Cari precari, vi racconto dell’indennità di presenza
di Pasquale Russo (su Quel che è stato è Stato)
C’era una volta e ora non c’è più: l’indennità di presenza e anche la Fnle Cgil.
Innanzitutto ho necessità di parlare di preistoria, di dinosauri e mammuth. So che risveglierò amici e avversari e mi prenderò anche qualche parolaccia, ma la storia di ognuno è quella che è e non vale la pena né di nasconderla, né di negarla.
Per un po’ di anni ho fatto il sindacalista, iscritto al Pci dal 1978, quando fui assunto in Enel a Roma nel 1981, la Cgil di categoria la Fnle (Federazione Nazionale Lavoratori Energia) mi propose come candidato al Cuda (Consiglio Unitario Delegati Aziendali) ero giovane, ingegnere e facevo politica da quando avevo 14 anni con la (per me mitica) Avanguardia Operaia, avevo imparato in università a mettere in fila due parole che avessero un senso e potevo rafforzare la componente comunista del sindacato.
In pochi anni (7 o 8) divenni segretario comprensoriale del comparto elettrico Enel e in un momento di crisi profonda del sindacato in Acea, allora azienda pubblica comunale di Roma, mi inviarono a dirigere il gruppo dirigente sindacale di questa azienda.
La Fnle era costituita da tre settori principali: i lavoratori dell’Enel, dell’Acea e della Romana Gas. I poveri del comparto erano quelli del gas, i ricchi quelli dell’Acea.
La differenza di retribuzione tra un operaio del gas ed uno dell’Acea era abissale, molto più del doppio.
Oltre al fatto che in Acea la carriera era automatica, si faceva per anzianità, moltissime erano le indennità aziendali che si aggiungevano al contratto nazionale e che avevano portato il costo del personale ad esplodere, tra queste c’era la famosa in questi giorni, indennità di presenza.
Esatto, in Acea c’era l’indennità di presenza, cioè ogni giorno che si era presenti al lavoro si percepiva una indennità aggiuntiva del 9% della retribuzione lorda. Non era l’indennità più strana, si consideri che gli sportellisti percepivano la cosiddetta indennità di cravatta.
Ovviamente per noi di Enel e Gas era una cosa incomprensibile, come dire poiché sono assunto in Acea mi devi dare lo stipendio, se poi vuoi che vengo al lavoro mi devi premiare, naturalmente nessuno faceva niente finché…
Nel 1990 l’Acea fu commissariata a causa di una grossa crisi economica e l’allora Commissario mostrò a noi segretari lo stato dei conti: una catastrofe, i costi del personale totalmente fuori controllo, stato della rete pessimo, livelli di continuità del servizio da terzo mondo, ecc. ecc..
Così, a fronte di un piano di assunzioni, di rilancio e investimento sul rifacimento della rete elettrica per migliorare il servizio, accettammo che andassero ridimensionati i costi del personale, quindi modifica dei percorsi di carriera e blocco dell’indennità di presenza.
Nei fatti, i miliardi di lire risparmiati su queste indennità venivano spostati sul miglioramento del servizio ai cittadini.
Così firmai l’accordo, mi sembrava giusto che l’azienda diventasse un’azienda sana, con costi di personale negli standard di un azienda industriale, che il servizio al cittadino fosse il centro dell’iniziativa anche sindacale, che all’interno del comparto energetico ci fosse una perequazione tra le retribuzioni di lavoratori che in Enel o gas facevano lo stesso lavoro. Ora però l’accordo andava approvato dai lavoratori nelle assemblee, insomma dovevano far approvare ai lavoratori una riduzione del loro stipendio futuro.
Apriti cielo! Le posizioni più estreme le assunse l’allora comitato politico di via dei Volsci e naturalmente il consiglio dei delegati aziendali dell’Acea si mise di traverso.
L’Acea aveva 4500 lavoratori divisi per 58 luoghi di lavoro e così a me e ad un paio di altri segretari toccò la fatica solitaria di fare 58 assemblee, con una parte dei lavoratori contro, ma soprattutto i delegati Cgil aziendali contro.
Per fortuna i lavoratori furono più saggi dei loro rappresentanti e approvarono a maggioranza l’accordo sindacale e così l’Acea uscì dall’essere un ufficio decentrato del pubblico impiego e si avviò ad essere un’azienda industriale. In quello scontro storico furono rieletti anche i delegati aziendali e dei molti giovani che allora sostennero nelle assemblee la scelta della Cgil, oggi alcuni occupano posizioni importanti. Rinnovammo l’azienda e rinnovammo il sindacato.
Poi nel 1993 arrivò Chicco Testa come presidente e proseguì con lui l’opera di risanamento in un sano confronto dialettico. Naturalmente la storia ha dato ragione a me, l’Acea ha rifatto tutte le cabine e ha chiuso ad anello la rete elettrica.
Forse il 43% di giovani senza lavoro non capiscono e fa rabbia sapere che ci sono occupati che percepiscono una retribuzione aggiuntiva semplicemente perché si recano al lavoro e a questo i sindacati dovrebbero pensare.
Queste ingiustizie, trascurate per anni, hanno contribuito a fare dell’Italia il paese che ora è, terra di disuguaglianze abissali (le dieci persone più ricche percepiscono quanto 500 mila operai), terra dove il merito e il talento sono un problema, terra che aveva il suo futuro nell’industria manifatturiera e che ha visto progressivamente sparire le fabbriche e le aziende artigiane.
E la Cgil anch’essa è cambiata, allora stava con la perequazione e con l’industria. Ora?
Pasquale Russo
Martin Schulz supporta l’amico e vice Gianni Pittella: la coppia del presente e del futuro a Brussels
La coppia Schulz – Pittella sarà ancora più protagonista nella prossima legislatura europea.
Martin Schulz conclude il saluto di supporto dicendo che Gianni Pittella “si batte con me per discutere, più di quanto non sia stato fatto finora, sulle possibilità per il Sud Europa e per il Sud Italia di essere un ponte per la sponda opposta del Mediterraneo nel quadro dello sviluppo della cooperazione economica, culturale e ambientale”.
In questa frase, in sintesi, la visione politica degli Innovatori Europei.
Una risposta a Renzi e Madia sulla riforma della P.A.
Carissimi
Presidente Matteo Renzi e Ministro Marianna Madia,
ho accolto con piacere il vostro invito ed ecco le mie riflessioni su i punti di discussione da voi proposti.
Spero il mio contributo possa risultare di una qualche utilità.
Saluti
Ing. Aldo Perotti
Riporto di seguito tutti i 44 punti suggeriti. Mi sono ovviamente soffermato in particolare solo su alcuni.
Il cambiamento comincia dalle persone
1) abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio, sono oltre 10.000 posti in più per giovani nella p.a., a costo zero
Prima di procedere all’abrogazione di un istituto ci si deve domandare sempre le finalità che, inizialmente, hanno dato vita allo stesso, ovvero, a che serve o a che serviva il trattenimento in servizio?
Presupposto del trattenimento dovrebbe essere il principale interesse dell’Amministrazione di avvalersi della specifica esperienza e professionalità di una risorsa non immediatamente e/o facilmente sostituibile. Visto che il pensionamento è cosa temporalmente prevedibile l’Amministrazione in realtà avrebbe il tempo per sostituire la risorsa (affiancare, formare, ecc.) quindi il problema è quello della difficoltà di sostituire una risorsa (blocco turnover ma anche rigidità delle qualifiche e delle mansioni) che se viene a mancare non è rimpiazzabile con conseguente “crisi” di alcune funzioni. Aggiungiamo che il trattenimento in servizio può anche “far comodo” per questioni pensionistiche al dipendente che, oltre a guadagnare qualcosa in più della pensione, può incrementare il monte contributi e gli anni di servizio per incrementare l’assegno. Il vantaggio del dipendente e la possibilità per l’Amministrazione di “mettere una pezza” ad un problema renderebbe il trattenimento in servizio qualcosa di utile. In realtà l’uso distorto dello strumento, che si concreta nel trattenimento in servizio del dipendente solo ed esclusivamente nell’interesse di quest’ultimo, concesso dalla dirigenza probabilmente con leggerezza, costituisce un danno per l’Amministrazione. Probabilmente l’istituto non andrebbe abrogato, ma piuttosto diversamente regolamentato per evitarne l’uso distorto e garantire l’effettiva necessità del trattenimento in servizio del dipendente.
