Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Giustizia, un’emergenza dimenticata – Seminario di FareRete a Napoli

Lunedì, 14 aprile 2014 ore 17,30 – Teatro Sancarluccio, Napoli

GIUSTIZIA, UN’EMERGENZA DIMENTICATA

Seminario di FareRete – Movimento Metropolitano

Il Movimento Metropolitano FareRete coordinato da Dino Falconio, notaio e scrittore napoletano, si presenterà al pubblico il giorno 14 aprile 2014 alle ore 17,30 presso il Teatro Sancarluccio con un Seminario sul tema “Giustizia, un’emergenza dimenticata”. Interverranno oltre a Dino Falconio, i docenti universitari e avvocati Massimo Gazzara (professore di diritto privato all’Università di Foggia), Margherita Interlandi (professore di diritto amministrativo all’Università di Cassino), Domenico Palumbo (professore di diritto commerciale all’Università Telematica Giustino Fortunato) e Massimiliano Cuosta (avvocato del Foro di Napoli). Concluderà i lavori l’on. Danilo Leva del Partito Democratico, Vicepresidente della Commissione Autorizzazioni a Procedere della Camera dei Deputati. FareRete è una associazione napoletana di professionisti e docenti trenta-quarantenni che, ispirandosi al dialogo e alla sintesi fra le tradizioni politiche socialista, cattolica e liberale,  vuole rendersi interprete delle esigenze della collettività contribuendo, attraverso idee e progetti supportati da competenze tecniche, scientifiche e professionali, allo sviluppo sociale, culturale ed economico della Città e del Paese.

Ora l’Italia torni ad avere la presidenza del Parlamento Ue

di Gianni Pittella

Asset.aspxIntervista con l’agenzia Ansa

E’ ora che l’Italia torni a ricoprire la più alta carica nel Parlamento europeo. Sarebbe un grande riconoscimento prima di tutto per il Paese ma anche per il nuovo Partito democratico di Matteo Renzi. L’obiettivo a portata di mano. Ci sono tutte le condizioni nazionali e comunitarie perchè il governo italiano porti a casa il risultato. La svolta si è avuta con l’adesione del Pd al Pse. Finalmente si è capito che per contare davvero in Europa occorre stare nelle istituzioni. E’ finito il tempo in cui Bruxelles era considerata una sorta di dopo lavoro per politici in pensione. Il Pd e l’Italia di Renzi si candidano a cambiare l’Unione europea che, oggettivamente, così com’ è rischia di affondare”. Lo dichiara all’Ansa Gianni Pittella, vice presidente vicario del Parlamento europeo e candidato per il Pd alle elezioni europee nella circoscrizione sud.

Ho investito tutta la mia vita politica per la costruzione degli Stati uniti d’Europa. Renzi ha avuto il grande merito di indicare candidati che credono e vogliono lavorare a tempo pieno in Europa. In quindici anni di attività da eurodeputato, ho messo tutte le mie energie per accrescere la stima e la considerazione dell’Italia nella casa del Parlamento europeo. Un lavoro credo apprezzato che mi ha portato per due volte consecutive ad essere eletto a scrutinio segreto primo vicepresidente”. “La situazione in Europa è complessa. La Francia di Hollande è in difficoltà. La Germania è prigioniera della Merkel, mentre la Gran Bretagna è imbrigliata da pulsioni isolazioniste. L’Italia di Renzi – sottolinea Pittella – l’unico tra i grandi Paesi che può autorevolmente imprimere una forte spinta riformatrice”.

Nascondersi non ha senso: le critiche che da più parti investono l’Ue sono in gran parte meritate. Non è possibile continuare ad avere una moneta senza una vera Banca centrale alle spalle, inaccettabile crocifiggere intere economie, interi Paesi, a vincoli arcaici e stupidi per una miope ed egoista visione dello stare insieme. L’Ue non può restare silente rispetto a crisi internazionali come quella ucraina e siriana, o limitarsi a dichiarazioni di principio di fronte a tragedie come quelle di Lampedusa. Non si è euroscettici a denunciare questi aspetti. Si è realisti. La differenza con i populisti alla Grillo, alla Salvini o alla Le Pen che loro vogliono distruggere tutto, fregandosene delle conseguenze per i cittadini, e tornare a rinchiudere il nostro futuro nelle piccole patrie.

