Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Parliamo di Sanità – II

giuseppina1 di Giuseppina Bonaviri

Viene sempre meno il rapporto di fiducia tra chi governa e il cittadino senza dimenticare che le politiche di austerità hanno regalato all’Europa sei anni di stagnazione e tanti europeisti pentiti. Si pensa di colpire gli sprechi  ma si continuano a fare tagli sui servizi. Si alle ferie solidali, si a industrie che espatriano e al Tfr volontario  in busta paga, si alla fiducia di emendamenti inusuali mentre paradossalmente  un Patto di stabilità  impedisce a enti locali e istituzioni di spendere  tanto che, le Regioni che non si adegueranno a fare i compiti a casa, verranno commissariate.  In questo caos volere tornare a progettare seriamente, con dati e statistiche alla mano una stagione più felice per la nostra gente ripartendo dalla salute e dalle buone pratiche, con uno sguardo lungo ai Paesi europei e con il duplice obiettivo di comprendere quali elementi caratterizzino i modelli di cooperazione con la UE, appare prioritario. Ciò anche per delineare possibili scenari di evoluzione dei modelli sanitari in preparazione di quella Conferenza socio-sanitaria dal basso a partire dagli Stati Generali  che la Rete la Fenice propone  a chi volesse seriamente aprirsi ad una nuova epoca dialogante , nella consapevolezza che esistono adeguamenti normativi imprescindibili dai fabbisogni locali.

Secondo una stima della Commissione Europea, supportata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Europa prevede entro il 2020 una carenza di 1.000.000 operatori sanitari. La creazione di una piattaforma di scambio e collaborazione tra gli Stati Membri Europei per preparare il futuro della pianificazione delle Professioni Sanitarie sarà importantissima. Sul concetto di cooperazione tra Stati Membri al fine di migliorare la pianificazione di forza lavoro in ambito sanitario nazionale e quindi locale, dobbiamo soffermarci a riflettere. L’internazionalizzazione  dei sistemi sanitari partono dalla messa in atto di cantieri aperti  con uno sguardo attento ai finanziamenti di attività di progettazione qualificate finalizzate che passano dai governi regionali  per supportare l’incremento di competitività e attrattività, intesi come sistemi capaci di introdurre innovazione e crescita. Rimane prioritario avviare un percorso che miri a raggiungere, con il contributo di tutti, alcuni risultati fondamentali quali la tutela delle parti più vulnerabili della popolazione, il miglioramento delle cure primarie e del rapporto ospedale-territorio. Nel fare ciò, si dovrà tenere conto degli importanti mutamenti demografici, sociali, economici e comportamentali della nostra società, dell’incremento delle malattie croniche, dello sviluppo tecnologico che offre nuove opportunità di diagnosi e cura, delle aspettative dei pazienti e della esigenza di sostenibilità dei sistemi sanitari stratificati per territorio.

Nel programma a Sindaco Indipendente della sottoscritta per “Frosinone piccola capitale” emergeva l’urgenza di considerare Frosinone hub del Mediterraneo tanto più  oggi che la salute nell’area del Mediterraneo diviene linea prioritaria di investimenti e di percorsi sanitari moderni. Favorendo lo scambio di esperienze con i Paesi della sponda meridionale si sarebbe potuto fare parte questo percorso che riguarda le attuali e principali tematiche comuni di sanità pubblica ( lotta alle malattie infettive e ai relativi sistemi di sorveglianza, migrazioni e aspetti sanitari inerenti la sua gestione). L’Evoluzione dei modelli di erogazione dei servizi sanitari diviene sempre più problematica a partire dal rapporto domanda/capacità che impone lunghi tempi di attesa per l’accesso ai servizi. Per contrastare queste resistenze e i lunghi tempi di attesa sono necessarie risposte sistemiche collaborative e proattive come la messa in funzione degli ospedali aperti ai rapporti con le università e all’avanzamento delle bio- tecnologie, proiettandoli in un contesto di area vasta.  La risoluzione richiede uno sforzo di collaborazione congiunto da parte di tutti gli “stakeholder” della sanità:  strategie assistenziali proattive, quali la prevenzione personalizzata, la previsione, la diagnosi/terapia precoce e la gestione delle patologie complesse può contribuire a creare e mantenere più sana la popolazione ad un costo sociale minore. Qualità professionali e senso di appartenenza sono le dimensioni che accomunano, ad oggi, i nostri operatori e la nostra utenza nella costruzione di quegli Ospedali di rete, con funzioni per acuti, e di quelle strutture riabilitative per le post acuzie (luoghi questi che potranno divenire sede di verifica di modelli organizzativi ciociari innovativi da estendere all’intera regione).