Proposta:
Il trattenimento in servizio di un dipendente può essere effettuato solo per un tempo limitato necessario a completare una attività di affiancamento/trasferimento di esperienze nei confronti di una o più risorse precedentemente individuate (almeno 6/12 mesi prima) della teorica cessazione dal servizio. L’Amministrazione sa che sta per perdere una risorsa importante. Per tempo deve organizzare il “passaggio” per garantire continuità. Se non lo fa o non è in grado di farlo il trattenimento in servizio è solo un costo per l’Amministrazione. Ovviamente l’Amministrazione deve essere messa in grado di individuare al suo interno risorse umane adatte a prendere il posto del dipendente in uscita.
2) modifica dell’istituto della mobilità volontaria e obbligatoria
Forme di mobilità volontaria ed obbligatoria già esistono nella P.A. Gli istituti del distacco e del comando hanno negli anni vissuto alterne vicende ed hanno funzionato spesso come “surrogati” di una vera e funzionale mobilità, ma sono anche strumenti suscettibili di un uso distorto. La “mobilità per esubero” credo non sia mai stata attuata perché per attuarla occorrerebbe quantificare degli esuberi, ma prima ancora definire le effettive necessità di personale, tutte operazioni queste molto complesse dove tutto è discutibile, organigrammi, funzioni, carichi di lavoro, ecc.
Ma cerchiamo di capire perché è difficile “spostare” gli impiegati pubblici. Prima di tutto bisogna chiarire che, tipo di lavoro a parte, cambiare luogo di lavoro è sempre qualcosa di poco piacevole e ha sempre dei costi. Viaggiare e/o spostarsi per motivi di lavoro è un parametro che pesa notevolmente nel trade-off lavorativo specialmente per i dipendenti pubblici che hanno stipendi mediamente molto bassi (escludendo ovviamente la dirigenza che ha stipendi molto alti). Un trasferimento che comporti costi aggiuntivi può incidere in maniera insostenibile su un impiegato, in concreto diventa una riduzione importante di stipendio. Ovviamente tutti ambiscono a soluzioni che gli permettano di comprimere i costi ed i tempi alla ricerca di una migliore qualità della vita. Lavorare vicino o lontano da casa per un impiegato pubblico fa la differenza. A complicare ulteriormente le cose ci sono poi le differenze stipendiali (a parità di funzione e mansione), ma anche altri piccoli vantaggi, benefit di vari natura (agevolazioni di orario, incarichi, indennità, ecc.), esistenti fra Amministrazioni per cui certi luoghi sono particolarmente ambiti ed altri molto meno. Ovviamente nei posti migliori è difficilissimo essere trasferiti, comandati, distaccati, non essendoci mai carenze di organico e non essendoci mai nessuno disposto a lasciare una posizione di vantaggio. Allo stesso tempo dai posti peggiori tutti vorrebbero andar via e di conseguenza la dirigenza è costretta a bloccare qualsiasi tentativo di allontanamento respingendo qualsiasi richiesta che è in grado, legittimamente, di respingere. In estrema sintesi qualsiasi spostamento che abbia per l’impiegato un qualsiasi trade-off positivo (economia di tempo, maggiore stipendio, benefits, ecc.) è ovviamente ambito. I trade-off negativi non possono che essere singolarmente, collettivamente e sindacalmente osteggiati. Va da se che se qualcuno deve vedere peggiorata la sua condizione lavorativa (e questo deve poter succedere) la cosa deve essere motivata, anzi direi di più, malmeritata.
Proposte:
Contratto pubblico unico. Differenziazione stipendiale solo se motivata e ragionata. In tutta la P.A. allargata (Regioni e società pubbliche incluse) a pari lavoro dovrebbe, fondamentalmente, corrispondere pari stipendio. Quindi, ferma la paga unica nazionale, mobilità volontaria libera, a semplice domanda, ovunque sia richiesto del personale. Le differenze stipendiali dovrebbero essere meritate, conquistate, sul campo, lavorando. Devono essere ricostruiti dei percorsi di carriera che tengano conto del lavoro svolto e dell’impegno profuso evitando metodi di selezione strettamente nozionistici che come è noto non funzionano, promuovono solo chi ha tempo e modo di studiare/memorizzare (da cui il detto: o lavori o fai carriera).Vanno abolite le rendite “di posizione” che creano immotivate differenze da luogo a luogo, da Amministrazione ad Amministrazione. In tutto lo Stato ad un certo lavoro deve corrispondere un determinato stipendio base. Va lasciata alla dirigenza la responsabilità di: premiare, incentivare, penalizzare attraverso qualsiasi strumento legittimo (come avviene nel lavoro privato), il personale, motivando i diversi provvedimenti. La dirigenza acquisirà forse un maggiore potere discrezionale sul personale ma di conseguenza anche una maggiore ed assoluta responsabilità. Allo scopo di attivare le dinamiche di mobilità volontaria, si dovrebbe lasciare alla dirigenza un ampio margine di trattativa sulla parte variabile dello stipendio, questo permetterebbe di incentivare in qualche modo gli spostamenti di personale, magari verso sedi disagiate. La dirigenza, per una piena responsabilizzazione, dovrebbe poter “scegliere” e “motivare” il proprio personale con degli strumenti idonei che vadano oltre l’amicizia e/o la pacca sulla spalla. La mobilità non deve essere collegata all’idea che “li si guadagna di più” (senza un vero motivo) ma alla possibilità ovvero, “li potrò lavorare (se sono in grado) di più e quindi guadagnare di più”
Per quanto riguarda la mobilità obbligatoria, presupponendo l’attivazione del contratto unico, li dove fossero presenti degli esuberi di personale appare chiaro che non sarebbe ne possibile ne giustificato distribuire premi o incentivi, riducendo tutti alla paga base. Una parte del personale per forza di cose andrà subito alla ricerca di altre collocazioni (la mobilità volontaria è libera) dove comunque potrebbe essere possibile ottenere/spuntare, almeno in prospettiva, un incremento sulla parte variabile. Per il personale che non riesce ad accedere alla mobilità libera si dovrà far ricorso alla mobilità obbligatoria attualmente regolata dalla legge, ma dovrebbe essere un problema di dimensioni ridotte.
3) introduzione dell’esonero dal servizio
All’esonero dal servizio hanno avuto accesso per un periodo di tempo limitato negli scorsi anni un certo numero di impiegati pubblici. Probabilmente l’idea nasce dall’assunto che il personale della P.A. prossimo alla pensione sia, per una serie di ragioni, scarsamente produttivo, tanto da risultare conveniente lasciarlo a casa e risparmiare un po’ sullo stipendio. L’impiegato rinuncia ad una parte dello stipendio ma sostanzialmente è in pensione, un anticipo di pensione di importo ridotto. Gli unici interessati a questa iniziativa sono quegli impiegati per questioni soggettive (altri redditi o altre possibilità di reddito) possono ben volentieri rinunciare ad un po’ di soldi e godersi anzitempo la libertà dal lavoro.
Proposta:
Si tratta essenzialmente di un prepensionamento. Se lo scopo è quello di favorire l’uscita del personale più anziano è forse più opportuno affrontare la questione diversamente intervenendo caso per caso in quelle situazioni dove l’uscita anticipata dal lavoro costituisce una possibile soluzione ad un problema di esuberi. Si potrebbe istituire “lo stato di crisi” di una Amministrazione dando la possibilità di avviare al prepensionamento i dipendenti più anziani, pensando anche a degli incentivi, come spesso avviene nel settore privato.
4) agevolazione del part-time
Anche il part-time ha vissuto alterne vicende. Prima molto incentivato, poi ultimamente combattuto. Il problema di fondo è che non è ben chiaro dove finiscono i vantaggi e gli svantaggi del part-time. La questione è molto complessa e si deve analizzare la questione sotto diversi punti di vista. Articolazione del part-time: una articolazione del part-time (per percentuale e/o per forma) avulsa dall’organizzazione dell’ufficio può risultate molto svantaggiosa per l’Amministrazione in quanto la risorsa alla fine rischia di essere utilizzata molto meno di quanto previsto contrattualmente (fino a non esserlo affatto); di contro una articolazione ritagliata sui momenti più gravosi potrebbe risultare svantaggiosa per il dipendente che si trova a lavorare quasi come gli altri ma con uno stipendio inferiore. Tipo di lavoro: alcune attività della P.A. che richiedono continuità non sono compatibili con il part-time ma allo stesso tempo alcune attività potrebbero essere svincolate da qualsiasi orario. Part-time di necessità: in alcuni momenti della vita (figli piccoli, genitori anziani) può risultare necessario ed economico lavorare (e guadagnare meno) per questioni personali; favorire queste situazioni è una questione di civiltà.