“Io – aggiunge il vice presidente vicario dell’Europarlamento – dico che invece serve più Europa. Sono i governi a imporre veti incrociati sulla politica estera. Sono i singoli Stati ad impedire la nascita di una vera Bce. Sono ancora gli egoismi nazionali a rendere balbettante le risposte comunitarie a problemi drammatici come l’immigrazione. L’austerità non ce lo chiede l’Europa, ce lo impongono i governi”.

“Coscome fecero De Gasperi, Adenauer e Schuman – conclude – gli Stati abbiano il coraggio di fare un passo indietro. E permettano all’Unione europea di fare un passo decisivo in avanti verso il futuro”.

 

Fonte ANSA

Solidarietà vs Disagio sociale: insieme per il cambiamento a Frosinone

Giuseppina Bonaviri

“ Se un uomo sogna da solo è solo un sogno. Se si sogna in tanti è la realtà che comincia”

Il Tavolo di progettazione provinciale per un Patto di Solidarietà Sociale è diventato una realtà forte della Provincia frusinate.  Azioni concrete e credo fanno il resto. Partecipare per risolvere i problemi collettivi che coinvolgono tutti , cominciando da se stessi e da una diversa visione del rapporto con gli altri, ci consente di uscire dal silenzio nel rispetto della dignità umana sempre verso maggiori conquiste di educazione e strategie d’insieme ai diritti umani. Coniugare finalità etiche come integrazione e coesione,  rafforzando legami e diritti sociali riduce quel senso di precarietà, di isolamento e di disagio della attuale modernità. Alimentare solidarietà, pratiche di cittadinanza attiva in un continuo fluire di relazioni e scambio ci consente di agire sul senso di appartenenza alle comunità, comunità intese come spazio vitale in cui rispetto  e sostegno coesistono.

In una epoca in cui incertezza, solitudine e disorientamento sono sentimenti e condizioni che contribuiscono ad aumentare la paura dell’altro, dello sconosciuto e del diverso i legami sociali diventino il fiore all’occhiello delle Istituzioni e della società civile. Insieme, verso il cambiamento, per prevenire ed eliminare abusi sui diritti umani è possibile. Il occasione del 16 aprile, in cui ricorre la giornata mondiale contro la schiavitù dei bambini e si festeggia la giornata mondiale della voce, giustizia, solidarietà, agire comune rimangono i caposaldi di una visione equa e globale a sostegno delle nuove povertà e delle disuguaglianze.

Al centro del dibattito a più voci -che si articolerà nella Tavola Rotonda “ Solidarietà vs disagio sociale: insieme per il cambiamento” presso il Salone di rappresentanza della Amministrazione Provinciale di Frosinone il 16 aprile 2014 alle ore 17.00- all’interno della Campagna provinciale di sensibilizzazione “DIAMOCI LA MANO”  contro discriminazioni e vittime di violazione -decollata l’8 marzo di questo anno-  assieme alle rappresentanze istituzionali, alle delegazioni di  Amministratori locali, alle realtà sociali no profit,  al privato sociale, al mondo dell’associazionismo, agli Innovatori Europei ci si confronterà per gettare le basi di un percorso di innovazione comune che vada anche oltre l’area vasta della Provincia ciociara. Parlare la stessa lingua, senza prosceni e desideri di protagonismo per consolidare una Rete integrata contro diseguaglianze e per una progetto di equità sociale che scavalchi i limiti, i confini  e le conflittualità partitiche. Per definire obietti comuni bisogna essere consapevoli del ruolo che, ogni realtà partecipante al percorso, intenderà assumere responsabilmente incidendo, così, nei percorsi decisionali  di policy maker.