L’ oggetto di sperimentazione gestionale di ‘area vasta’ richiesto dalle Regioni per ottimizzare, tra Aziende limitrofe, l’impiego di risorse migliorando efficienza, efficacia e appropriatezza degli interventi,  dia vita a partire da Frosinone ai dipartimenti transmurali, trasversali, interaziendali super specialistici di eccellenza rispetto alle Strutture Operative rigide per il raggiungimento di specifici obiettivi comuni a più aziende sanitarie pubbliche, in una dimensione sovra aziendale che ci veda  primi attori proponenti. Qui  la nostra sanità potrà risplendere di luce propria. Proponendo  un piano sanitario, condiviso con i bisogni e le proposte dei cittadini unici reali protagonisti, che ci porti alla costruzione di  una organizzazione sanitaria modello ciociaro saremo riconosciuti oltre i cosiddetti Dea di II livello, divenendo seriamente competitivi .

Parliamo di sanità – I

giuseppina1di Giuseppina Bonaviri

Si assiste, ormai da troppo tempo, ad un moto immobile che colpisce il bel Paese. Le stagioni passano e le riforme sono ferme. Non c’è accenno di progetto e di programma per  risollevare le sorti di tanti italiani messi alla gogna da anni di mala politica. In questa immobilità come pensare di rilanciare innovazione e ricerca tanto più se volessimo impostare un piano sanitario strategico su concrete basi scientifiche ad iniziare dalle nostre periferie? La riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari diviene parola d’ordine a partire dagli Stati Generali  che imposteremo nel nostro entroterra argomenti su linee guida programmatiche e senza veleni  che vedano al centro  diritti e persone, sostenibilità del sistema, trasparenza dei dati, emancipazione collettiva.  La salute non è un costo ma un investimento economico e sociale, un valore per l’intero paese e per la qualità dei suoi abitanti. Una cosa sarebbe risparmiare sulla sanità pensando di riorganizzarla e ammodernarla a partire dalla condivisione di un Patto per la salute altro sarebbe ridurre  il fondo sanitario.

Il Patto alla salute tra Stato e Regioni (risalente a giugno di questo anno) prevede un risparmio concordato con le stesse regioni, senza traumi, affinché ci si avvicini ai costi standard  per arginare corruzione e sprechi. Il finanziamento per il servizio sanitario nazionale di quest’ anno siglato con un accordo tra Stato e Regioni- salvo eventuali modifiche  che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e variazioni macroeconomiche- ammonta a 109,9 miliardi di euro e l’accordo con il governo prevede un aumento di circa 2 miliardi e mezzo per il 2015 e 2016 ( per il 2015 saranno erogati  111,6 miliardi e per il 2016 115,4 miliardi). La macroeconomia deve calarsi ora e necessariamente nei territori con studi di settore che partano da politiche di discontinuità e non di continuismo amministrativo.

Tuttavia, dal testo della proposta di riforma costituzionale emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di assicurare, in alcuni specifici settori, uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale. A corollario delle potestà esclusive, sono infatti previste, in capo al legislatore statale, numerose norme generali – tra cui “norme generali per la tutela della salute mediante le quali si intende garantire la soddisfazione di quelle istanze unitarie, connaturate ad alcuni qualificati e specifici obiettivi di carattere generale, come appunto la tutela della salute”. Agli amministratori della salute pubblica va chiesto subito, fuori da macchinosi e strumentali atti dimostrativi o da organigrammi ministeriali prevedibili  per malaffare e collusioni dunque non accettabili, la garanzia reale di una programmabilità degli investimenti pubblici per la salute da effettuarsi nel nostro locale ambito territoriale, attraverso la predisposizione di piani annuali di investimento accompagnati da un’adeguata analisi dei fabbisogni e della relativa sostenibilità economico-finanziaria complessiva.