Proposta:
Il part-time non ha bisogno di essere agevolato o incentivato, va solo regolato al meglio. Va definito il perimetro di applicazione del part-time, escludendo alcuni settori ma allo stesso tempo permettendo lo spostamento di chi ne ha la necessità in settori dove il part-time è possibile. Va regolata al meglio l’articolazione del part-time per garantire il possibile reale impiego lavorativo del dipendente che non deve (neanche volontariamente) risultare “accantonato”.
5) applicazione rigorosa delle norme sui limiti ai compensi che un singolo può percepire dalla pubblica amministrazione, compreso il cumulo con il reddito da pensione
E’ un falso problema che sorge per un uso distorto di strumenti che hanno una loro ragione di esistere. Se i compensi fossero realmente collegati all’impegno profuso, al lavoro svolto e non all’arbitrio di chicchessia che fa un uso “disinvolto” del denaro pubblico a vantaggio di un ristretta cerchia, non sarebbe assolutamente possibile cumulare incarichi e compensi indipendentemente dalle capacità lavorative dell’essere umano che dispone di sole 24 ore al giorno. Se si collega il compenso, realmente, all’impegno necessario, il limite sarà dato, oggettivamente, dall’impossibilità materiale di svolgere efficacemente più incarichi. La patologia consiste nell’attribuire incarichi che richiedono poco o nessun impegno (od anche svolti – senza alcun problema -con poco o nessun impegno) e nel compensarli in maniera immotivata ed eccessiva. Diverso è il discorso dei pensionati che con il progressivo passaggio al sistema contributivo saranno “lavoratori” come gli altri che ad un certo punto della vita iniziano a recuperare/spendere quanto accantonato in precedenza non potendo “teoricamente” essere produttivi come un tempo. Impedire, o comunque contenere, la possibilità per un pensionato di lavorare per lo Stato potrebbe far venir meno la possibilità di utilizzare proficuamente, ove necessario, la loro professionalità ed esperienza. Rimane da valutare attentamente il valore e la necessità effettiva di questo contributo responsabilizzando seriamente chi sceglie di avvalersene.
6) possibilità di affidare mansioni assimilabili quale alternativa opzionale per il lavoratore in esubero
Questa possibilità dovrebbe intervenire solo alla fine di un percorso di mobilità come alternativa al licenziamento. Trattandosi di mansioni” assimilabili” in realtà non si dovrebbe porre il problema se non nella definizione di “assimilabile” che non dovrebbe essere troppo ampia.
7) semplificazione e maggiore flessibilità delle regole sul turn over fermo restando il vincolo sulle risorse per tutte le amministrazioni
Le attuali regole del turn-over che lo limitano pesantemente sono essenzialmente mirate a ridurre progressivamente il numero dei dipendenti pubblici. Se c’è un vincolo di risorse (che teoricamente devono risultare in costante diminuzione per la progressiva riduzione dei costi) non si comprende come semplificare e cosa rendere flessibile. Forse si intende applicare i vincoli a livello di grandi o grandissime strutture per gestire al meglio uscite ed ingressi dirottando le nuove assunzioni nei settori bisognosi e svuotando quelli in esubero? Oppure promuovere una mobilità interna permettendo e favorendo un turn-over tra aree funzionali con un sistema “a scorrimento” che permetterebbe di coprire le posizioni apicali con risorse interne e quindi assumere (a costo inferiore) un maggior numero di qualifiche inferiori il tutto a costi invariati? Il tutto si concretizzerebbe nel tradurre il turn over in un turn-over finanziario in cui il rapporto 1 a 5 è relativo ai soli costi del personale indipendentemente da ruoli e qualifiche. L’uscita di 5 dirigenti potrebbe tradursi nell’ ingresso non di un solo dirigente ma di 2 o forse anche 3 funzionari o magari di 4 o 5 impiegati.
8) riduzione del 50% del monte ore dei permessi sindacali nel pubblico impiego
Va allineato, se non lo fosse, a quanto previsto per tutti i gli altri contratti di lavoro. Se il lavoro pubblico è un lavoro come gli altri non si devono fare distinzioni.
9) introduzione del ruolo unico della dirigenza
10) abolizione delle fasce per la dirigenza, carriera basata su incarichi a termine
11) possibilità di licenziamento per il dirigente che rimane privo di incarico, oltre un termine
12) valutazione dei risultati fatta seriamente e retribuzione di risultato erogata anche in funzione dell’andamento dell’economia
Questi punti fanno riferimento tutti alla necessaria riforma della dirigenza pubblica. Per quanto riguarda il ruolo unico ci si domanda perché debba esistere un “ruolo” o un “albo” della dirigenza. Gli “albi” esistono per delle finalità specifiche a tutela e controllo di specifiche professioni. Esistono delle procedure abilitanti specifiche per fare l’ingegnere, il veterinario, ecc. Essendo tante le professioni esistono diversi albi. Allo stesso modo se riconosciamo come specifiche le capacità, l’esperienza, la preparazione anche tecnica necessaria per dirigere uno specifico ufficio dovrebbero/potrebbero esistere tanti ruoli quanti sono gli uffici. Questo non è ovviamente possibile ma comunque esistono oggi tanti “ruoli” proprio per voler distinguere in qualche modo le varie specialità. Questo è tanto vero che molti hanno rivendicato in passato e rivendicano la creazione di un proprio “ruolo”; parlo dei quadri, dei professionisti (ingegneri, avvocati, ecc.) della P.A. Quindi un “ruolo unico” in cui tutti i dirigenti fanno tutto e sanno fare tutto e sono assolutamente intercambiabili l’uno con l’altro non è una cosa molto funzionale. L’idea che esista la figura del “manager jolly” buono per tutte le occasioni è profondamente sbagliata come allo stesso modo è sbagliato il metodo di selezione che proprio con la creazione del “ruolo” e delle “scuole di management”, con l’ingresso diretto dall’esterno di manager giovanissimi ed inesperti, crea enormi disfunzioni e sta distruggendo quel poco di P.A. ancora funzionante. Nelle organizzazioni che funzionano (le più antiche) le responsabilità di direzione non si attribuiscono per concorso a quiz (i quiz possono essere sufficienti per la patente di guida, ma poi quella che conta è la prova pratica). Non si diventa vescovo o cardinale perché si è scritto bene un bel tema o fatto bella figura ad un colloquio. Non esiste neanche il concorso pubblico per colonnello o generale. Nelle strutture che funzionano esistono sistemi di progressione e carriera che portano ai vertici l’esperienza, la preparazione specifica, lo studio,la capacità, l’impegno, anche il genio e la simpatia, l’astuzia ma anche l’umiltà, e qualche volta l’umanità, tutte cose che molto spesso mancano nel manager pubblico. Non sarà forse che il metodo per selezionarli è sbagliato ? Quindi ben venga l’eliminazione della figura del dirigente a vita ma si dia concretezza all’incarico di dirigere che per definizione, come tutti gli incarichi, i compiti, ha un termine ben definito, va svolto con dei risultati, si pone degli obiettivi (non sarebbe male definirli prima, nell’incarico, e non dopo a consuntivo quando misteriosamente tutti i dirigenti raggiungono gli obiettivi). Se i risultati mancano, o sono scarsi, è evidente che quello non è il lavoro che adatto a quella persona alla quale non resta che tornare da dove è venuta (perché licenziare qualcuno che magari è stato un buon funzionario, può tornare a farlo). Come si nominano i dirigenti ? Se non esiste un ruolo, un albo, un elenco dei dirigenti, il dirigente può essere chiunque. Chi individua e conferisce un incarico a qualcuno è direttamente responsabile della scelta che ha fatto e risponde degli insuccessi della figura individuata. La scelta del candidato migliore non andrà per forza di cose troppo lontana dalla figura più esperta e capace (e vicina) disponibile. Altre scelte sarebbero, anche se sicuramente possibili, profondamente sbagliate. Le immissioni dall’esterno ? Possibili ma vanno molto ponderate in quanto considerate da sempre figure “ostili” a meno che non si tratti di figure indiscutibili, di grande spessore, in grado di innovare, istruire, formare, far crescere una ufficio, una struttura, anche in termini di prestigio, altrimenti si riducono a “meteore”, “raccomandati di turno”.