Intanto, le nuove linee guida sulla marginalità e la povertà coordinate dal Ministero delle Politiche sociali mettono al centro i Comuni così come la Legge di Stabilità prevede l’incremento di 250 milioni di euro, per il 2014, del Fondo per la carta acquisti destinata ai cittadini che versano in condizione di maggiore disagio economico ed è rifinanziato con 250 milioni di euro, sempre per il 2014, il Fondo per la non autosufficienza. Al Fondo per le Politiche Sociali vengono assegnati 300 milioni di euro per il 2014. Parrebbe , allora, che la politica di coesione riformata permetterà di mobilitare fino a 351,8 miliardi di euro destinati alle regioni, alle città dell’UE e all’economia reale. È principalmente tramite questo strumento d’investimento che l’Unione realizzerà gli obiettivi della strategia Europa 2020: crescita e occupazione, lotta contro i cambiamenti climatici e riduzione della dipendenza energetica, della povertà e dell’esclusione sociale. Il Fondo europeo di sviluppo regionale concorrerà, poi, alla realizzazione di questi obiettivi indirizzando le proprie risorse verso priorità fondamentali, quali il sostegno per le piccole e medie imprese, con l’obiettivo di raddoppiare i fondi da 70 a 140 miliardi di euro in 7 anni.

Dunque, se come augurabile, queste misure si concretizzeranno dipenderà dalla capacità delle Amministrazioni locali e dalla governance globale dei territori.  Mettere un freno a diseguaglianze e iniquità sociali che sono la causa delle nuove povertà ( la provincia di Frosinone è al primo posto tra le province laziali) ha un grande valore etico e di rilancio del sistema locale. Il dibattito che si aprirà con l’incontro provinciale di mercoledì 16 aprile prossimo intende porsi, dunque, come substrato all’edificazione di azioni comuni rivolte alla cooperazione e alle politiche dei cambiamenti del welfare .

Una poltrona, anche piccola. L’ultima lotta dei continuisti

di Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”

Qualcuno, in questi giorni di trattative frenetiche, ha coniato per loro un singolare neologismo: continuisti. Sono coloro che contrasterebbero i cosiddetti rottamatori, quelli che vorrebbero dare il benservito ai manager della vecchia guardia che hanno gia’ superato, in qualche caso pure ampiamente, il limite dei tre mandati.

Dal fronte renziano assicurano che le ultime resistenze sono ormai superate. Per capirci, quelle di chi sperava se non proprio in una riconferma, almeno nel passaggio dalla poltrona di amministratore delegato a quella di presidente. Per quanto, a giudicare dai nomi che girano, consistenti schegge di «continuismo» restano in circolazione.

Con precise paternità. C’è per esempio chi ha provato a candidare per qualche presidenza l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, classe 1942: diplomatico di rango che è stato per anni consigliere diplomatico dell’ex premier Silvio Berlusconi. Oggi è già presidente di un’altra società pubblica, la Sace.

E c’è oggettivamente da chiedersi quale potrà essere il tasso di innovazione all’Eni se troveranno conferme le indiscrezioni che vogliono al posto di Paolo Scaroni l’attuale suo direttore generale Claudio Descalzi. Tanto più se alla presidenza si dovesse davvero materializzare Giampiero Massolo, altissimo funzionario della Farnesina dove ha fra l’altro ricoperto l’incarico di capo di gabinetto di Gianfranco Fini, attualmente capo del Dipartimento informazioni per la sicurezza: i servizi segreti di Palazzo Chigi.

Scelta che ha tutto il sapore di un compromesso bello e buono con gli apparati burocratici ai quali i renziani avevano lanciato il guanto di sfida. Del resto, non era stato lo stesso Renzi a dire in televisione qualche giorno fa che «L’Eni è un pezzo fondamentale dei nostri servizi segreti?». 

E l’attuale presidente della Finmeccanica Gianni De Gennaro, nominato lo scorso anno dal governo di Enrico Letta e a quanto pare l’unico destinato a restare al proprio posto, non è forse stato il predecessore di Massolo alla guida dell’intelligence della presidenza del Consiglio?