Nella nostra provincia a che punto sono gli studi di fattibilità e conseguente programmazione sanitaria? Quali le proposte elaborate dalla Asl locale per spending review interna? Quali gli interventi previsti localmente come da richiesta del Patto (da adottare entro il 31 dicembre 2014) in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropiatezza nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica? Quali gli interventi urgenti previsti in provincia dedicati e finalizzati al miglioramento e all’erogazione  dei LEA? A che punto è, dalle nostre parti, l’analisi sulle percentuali di patologie aids, fibrosi cistica, rivalutazione sussidi, medicina penitenziaria, emersione lavoro fondamentali ed obbligatori perché le regioni adottino provvedimenti economici d’impatto rispetto ai locali servizi sanitari? E quali gli obiettivi programmatici previsti per il prossimo semestre dalla azienda sanitaria locale? Saranno in grado gli alti organismi burocratici interni alla realtà sanitaria provinciale di permettere -come da richiesta nazionale- la semplificazione degli iter sanitari attraverso il potenziamento degli strumenti di programmazione, controllo e valutazione privilegiando il corretto utilizzo delle risorse e del personale con la dovuta affermazione della cultura del merito, della trasparenza anche attraverso progetti di riqualificazione condivisi con l’area vasta e metropolitana? E come sarà reso attuativo in provincia il programma operativo regionale 2014-2015 che prevede un decremento dell’ospedalizzazione nei termini sia di dimissioni che di ospedalizzazione? Come avverrà la riduzione dei ricoveri ad alto rischio di inappropiatezza in considerazione della diminuzione dei posti letti prevista dal piano sanitario nazionale (pl x 1.000 ab. da 4,5 a 3,9) considerando, tra l’altro, che la quota di popolazione straniera è pari a circa il 9,5% della popolazione totale e che la popolazione di 65+ anni costituisce circa il 20% della popolazione totale, concentrata specialmente nelle Province di Rieti e di Viterbo mentre la popolazione anziana fragile (definita sulla base dell’età, delle condizioni sociali e dei ricoveri per malattie croniche), rappresenta circa il 3.5% della popolazione di 65+ anni del Lazio (circa 44.000 persone nel 2013 )? Abbiamo risposte pronte per interventi sanitari locali di management qualificati che nascono da ricerche e studi appropiati, di campionamento, osservazionali e validati sulla base di lavori epidemiologici-statistici, stratificati per rischio e per territorio, per patologie, per gruppi omogenei?

E allora, fintanto che avremo imparato ad usare scienza e coscienza, metodo e rigore al di fuori da ogni  schieramento,  in attesa che il piano strategico locale sia trasmesso alla Regione per la relativa approvazione entro il termine fissato di legge del 15 ottobre 2014 ed in attesa che venga modulato il  Tavolo di coordinamento (attraverso il quale la Regione fornirà alle Aziende sanitarie locali indirizzi inerenti ricollocazione di attività e funzioni inter e sovra aziendali prevedendo che potranno essere anche approvate modifiche ai posti letto) abbassiamo i toni e non giochiamo con la salute. Abbiamo urgenza di salvaguardare la qualità di vita dei nostri compaesani con azioni preventive, diagnosi precoci , reti di medicina associativa ( che in provincia non sono ancora attuative), con servizi territoriali di accoglienza al nuovo disagio e riabilitativi, di assistenza ai dimessi e ai cronici che non vengono reintegrati e accuditi dalle famiglie. Il privato non può rimanere unica garanzia alla complessità socio sanitaria che emerge. Va rilanciato un progetto dal basso, autogestito, per il recupero dell’umanesimo mettendo al sevizio del buon governo conoscenza e tecnica.