La Costituzione prevede testualmente: Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. Fino ad oggi è forse una delle norme più “interpretate” ed eccepite per legge cosicché i dipendenti pubblici assunti per concorso pubblico “tradizionale” sono solo una parte dei dipendenti pubblici. Il risultato è che la compagine dei dipendenti pubblici è molto variegata (per formazione, esperienza lavorativa, provenienza) e spesso si assiste ad un utilizzo distorto delle risorse umane che per alterne vicende si trovano (pur di lavorare) a far cose per cui non hanno studiato e ad essere spesso sottoutilizzate. Aggiungiamo che questo ha come conseguenza che negli uffici i dirigenti si trovano ad dover organizzare e gestire quello che trovano e ad accogliere quello che capita con pochissima libertà di scelta dei propri collaboratori (cosa che li deresponsabilizza non poco quando si parla di risultati).
Forse ripensare in toto le modalità concorsuali, istituire una modalità di selezione che passi per un periodo di esperienza sul campo, magari più periodi successivi e in posti diversi, che permetta di effettuare una migliore selezione, può andare a vantaggio di tutti, sia della P.A. che del lavoratore.
Anche l’acceso alla dirigenza dovrebbe prevedere più passaggi, dei periodi di prova. Come per la patente di guida, i quiz, lo studio (spesso mnemonico), non possono bastare.
Per quanto riguarda il collegamento tra compensi ed andamento economico del paese potrebbe avere senso se si potesse dimostrare una qualche forma di correlazione tra il lavoro del dirigente pubblico e il PIL. Si tratterebbe di una sorta di stock-option sulle Azioni Italia come se un dirigente pubblico fosse il direttore commerciale di una grande azienda. Sappiamo che non è così almeno per la maggior parte della dirigenza. La cosa potrebbe avere un senso solo ai massimi livelli. Alla politica forse si potrebbe applicare questa interessante proposta. Il compenso del Governo e delle più alte cariche, e sicuramente pure quello dei parlamentari, va collegato alla crescita del PIL. Se il PIL diminuisce dovrebbero tutti accontentarsi tutti di un compenso pari alla pensione minima. Negli ultimi anni avremmo avuto consistenti risparmi sui costi della politica.
13) abolizione della figura del segretario comunale
L’albo dei segretari comunali è uno degli istituiti volti a sottolineare la specificità della figura che ha funzioni e competenze particolari. Se col passare del tempo queste funzioni e/o competenze sono venute meno per l’evoluzione delle strutture organizzative dei Comuni non ha senso conservare l’istituto.
14) rendere più rigoroso il sistema di incompatibilità dei magistrati amministrativi
Affinché la magistratura possa affermare il suo ruolo e pretendere il rispetto che merita la funzione di magistrato (qualsiasi magistrato) dovrebbe essere “compatibile” solo con se stessa. Il magistrato non può fare nient’altro che il magistrato.
15) conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili nido nelle amministrazioni
Lodevole iniziativa. Li dove già è attivata ha riscontrato un grande successo.
Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione
16) riorganizzazione strategica della ricerca pubblica, aggregando gli, oltre 20, enti che svolgono funzioni simili, per dare vita a centri di eccellenza
Ottimo. Questo permetterebbe di destinare più risorse alla ricerca e meno al mantenimento di una pluralità di macchine amministrative.
17) gestione associata dei servizi di supporto per le amministrazioni centrali e locali (ufficio per il personale, per la contabilità, per gli acquisti, ecc.)
Rientra nell’obiettivo generale di mettere in comune la capacità amministrativa per realizzare delle economie di scala. Questo ha senso se questa centralizzazione (già esistita nel passato con i Provveditorati e già presente –rivista – con la Consip) non costituisce ne una deresponsabilizzazione delle altre strutture ne una eccessiva complicazione amministrativa. Il fatto di delegare ad altri parte delle scelte potrebbe portare ad una definizione incompleta o approssimativa dei bisogni a fronte di ipotetici risparmi, ovvero l’acquisto di quantitativi sconsiderati come l’impossibilità di rispondere a precise necessità. Ogni realtà deve conservare la possibilità e la responsabilità di scegliere e decidere cosa acquistare in termini di beni e servizi e deve poterlo fare nei tempi e nei modi che garantiscano la funzionalità dell’Amministrazione. Deve essere garantita una minima autonomia, una pronta cassa con tutte le cautele del caso (anche un sistema di carte di credito), che permetta agli uffici la stessa funzionalità di una struttura privata.
18) riorganizzazione del sistema delle autorità indipendenti
Le autorità indipendenti sono realtà piuttosto nuove non previste nella nostra Costituzione pur avendo funzioni e compiti di rango molto elevato e la cui collocazione” gerarchica” non è chiara. Pur essendo indipendenti è ovvio che non possono esserlo totalmente. Probabilmente la riorganizzazione dovrebbe partire da una loro definizione all’interno della Costituzione. Attualmente dipendono in generale dal Parlamento e/o dal Governo che ne nomina i componenti. In tal senso rispondono essenzialmente alla politica e risentono dei cambiamenti politici. Probabilmente non sarebbe sbagliato trasformarle in organi almeno in parte elettivi, gli darebbe maggiore forza.
19) soppressione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione e attribuzione delle funzioni alla Banca d’Italia
L’operazione comporterà dei costi per l’inevitabile allineamento dei costi del personale a quelli, maggiori, della Banca d’Italia. O forse si intende ridurre quelli della Banca d’Italia a livello della COVIP o del Ministero dell’Economia ? In quest’ultimo caso vedo possibili consistenti risparmi.
20) centrale unica per gli acquisti per tutte le forze di polizia
Potrebbe permettere consistenti economie di scala.
21) abolizione del concerto e dei pareri tra ministeri, un solo rappresentante dello Stato nelle conferenze di servizi con tempi certi
Il sistema dei concerti e dei pareri trova origine nelle specifiche competenze che sono allocate nelle varie Amministrazioni. Non esiste la figura del tuttologo e se qualcuno si arroga questa funzione è certo persona in grado di fare grandi danni. Se si accentra su una unica figura una serie di competenze questa dovrà comunque cercare il consenso e l’approvazione degli specialisti così come il medico di famiglia ordina analisi e visite specialistiche prima di decidere su una cura. Quindi qualsiasi semplificazione andrà normata con attenzione. Molto utile potrà risultare lo strumento del silenzio-assenso ma attenzione, molte strutture pubbliche potrebbero non rispondere non per esprimere il loro assenso quanto per incapacità amministrativa a rispondere (mancanza di responsabili, di personale, di risorse), potrebbe venir meno il presidio dello Stato su qualche fronte se con troppa leggerezza si estendesse in maniera generica l’istituto del silenzio assenso a tutto. Più intelligente, nella volontà di stabilire tempi certi, sarebbe un attento bilanciamento degli strumenti silenzio-assenso e silenzio- diniego.
22) leggi auto-applicative; decreti attuativi, da emanare entro tempi certi, solo se strettamente necessari
Questa cosa sembra una sorta di contrordine compagni. Si parla da anni di delegificazione con lo scopo di gestire i dettagli tecnici con strumenti di ordine inferiore rispetto alla Legge dello Stato proprio per evitare che alcune complicazioni finiscano per bloccarsi nelle aule del Parlamento e delle Commissioni ed ora si propongono delle leggi di immediata applicazione che, per esserlo, devono essere complete sin nei più piccoli dettagli (moduli standard compresi). La soluzione è nel comprimere la procedura di emanazione dei decreti attuativi che potrebbero essere soggetti ad un solo unico ed unico controllo di conformità alla legge effettuato da un organo tecnico (p.es. Corte dei Conti o Consiglio di Stato) e nel giro di massimo 15 giorni divenire esecutivi. Se poi ci sono difficoltà per scrivere i decreti attuativi il problema risiede negli Uffici Legislativi delle singole Amministrazioni; forse si può iniziare da lì a rimuovere qualche dirigente e se del caso qualche Ministro inadempiente.
23) controllo della Ragioneria generale dello Stato solo sui profili di spesa
Questa iniziativa oltre a velocizzare le procedure potrebbe responsabilizzare maggiormente la dirigenza. Va da se che alcuni controlli propri della Ragioneria sarebbe opportuno che venissero comunque effettuati da strutture interne. In tal senso gli uffici decentrati della Ragioneria potrebbero essere assorbiti dalle Amministrazioni ospitanti.