Ecco allora che il confronto fra continuisti e rottamatori è molto più dialettico di quanto non si possa pensare. O non si voglia far credere. Ed ecco perché la diatriba in qualche caso assume una veste inedita: fra chi vorrebbe optare per scelte interne (vedi Descalzi) e chi, invece, preferirebbe voltare pagina puntando su candidature esterne. Caso tipico, l’Enel. Certo l’amministratore delegato di Greenpower Francesco Starace non può essere considerato emblema della continuità con Fulvio Conti: ne è stato il principale oppositore interno. Eppure se la dovrà vedere al ballottaggio con il capo di Gdf Suez Italia, Aldo Chiarini.

Per chiudere la partita ci sono ancora quarantotto ore di tempo. Con una complicazione in più rispetto ai precedenti rituali: lo stipendio che il governo suggerirà alle assemblee dei soci di limitare a 400 mila euro annui. L’ultimo scoglio, a quanto pare, è la faccenda del genere. Si cercano donne di peso disponibili ad assumere gli incarichi di presidenza. Confidiamo che non sia questa la sola vera innovazione.

Inchiesta Centro Oli. Modificati i dati delle centraline Eni? Il sospetto degli investigatori della Dda

di Leo Amato (su Il Quotidiano di Basilicata)

Modificati i dati delle centraline Eni?<br /><br /><br /><br />
Il sospetto degli investigatori della DdaL’ad Eni, Paolo Scaroni

POTENZA – E’ possibile che i dati rilevati dalle centraline dell’Eni sui camini del Centro oli siano stati modificati di proposito prima di arrivare negli uffici deputati al controllo delle emissioni?

Stanno cercando di appurare anche questo gli investigatori dell’Antimafia di Potenza che martedì hanno “scoperto” il secondo filone dell’inchiesta sull’inquinamento prodotto dal principale impianto della compagnia del cane a sei zampe in Val d’Agri.

L’acquisizione di tutti i dati contenuti nei server che regolano il funzionamento delle centraline interne servirebbe proprio a questo. Lo stesso vale per quelli archiviati dalla ditta che ha realizzato il software gestionale utilizzato e li convalida prima di avviare le comunicazioni di rito.

Si tratta della Ebc di Potenza, un’impresa attiva da anni nel settore delle tecnologie ambientali che vanta proprio la capacità «di acquisire dati provenienti da sistemi di monitoraggio ambientale, rilevando con esattezza la quantità di emissioni ed immissioni nell’atmosfera di gas potenzialmente dannosi».

I militari del Noe dei carabinieri sono stati anche nei suoi uffici in via dell’Edilizia e hanno effettuato tutte le operazioni necessarie sotto le direttive impartite dall’ultimo consulente incaricato dai pm Laura Triassi e Francesco Basentini.

Per conoscere i risultati anche di questa attività, e del confronto tra il dato “grezzo” prelevato dai server e quello comunicato in via ufficiale occorrerà diverso tempo. D’altronde si è ancora in attesa di quelli delle analisi sui campioni di reflui di produzione prelevati durante il primo blitz nel Centro oli.

A suggerire agli inquirenti le operazioni da svolgere per verificare i dubbi su un traffico illecito di rifiuti in partenza da Viggiano verso il depuratore di Tecnoparco, a Pisticci, erano stati due nomi che hanno già causato diversi problemi ai vertici della compagnia di San Donato. In particolare all’amministratore delegato Paolo Scaroni, che anche a causa loro, stando a quanto si maligna nella capitale, rischia di perdere il posto nel prossimo giro di nomine del Governo.

Paolo Rabitti e Alfredo Pini, sono infatti gli stessi ingegneri che per conto della procura di Rovigo si erano occupati dell’inquinamento della centrale Enel di Porto Tolle. Proprio l’inchiesta per cui il 31 marzo gli ex amministratori delegati della società, Scaroni e Franco Tatò, sono stati condannati in primo grado a tre anni di reclusione più 5 d’interdizione dai pubblici uffici. L’accusa: disastro ambientale, per aver gestito la centrale senza adeguati meccanismi di contenimento delle emissioni che hanno messo in pericolo la pubblica incolumità.

