei Medici, e non debuttante a Roma, ennesimo mascotte della subalternità a Franza o Spagna. Qui la sinistra deve riprendere in mano l’ambizione di un nuovo modo di fare economia. Qui si riapre la partita europea.

Da domani si fanno i conti. La Politica ricomincia  e la talpa riprende a scavare

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