Abbiamo bisogno di welfare agibile che accompagni la solitudine delle utenze dimenticate e abbandonate. Iniziamo dalla costituzione volontaria di un” Social-Selfie” di specialisti e di figure sanitarie che, avendo seriamente a cuore la propria gente, dia il via alla nascita di ambulatori popolari gratuiti compensativi delle enormi carenze di una sanità pubblica lacerata.

Nella crisi la centralità dei piccoli comuni

roberto di Roberto Speranza su Europa Quotidiano

Servono crescita e utilizzo delle potenzialità di questi territori che consenta di superare una tendenza alla marginalità, un rischio vero di spopolamento e al tempo stesso assicuri un maggiore riequilibrio del territorio

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Lo scriveva più di mezzo secolo fa, un grande scrittore, un grande osservatore della realtà come fu Cesare Pavese. Lui stesso era nato in un piccolo borgo delle Langhe: ne conosceva virtù e grandezze, limiti e risorse. Da allora il mondo è cambiato.

Sono cambiate le dimensioni del vivere quotidiano, le possibilità di movimento e le dinamiche della produzione e della comunicazione. Ma il piccolo comune rimane una dimensione importante – direi fondante – del paese Italia, forse una delle principali caratteristiche della nostra struttura demografica e sociale. Italia: paese dei mille campanili, dei quasi 5700 comuni con meno di 5000 abitanti, dove vivono in totale oltre 10 milioni di persone.

È a loro che pensiamo quando diciamo che vogliamo “ristrutturare” il paese valorizzando le sue caratteristiche, potenziando territori e comunità per rispondere oggi alla crisi e domani ai cambiamenti che verranno.

Lo fa con intelligenza e coraggio la proposta di legge sulla valorizzazione dei piccoli comuni presentata dal Partito democratico, sotto la spinta promotrice del nostro deputato Ermete Realacci. È un’iniziativa condivisa con gli altri partiti della maggioranza e dell’opposizione perché aiutare territori e comunità non ha colore politico, è solo “buona politica”.

I piccoli centri rappresentano in moltissimi casi luoghi di eccellenza per la qualità dell’agroalimentare e della tecnologia moderna, accanto a realtà turistiche che il mondo ci invidia.

Per primi, i piccoli comuni hanno accolto la non più rinviabile necessità di ricorrere a fonti di energia rinnovabile e smaltimento intelligente dei rifiuti. Hanno fatto della creazione di prodotti eccellenti in tutti i settori un volano dell’export nazionale.

Per difendere la ricchezza – spesso nascosta – dei nostri borghi, dei nostri paesaggi, di gran parte del nostro paese, e allo stesso tempo rilanciare la qualità della vita delle comunità locali, occorre valorizzare il ruolo che anche le aree piccole e interne possono avere per immaginare un nuovo modello di sviluppo che contribuisca al superamento della crisi attuale.

Per ragionare su tutto questo, per dare respiro e carattere a una proposta di legge che vogliamo far crescere nel paese, abbiamo promosso un incontro con amministratori e esponenti dell’associazionismo e dell’economia che si terrà nella sala della Regina della camera dei deputati nella mattina di venerdì 10 ottobre.

Vogliamo una buona legge per aprire una nuova fase culturale, ma anche politica, di crescita e utilizzo delle potenzialità di questi territori che consenta di superare una tendenza alla marginalità, un rischio vero di spopolamento e al tempo stesso assicuri un maggiore riequilibrio del territorio. L’obiettivo è ambizioso: consentire a tutti, ovunque si viva, si lavori e si produca di concorrere alla modernizzazione dell’intero paese.

@robersperanza

PD, articolo 18 e la sindrome del monopolista

francesco_grillo di Francesco Grillo

Conosco Ivan Scalfarotto, lo stimo e gli riconosco – per aver difeso le diversità – parte dei meriti che hanno portato il Partito Democratico a rimanere l’unico partito rimasto in piedi, dopo una guerra di posizione che ha svuotato il Paese di quasi tutte le sue risorse civili ed economiche. E, tuttavia, ieri sera mi è tornato in mente un episodio successo qualche anno fa: eravamo, credo a Piombino, si discuteva (ovviamente) di rinnovamento di classi dirigenti e, rispetto alla premessa che facevo di non essere iscritto al Partito Democratico, fu proprio Ivan a farmi notare – scherzando – che prima di partecipare al dibattito sarei dovuto andare in segreteria a risolvere questo piccolo dettaglio operativo, “perché il Partito Democratico discute del proprio futuro con chi vi aderisce”.