Possibile che una contestazione del genere venga mossa anche ai vertici di Eni per i gas sprigionati dal Centro oli? Nel decreto di perquisizione esibito martedì mattina dai carabinieri al comando del capitano Luigi Vaglio si parla ancora di traffico di rifiuti, ma è ragionevole credere che nel fascicolo in procura si siano già aggiunte altre ipotesi di reato. Se non è comparso anche qualche altro nome rispetto agli 11 indagati che hanno già ricevuto un avviso di garanzia, tra cui il responsabile della Divisione Sud di Eni Ruggero Gheller e il presidente di Confindustria Basilicata, ai vertici di Tecnoparco Valbasento.

Stando a quanto prescrive l’autorizzazione integrata ambientale all’impianto della compagnia di San Donato,  concessa dalla Regione con una delibera di giunta nei primi mesi del 2011, al suo interno devono essere monitorati in continuo «i volumi di gas diretti alle torce» e «tutte le emissioni di processo ai camini». Quanto agli «eventuali superamenti dei limiti emissivi imposti» spetta ad Eni autodenunciarsi comunicandoli «entro 8 ore dall’evento a Comune di Viggiano, Provincia di Potenza e Arpab».

Inoltre esiste un sistema di monitoraggio ambientale «condiviso con gli Enti di controllo (Arpab e Regione Basilicata)» che è composto da 6 centraline “esterne” per ulteriori verifiche sulla qualità dell’aria: 5 sono dell’Arpab («di cui 4 realizzate da Eni e cedute all’Agenzia»), mentre una è dell’Eni. Questo è quanto hanno riferito i rappresentanti della compagnia alla Commissione ambiente della Camera durante la visita a Viggiano di ottobre.

Un meccanismo che vive di leale collaborazione tra le parti. Per capirsi. Proprio quella che gli inquirenti sospettano che possa essere stata tradita, alterando i dati su cui  controllore e controllato si confrontano ogni giorno. A scapito dell’ambiente circostante.

l.amato@luedi.it

IoD City of London: ‘The EU & the City – What Next? (Gianni Pittella meets Lord David Lidington)

Dove: Londra , Guildhall – ore 18.30 Quando: 8 aprile

Gianni Pittella, First Vice President of the European Parliament & The Rt Hon David Lidington, UK Minister of State for Europe, will discuss the City’s and the UK’s relationship with Brussels.

‘For some, the free movement of goods and people within a single market is a triumph of our time. For others, the regulatory and financial burdens of membership raise questions about how well the system works – and for whom it is working.’ (Simon Walker, Director General of the IoD, commenting about discussions regarding the UK & the EU during the IoD National Convention 2013.)

This event will discuss the economic relationship between the City, the wider economy and Brussels. There will also be a consideration of the UK’s present and future political relationship with the European Union, its benefits, it challenges, future opportunities and future threats. No discussion can leave out either Britain’s or the EU’s relationships with other countries and international organisations.

Speranza: “Riforme sono urgenti, le istituzioni sono in pericolo”