24) divieto di sospendere il procedimento amministrativo e di chiedere pareri facoltativi salvo casi gravi, sanzioni per i funzionari che lo violano
Questa cosa non sta in piedi. Se qualcuno sospende un procedimento amministrativo lo fa a ragion veduta e a tutela dell’Amministrazione (dei cittadini tutti) e non per fare un dispetto a qualcuno (se questo avviene è un reato, è un’altra cosa). Se si chiede un parere facoltativo, che comunque è un lavoro, lo si fa perché se ne ravvisa la necessità e non per fare un favore a un collega che si annoia (pure questo sarebbe un reato). Mi limiterei ad applicare le leggi esistenti in materia obbligando al rispetto dei tempi cercando di capire, caso per caso, le ragioni dei ritardi. Nelle maggior parte dei casi dovuti quest’ultimi a seri problemi organizzativi e raramente all’inerzia del singolo.
25) censimento di tutti gli enti pubblici
Se occorre fare un “censimento” per disporre di una mappa della P.A. temo che qualcuno abbia perso il controllo della situazione. Anche qui si dovrebbero individuare i responsabili .. ma credo e spero che il Ministero dell’Economia, come anche l’ISTAT già dispongano di tutte le informazioni.
26) una sola scuola nazionale dell’Amministrazione
Serve veramente una scuola dell’Amministrazione? O forse non sarebbe meglio utilizzare per aggiornare e formare i funzionari ed i dirigenti le università pubbliche e/o private, l’esperienza all’estero, gli scambi di funzionari, le organizzazioni internazionali. Le scuole “dedicate” creano settori chiusi, tendenzialmente autoreferenziali, spesso delle lobby. Si vuole ancora favorire la creazione di “caste” di alti papaveri , le elites, le diplomazie, (e già …quelli vengono dalla scuola nazionale …dall’accademia ….) o forse nel terzo millennio non è il caso di lasciarci alle spalle questi retaggi ottocenteschi. Si potrebbe eccepire che certe cose non si insegnano all’Università, occorrono scuole altamente specialistiche. E’ vero, ma quello che non si insegna all’università si costruisce al lavoro, nella ricerca, nelle imprese, e viene insegnato da chi ha vissuto certe esperienze e le trasferisce agli altri nei convegni, nei seminari, in tutte quelle occasioni di crescita culturale e collettiva che a seguire poi diventano oggetto di studio e di insegnamento anche nelle Univeristà. Una scuola della P.A. potrà essere così avanzata ? Fino ad ora non è stato così. Forse più che di una scuola potrebbe essere utile un istituto che organizza e gestisce la formazione senza però disporre ne di docenti ne di strutture stabili, prendendo il meglio dentro e fuori la P.A.
27) accorpamento di Aci, Pra e Motorizzazione civile
Da troppo tempo se ne parla. Va fatto.
28) riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio (es. ragionerie provinciali e sedi regionali Istat) e riduzione delle Prefetture a non più di 40 (nei capoluoghi di regione e nelle zone più strategiche per la criminalità organizzata)
Si tratta di trasformazioni molto complesse e di non immediata attuazione. Parlare di Prefetture vuol dire parlare di prefetti e carriera prefettizia. Si tratta di un altro distinguo (non diverso dai segretari comunali) che potrebbe essere senza dubbio abolito. La presenza dello Stato, o meglio del Governo parlando di Prefetture, sul territorio, andrebbe completamente ripensata non solo numericamente e geograficamente ma anche concettualmente. Il rappresentante del Governo, il Prefetto, potrebbe essere sostituito da un dirigente (meglio un incaricato) dotato di specifiche deleghe governative (diverse da caso a caso), una sorta di procuratore con funzioni di coordinamento e controllo, con determinati poteri di firma, di spesa, con competenze territoriali non necessariamente collegate a dei confini amministrativi. Potremmo avere più Delegati Governativi per ogni Regione oppure un unico Delegato su più Regioni limitrofe o su aree limitrofe. Qualche Delegato potrebbe avere competenze specifiche su diversi territori e bisognerebbe considerare possibile la co-gestione di determinati temi e che un Delegato funga da coordinatore di altri suoi colleghi. Si potrebbe così nominare un unico Delegato per la lotta alla mafia nelle Regioni del mezzogiorno con funzioni definite e distinte rispetto a quelle delegate ai singoli Delegati Provinciali/Regionali. Questo sistema potrebbe risultare molto dinamico, a geometria variabile, in grado di rispondere tempestivamente alle varie necessità.
29) eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle camere di commercio
Questa è una battuta di spirito. Le Camere di Commercio svolgono una serie di funzioni relative alla pubblicità delle attività economiche, alle cariche, ai bilanci, che sono fondamentali. La Camera di Commercio per le imprese è paragonabile all’Anagrafe per i cittadini. Vogliamo eliminare anche l’obbligo di iscrizione all’anagrafe per i cittadini ? Non credo sia utile. Semplificare le procedure, ridurre i costi, rendere più efficiente il sistema, queste le cose da fare.
30) accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali
L’accorpamento delle Sovrintendenze è essenzialmente un’operazione mirata a ridurre la spesa. Il settore, già in grave ristrettezze, non brilla per efficienza per cui ulteriori tagli non potranno che peggiorare la situazione. La gestione manageriale dei poli museali credo possa essere ben riassunta dal concetto di Museo Azienda. Il Museo diventa un’azienda che promuove e vende specialissimi servizi “culturali”. Vende biglietti, gadget, ospita eventi, concerti, magari anche feste; in concreto “mette a reddito” il bene culturale. Questo è possibile, fattibile, non sempre opportuno. In certi casi può essere molto facile e funzionare in altri l’insuccesso è garantito. I costi per la tutela e la gestione degli spazi museali sono sempre ingenti ed il pubblico pagante spesso scarso. Responsabilizziamo i direttori dei musei, diamogli carta bianca e qualche soldo per iniziare (gli stessi che daremmo ad un gestore/sponsor privato, che va di moda) e vediamo quello che sanno fare. Rinunciamo all’idea che un privato che un privato a pari condizioni possa fare di meglio. Se un privato ci guadagna forse ci sarebbe riuscito anche lo Stato potendo fare le stesse cose e con le stesse modalità operative. Colleghiamo compensi, carriere, potere ai risultati e tutto andrà meglio. Nella Pubblica Amministrazione l’origine di tutti i mali è che quando Tizio lavora a guadagnaci non di rado e Caio e tutti e due guardano Sempronio che fa carriera.
31) razionalizzazione delle autorità portuali
Tema molto specifico. Per addetti ai lavori.
32) modifica del codice degli appalti pubblici
Tema impossibile. Da quando l’Unione Europea con le sue direttive sta regolando la materia (con conseguenti continui richiami ed infrazioni), il codice è in continua e costante modifica. Forse è il caso di alzare bandiera bianca e limitarsi alla pura applicazione delle direttive comunitarie abrogando qualsiasi norma nazionale/regionale anche solo lontanamente in possibile conflitto. Limitiamoci al solo recepimento delle direttive, per quanto non regolato bastano le indicazioni/istruzioni dell’Autorità. Importante sarebbe alleggerire il contenzioso trovando delle modalità rapide di annullamento/ripetizione li dove si presentassero degli errori che, nonostante l’impegno, ci possono essere.
33) inasprimento delle sanzioni, nelle controversie amministrative, a carico dei ricorrenti e degli avvocati per le liti temerarie
Come è noto gli avvocati vincono sempre. Comunque vada la causa il loro compenso è assicurato (anticipo, spese, acconti, ecc.). Più tempo passa, meglio è. Bisogna agganciare il compenso degli avvocati agli esiti della causa anche con il concorso alle spese, avremmo così una pre-analisi legale del contenzioso. Solo le cause che hanno un ragionevole motivo di essere vinte troveranno avvocati disposti a promuoverle e ad incoraggiarle. Le cause perse in partenza non troveranno difensori. Le cause che meritano il giudizio di un giudice andranno ovviamente avanti, e di corsa, perché gli avvocati avranno fretta di incassare o comunque di uscirne fuori limitando i danni. Questa cosa potrebbe funzionare anche nella giustizia civile, non solo in quella amministrativa.
34) modifica alla disciplina della sospensione cautelare nel processo amministrativo, udienza di merito entro 30 giorni in caso di sospensione cautelare negli appalti pubblici, condanna automatica alle spese nel giudizio cautelare se il ricorso non è accolto
Si tratta di modifiche sensate ma vanno inquadrate forse in una più ampia riforma del processo amministrativo pensando anche a delle soluzioni di pre-contenzioso che diano la possibilità alle Amministrazioni di concordare soluzioni che contemperino i vari interessi in gioco, permettano di correggere eventuali errori ed intervenire a sanatoria ove possibile.