Mi è tornato in mente questo episodio ieri sera sentendo distrattamente del dibattito alla direzione del Partito. Un dibattito che chiunque giudichi le cose con un minimo di serenità, non può che ritenere surreale, tanto quanto quello che si è svolto negli ultimi dieci giorni sull’articolo 18. Per dieci giorni si è parlato fuori e dentro il PD solo di questo; il PD e il Paese sono sembrati sull’orlo di una crisi di nervi e di una scissione irreversibile; e, alla fine, di tanto rumore per nulla, siamo tornati – con la mediazione che, comunque, ha lasciato il Partito passato in tre tronconi attorno alla maggioranza larga per Matteo – al punto di partenza; lasciare la reintegra solo per i licenziamenti discriminatori e disciplinari è esattamente ciò che prevede l’articolo 18 nella sua formulazione attuale.

Mi è tornato in mente, l’episodio di Piombino perché il dibattito di questi giorni fa capire che dall’essere rimasto l’”unico ancora in piedi” (come alla fine di un film degli anni ottanta) resta di essere danneggiato soprattutto il PD. Senza un avversario da battere, senza alternative il PD rischia di implodere su se stesso. E deve essere questo l’ultimo, velenoso abbraccio che quel genio di Berlusconi sta riservando al partito che ha combattuto per vent’anni.

Il PD rischia se non è sfidato sui contenuti da nessuno, di non avere più contenuti. Oltre a quelli di una comunicazione, di una sociologia sulle intenzioni che rischia di non entrare mai, davvero, nel merito delle soluzioni. Credo che l’Italia ha bisogno di un PD forte e di una democrazia funzionante. Ed è per questo motivo che mi è tornato in mente Ivan. Perché è, proprio, nel momento in cui resti senza avversari che rischi di sederti e di cominciare a gestire il potere come se fosse fine a stesso. Mentre la società, quella che è fuori dalle stanze “dove si discute del futuro del PD” va avanti senza aspettare.

Sarebbe paradossale che la sindrome del monopolista colpisse una classe dirigente così giovane: è questo il momento per decidere di correre il rischio di andare a confrontarsi con chiunque abbia idee concrete.

Se si può trivellare e rispettare l’ambiente

maugeri di Leonardo Maugeri su Il Sole 24 Ore

Il decreto Sblocca-Italia sta creando una forte contrapposizione tra Governo, enti locali e larghe fatte della popolazione su un tema delicato, che non si presta a facili semplificazioni: è giusto dare libertà di trivellazione per produrre più petrolio e gas dal sottosuolo italiano ? E soprattutto, i rischi sono compensati da innegabili vantaggi ? Il tema è complicato da posizioni ideologiche e dati manipolati dalle parti che si confrontano al calor bianco, principalmente l’industria petrolifera e i vari movimenti ambientalisti.

Cercare di far ordine, pertanto, rischia di provocare attacchi violenti dall’uno e dall’altro schieramento.   Partiamo dal dire che, comunque si mettano le cose, l’Italia ha una dotazione molto modesta di idrocarburi. Allo stato delle attuali conoscenze, le uniche riserve di una certa consistenza si trovano nell’Alto Adriatico (gas naturale) e Basilicata (petrolio). Per il resto parliamo di piccoli giacimenti che in nessun modo potrebbero contribuire a rendere l’Italia meno dipendente dal petrolio e dal gas importati. Peraltro, dal punto di vista della sicurezza energetica, almeno nel caso del petrolio ha poco senso affannarsi nello sfruttamento di risorse interne poiché il mercato internazionale è aperto e ricco di fornitori e si può tranquillamente coprire il fabbisogno interno con importazioni. Diverso è il caso del gas, dove il mercato è in mano a pochi fornitori – Russia in testa – le cui forniture possono venire a mancare in momenti delicati. In questo caso, meglio sarebbe poter disporre di una riserva strategica del gas europeo, cioè di gas acquistato e stoccato in giacimenti esauriti e pronto per essere utilizzato in caso di emergenza. Si potrebbe obiettare: sì, ma per quanto limitato, lo sfruttamento di risorse interne crea posti di lavoro, investimenti e gettito fiscale. È vero, ma in modo più modesto di quanto sostenuto da alcune parti.