Intervista a Roberto Speranza di Ninni Andriolo – L’Unità
«Quella attuale deve diventare la legislatura in cui finalmente si fanno riforme attese da anni. Dobbiamo corrispondere a questa necessità profonda del Paese se abbiamo a cuore la tenuta delle istituzioni». Per Roberto Speranza la posta in gioco va al di là della tattica politica e delle risposte a effetto alle polemiche di Brunetta. «Nello scontro vero di questo tempo, che non è solo italiano e contrappone politica e campo democratico da una parte antipolitica e forze populiste dall`altra, o siamo nelle condizioni di mostrare che la politica sa fare le riforme e sa produrre un moto di autoriforma o rischiamo di dare un vantaggio alle forze che pensano che le istituzioni democratiche debbono essere abbattute». Questa e non altra la posta in gioco secondo il presidente dei deputati Pd. «È questa la premessa per evitare che tutto si riduca a una dimensione tattica e politicista», sottolinea Speranza.
Il rischio è che le riforme non si varino nemmeno questa volta… 
«Il ragionamento che mi porta a sostenere con grande fermezza che questa volta le riforme dobbiamo farle parte da un`allarme. Si diffonde l`idea che le istituzioni democratiche non sono in grado di fornire soluzioni ai problemi dei cittadini, ma sta diventando un luogo comune anche il fatto che le istituzioni democratiche sono diventate parte consistente dei problemi quotidiani dei cittadini. Il passaggio successivo? Che delle istituzioni democratiche si possa fare a meno».
Siamo a un passaggio di sistema quindi? 
«Sì e dobbiamo essere all`altezza della responsabilità riformatrice alla quale ci ha richiamati il Capo dello Stato quando gli chiedemmo di rimanere al Quirinale. O le forze democratiche faranno propria la sfida delle riforme, superando il lungo periodo degli annunci, oppure rischia di franare il sistema che abbiamo conosciuto fino adesso. L`iniziativa del Pd deve essere letta dentro questo sforzo complessivo. E voglio ricordare che in questo momento i grillini insultano quotidianamente il Capo dello Stato senza che ciò faccia grande scalpore; il discredito del Parlamento è altissimo: la crisi economica investe cittadini e imprese. Un mix micidiale se la politica non è in grado di dare un messaggio di credibilità e di cambiamento che vada al di là del Pd».
Il fronte che vuol far naufragare le riforme comprende anche Forza Italia? 
«Lo dico con rispetto per le persone e per le loro affermazioni. Se misurate alla dimensione dell`allarme, le polemiche di Brunetta sembrano legate più alla necessità della battuta senza respiro e a un ricatto fuori tempo massimo. Se non facciamo le riforme apriamo un`autostrada davanti a chi vuole abbattere le istituzioni democratiche».
Se Forza Italia si tira indietro saremmo al solito spartito: i problemi di Berlusconi che spingono a rivoltare il tavolo… 
«Noi abbiamo lanciato una sfida riformista a 360 gradi. I grillini hanno detto no. Forza Italia, al contrario, ha detto sì e ha fatto un pezzo di cammino con noi. Bisogna proseguire quel percorso: le riforme non si fanno a colpi di maggioranza. Noi abbiamo già approvato l`Italicum alla Camera, anche se il testo dovrà essere migliorato a Palazzo Madama. Adesso siamo a un punto decisivo perché riforma del Senato e Titolo V sono due momenti di rango costituzionale. È chiaro che oggi non si può più bluffare, bisogna scoprire le carte. Noi le riforme le vogliamo fare. Ci aspettiamo che chi ha sottoscritto il patto con noi, i partiti della maggioranza assieme a Forza Italia che sta all`opposizione, siano all`altezza della sfida. Non si commetta l`errore di mettere le vicende personali di Berlusconi davanti a questo obiettivo. Sarebbe un`occasione storica perduta per tutti, prima di tutto per il Paese».
Solo un` extrema ratio per il Pd varare le riforme a maggioranza, quindi? 
«Assolutamente sì. Io sono convinto che sulle riforme costituzionali dobbiamo inseguire la maggioranza più larga possibile. Il dialogo con Forza Italia andava esattamente in questa direzione. Sulla legge elettorale noi non abbiamo approvato alla Camera il testo perfetto per il Pd, ma un necessario compromesso. Mi auguro che nel passaggio al Senato l`Italicum migliori, ma già a Montecitorio ci siamo vincolati a un accordo che andava oltre la maggioranza. A maggior ragione la costruzione di un fronte il più possibile largo deve avvenire con riforme di rango costituzionale. Per questo non si comprende il senso politico dell`ultimatum, o del diktat, di Brunetta».
Non è che allargare a Fi serve perché la maggioranza non ha i numeri al Senato? 
«Vorrei rassicurare Brunetta, la maggioranza ha i numeri sia alla Camera che al Senato e lo ha sempre dimostrato. Qui, però, non stiamo parlando di una semplice iniziativa di governo, ma di una grande riforma, di un obiettivo ambizioso che renderà questa legislatura significativa agli occhi del Paese. Giusto quindi che questo disegno abbia un confine che vada al di là della semplice maggioranza di governo».
Anche dentro la maggioranza tuttavia si registrano spinte a modificare il testo del governo. Sulla eleggibilità dei senatori ad esempio… 
«Sull`eleggibilità ritengo giusta la posizione del governo, quello è un punto che dobbiamo provare a mantenere. Dopodiché, più in generale, penso che i passaggi parlamentari servano ad approfondire. Le critiche devono essere ascoltate con attenzione perché spesso chi le fa prova a migliorare le riforme e non ad affossarle. Anche in questo passaggio, quindi, c`è bisogno di valorizzare il lavoro parlamentare. E più lo si fa e meglio è. Il metodo da seguire? Ascolto e condivisione».
L`Italicum è stato posto in coda all`ordine del giorno delle riforme, possibile tornare indietro come chiede Forza Italia? 
«Abbiamo prodotto una legge valida solo per la Camera e non per Palazzo Madama. Lo stralcio dell`articolo 2 dell`Italicum ha rappresentato l`impegno solenne a riformare il Senato. Non farlo sarebbe un fallimento senza precedenti. Facciamo partire il percorso della riforma costituzionale, così come sta avvenendo a Palazzo Madama. Una volta completata la prima lettura, e passato il testo alla Camera, il Senato tornerà a occuparsi di Italicum. Vorrei ricordare che non ci serve una legge per andare a votare tra due mesi, ma una riforma elettorale come primo passaggio vero per un disegno che serva a dare risposte di sistema. Se si andasse ale urne con un Senato che dà ancora la fiducia al governo, e ancora composto da 315 persone, saremmo al fallimento della politica e dei partiti. Renzi dice che se non si fa questa riforma lascerebbe: la considero un`affermazione generosa. Vorrei ricordare però che la posta in gioco non riguarda il destino di uno, ma la tenuta delle istituzioni. E noi democratici siamo pienamente impegnati in una partita che tocca storie e sensibilità alle quali non è estraneo l`obiettivo di rendere più forte la democrazia».
Fonte: L’Unità