35) riforma delle funzioni e degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato
Anche l’Avvocatura dello Stato rientra tra quei “distinguo” della storia (come i segretari comunali, i prefetti, e molti altri) che forse andrebbero totalmente ripensati. Non sarebbe meglio che gli avvocati lavorassero e vivessero nelle Amministrazioni per poter dare suggerimenti, consulenze, pareri consigli, così come fanno gli uffici legali delle imprese private? Che senso ha un unico ufficio legale centrale come l’Avvocatura che quando interviene non conosce nulla se non gli atti di causa e che prima di entrare nel merito impiega settimane se non mesi ?
36) riduzione delle aziende municipalizzate
Le aziende municipalizzate sono nate per permettere una gestione “aziendale” di determinati servizi. Se la Pubblica Amministrazione cambia in chiave moderna, “aziendalistica”, probabilmente molte funzioni potrebbero tornare ad essere “internalizzate” e tutto probabilmente a costi molto inferiori. Perché sono proliferate ? Perché quella “flessibilità” che viene attribuita all’azienda e la rende più funzionale a svolgere certe funzioni è la stessa che ha permesso un utilizzo clientelare del denaro pubblico, assunzioni facili, incarichi e compensi ingiustificati, come si legge dalla cronaca. Probabilmente ridurle non sarà sufficiente, sarebbe opportuno ripensarle oppure privatizzarle trasformandole in cooperative di servizi.
Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi
37) introduzione del Pin del cittadino: dobbiamo garantire a tutti l’accesso a qualsiasi servizio pubblico attraverso un’unica identità digitale
Perché non ripensare la vecchia carta d’identità elettronica come” smart card” unica che permetta un cumulo di funzioni inclusa quella di conto corrente individuale nazionale (basta associare un IBAN) da agganciare al sistema fiscale. Potrebbe essere utilizzata per i pagamenti, per i rimborsi fiscali, per erogare aiuti ed assistenza ai più poveri (tipo social card). Per l’attuazione si potrebbe far ricorso ad un accordo con il sistema bancario (Poste incluse) che potrebbe occuparsi del rilascio della SMART IDENTITY CARD direttamente ai propri clienti (questo velocizzerebbe) magari “sponsorizzando” l’operazione e con la possibilità di promuovere servizi aggiuntivi.
38) trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche: il sistema Siope diventa “open data”
Iniziativa interessante ma è da valutare la diffusione di dati che potrebbero essere di difficile interpretazione per i non addetti. C’è poi da tener conto che i limite della trasparenza è costituito dal rispetto della privacy. Forse potrebbe essere utile approfondire il tema tenendo in considerazione il fatto che se tutto deve essere conoscibile, qualsiasi spesa, contributo, stipendio, incarico, qualsiasi somma percepita dal pubblico dipendente diventa pubblica allora mi aspetto che dall’altra parte, per tutti i cittadini, sia palese il contributo al bilancio dello Stato palesando tutte le dichiarazioni dei redditi ed i relativi versamenti. Bisognerebbe essere orgogliosi di pagare le tasse. O no ?
39) unificazione e standardizzazione della modulistica in materia di edilizia ed ambiente
Sarebbe ora.
40) concreta attuazione del sistema della fatturazione elettronica per tutte le amministrazioni
Idem.
41) unificazione e interoperabilità delle banche dati (es. società partecipate)
Si può sicuramente fare.
42) dematerializzazione dei documenti amministrativi e loro pubblicazione in formato aperto
Idem.
43) accelerazione della riforma fiscale e delle relative misure di semplificazione
Da tenere in debito conto che l’unica possibilità per combattere una parte dell’evasione (lo zoccolo duro) passa per le detraibilità di molte delle spese che vengono effettuate dai cittadini. Va attivato un imponente conflitto di interessi per cui ogni pagamento effettuato in alcuni particolari settori (idraulici, operai, ma anche oreficeria,e via dicendo) deve poter essere fortemente recuperato a livello fiscale. Deve convenire moltissimo chiedere la fattura ed allo stesso tempo deve costare moltissimo non farla. La fattura deve essere in pratica qualcosa cui solo un folle rinuncerebbe. Non sarebbe male poi che i pagamenti elettronici possano sostituire (attraverso il codice dell’operazione o qualcosa del genere) i documenti giustificativi. Il bonifico all’idraulico potrebbe con semplici click trasformarsi in una detrazione e quindi in un eventuale rimborso.
44) obbligo di trasparenza da parte dei sindacati: ogni spesa online
L’obbligo è da estendersi a tutte le organizzazioni ed a tutte le associazioni in qualche modo destinatarie di contributi o agevolazioni pubbliche (onlus, coop sociali, club sportivi, ecc.).
Roma, 8 maggio 2014
Il Regno Unito mette d’accordo Letta e Renzi
La Tigre Celtica dagli artigli spuntati continua a ruggire
di Diego Bevilacqua
In questo breve documento viene illustrata la misura di politica economica intrapresa dall’Irlanda in risposta alla crisi attuale, efficace nel breve periodo per permettere alla Tigre Celtica di tornare sul mercato.
Saranno trattati brevemente gli aspetti dell’indebitamento nazionale così come del ribassato costo unitario del lavoro, finalizzato a rendere la produzione nazionale maggiormente competitiva rispetto la produzione degli altri Paesi membri e, più in generale, della concorrenza internazionale. Interessante è anche la politica di bloccare l’aumento fiscale alle multinazionali, mantenendo in tal modo il contesto economico lavorativo particolarmente allettante per le corportations, che hanno in parte permesso tale ripresa economica e confermando lo smeraldo d’Europa come uno dei paradisi fiscali. L’ultima parte, infine, si focalizza sull’aspetto del welfare state irlandese e di come esso vada comunque a gravare in maniera non indifferente sul PIL nazionale.
Tale modello quindi, momentaneamente vincente, si presenta come unico nel suo caso di genere, in conseguenza delle peculiarità economiche e politiche nazionali che contraddistinguono l’Irlanda.
Di seguito, il link al pdf:
Mediaset gioca ancora il Mundialito
Con la sua consueta concretezza brianzola, Fidel, il vero pilota dell’impero di Arcore, mette nel mirino il nuovo nemico, rivelando la bussola che sta guidando il gruppo.
Dal mercato generalista alle nuove relazioni individuali. Questa sembra la grande rivoluzione culturale che si sta elaborando all’ombra del Biscione. Posizione chiave sarà la newco annunciata dallo stesso Confalonieri, che dovrebbe rinverdire i fasti delle famose scatole 1,2,3, fino a 12 che proteggevano, all’inizio dell’avventura, il tesoro di Berlusconi. La nuova società si candida a diventare la Mediobanca della comunicazione multimediale italiana, una società aperta a tutti i nuovi player , per allestire una grande piattaforma di contenuti on demand, di cui la Pay Tv sarà solo la prima tappa .Il vero obbiettivo è quello di sostituire la vecchia pubblicità tabellare con relazioni dirette con ogni singolo consumatore, creando delle community per ogni prodotto, vendendo così la profilazione del consumatore ai distributori.
Esattamente quello che fa Google e Amazon che diventano i veri avversari. Confalonieri apre così il fronte dell’USB, ossia della porta laterale che rende lo schermo televisivo uno dei tanti device della rete. E’ lì che si giocherà la partita decisiva. Soprattutto in un paese come l’Italia, che a dispetto dei vieti luoghi comuni, è considerato dagli stessi global player un mercato di punta per la grande predisposizione delle comunità ai social network e per la tradizionale propensione ai consumi driving.
Non a caso è in Italia che Google, Amazon, la stessa Facebook intendono sperimentare la versione europea della loro piattaforma di social TV. Ed è in Italia che si misurerà la conseguenza sul mercato editoriale dell’incursione dei nuovi linguaggi televisivi. Sky ha già predisposto il suo nuovo bouquet in protocollo IP. In tutto questo brilla l’assenza totale del servizio pubblico. Ma anche del governo. La vicenda dei 150 milioni rischia di distrarre l’attenzione politica dal vero focus: quale modello di internazionalizzazione del sistema Italia si immagina? Siamo alle soglie di ripetere l’esperienza degli anni ’80, quando sulla scia dell’esplosione, anche allora del tutta imprevista, dei consumi televisivi privati, che Berlusconi confiscò e deviò, si visse una delle più clamorose esperienze di internazionalizzazione passiva di un paese.