Anzitutto, l’industria del petrolio non è ad alta intensità di lavoro. Si pensi, per esempio, che la Saudi Aramco, il gigante di stato saudita che controlla le intere riserve e produzioni di petrolio e gas dell’Arabia Saudita, impiega circa 50.000 persone (molte delle quali solo per motivi sociali) per gestire una capacità produttiva che, nel petrolio, è oltre sette volte il consumo italiano, mentre nel gas è superiore del 40% al fabbisogno nazionale. Inoltre, le possibili produzioni italiane cui dare mano libera sarebbero vantaggiose (aldilà degli aspetti fiscali) solo se si tengono sotto stretto controllo i costi, e quindi si limita l’assunzione di personale. Infine, gran parte dei siti produttivi si controllano con poche persone, in molti casi da postazioni remote. Anche nel caso di un via libera generalizzato alle trivelle, quindi, è alquanto dubbio che si possano creare i posti di lavoro di cui si è parlato (25.000): forse il numero sarebbe di poche migliaia.

Jean-Claude Juncker soutient totalement Pierre Moscovici – Interview a Gianni Pittella

Pierre Moscovici

LE MONDE | 26.09.2014

Propos recueillis par Jean-Pierre Stroobants (Bruxelles, correspondant) et Cécile Ducourtieux (Bruxelles, bureau européen)

L’Italien Gianni Pittella est le président du groupe des sociaux-démocrates (S&D) au Parlement européen, deuxième force politique à Strasbourg. A quatre jours des auditions des 27 commissaires européens, un examen de passage qui s’annonce périlleux pour le collège de Jean-Claude Juncker, M. Pittella met les points sur les « i ». Il dément tout accord avec le Parti populaire européen (PPE), le groupe conservateur, majoritaire au Parlement (auquel M. Juncker appartient), pour que les auditions se passent sans remous. Et il a pleine confiance dans les capacités du Français Pierre Moscovici, pressenti pour le poste de commissaire à l’économie, à passer l’examen avec succès.

On évoque un pacte de non-agression entre votre groupe et celui du PPE pour ne pas rejeter les candidats commissaires. Qu’en est-il?

Je démens formellement, il n’y a aucun accord de ce type. Chaque candidat sera jugé selon une série de critères : sa compétence, sa fidélité aux valeurs européennes, sa moralité, sa capacité à mettre en œuvre le programme esquissé par le président Jean-Claude Juncker.

Cela signifie donc qu’il n’y a aucune entente pour que l’audition de Pierre Moscovici, par exemple, se déroule sans difficulté?

Je n’ai aucun souci par rapport à M. Moscovici. Une analyse très stricte permettra de démontrer ses capacités, sa compétence, sa cohérence avec le programme de M. Juncker et sa fidélité aux valeurs de l’Union.

Dans vos discussions avec lui, M. Juncker s’est-il vraiment engagé à soutenir le candidat français?

Oui. Il a exprimé son soutien total. M. Moscovici représentera notamment la Commission dans les instances internationales concernant ses attributions, comme le G7 et le G20. Et à l’Eurogroupe. C’est le résultat d’une négociation, rude, menée avec M. Juncker, que j’ai rencontré deux fois au cours des dernières quarante-huit heures.

Donc vous craignez toujours une fronde de certains élus conservateurs, notamment allemands?

Je ne passe pas mes journées à mesurer la tension nerveuse des députés PPE mais je suis convaincu que M. Moscovici s’en tirera haut la main. Qu’est-ce qu’une audition ? Une séance de questions destinées à évaluer la personnalité d’un candidat. Et je n’ai aucun doute sur l’autorité, le prestige et l’état de préparation de M. Moscovici. Je défie le PPE sur ce dossier.