Nomine pubbliche: Renzi cambi verso al Paese!

Il Giornale (!) lo fa intendere chiaramente: attorno a queste nomine si gioca la solita partita italiana, contro quei poteri consolidati, finora indissolubili, che operano in maniera trasversale nei partiti politici. Anche dentro e attorno al PD, ai massimi livelli.
E allora non si può che sperare che il premier Renzi abbia la voglia e la forza di rompere questi monopoli decennali, che hanno fatto troppi danni al Paese.
E che un saggio Silvio Berlusconi dia prova di lungimiranza e di senso dello Stato, assecondando questa necessità di cambiamento, che urge nel Paese.
Perché dovesse rimanere tutto pressoché uguale, con cambi di facciata o poco più, in tanti tornerebbero ad allontanarsi dal PD e dal governo. E il governo perderebbe la sua principale ragione d’essere: il cambiamento di metodi e persone.
Come auspicava ieri la bravissima Milena Gabanelli, chiudendo la puntata di Report sul tema: “Il governo scelga piuttosto nomi nuovi, non legati alla politica e soprattutto con qualche successo imprenditoriale alle spalle”
Innovatori Europei

“Win-win situation” per la Cina con l’Europa

scelta di Alberto Forchielli (su Piano Inclinato)

Sappiamo che nella globalizzazione è sbiadito il rigore dell’ideologia, la certezza dell’identità. Il fenomeno ci costringe a una trattativa perenne, dove la forza deve coniugarsi con la capacità di gestione. Quest’ultima è carente sia per l’Europa che per la Cina. Bruxelles è dilaniata da divisioni interne che ne riducono impatto ed efficacia; Pechino è tradizionalmente abituata a negoziare con la sola leva della forza: mostrata, subìta o messa in atto. La recente missione del presidente Xi Jin Ping in Europa ha messo chiaramente in luce questa impasse. Gli accordi commerciali – soprattutto con Germania e Francia – sono stati copiosi e di grande portata.