In pochi anni l’Italia divenne dai paesi delle mille antenne, con circa mille televisioni locali, al paese degli infiniti spot, con il fatturato pubblicitario televisivo che passo da 90 miliardi di lire nel 1978 alla fantastica cifra di 4000 miliardi nel 1986.Per lo più rastrellati da Publitalia di Dell’Utri. Un moltiplicatore del genere non si è mai visto in nessuna economia del mondo. Ora ci risiamo.
Mediaset sta disponendo le truppe, cercando di buttare fuori dal ring i concorrenti più minacciosi e soprattutto di arraffare le disponibilità di chi vuole entrare nel mercato. Ma chi vuole entrare? O meglio chi oggi realmente può entrare in questo mercato. Sicuramente non gli editori tradizionali, che semmai puntano a diversificazioni collaterali, per mitigare le perdite di questi anni. Allora chi è interessato al nuovo mercato dei consumi individualizzabili? Sicuramente i grandi brand di tendenza: Luxottica, Prada, Conad, Diesel. Sono loro i nuovi editori. Sono loro interessati a costruire community attorno ai loro prodotti che sono sempre più dei media più che degli oggetti. Gonfalonieri lo ha capito e si muove, sparando sul pianista. Rai gioca ancora sul giardinetto interno. La TV generalista potrebbe ancora recitare un ruolo importante, proprio perchè l’estrema individualizzazione del sistema comunicativo lascia uno spazio per chi vuole ricomporre occasionalmente tribù e comunità attorno a contenuti di senso comune, sorprendendo chi sceglie solo i prodotti che conosce.
Ma chi lavora in questa direzione? L’azienda non trova ancora un bandolo da seguire. Basta vedere come è stata sprecata la carta del nuovo portale news on line, dove la Rai ancora non riesce a trovare un linguaggio per un servizio di flusso e territorializzato. Basta vedere come la stessa Google sta soffiando al servizio pubblico le committente della digitalizzazione dei sistemi comunicativi locali nelle grandi città e nelle regioni. Davvero sembra tornare al Mundialito del 1982, quando Berlusconi prese velocità sostituendo la Rai nell’immaginario televisivo nazionale.
Area vasta: quale?
Non sarà facile la costruzione di una strategia di area vasta. Dovremo abituarci a considerare delle opzioni, non mutualmente esclusive quali ridisegnare e modernizzare i servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città; sviluppare pratiche e progettazione per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragili e per aree e quartieri disagiati; rafforzare la capacità delle città di potenziare segmenti locali pregiati di filiere produttive globali. Questi i primi suggerimenti consigliati dall’ Europa che dovremo adottare per stare a passo con i tempi. Aprire le porte alle energie innovative, specie dove oggi predominano rendita e inutile conservazione sarà il nostro obiettivo prioritario perché possa promuoversi una visione culturale diversa sulla qualità di vita che, ai nostri territori provinciali, la politica deve assicurare. Per la costruzione di una strategia visionaria sarà necessario lavorare ad una “mappa di larga massima” che tenga conto dei tratti naturali delle periferie, della dispersione abitativa, dell’ accessibilità e della adeguatezza dei servizi fondamentali quali scuola e salute. Un quadro che misura tendenze e ragiona predeterminando dove intervenire.
Ci dicono che contro un progetto tanto straordinario saranno coloro che dalle aree interne estraggono oggi risorse anzicché apportarle come tutti coloro che da sempre sostengono la cultura del “comunitarismo chiuso” che vede nel ripiegamento su “mono-identità locali”e chiuse all’apporto esterno e al confronto col diverso la forza del non cambiamento. A favore invece troviamo gli innovatori che abbiano idee robuste e chiare sull’uso del territorio, pronti a confrontarle in modo concorrenziale con altri, interni o esterni al comprensorio territoriale.
Welfare oppressivo, debito gigantesco, burocrazia invecchiata. L’Italia pare un ospizio senza rilevanza economica e politica, oggi. Bisogna lavorare di più e meglio non dimenticando che le migliori biotecnologie sono transitate in Cina, India, Usa e non sono in Italia. L’azione pubblica dovrebbe mirare a creare per tutti i cittadini opportunità di vita, lavoro e impresa destabilizzando le trappole del non-sviluppo, evitando di continuare a mettere fondi e potere nelle mani di chi è responsabile dell’arretratezza.
A tutto ciò dovrà corrispondere una governance che dia un ruolo di maggiore responsabilità alle città stesse, con l’urgenza di rilanciare sviluppo e coesione
del Paese e che contribuisca alla ripresa della produttività in tutti i territori interni.
Dare slancio alle aree interne del paese oggi dette “area vasta” affetta da calo e invecchiamento demografico, promuovendo policentrismo, sicurezza degli abitanti e del territorio concorrerà allo sviluppo sia di crescita che di inclusione sociale.
Noi, Rete indipendente di innovatori, stiamo lavorando ad un percorso di idee robuste ad uso del territorio pronti al confronto, al metodo partenariale aperto.
L’innovazione principale consiste nel fatto che, per aspirare a trasformare la realtà attraverso l’azione pubblica di una cittadinanza attiva, è necessario che i risultati cui si intende pervenire siano definiti in modo percepibile al fine di dare vita a una vera e propria valutazione pubblica aperta. Chiediamo, da ora, agli eletti della nostra provincia una seria politica di sviluppo rivolta ai luoghi e non alla fantapolitica.
Basta con gli equilibrismi e le arretratezza, blocco alla produttività, che però permangono quali scelte consapevoli delle classi dirigenti, dettate dalla consapevolezza di ricavare benefici dalla immobilità. Meglio sarebbe competere ad un beneficio incerto in un contesto innovativo e in crescita dove i giovani sono competenti, l’accessibilità buona, l’ambiente tutelato. E, allora, lavoriamo insieme per dare vita ad processo di co-progettazione collettiva dei territori -attorno a temi chiave- e non per continuare a gareggiare tra progetti di lobbyng o alleanze spurie controproducenti al progresso della nostra nazione.
Alberto Forchielli: “Bisogna evacuare i giovani dall’Italia”
Intervista ad Alberto Forchielli su Oblog
Eh? Come Alberto, in che senso? “È così. Va fatta una nuova Arca di Noè per salvarli prima che qui marciscano.”
Cosa intendi? “Le generazioni precedenti hanno fregato i giovani e continuano a farlo. Renzi non lo dice. Non può dirlo.”
Renzi cosa non dice? “Che la ripresa dell’Italia non c’è e non ci sarà. Da una parte abbiamo un welfare oppressivo, un debito stratosferico e una burocrazia folle, dall’altra parte la maggioranza dei giovani ha in mente di fare il calciatore e la velina.”
È un problema geopolitico e sociale? “Questi bambini al governo non hanno idea delle sfide geopolitiche che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni e che con ogni probabilità saranno amplificate dalle imprevedibili conseguenze dell’effetto serra. Parlo di emigrazioni, inondazioni, siccità, aumento dei prezzi alimentari, carestie e guerre. L’Italia è in prima linea e ’sti cretinetti al governo, per guadagnare voti, cavalcano il buonismo e l’ignoranza della cittadinanza in tema di politica estera e tagliano sulla difesa il cui budget è largamente insufficiente da anni. Ma ricordo che l’altro ieri, nel 1999, abbiamo dovuto supplicare Clinton per far sloggiare Milosevic perché la Nato e l’Unione europea non erano in grado di farlo. Quindici anni dopo siamo ancora meno equipaggiati e la situazione internazionale è molto più esplosiva. Per completare il quadro, nessuno in Europa ha la bacchetta magica per rimettere in sesto la baracca e far ripartire un continente vecchio che da troppo tempo ha perso la rilevanza economica, politica e militare e che finirà con l’essere un gigantesco ospizio controllato da extra-comunitari, dopo che i ragazzi bravi saranno emigrati e i delinquenti scappati. E gli Usa – tra Congresso e opinione pubblica – dopo tante batoste, errori, soldi e vite umane sprecate, sono giustamente diventati isolazionisti. Inoltre non hanno più risorse per intervenire ovunque e devono concentrarsi sull’Asia. Invece, a livello socio-economico, bisogna ragionare sul concetto di lavorare di più e meglio, ma vai a spiegare il concetto di sacrificio a questa Italia.”