Vous avez également des garanties quant à la marge de manœuvre du futur commissaire par rapport aux deux vice-présidents, MM. Katainen et Dombrovskis?

Nous nous battons pour que M. Moscovici puisse avoir le plus grande capacité d’action. Nous sommes confiants : elle est directement liée au programme défini par M. Juncker, qui indique qu’on ne peut avoir la rigueur et la stabilité sans la croissance et l’emploi.

L’engagement de M. Juncker à soutenir le commissaire sur le thème de la croissance est donc totalement sincère?

Ce devra être la bataille de toute la Commission. Au cours des dernières heures, nous avons d’ailleurs obtenu deux précisions importantes sur le plan d’investissement de 300 milliards d’euros que M. Juncker a annoncé en juillet : ce montant sera de « l’argent frais », ne résultant donc pas de recyclages divers, et sera essentiellement de l’argent public.

Si M. Moscovici passe le cap des auditions, tout le monde passe ? Même certains candidats très controversés du PPE?

Je le répète : il n’y a pas d’accord, public ou secret. Notre examen de tous les candidats du PPE sera donc très strict. Le candidat hongrois est effectivement controversé. Le Britannique aussi : nous attendons des propos très clairs de celui-ci et nous n’accepterons pas que les réformes des marchés financiers et bancaires soient arrêtées ou édulcorées.

Vous ne citez pas M. Canete, le prétendant espagnol, parmi les cas problématiques…

Ma liste n’était pas exhaustive.

Partagez-vous la volonté du PPE d’avoir une Commission Juncker suffisamment forte et légitime pour qu’elle se mette rapidement au travail?

La Commission doit commencer à travailler à partir du 1er novembre. Le défi est immense : l’Europe peut mourir à cause de la situation économique et politique très délicate que nous vivons. Il lui faut un leadership courageux.

Photo Laurent Guedon

Dalla Global Infrastructure Initiative del G20 alla European Infrastructure Initiative italiana?

Innovatori-Europei-defNel comunicato finale diffuso al termine dell’incontro dei G20 di ieri in Australia si è ribadito che “la crescita economica globale resta incerta e al di sotto del ritmo necessario a generare i posti di lavoro necessari, nonostante le condizioni economiche siano migliorate”.

Per combattere questa transizione difficilissima, i ministri delle  Finanze dei Paesi del G20 si sono impegnati a lanciare differenti iniziative mirate all’obiettivo di una crescita del Pil del 2% a  livello mondiale nei prossimi cinque anni, puntando decisamente sugli  investimenti nelle infrastrutture con il lancio della “Global Infrastructure Initiative”.

Per gli Innovatori Europei, che a Giugno scorso dalla sede del Partito Democratico proposero al governo Renzi la istituzione di un Osservatorio Europeo per le Infrastrutture e la Logistica Mediterranee, questa è una notizia davvero importante e attesa da tempo.

Essa essenzialmente ribadisce che una ripresa della economia mondiale, ed europea, passerà necessariamente da un rilancio degli investimenti infrastrutturali materiali e immateriali.

L’Italia ha ancora tre mesi davanti per prendere la leadership politica in Europa proprio attorno a questo tema, lanciando una European Infrastructure Initiative con la istituzione in Italia di una Agenzia per lo sviluppo infrastrutturale europeo e mediterraneo.

Il nostro auspicio è che tutto il Partito Democratico e il Partito Socialista Europeo stimolino il Premier Matteo Renzi (presidente di turno dell’Unione Europea) per raggiungere questo importante goal, da cui potrà ripartire effettivamente la fase due delle politiche europee per la crescita dell’economia reale del continente.