Non poteva che essere così: Pechino ha bisogno di qualità, l’Europa vuole in cambio valuta, reddito e occupazione. Tuttavia Pechino ambisce a molto di più: un rapporto politico di neutralità imperniata sugli affari, se non proprio di amicizia. Nella piatta scacchiera della globalizzazione, l’Europa può in parte compensare l’ambivalenza delle relazioni con gli Stati Uniti. I rapporti tra Pechino e Washington sono in una fase dove prevalgono le tensioni invece che gli accordi; la Cina è ora più uno strategic competitor piuttosto che uno strategic partner. Per il Dragone le relazioni con l’Europa sviluppata, aperta, prospera ma stagnante sono un eccellente banco di prova per dimostrare l’abilità della sua nuova diplomazia. Erano tre i cardini di una possibile intesa: la rimozione dell’embargo militare, la disponibilità a fornire tecnologia, il riconoscimento dello status di economia di mercato a Pechino.

Questi obiettivi sembrano ora insufficienti e potrebbero squagliarsi in un più vasto accordo commerciale e politico, un vero e proprio Free Trade Agreement. La Cina ne trarrebbe grandi vantaggi: accesso completo ai mercati ricchi, disponibilità di nuove capacità produttive, possibilità di acquisire asset importanti in economie in crisi. Inoltre, motivo forse più importante, troverebbe un partner aggiuntivo e forse concorrenziale agli Stati Uniti. Esistono dunque tutte le premesse per insistere sull’accordo da parte cinese. Tuttavia, all’altra estremità dell’Eurasia, trova un interlocutore instabile, diviso, impotente e forse inesistente. Kissinger si chiedeva chi doveva chiamare per parlare con l’Europa; Pechino si interroga su chi potrebbe rispondere. Nel dubbio, privilegia Berlino a Bruxelles, almeno in Germania si concludono gli affari. Nel frattempo la Commissione Europea dimostra la propria inconsistenza. Tutte le sue minacce a Pechino sono rientrate, l’Europa dei diritti è sacrificata a quella delle merci, si discute sulle parole prima ancora che sui valori, da veri burocrati. Barroso e Van Rompuy sono stati chiarissimi dopo il colloquio con Xi: “L’Europa è d’accordo di procedere verso un trattato (di FTA) nel medio termine. Noi preferiamo andare avanti inizialmente con un accordo sugli investimenti (BIT)”.

Contemporaneamente nell’Eurozona la crisi incalza, la disoccupazione è drammatica, si sente fortissima la necessità di un’iniziativa politica. Aumentano pericolosamente le posizioni anti-euro, il risentimento verso Bruxelles, il rimpianto per le monete nazionali e l’ostracismo alla Cina. Queste posizioni sono retrograde, ma Bruxelles non fa nulla per evitarle. Dovrebbe gestire una situazione complessa; è invece prigioniera delle proprie debolezze: veti incrociati, mancanza di una visione lungimirante, assenza di leader adeguati. Gestire un trattato con la Cina richiede impegno, competenza, condivisione degli obiettivi. Si tratta di dialogare senza svendere il patrimonio ideale e materiale che l’Europa ha accumulato in decenni di prosperità e democrazia. Tutto è invece lasciato alla forza di Pechino rispetto alle necessità spesso egoiste dei singoli stati. Se il bilateralismo con la Commissione arranca, inevitabilmente prevale quello con le Cancellerie del vecchio continente. Alla Commissione Europea non rimane che ripiegarsi e perpetuare l’agonia dei comunicati. Vi abbondano espressioni infruttuose e ripetitive: collaborazione, dialogo, win-win situation, una partita dove se non si negozia con acume sarà la Cina a vincere due volte, anche se è ancora più probabile che le divisioni interne tra i paesi europei creino un invisibile muro di nulla di fatto.

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