Alberto, dipingi un quadro dalle tinte foschissime. “Nel medio termine la situazione è questa. L’industria manifatturiera con la crisi ha perso fatturato e il 25% della forza lavoro. La Pubblica amministrazione è destinata a compiere lo stesso percorso. Il settore dei servizi altrettanto: vedi il mondo bancario che per un fattore fisiologico sta attraversando un passaggio epocale inarrestabile. Dalla filiale-presidio del territorio, che un tempo era la forza di ogni banca e che oggi è un conto in perdita, si passa all’internet banking, con la conseguenza inevitabile che almeno 1.500 sportelli verranno chiusi nel giro di poco tempo e con i relativi bancari che andranno ricollocati chissà dove.”
A occhio e croce non significa solo disoccupazione. Giusto? “Vuole dire minore creazione di ricchezza e basse entrate fiscali da parte dello Stato e vuole dire che non riparte il processo del credito. In sintesi, è un casino. D’altronde, a livello mondiale, non può che essere così: dalle materie prime a internet, dalle biotecnologie agli smartphone fino alle tv a led. I grandi filoni della crescita planetaria degli ultimi anni sono transitati altrove, tra Usa, Cina e India, non certo in Italia.”
Il turismo può salvarci? “Potremmo essere forti nel turismo, anche se a livello mondiale sta attraversando una fase statica. Ma il turismo in Italia vale solo il 4% del PIL e farlo arrivare al 40%, come invece servirebbe, è impossibile. Poteva essere interessante il filone delle seconde case per i ricchi stranieri, come avviene in altri Paesi. Tutti loro però sono terrorizzati dalla nostra burocrazia. Per non parlare dei turisti stranieri che hanno avuto la sventura di entrare in un pronto soccorso italiano. Dopo un’esperienza simile nessuno torna più in Italia.”
Quindi? “Dobbiamo pensare ai giovani. Cercare di salvare almeno loro. Non mi riferisco tanto ai talenti. Chi ha talento, alla fine, se la cava, si arrangia. Mi riferisco a chi sa fare cose concrete. Pizzaioli, potatori, marinai, bagnini, idraulici. Nel mondo serve gente che sappia fare. Un avvocato o un giornalista italiano, in Australia, non lo fanno neanche entrare. Ragazzi, imparate a fare la pizza o a potare le piante e poi via, andate all’estero. Il mondo vi accoglierà a braccia aperte.”
Insomma, la parola d’ordine è evacuare.
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Ingegneri e fondi europei: il futuro è nelle “Reti di intelligenza collettiva”
Innovatori Europei collabora con il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ad una nuova visione strategica delle professioni tecniche italiane per un loro protagonismo nell’ Europa della Smart Specialization. L’avvio del prezioso dialogo con il Vicepresidente vicario del Parlamento Europeo Gianni Pittella rientra in una serie di iniziative e studi che ci porteranno al congresso nazionale del prossimo autunno e ad operare nei territori insieme alle istituzionali locali, nazionali ed europee.
Comunicato Stampa (pubblicato anche su sito Consiglio Nazionale degli Ingegneri)
“Europe 2020: gli ordini professionali verso la Smart Specialization”. Questo il tema dell’incontro tenutosi nei giorni scorsi a Roma e che ha visto la partecipazione dell’On. Gianni Pittella, Presidente Vicario del Parlamento Europeo, di Gianni Massa, Vicepresidente del Consiglio Nazionale Ingegneri, e di Massimo Preziuso, coordinatore nazionale di Innovatori Europei.
In occasione della discussione, i rappresentanti di CNI e di IE hanno illustrato all’On. Pittella l’omonimo documento strategico. Si tratta di un progetto che mira a trasformare gli Ordini Professionali in protagonisti della nuova strategia Europe 2020, facendo leva su una rete di circa 250 mila professionisti in Italia, col coordinamento della ancora più ampia Rete delle Professioni Tecniche.
In particolare, i rappresentanti degli ingegneri hanno illustrato il nuovo approccio “smart” alle politiche europee e al nuovo ruolo che si sta disegnando per i professionisti tecnici.
Il nucleo fondamentale del ragionamento strategico risiede nell’animazione delle cosiddette “reti di intelligenza collettiva”, che gli Ordini possono garantire, grazie alla loro radicata presenza nel territorio. Lo scopo è quello di creare una nuova generazione di professionisti europei che sappiano orientare la formazione continua all’ideazione di progetti europei che possano cogliere le nuove opportunità aperte dall’accesso per i professionisti ai fondi comunitari. A questo proposito, gli ingegneri e i professionisti in genere si propongo di svolgere un ruolo di supporto alla Pubblica Amministrazione nella programmazione dei progetti e degli interventi sul territorio.
“Ritengo di estremo interesse l’approccio suggerito dagli ingegneri – ha affermato al termine dell’incontro l’On. Pittella – Le professioni tecniche possono svolgere un ruolo fondamentale nella guida dei processi di trasformazione smart dei territori, ormai indispensabili ed espressamente richiesti dalla nuova programmazione europea dei fondi strutturali”.
“Siamo molto soddisfatti – ha commentato Gianni Massa – di questa importante collaborazione che apre un canale privilegiato tra istituzioni europee e ordini professionali italiani e mediterranei. ”.
“E’ nel favorire il dialogo costruttivo tra reti di professionalità e progettualità italiane e istituzioni europee – ha aggiunto Massimo Preziuso – che si costruisce concretamente il nostro futuro”.
“Io solo secondo? Lo decideranno i cittadini”, intervista di Gianni Pittella per «Il Mattino»
intervista di Gianni Pittella su «Il Mattino» di mercoledì 16 aprile
Che ne pensa della scelta di Renzi di un parterre tutto al femminile?
«Penso che abbia voluto dare un segnale forte di cambiamento senza mortificare il merito spiega Gianni Pittella, numero due nella scuderia del Pd alle europee, dietro la Piciemo – . Sono donne molto capaci e competenti. Ma poi se avesse scelto cinque uomini qualcuno si sarebbe meravigliato?».
I democratici alla ricerca di una rivincita?
«Il Pd non cerca un riscatto, ma una vittoria sul programma di cambiamento profondo dell`Europa. D`altra parte noi voteremo per le europee non per le politiche. In campo ci sono tre posizioni. La prima è di chi è convinto che l`Europa non vada toccata così come è. La seconda è degli eurofobici: i demolitori dell` euro alla Salvini, alla Grillo e tra poco anche alla Berlusconi. Tutti vogliono ritornare alla vecchia Italietta con la marea di problemi che si portava dietro. Poi ci siamo noi. Convinti che l` Europa vada cambiata perché non possiamo continuare ad essere ostaggio di tecnocrati e banchieri che comandano a Bruxelles».
Non le secca, abituato ai grandi numeri dei consensi, fare il secondo?
«Io sarò il primo a votare e a far votare Pina Picierno che stimo molto e alla quale voglio dare tutto il mio supporto. L`esito del voto lo decidono i cittadini per quel che mi riguarda non ho mai fatto problemi ad essere primo o secondo. Avevo subito detto sì anche ad Emiliano… Per quel che mi riguarda posso dire che ho da offrire il mio fortissimo attaccamento alla causa europea: non ho mai pensato di mollarla per tornare in Italia. Perché è sul terreno europeo che si deve condurre la battaglia che ci potrà portare fuori dal tunnel».
D`Alema ha detto che il Pd si sta impoverendo. E` d`accordo?
«Abbiamo fatto il congresso mobilitando migliaia di persone; poi c`è stato il nuovo governo; poi le elezioni. Il partito si è dato da fare non è certo rimasto a guardare. La preoccupazione di D`Alema è giusta, ma non mi sembra che nel Pd ci siano segnali di abbandono».
Con l`incognita dei CinqueStelle non teme il rischio-populismo?
«Certo: il pericolo è forte. Lo conferma proprio la proposta di Grillo al Nord dove parla di secessione e cerca di mangiare voti alla Lega. E al Sud dove usa l`uscita dall`euro. Ma è assurdo non rendersi conto che mollare la divisa unica vuol dire essenzialmente condurre l`Italia al fallimento su tutti i fronti. Gettando alle ortiche la nostra credibilità internazionale. Ecco perché l`unica soluzione possibile è affiancare all`euro un governo Ue delle politiche economiche e fiscali. E` ora che l`Italia torni ad avere la presidenza del Parlamento europeo se davvero vuole riconquistare il proprio ruolo di Paese fondatore. Non possiamo più accontentarci solo delle briciole, così non si crescerà mai»