Roma, 22 settembre 2014

Gli Innovatori Europei

«Questa Ue non va, ha paura del futuro»

Intervista di Romano Provi ad Avvenire

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Parte da un’immagine Romano Prodi.  Davanti a lui c’è un gruppo di studenti cinesi, uno alza la mano e lo interroga: cos’è l’Europa?  È un laboratorio oppure è un museo? Prodi pesca nella memoria  e risponde oggi come rispose allora: «È il più grande laboratorio politico della storia, ma troppo spesso è incapace di guardare al futuro. È un laboratorio smarrito, timido, timoroso, e il rischio è girare  il volto all’indietro come fosse  un museo». Quando il treno Roma-  Bologna comincia a correre, l’ex presidente della Commissione Ue ci racconta vizi e virtù del Grande Progetto.  Con realismo e con durezza. «È stato  un percorso straordinario. Siamo partiti  con sei Paesi, siamo arrivati a ventotto.  Paesi che hanno unito un pezzo importante  del loro futuro…». Una pausa leggera  precede una nuova riflessione: «… Ora  è come se avessero paura del futuro stesso. Ma la scommessa è andare avanti,
non arretrare».
Ci crede?
Negli ultimi anni non è stato così e non sono  ottimista. L’economia non ha girato e non gira: siamo stati il malato del mondo, siamo cresciuti poco, non abbiamo offerto  lavoro ai giovani, le disparità tra i Paesi  e all’interno dei Paesi sono aumentate. Sì, spesso penso ai giovani, a quei giovani che sono sempre anche nei pensieri del Papa. Vorrei raccontare l’Europa cominciando  con la pace, ma loro vogliono risposte  sul futuro e capiscono di più temi come crescita e solidarietà. In quelle due parole c’è la loro vita.
C’erano quelle parole nel Dna della Ue…
C’era la volontà di far camminare parallelamente  sviluppo e solidarietà nella testa  dei padri fondatori. Ma oggi dov’è la solidarietà se i leader europei dicono che spendere così tanto per il welfare è la condanna  dell’Europa? La difesa del più debole  era tra i principi fondamentali dell’Unione  e oggi? Si sta tradendo un disegno, è un voltafaccia terribile e pericoloso.
È quasi un atto d’accusa?
Serve verità per voltare pagina. Tutti ci vedono  come una società vecchia,  chiusa in se stessa, raggomitolata  sul passato. Ora o  respingiamo questa analisi ma  a me pare terribilmente difficile  – o cominciamo davvero  a riflettere e cerchiamo i rimedi  per trasformare l’Europa in  laboratorio. Se poi lei mi da elementi  per dire che l’Europa  in questo momento è dinamica,  solidale, con un disegno comune,  io cambio giudizio. Ma  lei non può darmi questi elementi  e allora insisto: bisogna riflettere sulle mancanze di oggi per preparare il salto in avanti che ci permetta di fare bene  domani. Se non ci rendiamo conto della  realtà non possiamo nemmeno avere l’urgenza necessaria per vincere egoismi e differenze di interesse.
Crede che la nuova commissione possa imprimere il cambio di passo?
Vedo elementi di conservazione. Tanti, troppi. Quando penso che le politiche più coraggiose vengono prese da un organismo  tecnico come la Bce vuol dire che la politica ha paura di fare fino in fondo il suo mestiere. Molto non va. I falchi del rigore hanno ancora molto potere e non si rendono  conto che proprio il rigore sarebbe una grande virtù se accompagnato da una  condivisione di obiettivi per avanzare verso il futuro. Non è così. E soprattutto non è più il momento di fare i maestrini, di dimostrare che si è meglio dagli altri; è il momento del Progetto e della Solidarietà.
Però il laboratorio è smarrito. E intanto l’Europa dà anche l’impressione di arretrare  sui valori, di non difendere la vita.
Sono 28 Paesi con valori diversi, con sensibilità  diverse: nel complicato Parlamento  trovare linee comuni, convergenti,  sembra una sfida impossibile. Una riflessione  culturale collettiva su questi temi  è ancora più complicata, ma il Papa anche su questo può offrire spunti di riflessione  forti. Richiamare ai valori fondamentali  è decisivo. Non si può pensare  a una condivisione immediata, ma l’Europa ha un disperato bisogno di riflettere,  di interrogarsi, di riscoprire la solidarietà.  C’è bisogno di parole profetiche,  ma anche cariche di concretezza. Per strappare la scena a contrapposizioni  astratte e spostare il dibattito sui destini dell’uomo.

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